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N. 68 - Agosto 2013 (XCIX)

CAMPAGNE, CASTRA E CIVITATES
L’ITALIA TRA IX E XII SECOLO

di Alessio Iannotta

 

Nell’arco di circa duecentocinquant’anni, cioè tra la tarda età carolingia e la metà del XII secolo, l’Europa si ricoprì di una fitta rete di castelli.

 

Si tratta di quel complesso fenomeno che gli studiosi chiamano appunto “incastellamento”, utilizzando un termine reso celebre da un noto studio sul Lazio medievale pubblicato nel 1973 dallo storico francese Pierre Toubert.

 

Da allora i castelli costituiscono, sia per gli storici sia per gli archeologi, un punto di osservazione nuovo, attraverso il quale poter valutare le trasformazioni degli abitati rurali, il nascere e il definirsi del potere dei signori sulla popolazione, le basi economiche della vita sociale, l’evolversi delle strutture curtensi e la nascita delle prime civitates medievali, fino all’istituzione comunale.

 

Queste tematiche hanno dato un potente stimolo alle successive ricerche storiche: da allora, molte nuove indagini sono state realizzate e un ampio dibattito si è sviluppato, in particolare sui limiti geografici e sulle peculiarità della situazione laziale che non può essere generalizzata a tutte le regioni che compongono il nostro Paese.

 

In effetti, una cosa è risultata chiara fin dall’inizio: anche se l’incastellamento fu certamente un fenomeno globale, nel senso che investì quasi tutta l’Europa nei secoli centrali del Medioevo, tuttavia non fu un processo omogeneo.

 

A volte si trattò di un’evoluzione lenta, altre di un brusco mutamento, in certi casi fu caratterizzato da alcune varianti tipicamente regionali come, per esempio nel Lazio meridionale, le trasformazioni che i castelli provocarono negli insediamenti preesistenti, senza dimenticare il ruolo che ebbe l’incastellamento nell’affermazione di un’economia di mercato e nelle trasformazioni geografico-politiche della società rurale.

 

Dalle numerose testimonianze archeologiche, siti fortificati erano già sorti nella tarda età romana, di fronte alla minaccia di incursioni barbariche susseguitesi a partire dal III secolo d.C.

 

Si trattava però di pochi punti forti, gestiti direttamente dallo Stato, abitati esclusivamente da guarnigioni di armati e non da popolazione civile. In più, molte fortificazioni tardo-romane furono ovunque rioccupate da genti di origine germanica installatesi nel territorio dell’antico Impero.

 

I nuovi soggetti politici provvidero anche, in certi casi, a edificare altre fortezze che avevano per lo più carattere militare e potevano fungere da rifugi temporanei per gli abitanti dei dintorni, ma che talvolta si presentavano come veri e propri nuclei insediativi.

 

Anche in questa fase si trattava di opere difensive promosse dai poteri centrali e il loro numero, pur se non esiguo, non è tuttavia paragonabile alla successiva esplosione dell’incastellamento (X-XI secolo).

 

La diffusione dei castelli in ogni angolo del territorio europeo non può dunque essere fatta risalire a questo periodo, e neppure alla prima età carolingia. Certo i sovrani carolingi costruirono fortezze ma, soprattutto, per controllare le frontiere e con funzione essenzialmente militare, per esempio in Germania lungo il Reno e l’Elba.

 

D’altra parte vari indizi contenuti nelle fonti scritte mostrano che fino all’età di Carlo Magno e Ludovico il Pio mancò un’organizzazione difensiva capillare diffusa nelle campagne.

 

Dunque, anche i castelli di età carolingia furono poco numerosi e soprattutto gestiti dal potere centrale, in quanto il diritto di edificarli spettava solo al re o ai suoi sudditi rappresentanti.

 

È significativo, a questo proposito, l’editto emanato nell’864 a Pitres da Carlo il Calvo, con il quale il sovrano ordinava di distruggere entro un mese tutte le fortezze elevate senza il suo benestare.

 

Questo dimostra che alcuni privati avevano iniziato a costruire fortificazioni senza l’autorizzazione del re. Le cose, infatti, iniziarono a cambiare negli ultimi decenni del IX secolo, sotto la spinta della crescente insicurezza determinata da una nuova ondata di invasioni e dalla grave crisi politica che travolse l’Impero.

 

Le spiegazioni tradizionali hanno spesso chiamato in causa, come spiegazione al fenomeno dell’incastellamento, la paura delle razzie di Ungari, Saraceni e Normanni, che devastarono molte regioni europee tra IX e X secolo.

 

Effettivamente le fonti fanno spesso riferimento alla fortificazione di cittadine, monasteri, insediamenti rurali e località costiere di fronte a questo nuovo pericolo.

 

Tuttavia non è possibile collegare invasioni e incastellamento con un nesso automatico tra causa ed effetto, perché non si può stabilire una corrispondenza precisa tra le fasi di intensa minaccia e quelle di più intensa diffusione delle fortificazioni.

 

Inoltre, la corsa all’incastellamento andò ben al di là del pericolo delle scorrerie, prolungandosi e intensificandosi lungo tutto l’XI secolo. Per questo motivo, all’interno del quadro europeo risulta importante la spiegazione storico-documentaria fornita dal medievista Pierre Toubert.

 

Secondo lo studioso francese, è necessario osservare la situazione economico-geografica del nord Europa, in particolare dell’Italia e della zona padana: in questi luoghi, più che negli altri, era assai accentuata la presenza di curtis – con l’accezione di aziende agrarie alle strette dipendenze del signore rurale – che, dal punto di vista economico, presentavano caratteri assai peculiari.

 

A un primo livello economico, le piccole aziende agricole si basavano su un sistema di trasferimento di servizi, corveè e prodotti dalla periferia al centro della gestione padronale; a un secondo livello, le curtis iniziarono ad aggiungere molto più di quanto il Dominus potesse loro richiedere come prestazione o come prelievo.

 

Erano le cosiddette “eccedenze di produzione” che ebbero un’importanza rilevante tanto che le aziende agrarie iniziarono a raggruppare presso sé alcune riserve che non solo erano utili per la sussistenza dei coloni ma erano anche oggetto di trasporto a distanza verso i mercati cittadini.

 

Le caratteristiche economiche e geografiche dei territori del Lazio meridionale, presi in esame da Pierre Toubert, forniscono una spiegazione molto plausibile all’incastellamento.

 

Accanto alla crescita del mercato curtense e ai primi commerci a lunga distanza, si andò solidificando una nuova struttura, quella del mercato castrense: molte aziende agricole furono provviste di un castrum, di un mezzo difensivo e di una cinta muraria, e le reti di scambio commerciale si modificarono in base alle nuove esigenze politico-geografiche.

 

Alla maggior parte delle piccole aziende agrarie vennero annessi anche i fondi di proprietà del signore così da costituire nuovi villaggi fortificati, con muraglioni e torri per preservare la propria economia e il proprio mercato interno.

 

Accanto all’affermazione dei mercati castrensi, una nuova figura amministrativa e istituzionale si andava delineando sullo scenario politico dell’Europa: il dominus. Poteva essere un ecclesiastico affermato o un signorotto dell’aristocrazia rurale, proprietario o meno delle terre concesse ai coloni, oppure un semplice signore che, per investitura feudale o concessione imperiale, aveva ottenuto la possibilità di fondare un nuovo villaggio fortificato: egli non era altro che l’amministratore, il difensore e il custode del villaggio e riassumeva in sé il potere giuridico, quello esecutivo e il prelievo fiscale.

 

A tal proposito, le “carte di popolamento” di alcuni territori laziali del X secolo ci danno indicazioni precise sulle disposizioni che davano vita a un nuovo castrum.

 

In certi casi l’incastellamento metteva in movimento vere e proprie comunità, famiglie associate, signori associati oppure diverse famiglie spinte dalle offerte che il nuovo padrone poteva presentare loro.

 

Si nota con chiarezza che l’obiettivo principale della fortificazione era la volontà di accentramento di potere, il controllo e il coordinamento della nuova aggregazione di terre.

 

A questo punto, si può facilmente tracciare la linea di evoluzione del castrum come un lento e graduale passaggio dalla villa, dove ogni contadino/colone viveva e a malapena riusciva a sopravvivere, al raggruppamento e alla chiusura all’interno di mura di cinta in un villaggio chiamato castrum, simulacro delle antiche fortificazioni romane del III-IV secolo.

 

Queste non sono altro che le prime implicite e inevitabili conseguenze che si presentarono sul tessuto insediativo rurale e sulla geografia politico-economica dell’Europa del nord: presenze fortificate che mutano l’economia, gli scambi commerciali tra curtis, villaggi e cittadine e, di conseguenza, la geografia territoriale europea.

 

La forza del castrum era insita in questa sua capacità economica, essenzialmente agricola e artigianale. Ma, accanto alla forza, alcuni castra presentavano elementi di debolezza che con l’andare dei decenni furono fatali.

 

Allora ecco che, già a partire dall’XI secolo, si assiste a una prima ondata di abbandoni: i castelli più fragili, che avevano dato grande importanza alla difesa del territorio anziché mettere a disposizione dei coloni ampi appezzamenti di terreno coltivabile, caddero sotto il peso della loro incapacità economica; i castra meno dotati furono inglobati da castelli vicini e molti castelli inerpicati sul alture o colline si spostarono a breve distanza in zone più consone alla costruzione di spazi di coltura.

 

Come è stato esaminato, le fortificazioni si diffusero sul territorio europeo durante la tarda antichità. Ma come si è evoluta la storia di questi insediamenti?

 

In alcuni casi si tratta di una storia lunga e a lieto fine. Talvolta i castra si ampliarono tanto da raggiungere la forma e le dimensioni di vere e proprie città come per esempio Ferrara.

 

Quello che oggi è uno dei più importanti centri dell’Emilia Romagna nacque proprio durante la tarda antichità, probabilmente intorno al VII secolo, come elemento difensivo istituita dall’esercito bizantino contro i Longobardi.

 

Ferrara divenne un’importante sede comunale, accrebbe la sua superficie e si trovò a essere una civitas, nell’antico significato di sede vescovile. In parte simile è la vicenda di Castelseprio: in età longobarda la fortezza divenne sempre più grande, fu costruita la chiesa di Santa Maria Foris Portas e, col tempo, divenne sede di un conte e poi centro comunale, finché la sua presenza iniziò a essere ingombrante per il centro di potere vicino, Milano.

 

E così l’esercito milanese ebbe la meglio su questo concorrente pericoloso che, da allora, rimase quasi del tutto disabitato. Quindi da castrum a civitas e, come nel caso di Castelseprio, a volte anche con un epilogo negativo.

 

Insomma, in questo quadro, la geografia politico-economica italiana muta ancora una volta nel suo tessuto insediativo.

 

Si è visto come presumibilmente la causa di diffusione dei castelli sia conseguenza di un’apertura economica, commerciale e militare; tutto questo, accanto agli studi archeologici, parla chiaro: lo sviluppo delle prime civitates non può essere scisso dalla nascita e dall’affermazione del castrum, e dall’affermarsi del ruolo politico ed economico dell’Italia medievale agli occhi dell’intera Europa.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

P. Toubert, Dalla terra ai castelli. Paesaggio, agricoltura e poteri nell’Italia medievale, Torino, Einaudi, 1997;

A. Bedina, Signori e territori nel Regno Italico (secoli VIII-XI), Milano, CUEM, 1997;

S. Gasparri, Prima delle nazioni. Popoli, etnie e regni fra Antichità e Medioevo, Roma, Carocci, 2002;

C.M. Cipolla, Storia economica dell’Europa pre-industriale, Bologna, Il Mulino, 2002.



 

 

 

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