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N. 77 - Maggio 2014 (CVIII)

Intrighi di corte
Trame e complotti nella Sicilia normanna - Parte i

di Francesco Carbonaro

 

Nel Medioevo uno dei punti di gravitazione politica e culturale fu la corte, luogo nel quale si celebravano i valori, paradigmi di un’epoca, indissolubilmente legati alla società; essa, tuttavia, fu anche il luogo nel quale oscure trame e odori mefitici di complotti si intrecciarono.

 

La letteratura medievale ci ha lasciato un quadro a tinte vivaci del luogo nel quale il re e i nobili si riunivano; la corte era un’isola nel mare del tempo, dove la storia non aveva un andamento lineare ma, semmai, a spirale, tutto si avvitava su di sé e gli stessi schemi si ripetevano per la conquista di una sola cosa, il potere.

 

L’etimologia di corte, non a caso, ci riconduce a un luogo chiuso, cinto, delimitato dall’esterno; nell’Europa medievale (e non solo) questo luogo divenne il centro nel quale il destino delle nazioni venne stabilito.

 

Non fa eccezione la corte normanna, creatasi alla fine dell’XI secolo sulle rovine della precedente dominazione araba; presso Palermo, dove il re e i suoi notabili albergavano, nacque quell’organismo istituzionale e politico che determinò gli equilibri del Mediterraneo. Intrighi e complotti caratterizzarono questa nuova entità allo stesso modo in cui le macchinazioni agirono in seno alle altre corti europee.

 

Sfogliando le pagine dei cronisti che narrano l’avvento normanno in Sicilia ci si imbatte, già nelle prime fasi della conquista, in un evento che sarà determinante per il successo finale degli uomini del nord e che si può ascrivere alle trame che, nel bene e nel male, allora come oggi, contrassegnano il cammino della politica.

 

Se Roberto il Guiscardo e il fratello Ruggero poterono acquisire la Sicilia, ciò fu reso possibile da un coup de théâtre che portò il quaid di Catania Ibn at Timnah ad abbandonare la causa mussulmana; si narra, infatti, che Ibn al Hawwâs, emiro di Castrogiovanni avesse dato in sposa la propria sorella Maymûna a Ibn at Timnah il quale, tuttavia, si era dimostrato un uomo facile preda degli effetti del vino.

 

Un giorno adiratosi contro di lei per delle parole che gli aveva rivolte, l’emiro di Catania, accecato dal vino, le fece tagliare le vene per vederla morire; Ibrahim, figlio della donna, accortosi della situazione soccorse e salvò la madre.

 

L’indomani il qaid, pentitosi, si scusò adducendo all’ubriachezza la colpa delle sue azioni; la donna sembrò perdonarlo ma decise di andare a soggiornare per qualche tempo dal fratello, dal quale non tornò più; questo fu il casus belli che portò alle armi Ibn at Timnah e Ibn al Hawwâs.

 

Di questa lotta civile tra i due maggiori emiri della Sicilia ne approfittarono i normanni i quali fecero leva sullo scontento del qaid di Catania per forzare la situazione. Ibn at Timnah si alleò con i normanni e senza questo accordo, possiamo pensare che la conquista della Trinacria a opera degli uomini del nord si sarebbe realizzata in tempi e modalità diverse.

 

Alla base di uN’operazione di conquista, dunque, si situa un intrigo che capovolse l’ordine civile della Sicilia, lasciando spazio a nuovi signori; dietro i grandi eventi si nascondono spesso le più comuni passioni che regolano il mondo

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Se alla base dell’impresa normanna si situò un complotto che vide contrapposti i signori arabi, la corte degli Altavilla non fu libera dalle catene dell’intrigo.

 

Dopo aver solidificato e rafforzato l’edificio istituzionale, Ruggero I, il Gran Conte, morì nella sua dimora di Mileto il 22 giugno del 1101; il primo sovrano normanno della Sicilia aveva avuto una vita nella quale le passioni, anche quelle più complesse ed estenuanti, si erano intrecciate. In vita il Gran Conte si era unito con diverse donne, ultima delle quali fu Adelasia del Vasto la quale si ritrovò reggente per la minore età dell’erede al trono Simone.

 

Tra le prime azioni che, secondo alcune fonti, contraddistinse il governo della regina vi fu l’eliminazione fisica di quello che doveva essere il legittimo erede al trono, Goffredo conte di Ragusa. Tuttavia tale atto non ha alcuna motivazione di fondo dato che il conte di Ragusa era il figlio bastardo di Ruggero e, dunque, non poteva aspirare al trono; si parla di un agguato che, nel 1093, fu teso a Goffredo e che lo eliminò.

 

A questa tradizione fa riferimento quella pubblicistica avversa alla regina Adelasia la quale fu più volte accusata di estrema ferocia. Orderico Vitale, autore della Historia ecclesiastica, ci tramanda un’altra oscura storia legata alla reggente; secondo il monaco di Saint Evrout, Adelasia avrebbe fatto chiamare dalla Francia Roberto, duca di Borgogna affinché la potesse aiutare con gli affari del regno.

 

Si parla di un matrimonio che il borgognone “stipulò” con una delle figliastre di Adelasia e si insinua che tale unione fu una copertura per un più scandaloso rapporto con la reggente; non abbiamo notizie sicure su questa insinuazione ma Orderico ci dice che presto tale Roberto fu ucciso “venenosa potione” (con una pozione avvelenata).

 

Si potrebbe pensare che il duca aveva acquisito troppo potere, dato che egli aiutò la reggente a sedare diverse rivolte e che per tale motivo avesse avanzato delle pretese anche in seguito al legame con Adelasia; non possiamo sapere quale sia la verità, dal momento che di tale avvenimento ci parla solo Orderico Vitale.

 

L’Amari avanza, in maniera troppo radicale, l’ipotesi che in realtà il borgognone non sia mai esistito. Ancora una volta ci troviamo di fronte un intrigo sul quale le sabbie del tempo hanno agito e manipolato la realtà dei fatti, la quale dunque è irrimediabilmente perduta. Una figura, dunque, quella di Roberto di Borgogna dai tratti sfumati, figlio dell’omonimo duca e di Elia di Semur, la cui vicenda si pone al confine tra reale e stereotipo immaginario di complotto di corte.

 

Come un metallo ancora caldo e malleabile, lo stato normanno, nei suoi primi giorni di vita, non possedeva una foggia ben precisa; solo con Ruggero II la Sicilia si avviò verso un percorso preciso in cui poté individuare la propria identità.

 

L’elemento identitario divenne un fattore determinante per il governo del re di Sicilia; non è un caso che proprio sotto Ruggero II la cultura e con essa il sistema burocratico presero forma compiuta. Il regno di Sicilia divenne protagonista della scena mediterranea e con essa i vari intrighi che si ordirono in seno alla corte del re.

 

Lo “scontro” prese forma nella contrapposizione religiosa; uno degli elementi di identità di cui parlavamo prima era proprio la tolleranza su cui Ruggero II aveva edificato il proprio edificio politico. Contro la componente araba la quale era, ormai, quella minoritaria, si ersero numerosi voci le quali acclamavano a gran voce un comportamento “più cristiano” da parte di Ruggero II.

 

Questo clima che vedeva due schieramenti opposti trovò esasperazione alla fine del 1153; si era appena conclusa la conquista di Bona, città presso Mahedia dove era stato inviato Filippo l’eunuco il quale aveva compiuto una vera scalata al potere.

 

Membro della corte del re, come lo erano molti altri eunuchi i quali garantivano sicurezza e totale dedizione all’ambiente cortigiano, questi era entrato nelle grazie del sovrano il quale lo prese sempre più in considerazione tanto che era stato nominato regio camerario prima e ammiraglio dopo, successore del grande Giorgio di Antiochia il quale aveva raggiunto il termine della sua esistenza.

 

Filippo inoltre era originario di Mahedia, quella regione del nord Africa contro la quale molte spedizioni normanne erano state indirizzate al fine di costruire il regno mediterraneo che nei sogni di Ruggero, possiamo pensare, avrebbe dovuto comprendere tutte le terre bagnate dallo “stagno” mediterraneo. Quest’ultima impresa del sovrano siciliano se, da una parte, ebbe esito positivo dall’altra causò delle conseguenze impreviste.

 

Filippo era stato inviato in qualità di capo della spedizione e aveva raggiunto il massimo obiettivo; al suo ritorno in terra siciliana, molte voci si levarono contro il comportamento dell’eunuco che, a parer di molti, si sarebbe macchiato di varie accuse. Messo piede a Palermo Filippo fu imprigionato; le accuse che gravavano su di lui sono ancora oggi un mistero.

 

Le fonti arabe ci parlano della sua eccessiva benevolenza nei confronti della gente di Bona; nei confronti della sua gente avrebbe adottato un mite comportamento che lo avrebbe portato a liberare molti prigionieri, dietro la cui scarcerazione si celerebbero ingenti somme di denaro pagate come riscatto.

 

Sulla verità delle accuse non abbiamo prove che la confutino né che la confermino; tra i cronisti latini dell’epoca, l’unico che parla del processo imbastito contro l’eunuco è Romualdo Salernitano ma sulla autenticità del passo sono stati gettati molti dubbi; si è parlato di interpolazione dal momento che lo stile appare differente rispetto allo standard del cronista.

 

Le vicende editoriali divengono mistero nel mistero e infittiscono il groviglio che si cela attorno a questa vicenda; prendendo per autentico il passo incriminato veniamo a sapere che Filippo fu accusato di essere occultamente mussulmano, nonostante molti anni prima si fosse convertito e battezzato, di non rispettare il digiuno quaresimale oltre al fatto di prestare per il proprio tornaconto olio per le lampade mussulmane.

 

Tutte le accuse facevano leva su motivazioni di carattere religioso. Ibn al Atir colloca il processo nel mese di Ragab corrispondente al 22 settembre – 22 ottobre 1153; alla presenza di cavalieri e nobili venne indetto il processo dalla magna curia alla presenza della quale in un primo momento l’imputato avrebbe dichiarato la proprio innocenza mentre in seguito, con le lacrime agli occhi, avrebbe implorato il perdono del suo sovrano.

 

È affascinante gettarsi nella lettura dei passi che narrano questo processo, sembra di poter toccare con mano il clima che fece da sfondo all’intera procedura la quale coinvolse anche altri uomini (“suae iniquitatis complices et consortes) che, secondo l’accusa, si erano infangati delle stesse colpe dell’eunuco.

 

La sentenza fu emessa nel mese di Ramadam che corrisponderebbe al novembre dello stesso anno e proclamava che Filippo per essersi mostrato falsamente cristiano sarebbe stato ridotto in cenere per mezzo di un rogo che lo avrebbe arso vivo. La parabola del regno di Ruggero subiva un duro colpo dato che con Filippo andarono bruciate tutte le iniziative che erano state adottate sulla strada della tolleranza, da allora nulla fu più come prima.

 

Rimane da chiedersi perché Ruggero avrebbe elargito una pena tanto dura per una colpa sulla cui veridicità gravava un pesante sospetto; possiamo pensare a intrighi di corte che avevano osservato con malizia e invidia l’ascesa dell’eunuco.

 

Probabilmente dietro questa sentenza si intravede il nuovo corso del regno siciliano, un corso che avrebbe dovuto fare maggiore leva sulla nobiltà locale messa da parte nel periodo ruggeriano; una volontà da parte dei cortigiani di fare sentire la propria voce che diverrà presenza costante negli anni successivi come vedremo con l’affare Maione.

 

Alcuni studiosi come l’Amari ha intravisto in questa sentenza complotti orchestrati da ecclesiastici i quali volevano che il re – sultano diminuisse la presenza araba presso la corte; non è un caso che le conversioni che, fino ad allora, non erano state obbligatorie lo divennero. Ci fu un complessivo cambiamento della struttura istituzionale e ancora una volta tutto era riconducibile a intrighi che avevano diretto l’azione governativa verso una precisa direzione, movimenti nell’ombra le cui macchinazioni crearono effetti ben più grandi.



 

 

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