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N. 81 - Settembre 2014 (CXII)

L’ISOLA DEL TESORO
IL MISTERO DI OAK ISLAND

di Giulia Elena Vigoni

 

L’isola di Oak è una delle trecentosessanta isole della baia di Mahone a sud della regione della Nuova Scozia in Canada. Dista quasi duecento metri dal continente, misura solo 57 ettari e si estende per la lunghezza di circa un chilometro e mezzo; incredibile quanto una così piccola lingua di terra possa essere intrisa di storia e misteri sorti attorno alla presenza di un pozzo rinvenuto causalmente nel 1795 dal giovane Daniel McGinnis durante un’esplorazione dell’isola all’epoca ricoperta da un fitto bosco di querce.

 

Quando il ragazzo giunse ad ispezionare la parte orientale dell’isola si trovò in una radura dall’aspetto molto innaturale; sembrava che gli alberi fossero stati appositamente abbattuti da qualcuno molto tempo prima in quanto i tronchi erano già in un evidente stato di decomposizione.

 

Dato che l’isola era disabitata McGinnis iniziò a domandarsi chi e perché avesse compiuto tale opera di disboscamento e la sua curiosità fu soddisfatta dal ritrovamento di un avvallamento dall’aspetto insolito in cui era inavvertitamente incappato mentre camminava. Di forma circolare e del diametro di circa tre metri sembrava un naturale cedimento del terreno in corrispondenza di una cavità sotterranea.

 

Ciò che catturò la sua attenzione in realtà fu una carrucola arrugginita appesa al ramo di una quercia sopra l’avvallamento. Tuttavia la fervida immaginazione del ragazzo e le molte dicerie riguardo all’isola secondo cui sarebbe stata una sorta di cassaforte di tesori nascosti dai pirati nei secoli precedenti, fomentarono le sue fantasie circa ciò che avrebbe potuto essere stato nascosto qualche metro sotto i suoi piedi e il giorno seguente ritornò accompagnato da due amici fidati, John Smith e Anthony Vaughan, e gli attrezzi necessari per iniziare gli scavi.

 

I tre giovani iniziarono a darsi da fare credendo che di lì a poco sarebbero diventati esageratamente ricchi e invece dopo aver rimosso le prime zolle di terra si trovarono davanti ad alcune lastre di ardesia che ostruivano il cunicolo.

 

Sull’isola non esistevano cave o giacimenti da cui poter estrarre questa pietra, pertanto la cosa parve subito insolita ai tre ragazzi che ancor più motivati ed eccitati dal mistero continuarono gli scavi andando sempre più a fondo e aspettandosi di trovare di lì a poco la cassa del tesoro. Si accorsero che si stavano addentrando in un pozzo di circa due metri di diametro con le pareti rivestite da un’argilla dura e pieno di terra.

 

Giunti ad una profondità di tre metri si imbatterono in uno strato di tronchi in decomposizione tenuti insieme dall’argilla. Li strapparono e continuando a scavare rinvennero un altro strato di legna dopo altri tre metri. I tre ragazzi si accorsero che a quella profondità era necessario iniziare a puntellare il pozzo se non volevano restare soffocati da eventuali cedimenti del terreno e da soli non potevano proseguire; avevano bisogno di aiuto e solo nove anni dopo i lavori poterono riprendere.

 

Nel frattempo Smith aveva acquistato la parte dell’isola in cui si trovava il pozzo e nel 1804 Vaughan e alcuni facoltosi amici avevano fondato la “Onslow Company” il cui unico obiettivo era trovare il presunto tesoro di Oak Island.

 

Gli operai iniziarono a puntellare il pozzo e a rimuovere la terra depositatasi durante quegli anni; si ritrovarono di fronte allo strato di tronchi, lo spostarono e scavarono ancor più in profondità.

 

Si imbatterono in un quarto strato di legna tenuta insieme da un’argilla bluastra usata generalmente per impermeabilizzare le assi delle navi; questo ravvivò le ipotesi secondo cui quel pozzo fosse il nascondiglio di un tesoro dei pirati e che quindi non dovevano essere molto lontani dalla loro ambita meta. L’aspetto curioso era il fatto che gli strati di legna e quelli di ardesia si trovavano tutti ad intervalli di tre metri di profondità l’uno dall’altra, quindi voleva dire che erano stati appositamente collocati da qualcuno e per un particolare motivo.

 

A ventisette metri di profondità rinvennero sotto l’ennesimo strato di terra una lastra di pietra, la solita ardesia, del diametro di circa un metro e mezzo su cui vi erano incisi strani segni che nessuno riuscì a decifrare.

 

Suggestionati dalle ormai diffuse ipotesi che in quell’isola si nascondeva un immenso tesoro sepolto dai pirati pensarono subito si trattasse di un codice creato appositamente per indicare dove fossero nascoste quelle ricchezze. La lastra d’ardesia incastonata inizialmente nel camino della fattoria che Smith aveva fatto costruire sull’isola ebbe vita breve: dopo qualche tempo andò perduta.

 

Gli scavi proseguirono e dopo un altro strato di legna si pensò di introdurre una sbarra di ferro tra un tronco e l’altro: essa andò a toccare una resistenza legnosa insolita poco più in basso e subito si pensò alla fantomatica cassa del tesoro.

 

L’ottimo umore degli operai e dei finanziatori dell’impresa fu demolito il mattino seguente quando all’alba i membri della “Onslow Company” si trovarono davanti ad un tragico spettacolo: durante la notte il pozzo si era riempito di acqua fino a diciotto metri e a nulla valsero i tentativi di svuotarlo a secchiate; il livello dell’acqua non accennava ad abbassarsi. I lavori furono sospesi e a causa dell’inverno incombente ripresero l’anno successivo.

 

La compagnia adottò una nuova tecnica: per ovviare al problema dell’acqua costruirono un secondo pozzo parallelo a quello originale ma più profondo di sei metri. Pensarono di svuotare il primo pozzo facendo confluire l’acqua nel secondo attraverso un tunnel comunicante ma il progetto andò in fummo quando si accorsero che la terra nel tunnel diventava sempre più fangosa, la vita degli operai era a rischio e dopo solo un’ora il pozzo gemello era già completamente allagato senza che il livello d’acqua nel primo si fosse abbassato. Questo insuccesso decretò la fine della “Onslow Company” ormai sul lastrico.

 

Quarant’anni dopo la “Truro Company” riprese gli scavi. Grazie all’utilizzo delle nuove tecnologie si provò ad utilizzare le trivelle per penetrare i vari strati di tronchi scoperti durante gli ultimi scavi della “Onslow Company” ma le fonti riportano che gli unici oggetti recuperati del presunto tesoro nascosto furono tre anelli della catena di un orologio. Dopo altri venti centimetri di legno la trivella perforò venticinque centimetri di metallo e poi ancora legno e argilla ma non fu portato nulla alla luce.

 

Dopo un inverno che costrinse alla sospensione dei lavori e alla costruzione di un altro pozzo di drenaggio, gli ingegneri della “Truro Company” si accorsero che il livello dell’acqua di “Money Pit così era stato battezzato il pozzo del tesoro (e molto probabilmente perché molti erano stati i milioni spesi per finanziare i lavori di scavo per riportare in superficie un fantomatico tesoro perduto) – si alzava ed abbassava in base alla marea e la presenza di acqua salata nella fossa lo testimoniava.

 

Alcuni operai mandati in perlustrazione scoprirono che l’acqua si riversava da un punto della spiaggia alla baia di “Smith’s Cove” durante la bassa marea e veniva sommerso con l’alta marea. Una volta rimossa la sabbia della spiaggia di “Smith’s Cove” ci si accorse che essa era stata totalmente rivestita con uno strato di fibre di noci di cocco e uno di pietre lavorate e allineate.

 

Un intricato sistema di canali sotterranei si diramava sotto all’isola e quello principale conduceva a “Money Pit”.

 

Numerosi esperti si cimentarono nella progettazione e costruzione di dighe, canali e altri pozzi che con complicate opere ingegneristiche avrebbero dovuto permettere di svuotare “Money Pit” raggiungendo l’agognato tesoro ma tutti furono vanificati dalla forza dell’acqua.

 

I finanziamenti della “Truro Company” erano ormai esauriti e nel 1854 la società si sciolse.

 

Nel 1863 venne fondata la “Oak Island Association” intenzionata a riuscire là dove le due precedenti compagnie avevano fallito. Utilizzando delle pompe e scavando altri pozzi paralleli e comunicanti con l’originale riuscirono a far abbassare il livello dell’acqua all’interno di “Money Pit” e a calarvisi all’interno; trovarono solo altri pezzi di legno e credettero che durante tutti quegli anni le casse del tesoro fossero scese ancora più in basso.

 

La compagnia si arrese ma un’altra società di temerari finanziatori, la “Oak Island Eldorado Company” si cimentò nell’impresa fallendo di lì a poco: dopo aver svuotato il pozzo fino a trentatre metri di profondità quello si allagò di nuovo e la compagnia, demoralizzata e al verde, si sciolse.

 

Frederick Blair alla fine del XIX secolo tentò di riuscire là dove altri avevano fallito utilizzando la dinamite e sperando di riuscire a trovare e neutralizzare il canale sotterraneo.

 

Intanto a quaranta metri di profondità la trivella toccò del metallo, poi qualcosa di simile al cemento e a cinquantadue metri di profondità altro metallo che però non riuscì a penetrare. Dalle analisi dei campioni di materiale simile al cemento non si riuscì a stabilire di cosa si trattasse con esattezza ma sembrava che l’ipotesi più plausibile fosse proprio quella di cemento utilizzato in passato per allargare le cavità sotterranee al cunicolo ad una profondità di cinquanta metri.

 

Furono rinvenuti alcuni pezzi di pergamena su cui erano riportati con l’inchiostro alcuni segni ancora nitidi e pertanto questo significava che non erano entrati in contatto con l’acqua ma che la caverna sotto al pozzo era asciutta.

 

Blair ipotizzò l’esistenza di un altro canale che conduceva l’acqua a “Money Pit”. Fece versare del colorante nel pozzo e monitorando il perimetro dell’isola si accorse che l’acqua di colore rosso usciva dalla parte opposta della spiaggia.

 

Nel 1939 nella sterpaglia vicina alla riva venne rinvenuta una pietra con incisi un cerchio in cui vi era segnato un punto al centro e una croce cristiana. Sul lato sud dell’isola venne invece trovato un triangolo di pietre il cui vertice puntava in direzione di “Money Pit”.

 

Verso il 1945 l’isola era ormai trivellata di pozzi; se ne contavano trentotto e di quello originale si era persa ogni traccia.

 

Nel 1967 una nuova compagnia, la “Triton Alliance” iniziò a trivellare l’area in cui si supponeva vi fosse “Money Pit” e riuscì a raggiungere una profondità di sessanta metri perforando lo strato roccioso. Le supposizioni circa l’esistenza di caverne sotterranee e gallerie nelle profondità del pozzo erano esatte. Vennero portate alla luce campioni di legno, metallo, cemento e porcellana successivamente fatti analizzare: la datazione al radiocarbonio indicò un periodo attorno al 1575.

 

Nel 1970 la “Triton Company” iniziò a trivellare a cinquantacinque metri da “Money Pit”. Giunti a sessanta metri di profondità calarono una telecamera subacquea; sullo schermo si delinearono i contorni poco nitidi di alcuni oggetti che ad una prima vista sembravano effettivamente casse e tubi: La fossa, denominata 10x, fu allargata in modo da permettere ai sommozzatori di scendere nella cavità attraverso il tunnel. In breve tempo però l’acqua divenne però troppo torbida e la terra talmente smossa da non riuscire a vedere nulla.

 

Anche la fossa 10x subì vari allargamenti ma dopo due anni si allagò nuovamente e a nulla valsero i tentativi per svuotarla.

 

Nel frattempo il topografo Fred Nolan ipotizzò che l’ingresso delle cavità sotterranee non fosse “Money Pit”: quello era solo un diversivo. L’accesso doveva essere collocato in un’altra parte dell’isola, quella da lui acquistata e in cui si trovava la croce cristiana costituita da quattro blocchi di granito con una pietra centrale di arenaria.

 

Nel 1996 la nave da ricerca “The Piover”del “Bedford Institute of Oceanography” del Canada utilizzarono un sonar per sondare in modo preciso i fondali marini ottenendo immagini tridimensionali al computer. Lungo la costa meridionale dell’isola di Oak fu scoperta una profonda fossa, di forma allungata, scavata nel fondale; molto probabilmente era opera dell’uomo.

 

Le ricerche sul mistero di Oak Island non proseguirono; la “Triton” aveva speso milioni di dollari per finanziare un progetto che non ebbe futuro. Nessun tesoro fu mai rinvenuto nella voragine aperta sull’isola ma le domande circa la sua esistenza restano.

 

Ci si chiede chi abbia creato quell’opera ingegneristica così complessa e perché lo abbia fatto.

 

Alcuni studiosi pensarono addirittura che nel pozzo fosse stata nascosta l’Arca dell’Alleanza o il mitico tesoro dei Templari.

 

Le tesi più fantomatiche parlerebbero addirittura del nascondiglio del Santo Graal. Secondo la leggenda la coppa da cui Gesù Cristo bevve durante l’Ultima cena e in cui Giuseppe d’Arimatea raccolse il suo sangue dopo la crocifissione sarebbe stata portata su Oak Island da una flotta di cavalieri Templari salpata da La Rochelle e sopravvissuti alla carneficina di Filippo il Bello nel 1307.

 

Si pensa che le navi approdarono in Scozia dove i Templari si allearono con il principe Henry Sinclair, Lord di Rosslyn.

 

Secondo le testimonianze dello scrittore Andrew Sinclair i cavalieri e il Lord sarebbero salpati verso il continente americano nel 1398 con l’intento di fondare una nuova Gerusalemme. Insediarono le loro colonie nel Rhode Island e in Nuova Scozia e proprio qui seppellirono i tesori del Santo Sepolcro.

 

Esistono tuttavia altre stravaganti ipotesi in merito alla natura di “Money Pit”: alcuni pensano si tratti del nascondiglio di documenti segreti sulla vita e la morte di Cristo forse legati alle pergamene rinvenute a Rennes le Chateau, altri lo collegano alla massoneria.

 

Alcuni pensano si tratti dello Zed della piramide di Cheope e altri ancora parlano di un progetto extraterrestre. Sicuramente ipotesi affascinanti che hanno attirato un gran numero di turisti e studiosi su questa piccola isola un tempo ricoperta di fitti boschi di querce ma che alla prova dei fatti non ha nascosto nulla se non cunicoli e cavità naturali.

 

Le inondazioni, gli allagamenti, i crolli del terreno, non sono stati altro che i mezzi attraverso i quali la natura ha risposto all’eccessivo intervento dell’uomo vanificando ogni tentativo di penetrare nelle profondità dell’isola svelando segreti che se è vero che esistono – anche se scientificamente non provati non dovrebbero venire alla luce.



 

 

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