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N. 39 - Marzo 2011 (LXX)

Konrad Adenauer
LA “DOTTRINA DI HALLSTEIN” E L’OPZIONE DELLA “PICCOLA EUROPA”

di Pietro Simonetti

 

Il 1° luglio 1948 i governatori militari delle potenze vincitrici convocarono a Francoforte sul Meno i presidenti dei vari governi locali tedeschi (Länder) per invitarli a convocare un’assemblea costituente entro il 1° settembre; l’unica condizione da rispettare prevedeva l’elaborazione di una Costituzione di stampo prettamente democratico e con un alto tasso di federalismo. L’offerta degli Alleati ai tedeschi era senza precedenti, visto che - fin dall’inizio del loro insediamento - gli occupanti occidentali erano stati sempre molto restii nell’aprire prospettive ad un eventuale progetto di autonomia tedesca. Dopo le dovute consultazioni interne, il 23 maggio 1949, fu promulgata la Grundgesetz, ovvero la “Legge fondamentale”, (che non era una vera e propria Verfassung, Costituzione), che fu redatta al fine di <<dare alla vita statale, per un periodo transitorio, un nuovo ordinamento>> e che sancì ufficialmente la nascita della Bundesrepublik Deutschland (BRD).

 

Le prime elezioni della neonata Repubblica federale tedesca si tennero il 14 agosto 1949. La legge elettorale prevedeva che per poter partecipare all’assegnazione dei seggi sarebbe stato necessario raggiungere almeno il 5% dei voti in un Länd. I risultati affermarono come maggiori forze politiche i democristiani (Christlich Demokratische Union - CDU), i socialdemocratici (Sozialdemokratische Partei Deutschlands - SPD) e i liberali (Freie Demokratische Partei - FDP). Il 14 settembre l’Assemblea federale elesse alla presidenza della Repubblica il liberale Theodor Heuss mentre il giorno successivo il Bundestag nominò cancelliere Konrad Adenauer, con un solo voto (il suo) in più rispetto alla maggioranza richiesta.

 

Appartenente alla tradizione cattolico-borghese e dotato di un forte spirito antiprussiano e antiluterano, Adenauer fu per un lungo periodo il leader indiscusso della CDU; egli già a trent’anni era un amministratore affermato della sua città, Colonia, di cui sarà borgomastro dal 1917 al 1933. La sua esperienza da cancelliere durò fino al 1963, quattordici anni durante i quali Adenauer portò avanti con tenacia la battaglia per il perseguimento dell’integrazione a occidente della BRD, ponendosi negli anni della guerra fredda come il sostenitore più rigido in Europa dell’anticomunismo. Molti storici – per questo e per altri motivi - hanno paragonato la sua figura a quella di un altro illustre esponente della democrazia cattolica europea, ovvero Alcide De Gasperi. I due si conobbero per la prima volta nel 1921 a Colonia; da quell’incontro si avvierà - secondo il giudizio dello storico Pietro Scoppola - una futura unità di ideali, che sfocerà, poi, nell’ambizioso programma di unificazione europea.

 

Accantonato durante la nefasta esperienza nazista, il progetto tornò prontamente alla ribalta - grazie allo stesso Adenauer - già nell’ottobre 1945. Il leader democristiano riportò in una lettera la seguente diagnosi politica:

[...] la divisione tra Europa occidentale e Europa orientale (il territorio russo) è ormai un dato di fatto. La parte della Germania non occupata dai russi è una parte integrante dell’Europa occidentale. Se per questo territorio non si prenderanno seri provvedimenti, gravi conseguenze si ripercuoteranno sull’intera Europa occidentale, sull’Inghilterra come sulla Francia. Ė quindi interesse non solo della Germania non occupata dai russi, ma anche dell’Inghilterra e della Francia di riunire sotto la loro guida l’Europa occidentale, di stabilizzare economicamente e politicamente la Germania non occupata dai russi e di pensare al suo risanamento. Le richieste di sicurezza della Francia e del Belgio potranno essere esaudite col tempo solo con una stretta interazione economica tra Germania occidentale, Francia, Belgio, Lussemburgo e Olanda […].

 

Con una Germania ancora sotto le macerie e a soli tre mesi dalla conferenza di Potsdam, la previsione di Adenauer appariva per molti versi anacronistica, ma - come è noto - la sua profezia è stata ampiamente confermata dagli eventi storici. Ė del 9 maggio 1950, infatti, la Dichiarazione del ministro degli Affari Esteri francese, Robert Schuman, che apriva le porte alla creazione di un mercato comune carbosiderurgico tra la Francia e la Germania occidentale, estendendo l’invito a parteciparvi agli altri Paesi europei più direttamente interessati e più politicamente affini. Le reazioni alla Dichiarazione furono - come auspicato da Adenauer - pronte e positive da parte dei tre paesi del Benelux e ovviamente da parte italiana. Per dare concreta attuazione agli intenti della ‘Dichiarazione Schuman’ fu così formata una commissione composta dai delegati dei rispettivi governi, i quali, il 18 aprile 1951, sottoscrissero a Parigi il Trattato istitutivo della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA). Prendeva così vita la prima forma di esperienza comunitaria, una ‘piccola Europa’ che si sarebbe basata sull’attuazione concreta dei principi fondamentali di integrazione e di sovranazionalità e destinata a realizzare fra gli stati membri un ordinamento giuridico di natura confederale.

 

Analizzando più in profondità quelli che furono nello specifico i rapporti fra Italia e BRD si può notare che i due Stati non si limitarono a collaborare solamente sul piano politico-economico, ma ebbero interessi in comune anche per quanto riguarda alcune questioni di natura giudiziaria legate alla controversia dei criminali di guerra nazisti ancora da processare. Lo storico Filippo Focardi nel 2008 ha dedicato al tema un saggio – Criminali di guerra in libertà – nel quale viene svelata la verità su alcune vicende rimaste per anni insabbiate e nascoste da abili personaggi appartenenti al mondo della politica e della magistratura. Focardi si riferisce ad un accordo segreto tra Italia e BRD, il quale permise la scarcerazione di alcuni criminali di guerra nazisti che erano ancora nelle mani della giustizia italiana.

 

Nel novembre 1950 un emissario del cancelliere Adenauer, Henrich Höfler, incontrò a Roma il segretario generale del ministero degli Esteri italiano, conte Vittorio Zoppi. Höfler chiese ed ottenne la liberazione dei criminali di guerra tedeschi condannati in Italia con sentenza definitiva. Nel giro di pochi mesi, attraverso decreti firmati dal presidente della Repubblica Luigi Einaudi - sotto l’invito di De Gasperi - i criminali tedeschi furono scarcerati e rimpatriati in Germania in gran segreto, con gran soddisfazione di Adenauer. La missione Höfler ebbe luogo in un momento cruciale sia per la costruzione del sistema difensivo occidentale, che di lì a poco sarebbe sfociato nel progetto della Comunità europea di difesa (CED), sia per il rafforzamento dei rapporti bilaterali con Bonn, che Roma aveva interesse a sviluppare – come detto – tanto per motivi politici quanto per motivi economici. Nonostante tutto, però, non possiamo assolutamente accusare Adenauer di essere stato un filonazista; anzi fu proprio lui, infatti, ad avviare nel 1951 dei contatti informali con il World Jewish Congress, rappresentato da Nahum Goldmann, in vista della definizione di un possibile risarcimento finanziario per tutte le vittime del nazismo, lui che – tra l’altro - durante il regime hitleriano, (dopo essere stato anche imprigionato) fu costretto a spostarsi di continuo per evitare di essere catturato (ma lo sarà di nuovo nel 1944). Le sue aperture a favore della scarcerazione di alcuni criminali di guerra nazisti vanno inserite, piuttosto, nel clima generale che venne a crearsi all’indomani della fine della guerra, col motto - condiviso da molti - di ‘voltare pagina’.

 

Chiusi i conti con il nazismo, il nuovo pericolo, che secondo Adenauer andava combattuto con tutti i mezzi, era adesso il comunismo sovietico. Lo stesso giorno (7 ottobre 1949) in cui fu proclamata la nascita – sotto l’egida dell’URSS – della DDR (Deutsche Demokratische Republik), il cancelliere denunciava l’atto come illegale, sostenendo che <<il nuovo ‘regime della SED’, non essendo stato scelto liberamente dai cittadini, non aveva alcun diritto a rappresentarli>>. Il giorno successivo, attraverso una dichiarazione - redatta in collaborazione col Bundestag – Adenauer sostenne la tesi secondo cui soltanto la BRD era legittimata a parlare in nome del popolo tedesco, enunciando così la prima formulazione del cosiddetto Alleinvertretungsanspruch, ovvero del diritto esclusivo di rappresentanza degli interessi dell'intero popolo tedesco, che avrebbe rappresentato il fulcro della politica estera del periodo adenaueriano. Secondo il giudizio dello storico Hermann Graml, l’atteggiamento antisovietico e anticomunista di Adenauer sarebbe sempre di più confluito nelle menti della stragrande maggioranza della popolazione tedesco occidentale, la quale, avendo dinanzi agli occhi la brutale sottomissione di Stati come ad esempio la Bulgaria e la Polonia e spaventata dall’istituzione, non meno brutale, di regimi stalinisti in quegli stessi ed altri Stati (tra cui la DDR), si allontanò sempre di più dall’ideologia del blocco orientale.

 

La netta opposizione di Adenauer a qualsiasi apertura nei confronti del nemico comunista fu ribadita il 10 marzo 1952, in occasione di una spiazzante dichiarazione di Stalin. Il dittatore sovietico, infatti, propose la riunificazione delle due Germanie, aggiungendo, però, che il nuovo Stato che ne sarebbe nato avrebbe dovuto tassativamente mantenersi neutrale. Fu proprio questa condizione, però, che portò al rifiuto della proposta staliniana da parte del cancelliere tedesco (in accordo con le potenze occidentali); egli giustificò la sua decisione affermando che una Germania unita e neutrale collocata al centro del continente europeo, fra i due blocchi contrapposti, avrebbe pienamente corrisposto alla concezione ‘spaziale’ dell’URSS, che si sarebbe così ritrovata al suo fianco un formidabile partner economico per gli anni a venire. Adenauer è stato più volte accusato di aver perso un’importante occasione per chiudere in anticipo la ‘questione tedesca’. Secondo il parere dello storico Antonio Missiroli, <<ancora oggi non si è pervenuti a risultati univoci nella valutazione dell’effettiva praticabilità delle proposte sovietiche, oscillando fra la tesi della loro strumentalità e quella, invece, della personale responsabilità di Adenauer per la mancata riunificazione, soprattutto, per la mancata libertà dei 17 milioni di tedeschi che vivevano al di là dell’Elba>>.

 

Le molte critiche che piovvero sul cancelliere renano, però, non scalfirono affatto le sue convinzioni e le sue tesi anticomuniste; infatti, tre anni dopo il rifiuto del ‘piano Stalin’, Adenauer ribadì ancora di più la sua più totale avversione a qualsiasi apertura nei confronti del blocco orientale. L’occasione nacque in seguito ad una visita che il cancelliere – accompagnato dal nuovo ministro degli esteri Heinrich von Brentano – fece nel settembre 1955 a Mosca. L’obiettivo principale della missione (fortemente condannata all’interno della CDU) consisteva nello stabilire rapporti diretti con i vertici di quella che rimaneva pur sempre una delle potenze garanti del futuro assetto della Germania, e senza la cui approvazione non era evidentemente possibile proporsi di risolvere la ‘questione tedesca’. Oltre a sancire il reciproco riconoscimento e l’apertura formale di relazioni diplomatiche fa Bonn e Mosca, la visita di Adenauer portò ad un altro importante risultato, e cioè alla promessa sovietica del rilascio definitivo delle migliaia di prigionieri tedeschi ancora detenuti in URSS, risultato che – secondo un’indagine demoscopica effettuata nel 1967 – veniva ricordato dal 75% dei tedeschi occidentali come il maggior successo in politica estera conseguito dal cancelliere durante il suo governo. Ma anche in questo clima di apparente disgelo tra BRD e URSS, Adenauer riuscì a trovare una controindicazione importante; egli focalizzò l’attenzione sul fatto che a Mosca si sarebbero venute a trovare due ambasciate tedesche, quella della DDR e quella, appunto, della BRD, il che era in evidente contrasto con il principio dell’Alleinvertretungsanspruch, e poteva creare un pericoloso precedente di doppia rappresentanza a livello internazionale. Per ovviare a questo problema Adenauer e von Brentano - già sul volo di ritorno verso Bonn - ufficializzarono quella che passerà alla storia come ‘dottrina Hallstein’, dal nome del sottosegretario agli esteri che, pare, la suggerì (l’ideatore vero e proprio sarebbe stato in verità Wilhelm Grewe, responsabile del dipartimento politico del ministero degli esteri e stretto collaboratore di Hallstein).

 

Secondo la dottrina, la BRD avrebbe, da allora in poi, considerato l’apertura di relazioni diplomatiche con la DDR da parte di paesi terzi come un atto ostile nei propri confronti, fatta eccezione, ovviamente, per l’URSS, di cui – come detto – il governo tedesco occidentale non poteva assolutamente fare a meno. Secondo le parole dello storico Enzo Collotti <<al di là dell’impatto che poté avere immediatamente in una serie di rapporti soprattutto con paesi emergenti, in realtà, la ‘dottrina Hallstein’ fu una coda tardiva della guerra fredda e rappresentò forse anche un ostacolo alla maggiore duttilità con la quale, nonostante tutto, sempre si mosse la diplomazia occidentale>>; a suo parere ogni atto di isolamento compiuto o tentato nei confronti della DDR si convertì sistematicamente in una sempre più stretta integrazione della Germania orientale nel sistema di alleanze militari guidato dall’URSS, che intanto - dopo pochi mesi dall’entrata della BRD nel Patto atlantico – aveva dato vita al Patto di Varsavia, ovvero un’alleanza di tipo militare tra i paesi del blocco sovietico in funzione antioccidentale. Dunque, secondo Collotti, la ‘dottrina Hallstein’ favorì – in un primo momento - più la DDR che non la BRD.

 

La prima attuazione pratica della dottrina si ebbe in concomitanza con una dichiarazione polacco-jugoslava del 1957, che accettava l’esistenza della DDR e i suoi confini sull’Oder-Neiβe; il governo della BRD annunciò, così, l’immediata rottura delle relazioni diplomatiche con Belgrado (ottobre 1957). In realtà – nella sua prima elaborazione – la dottrina Hallstein prevedeva una graduatoria di ritorsioni a vari livelli; il provvedimento più severo rappresentava proprio la rottura delle relazioni diplomatiche. L’interruzione dei contatti con Belgrado fu dunque un atto estremo, al quale il governo della BRD arrivò soprattutto perché si tenne conto della neutralità jugoslava (conseguenza dello ‘scisma’ fra Tito e Stalin nel 1948). Infatti, per i Paesi che invece facevano parte del Patto di Varsavia il governo Adenauer applicò la cosiddetta ‘teoria del difetto congenito’. Ciò voleva significare che la ‘dottrina Hallstein’ non teneva in considerazione gli Stati aderenti al Patto di Varsavia; questi ultimi avrebbero potuto essere congedati dalle misure previste, poiché la loro scelta di aderire al blocco orientale non era stata libera ma imposta dall’URSS.

 

L’applicazione rigida della dottrina con il caso jugoslavo pose così fine alla discussione in corso, creando inoltre un precedente vincolante per la condotta della BRD, che agirà analogamente nel 1963, quando romperà le relazioni questa volta con la Cuba di Fidel Castro, la quale - dopo la decretazione di embargo totale da parte degli USA (25 aprile 1961) – riuscì a salvare la propria economia solo affidandosi all’URSS, riconoscendo, in questo modo, automaticamente la DDR. La condotta di Adenauer – tramite la ‘dottrina Hallstein’ – vanificò ogni possibilità di iniziativa della BRD in Europa orientale. Secondo lo storico Missiroli, in questo modo, venne a tramontare ogni ipotesi di quel disgelo che si era cercato di avviare attraverso il viaggio del cancelliere a Mosca, con l’avvento di Gomulka in Polonia e con la neutralità jugoslava. Tra le varie conseguenze arrecate dalla dottrina vi è, inoltre, l’apertura ufficiale della ‘guerra civile’ intertedesca nelle relazioni internazionali, che avrebbe generato - negli anni successivi - numerosi episodi di conflitto, soprattutto nel Terzo Mondo.

 

La ‘westpolitik’ di Adenauer era, a questo punto, nella sua fase di maggiore attuazione: se, da un lato, erano stati ormai tagliati tutti i rapporti col blocco orientale, dall’altro, la politica del cancelliere permise di rafforzare il progetto della ‘piccola Europa’, consolidando, sempre di più, la sua idea di integrazione occidentale sovranazionale. Il 25 marzo 1957 furono, infatti, firmati a Roma i due Trattati relativi all’istituzione della Comunità Economica Europea (CEE), nota anche come Mercato comune, e della Comunità Europea dell’Energia Atomica (CEEA), definita normalmente come Euratom. Firmatari dei due Trattati per i sei Paesi furono: Adenauer e Hallstein per la BRD, Pineau e Faure per la Francia, Segni e Martino per l’Italia, Spaak per il Belgio, Luns per i Paesi Bassi e Bech per il Lussemburgo. L’avvio concreto delle due Comunità si realizzò il 1°gennaio 1958 con l’insediamento a Bruxelles delle due Commissioni; la presidenza della CEE toccò proprio a Walter Hallstein, a ribadire ancora di più il suo forte spirito filoccidentale rivolto alla totale chiusura dei rapporti della sua Germania nei confronti dei paesi comunisti.

 

Ma mentre la ‘piccola Europa’ appariva sempre più unita, la prospettiva della riunificazione tedesca era invece quanto mai lontana. Alla pari di Collotti anche Missiroli insiste sulla negatività della dottrina Hallstein, che – a suo parere – non fece altro che ancorare e ostacolare la politica estera della BRD. Adenauer – da politico esperto quale era – si rese subito conto che la dottrina effettivamente non stava dando i risultati sperati. Fu così che il cancelliere, nel marzo 1958, propose all’URSS la cosiddetta ‘soluzione austriaca’, che prevedeva la neutralizzazione della DDR attraverso un’intesa internazionale simile a quella applicata pochi anni prima nel caso dell’Austria; la capitale sarebbe stata Berlino (tutta Berlino), ma ai suoi cittadini si sarebbe dovuta accordare la libertà di scegliere i propri rappresentanti al governo attraverso libere elezioni. La proposta fu categoricamente bocciata dai sovietici, visto che – a loro parere – essa pretendeva concessioni preliminari senza offrire in cambio nulla di preciso. Nonostante ciò, Adenauer continuò sulla strada che portava ad una possibile distensione incaricando il suo principale collaboratore, Hans Globke, di stilare un piano concreto che avrebbe previsto quattro fasi: nell’immediato, il riconoscimento politico delle due Germanie, associato al pieno ristabilimento dei diritti civili nella DDR; per l’anno successivo, libere elezioni in entrambi i Paesi; dopo cinque anni, referendum separati sulla riunificazione; infine, libera decisione della Germania unita se appartenere al patto Atlantico o a quello di Varsavia (la neutralità era esclusa). Il’piano Globke’ rappresentò il punto di più alta disponibilità da parte di Adenauer al compromesso sulla ‘questione tedesca’, ma già nella seconda parte del piano (novembre 1960) era scomparso ogni accenno ad un possibile riconoscimento della DDR, e si parlava solo di <<rapporti bilaterali a livello ufficiale>>.

 

La ‘questione tedesca’ fu oggetto di una serie di conferenze quadripartite che si tennero a Ginevra nella primavera del 1959. Da esse ne venne fuori – con gran preoccupazione di Adenauer – che soprattutto USA e Gran Bretagna stavano ormai adottando un approccio meno rigido nei confronti delle richieste sovietiche; persino il segretario di Stato della BRD, Foster Dulles (per anni interlocutore privilegiato del cancelliere), non respinse più l’idea che la riunificazione tedesca potesse avvenire anche senza che si tenessero preliminarmente libere elezioni. A Ginevra, inoltre, l’Alleinvertretungsanspruch di Bonn dovette incassare un durissimo colpo visto che alle trattative tra le quattro potenze furono invitati con lo stesso status di “consulenti” - e perciò in posizione subordinata – i due Stati tedeschi, con un riconoscimento di fatto di pari dignità per la DDR. Fu così che Adenauer cominciò a cercare sostegno al di là del Reno, in Francia, dove – nel frattempo – era tornato al potere (prima come capo del governo e poi come presidente della Repubblica) il generale Charles de Gaulle. Il primo incontro fra i due statisti era già avvenuto nel settembre 1958, in Lorena, ma fu proprio dopo gli incontri di Ginevra che l’asse Bonn-Parigi divenne sempre più solida, sancendo, in questo modo, il vero e proprio inizio dell’amicizia franco-tedesca, ormai da troppi anni messa in discussione.

 

Ė in questo clima di apparente disgelo che nel 1961 fu deciso di erigere il muro di Berlino; nella notte fra il 12 e il 13 agosto, di domenica, le squadre guidate da Erich Honecker – protette dalle forze di sicurezza – iniziarono a recintare col filo spinato (solo nei giorni successivi sarebbero state costruite anche le barriere in muratura vera e propria) il confine fra i due settori della città. L’impressione e lo sdegno furono enormi, tanto in Germania quanto all’estero; i tedeschi percepirono in modo traumatico i limiti delle garanzie offerte dalle potenze occidentali, e in particolare dagli USA. Di contro – il comando statunitense decise di rafforzare la propria presenza militare con altri 1.500 uomini; nel frattempo si precipitarono a Berlino sia il vicepresidente Johnson sia l’ormai anziano generale Clay. Non arrivò, invece, Adenauer, impegnato allora nella campagna elettorale per il rinnovo del Bundestag (previsto per il 17 settembre). Gli avvenimenti dell’estate 1961 resero drammaticamente visibile, l’impasse in cui si trovava ormai la BRD; il muro aveva di colpo disattivato il ‘campo magnetico’ fra i due Stati tedeschi, segnando, così, una netta cesura rispetto al periodo precedente. Inoltre, il prestigio e l’autorità dell’ormai ultraottantenne Adenauer erano stati seriamente intaccati prima in occasione dell’elezione del nuovo presidente federale nel 1959 e poi in occasione della seconda (dopo quella del 1948) crisi di Berlino. Le elezioni politiche portarono, così, due milioni di elettori in più tanto alla SPD di Willy Brandt, tanto alla FPD, che raggiunse il suo massimo storico di voti. La CDU/CSU perse, invece, la maggioranza assoluta, scendendo al 45,3% di voti. Si annunciava, così, all’indomani della costruzione del Muro, la fine dell’era Adenauer.

 

I tentativi compiuti da parte della BRD per uscire dall’impasse si incentrarono sostanzialmente sulla cosiddetta ‘politica di movimento’ (la prima Ostpolitik in senso proprio) nei confronti del blocco orientale, inaugurata dal nuovo ministro degli esteri Gerhard Schröder, imposto ad Adenauer dai liberali dopo il loro successo elettorale. Il nuovo corso di politica estera della BRD condusse ben presto alla stipulazione di accordi commerciali bilaterali con Paesi come la Polonia (marzo 1963), la Romania (ottobre), l’Ungheria (novembre) e la Bulgaria (marzo 1964). Ciò – in base alla ‘teoria del difetto congenito’ – non mise in discussione i dettami della ‘dottrina Hallstein’, visto che – come detto – essa non teneva conto dei Paesi aderenti al Patto di Varsavia. Il presidente della DDR, Walter Ulbricht (salito in carica nel 1960), avvertì subito il significato della ‘politica di movimento’ di Schröder, etichettando l’iniziativa come una sorta di ‘cavallo di Troia’ che avrebbe avuto lo scopo di isolare sempre di più dai suoi Paesi alleati la Germania orientale. Quest’ultima – di contro – strinse un’intesa commerciale bilaterale con la Cecoslovacchia e rafforzò suoi contatti con L’URSS. La Ostpolitik di Schröder si arenò dunque qui, mostrando tutti i limiti di flessibilità della BRD in materia di politica estera, limiti che, invece, non possono essere associati a nazioni come gli USA di Kennedy o la Francia di De Gaulle, che – dal canto loro – si mostrarono molto più propensi ad una politica più aperta nei confronti dell’est europeo.

 

Come già accennato – nel gennaio 1963, la DDR ottenne il riconoscimento diplomatico da parte di Cuba, provocando l’immediata reazione da parte della BRD; nonostante ciò era evidente che la ‘dottrina Hallstein’ stava cominciando a perdere potere di dissuasione. Nel frattempo, infatti, la DDR si muoveva con grande spregiudicatezza in alcune aree del Terzo mondo, soprattutto nell’India di Nehru e nell’Egitto di Nasser; con questi due Paesi nacquero numerosi interessi di natura economico-commerciale, ma ciò non produsse alcuna reazione da parte del governo di Bonn. Il crepuscolo dell’era Adenauer era ormai arrivato; esso giunse precisamente nell’ottobre 1963, quando a succedergli fu Ludwig Ehrard, del quale <<aveva apprezzato l’ispirazione e la guida del ‘miracolo economico’ ma al quale misconosceva qualità di comando politico>>. Infatti, la cancelleria di Ehrard fu solo un breve interludio (1963-1966). La vera e propria svolta politica si ebbe con la formazione – per la prima volta nella storia della BRD - di un governo di grande coalizione fra CDU/CSU e SPD, con cancelliere Kiesinger e con la presenza al ministero degli Esteri di Willy Brandt, colui che secondo Collotti <<ha interpretato la volontà di cambiamento espressa dall’opinione pubblica tedesco-occidentale e la necessità di uscire dall’immobilismo in cui si era arenata l’era Adenauer>>. Nella sua prima dichiarazione programmatica il nuovo cancelliere annunciò la disponibilità del governo a superare gli ostacoli esistenti e la possibilità di avviare contatti con la DDR. Nonostante ciò, all’inizio del 1967, la BRD allacciò delle relazioni formali a livello diplomatico con la Romania, e alla fine dell’anno con la Jugoslavia; da dieci anni in vigore la ‘dottrina Hallstein’ era ormai praticamente al tramonto.

 

Tuttavia, la reazione della DDR non si fece attendere. Infatti, i vari ministri degli esteri del blocco sovietico, riunitisi a Varsavia, nel febbraio 1967, non soltanto criticarono la Romania per il passo compiuto, ma proclamarono anche quella che fu successivamente chiamata ‘dottrina Ulbricht’ – secondo cui nessun Paese membro del Patto di Varsavia avrebbe potuto normalizzare le sue relazioni con Bonn prima della DDR. Ne nacquero trattati bilaterali di ‘amicizia e sostegno reciproco’ tra la DDR e Stati tra cui la Polonia, la Cecoslovacchia, l’Ungheria e la Bulgaria. Al di là del fatto che questi accordi rovesciarono nettamente la linea imposta dalla ‘dottrina Hallstein’ - secondo Collotti - l’elemento fondamentale fu rappresentato dall’esplicito riconoscimento che nel Trattato con la Polonia si faceva della definitività dei confini esistenti e della garanzia a salvaguardia dell’integrità territoriale polacca, un passo, che solo pochi anni prima, appariva impensabile.

 

Intanto, Konrad Adenauer moriva a Colonia il 19 aprile 1967, ma le fortune della sua politica si erano esaurite, ormai, già da alcuni anni. In particolare il grave incidente dello ‘Spiegel’ del 1962, che lo costrinse a privarsi della personalità politica più in vista del suo governo, ovvero Franz Josef Strauss, lo avviò in una spirale negativa che lo portò alla caduta politica dell’anno successivo. Egli resta, comunque, l’uomo che più di tutti contribuì alla ricostruzione della Germania occidentale, riuscendo a farne decollare le sorti grazie ad una saggia politica economica conseguita durante i difficili anni Cinquanta, in piena Guerra Fredda.

 

Senza dimenticare, ovviamente, che – insieme a Schuman e De Gasperi – fu il padre fondatore di quella ‘piccola Europa’, che poi gli eventi storici hanno trasformato nell’attuale Unione Europea, alla quale aderiscono, ormai ben 27 Stati, con prospettive di adesione - nei prossimi anni - anche per Paesi come la Turchia, la Macedonia e la Croazia.



 

 

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