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										INTERVISTA A ROSARIO BENTIVEGNA 
										  
										
										(nota: adattamento ed elaborazione 
										dell'intervista originale realizzata dal 
										regista Enzo Cicchino nel corso della 
										sua inchiesta sull'azione partigiana di 
										Via Rasella, andata in onda per il 
										programma della RAI TV 'MIXER' di 
										Giovanni Minoli) 
										
 D.: Mi fa una cronaca dettagliata del 
										preambolo dell'azione di Via Rasella?
 
 R.: Beh, Via Rasella fu organizzata dal 
										Comando Centrale dei G.A.P., che 
										dipendevano direttamente da Giorgio 
										Amendola, il quale partecipò 
										all'elaborazione del piano insieme a 
										Carlo Salinari e a Calamandrei, Franco 
										Calamandrei, Manrio Fiorentini ed io. 
										Avevamo studiato le cose in modo che 
										l'attacco si potesse portare da due 
										punti.
 Uno doveva essere il famoso carrettino 
										che avrei dovuto gestire io e che 
										avrebbe provocato la prima esplosione, 
										il primo impatto con il reparto tedesco 
										che avevamo deciso di attaccare, e 
										l'altro doveva essere portato a termine 
										da parte di un gruppo di quattro 
										compagni che erano Silvio Serra, Raul 
										Falcioni, mi pare che ci fosse anche 
										Francesco... insomma, erano quattro 
										compagni adesso non ricordo esattamente 
										i nomi.
 Praticamente i partecipanti all'azione 
										erano, tra artificieri, combattenti veri 
										e propri e situazioni di copertura circa 
										16 compagni, e c'era praticamente tutta 
										la forza dei G.A.P. centrali che erano 
										divisi in quattro G.A.P., c'era il mio 
										G.A.P. che era il G.A.P. Pisacane, c'era 
										un G.A.P. Gramsci, un G.A.P. Garibaldi e 
										un G.A.P. Sorsi.
 Noi... Io presi il carrettino, il 
										carrettino era stato prelevato da Raul 
										Falcioni nel deposito della Nettezza 
										Urbana vicino al Colosseo e fu portato 
										nella cantina di Via Marc'Aurelio 47, mi 
										pare, dove noi avevamo il nostro rifugio 
										e dove c'era la nostra santabarbara. Lì 
										fu attrezzato da Giulio Cortini e la 
										moglie, Laura Galloni, da me e da Carla 
										Capponi, fu attrezzato e preparato per 
										essere utilizzato com'era deciso che 
										fosse utilizzato, e cioè ci furono 
										disposti dentro una cassetta di metallo 
										preparata dagli operai... dai compagni 
										operai dell'Officina del Gas di Roma, 
										una cassetta piuttosto grossa dentro cui 
										erano stipati 12 Kg. di tritolo, 12 Kg. 
										di tritolo con il detonatore.
 Messa la cassetta in questo carrettino 
										che, come ripeto, non è quello che 
										appare nelle fotografie, ma è invece un 
										carrettino a due bidoni. Avevamo 
										utilizzato il bidone posteriore, tutto 
										in metallo, e dentro questo vi era stata 
										messa la cassetta, con altri spezzoni di 
										ghisa, intorno ai quali erano stai messi 
										sfusi altri 6 Kg. di tritolo, quindi un 
										ordigno con grosse capacità dirompenti.
 Io partii verso l'una da Via di 
										Marc'Aurelio, dal nostro deposito che 
										era nei pressi del Colosseo. Ero 
										travestito da spazzino: camiciotto e 
										cappello, che mi avevano procurato i 
										compagni. Mi ero tolto gli occhiali per 
										evitare che fossi riconosciuto, e mi 
										sono avviato per il Colosseo verso Via 
										Rasella, passando praticamente per Via 
										dei Fori Imperiali, per il centro, poi 
										salii su verso Via Nazionale, 
										attraversai Via XXIV Maggio, passai di 
										fronte al Palazzo del Quirinale, poi per 
										Via del Quirinale giunsi fino a Via 
										Quattro Fontane. Scesi in giù Via 
										Quattro Fontane, nella direzione di 
										Piazza Barberini quindi imboccai Via 
										Rasella, sempre in discesa, e portai il 
										carrettino al punto dove avevamo fissato 
										che fosse disposto, cioè all'altezza di 
										Palazzo Tittoni.
 Le dirò che la fatica era notevole 
										perché il carrettino era molto pesante, 
										e che era più faticoso in discesa che in 
										salita, perché bisognava tenerlo fermo, 
										non aveva freni, e quindi in qualche 
										modo mi dovevo ingegnare a trattenerlo.
 Disposto che fu il carrettino lì qualche 
										minuto prima delle due, ho cominciato ad 
										aspettare che arrivassero i Tedeschi. 
										Intanto altri quattro compagni si erano 
										disposti su Via del Boccaccio, perché 
										l'azione era stata preparata in modo che 
										l'attacco fosse condotto da due parti, 
										dalla mia parte, e cioè dal mio 
										carrettino, e dalla parte di Via del 
										Boccaccio, all'angolo della quale c'era 
										tra l'altro una caserma della P.A.I., 
										(la Polizia dell'Africa Orientale 
										Italiana, che faceva servizio di polizia 
										in Roma. In quel periodo a Roma c'erano 
										circa... io ho fatto il calcolo, che 
										c'erano circa 18 diversi servizi di 
										polizia, tra quelli politici, quelli 
										militari e quelli correnti).
 Questi quattro compagni erano Raul 
										Falcioni, Silvio Serra, c'era Francesco 
										Pulveri e c'era anche un altro compagno, 
										adesso non mi ricordo chi era, dovevano 
										venir fuori dopo l'esplosione del 
										carrettino e buttare sul reparto quattro 
										bombe da mortaio che, con una tecnica 
										particolare che avevamo appreso 
										attraverso gli artificieri che erano 
										stati istruiti dagli Alleati e da questi 
										mandati a noi, avevamo appreso a 
										modificarle per poterle utilizzare come 
										bombe a mano. Erano bombe da mortaio 
										Brixia, da mortaio d'assalto, che 
										contenevano circa 100 gr. di tritolo 
										l'una.
 
 D.: Qual'era il vostro obiettivo bellico?
 
 Oggetto della nostra azione era l'XI° 
										Compagnia del III° Battaglione dell'SS 
										Polizei Regiment Bozen, un reggimento di 
										cui facevano parte altoatesini di 
										nazionalità germanica che era stato 
										addestrato per azioni antiguerriglia. 
										Infatti di questo reggimento il I° 
										battaglione ha operato pesantemente 
										nella zona di Fiume e dell'Istria, il II° 
										battaglione ha operato molto 
										pesantemente nel bellunese, con circa 80 
										azioni di rastrellamento, e ha al suo 
										attivo anche le stragi di Falcade e 
										della Valle del Biois, questo 
										battaglione che operava a Roma aveva 
										finito proprio il 23 marzo il periodo di 
										addestramento alla lotta contro la 
										guerriglia, e poi non fu portato più...
 L' XI° Compagnia non fu più portata 
										all'attività antiguerriglia perché 
										praticamente la mettemmo fuori 
										combattimento.
 
 R.:
										Come erano armati?
 
 Erano preceduti e seguiti da due 
										moto-carrozzette con mitragliatrici 
										pesanti, i soldati erano armati di 
										machine-pistole che portavano sul ventre 
										e proprio quel giorno (poiché i Tedeschi 
										avevano avuto sentore che essendo il 23 
										marzo l'anniversario della Fondazione 
										Fasci del 1919 sarebbe potuto accadere 
										qualche cosa) gli ufficiali invitarono i 
										soldati a marciare con il colpo in 
										canna.
 Questa compagnia in genere passava 
										sempre con molta regolarità verso le due 
										del pomeriggio, ed infatti noi la 
										aspettavamo per le due. Quel giorno 
										invece ritardarono, e pare che il 
										ritardo non fosse occasionale, ma fosse 
										dovuto proprio a questa preoccupazione 
										che avevano i Tedeschi di quanto potesse 
										accadere quel giorno a Roma, infatti 
										avevano vietato anche una manifestazione 
										pubblica dei repubblichini. Comunque 
										arrivarono con circa due ore di ritardo.
 Io mi ero già fatto quell'oretta di 
										strada nella quale poi, come accade, 
										sono intercorsi fenomeni, incontri, 
										momenti di fatica, momenti di 
										spossatezza, preoccupazione, perché sa, 
										girare con 18 chili di tritolo sotto 
										l'occupazione nazista non era una 
										cosa... quando bastava avere in tasca 
										una copia di un giornaletto clandestino 
										per poter essere fucilati...
 Fui fermato, per esempio, da alcuni 
										spazzini proprio sulla Piazza del 
										Quirinale i quali mi dissero: "Ma tu che 
										fai da queste parti, tu non sei nel 
										nostro giro", e io gli dissi "Ma, sto 
										facendo un carico di cemento", e questi 
										mi risposero: "Ma che carico di cemento, 
										tu stai facendo la borsa nera, facci 
										vedere i prosciutti!", e volevano 
										scoperchiare il... La cosa mi preoccupò, 
										tanto è vero che il compagno che mi 
										faceva da scorta, Raul Falcioni, in quel 
										momento si avvicinò a me per vedere se 
										per caso non fosse opportuno che 
										qualcuno intervenisse per darmi una 
										mano, invece io li mandai a quel paese, 
										"Fatevi i cavoli vostri", gli dissi, e 
										continuai a camminare, e questi mi 
										lasciarono perdere, mi pigliarono un po' 
										in giro, eccetera.
 Poi ho continuato, mi sono messo lì 
										sulla strada e ho aspettato, e questi 
										non arrivavano. ... Ad un certo momento 
										arrivò uno dei reparti di avanguardia 
										che in genere passavano qualche minuto 
										prima del grosso del reparto, una 
										squadra di avanguardia.
 Passarono, e i miei compagni credettero 
										che fosse il momento di prepararsi, per 
										cui fui avvisato: "Preparati che...", e 
										io mi accesi la pipa che mi ero portato, 
										tra l'altro c'era una scarsezza di 
										tabacco enorme, perché le sigarette 
										erano razionate, e io avevo caricato due 
										sigarette dentro la pipa perché con la 
										pipa era più facile poi l'accensione del 
										cavo, era più semplice poter far 
										innescare l'accensione della miccia. La 
										miccia era una miccia a 50 secondi e 
										quindi 50 cm. di lunghezza.
 Quindi fui allarmato per lo meno due o 
										tre volte, e questo creò una certa 
										tensione, ma intanto i minuti, i quarti 
										d'ora, le mezz'ore passavano, e siamo 
										arrivati verso le due e mezza che i miei 
										compagni mandarono ad avvertire... no, 
										che dico le due e mezza, due e mezza, 
										tre, tre e mezza.
 Alle tre e mezza Pasquale Balsamo mi 
										passò vicino e mi disse: "Guarda che se 
										alle quattro non sono venuti ti pigli il 
										carrettino e ce ne andiamo", e la cosa 
										era anche più sgradevole.
 Tuttavia accettai questa disposizione, 
										però invece alle tre e tre quarti questi 
										si fecero vivi, e c'era Cola, cioè 
										Franco Calamandrei, che era appostato al 
										punto da cui avevamo nei giorni 
										precedenti verificato cronometrando che 
										il tempo di marcia sarebbe stato appunto 
										di 50 secondi.
 Cola si tolse il cappello, era il 
										segnale convenuto, io accesi la miccia e 
										me ne andai.
 
 D.:
										Ci fu da parte vostra un interessamento 
										per salvaguardare la vita dei civili?
 
 R.:
										Tra l'altro lì intorno c'era un soldato 
										di Sanità perché in un palazzo nei 
										dintorni c'era un posto della Croce 
										Rossa, un soldato che entrava e usciva, 
										nel momento in cui accesi la miccia 
										dissi a questo: "Guarda, vattene, perché 
										qui tra poco succede un cataclisma", e 
										lui se ne andò, capì e se ne andò.
 Poi mentre mi allontanavo c'erano degli 
										operai che stavano su un camion vicino 
										ad un palazzo poco più su, una decina di 
										metri più su di Palazzo Tittoni, stavano 
										facendo delle opere di ammodernamento, 
										non so bene, anche a loro dissi: "Via, 
										andatevene perché qui tra poco con i 
										Tedeschi succederà un macello", e pure 
										questi scapparono.
 E arrivai all'angolo di Via Rasella con 
										Via Quattro Fontane, al punto in cui Via 
										Rasella va ad affacciarsi sul giardino 
										di Palazzo Barberini, e lì trovai Carla 
										Capponi la quale mi mise sulle spalle un 
										impermeabile e coprì il mio giubbotto da 
										spazzino, in quel momento ci fu 
										l'esplosione.
 Poi Carla ed io ci allontanammo, facemmo 
										appena in tempo, perché, come ripeto, i 
										Tedeschi aspettavano qualcosa. Proprio 
										mentre noi passavamo uscì fuori da 
										Palazzo Barberini una squadra di Guardie 
										di Finanza che stesero immediatamente i 
										cordoni.
 Carla ed io, con Pasquale Balsamo e un 
										altro che mi facevano da scorta, ci 
										avviammo verso Via Nazionale.
 Impugnai la pistola per ogni evenienza, 
										Carla aveva la sua pistola nella 
										borsetta, io la impugnai nella tasca e 
										ci avviammo verso Via Nazionale.
 Mentre mi allontanavo con Carla sentimmo 
										esplodere i colpi delle bombe da mortaio 
										che i nostri compagni in Via del 
										Boccaccio scagliavano sul reparto, e 
										subito dopo iniziò il crepitio della 
										fucileria perché questi erano armati e 
										risposero, cominciarono a sparare 
										all'impazzata tutto intorno, verso le 
										finestre, e quant'altro.
 
 D.: Questo è l'episodio Via Rasella, ma 
										affrontiamo ora il discorso in modo più 
										ampio. Come è nato il fenomeno 
										Resistenza a Roma ?
 
 R.:
										La Resistenza romana è stata piuttosto 
										vivace, è una cosa che non si sa in 
										giro, che è sottovalutata. Roma è una 
										città particolare, perché per essere 
										praticamente a 100 Km. dal fronte, che 
										si era attestato a Cassino, e poi dopo 
										lo sbarco ad Anzio addirittura a 50 Km., 
										era piena di gente ed era piena di 
										profughi. Era piena di gente che stava 
										nascosta.
 Il fenomeno romano è interessante 
										soprattutto perché si distingue in due 
										momenti che si intersecano. Da un lato 
										c'è una resistenza passiva di massa 
										eccezionale. I romani non hanno 
										collaborato con i nazisti e nemmeno con 
										i repubblichini, pochissimi. Dall'altro 
										una resistenza che pur non essendo 
										ancora militare era già attiva, una 
										resistenza di solidarietà. Solidarietà 
										piena, verso le centinaia di migliaia di 
										persone che stavano nascoste: renitenti 
										di leva, giovani che volevano sfuggire 
										al servizio del lavoro, soldati e 
										ufficiali sbandati, gerarchi fascisti 
										che non volevano più collaborare con i 
										repubblichini, prigionieri alleati, 
										ebrei. C'era uno slogan allora, si 
										diceva che mezza Roma nasconde l'altra 
										metà.
 Questa direi che è la caratteristica 
										fondamentale. E poi c'era un'intensa 
										attività politica di gruppi e di partiti 
										che si organizzavano, che cominciavano a 
										fare dei progetti per l'avvenire, che si 
										incontravano, che creavano delle 
										alleanze. Il Comitato di Liberazione 
										Nazionale centrale era a Roma.
 Premetto che tra l'altro i nazisti non è 
										che lasciassero in pace i romani, perché 
										continuamente facevano razzie per le 
										strade pigliando gli uomini validi e 
										portandoseli al fronte per farsi 
										costruire le difese laddove ritenevano 
										che fosse per loro necessario.
 
 D.: Appunto, chi erano e cosa 
										rappresentavano per la fantasia dei 
										romani, i Tedeschi?
 
 R.: Ma, guardi, bisogna vedere le cose 
										da due punti.
 Prima di tutto i Tedeschi a Roma non è 
										che fossero molto simpatici nemmeno 
										quando erano alleati. I romani non hanno 
										mai fraternizzato con i Tedeschi. Ma 
										soprattutto dopo l'occupazione, dopo la 
										battaglia di San Paolo, i Tedeschi sono 
										entrati dentro come conquistatori e 
										avevano un obiettivo molto preciso, 
										quello di fare di Roma un comodo snodo 
										stradale e ferroviario, una città di 
										retrovia nella quale poter far riposare 
										e muovere liberamente le truppe.
 Era una città di retrovia. In queste 
										condizioni, tenga conto, tra l'altro, 
										che Roma era sottoposta continuamente a 
										bombardamenti proprio perché la presenza 
										delle truppe tedesche era massiccia. 
										Bombardamenti feroci, pesantissimi, non 
										soltanto prima dell'8 settembre, ma 
										anche dopo. Gli Alleati smisero di 
										bombardare Roma il 17 marzo, cioè 
										qualche giorno prima di Via Rasella; 
										eppoi i Tedeschi, qualche giorno dopo 
										Via Rasella, il 26 o 27 marzo, emisero 
										un comunicato in cui continuavano a 
										ripetere che avevano dovuto uccidere per 
										rappresaglia i comunisti badogliani e 
										che tuttavia avrebbero cercato di 
										rispettare la città aperta, e questo in 
										qualche misura successe, infatti i 
										bombardamenti a Roma cessarono fino alla 
										fine di maggio quando, in seguito alla 
										rotta del fronte, i Tedeschi se ne 
										fregarono e cominciarono a ripassare per 
										la città.
 I Tedeschi non erano graditi a Roma, non 
										sono riusciti ad avere un rapporto con 
										la popolazione romana e d'altro canto 
										noi cominciammo subito dopo l'8 
										settembre ad attaccarli militarmente 
										anche all'interno della città, 
										pesantemente.
 
 D.: Aveva già sentito parlare di 
										Kappler, Dollmann, Meltzer e di tutti 
										gli uomini che divennero famosi 
										successivamente?
 
 R.: Kappler e Dollmann mai, Meltzer sì 
										perché era un Generale noto della 
										Wehrmacht.
 
 D.: Eravate a conoscenza del lavoro 
										antipartigiano condotto dalla SS Polizei 
										agli ordini di Kappler e dell'SD, il 
										servizio segreto tedesco?
 
 R.: Non particolarmente, per noi erano 
										un corpo di polizia militare, facevano 
										parte delle truppe occupanti, avevano 
										una divisa, la divisa della Wehrmacht, 
										ed era questo un titolo sufficiente per 
										essere attaccati dai partigiani.
 
 D.: Si è enfatizzato molto sul numero 
										degli uomini formanti le SS, ma pare che 
										fossero solo una settantina e che nelle 
										loro file ci fossero anzi molti 
										italiani.
 
 R.: Guardi, che ci siano stati SS 
										italiani lo so, e tra l'altro ci sono 
										stati anche dei ragazzi che conoscevo, 
										per i quali del resto posso testimoniare 
										la piena buona fede, ma... io parlo dei 
										combattenti naturalmente, dei 
										combattenti della Repubblica di Salò, 
										non certo di coloro i quali facevano i 
										torturatori o gli infiltrati, che erano 
										tutt'altra genia, dei sadici maledetti.
 Però io dei ragazzi che sono stati 
										dall'altra parte e che erano stati anche 
										miei amici ne ho conosciuti, e non ho 
										certamente, né allora, ne oggi, niente 
										nei loro confronti, proprio perché 
										sapevo che questi tre qua che ho 
										conosciuto, tre che ho conosciuto, erano 
										i soli che ci credevano, e che non 
										avrebbero mai fatto - come non hanno 
										fatto - né i torturatori, né i 
										massacratori, né altre cose di questo 
										genere.
 
 D.: Si è favoleggiato molto sul terrore 
										degli occupanti, ma la caccia all'uomo 
										qui a Roma colpì solo poche centinaia di 
										persone, insomma troppo poco per parlare 
										di una reazione cittadina. Paer che la 
										città non avesse alcuna intenzione di 
										insorgere contro i nazifascisti.
 
 R.: Guardi, questo viene contraddetto 
										con grande facilità. Si calcola che 
										siano circa 4.000 i romani che sono 
										passati per le carceri fasciste e 
										naziste. Tenga conto che Roma è l'unica 
										città d'Italia, e forse d'Europa, in cui 
										è stato proibito l'uso della bicicletta 
										sin dal dicembre. Roma è la città che ha 
										avuto l'ora di coprifuoco più estesa di 
										qualsiasi altra città italiana.
 Eppoi insieme ai soldati italiani -noi- 
										abbiamo cominciato a sparare contro i 
										Tedeschi subito... (non dico noi per 
										dire "io", dico "noi" per dire "noi 
										partigiani") non solo l'8 settembre del 
										'43, o il 10 settembre quando c'è stata 
										la battaglia di Porta San Paolo, ma 
										anche dopo a Monterotondo e altrove. Le 
										azioni contro i Tedeschi sono avvenute 
										subito. Posso poi testimoniare che 
										quando mi è capitato di sparare in mezzo 
										alla strada a Roma -contro Tedeschi e 
										contro fascisti- io sono stato aiutato e 
										difeso dalla popolazione, la quale ha 
										dirottato i miei inseguitori (perché a 
										volte mi hanno inseguito lungamente) 
										verso direzioni nelle quali non mi 
										avrebbero potuto mai trovare, e che 
										c'era roba da mangiare.
 Pensi che i Tedeschi cominciarono 
										inizialmente a puntare molto sulle 
										taglie. Cioè, prima di arrivare alle 
										rappresaglie (tipo quella delle Fosse 
										Ardeatine) avevano messo su ciascuno 
										degli autori di ciascuno degli atti di 
										sabotaggio e degli atti di guerra 
										compiuti nella città di Roma, delle 
										taglie importantissime. Pensi che io 
										solo avevo allora 1.850.000 lire di 
										taglia, non tanto... non perché 
										conoscessero me, perché non sapevano chi 
										fossi, ma in riferimento alle diverse 
										azioni che avevo fatto. Nessuno, tranne 
										Carlo Salinari, è stato catturato in 
										seguito ad una delazione. Carlo Salinari 
										sì, ma questo perché uno dei nostri 
										tradì e passò nelle schiere dei 
										repubblichini per salvarsi la pelle.
 
 D.: Molti hanno pensato che la sigla GAP 
										significasse Gruppi Armati Proletari, 
										invece... comunque in che occasione 
										furono costituiti, da chi erano formati, 
										chi li comandava?
 
 R.: Infatti non si chiamavano Gruppi 
										Armati Proletari, ma Gruppi di Azione 
										Patriottica. I menbri erano scelti tra 
										le diverse formazioni partigiane 
										nell'ambito della città, selezionando 
										quegli elementi che avevano dimostrato 
										maggiore determinazione nel condurre le 
										azioni e che sia per il loro passato che 
										per la loro provenienza davano garanzia 
										di essere persone severe, rigorose, 
										attendibili, nei limiti delle 
										possibilità umane, capaci anche di 
										resistere alle torture qualora fossero 
										stati arrestati.
 
 D.: Certo vi è stato attribuito il nome 
										di Gruppi Armati Proletari forse per un 
										errore, ma in realtà, come estrazione 
										sociale, i G.A.P. da chi erano formati?
 
 R.: Eravamo in gran parte studenti, o 
										intellettuali. C'erano tre o quattro che 
										venivano... C'era un tassista, c'era 
										Blasi che era un artigiano, ma che poi 
										fu quello che tradì, c'era Francesco 
										Pulveri che era un vecchio operaio 
										dell'edilizia che però veniva 
										dall'esperienza dell'emigrazione 
										antifascista, era stato combattente in 
										Spagna dalla parte dei repubblicani, era 
										il più anziano di noi, tra l'altro. 
										Noialtri eravamo intellettuali, 
										studenti.
 
 D.: In che occasione e perché nacquero i 
										G.A.P.? Chi li comandava?
 
 R:: Praticamente furono ideati da Alfio 
										Marchini e preparati da Antonello 
										Trombadori. Alfio Marchini è il 
										Comandante militare della piazza 
										partigianna di Roma e Antonello 
										Trombadori che era uno dei dirigenti del 
										Partito Comunista, uno dei dirigenti 
										intellettuali del Partito Comunista. E 
										fu Antonello Trombadori il primo a 
										costruirli, a comandarli e a sceglierli. 
										Ognuno di noi ha avuto lunghi colloqui 
										con Antonello, senza sapere chi fosse. 
										Seguivamo con grande scrupolo le regole 
										della cospirazione, conoscevamo tutti 
										solo per pseudonimo, non per nome. I GAP 
										praticamente cominciarono a funzionare 
										alla metà di ottobre, primi di novembre 
										del '43. Poi si consolidarono portando a 
										termine delle azioni estremamente 
										importanti come quella dell'Albergo 
										Flora; o come quella che feci io stesso 
										a Piazza Barberini. O come quella che 
										portò a compimento Mario Fiorentini a 
										Regina Coeli, che è stata una delle 
										azioni più belle che sono state fatte a 
										Roma. E poi tantissime altre. I G.A.P. 
										centrali erano quelli raccolti da tutte 
										le zone della città, ma nella periferia 
										si erano poi costituiti i G.A.P. di 
										zona, i quali a loro volta svolgevano 
										l'attività nelle loro zone e portavano 
										all'azione non soltanto i G.A.P., ma 
										anche le S.A.P., cioè le Squadre di 
										Azione Patriottica in cui erano 
										inquadrate tutte le forze partigiane.
 Tenga conto che i partigiani comunisti, 
										per esempio, erano circa 3.000, ed erano 
										3.000 persone organizzate e purtroppo 
										non tutte armate, più o meno tutte hanno 
										preso parte ad azioni di fuoco e ad 
										azioni di sabotaggio ben individuate. 
										Un'ultima cosa vorrei ricordare, ed è 
										una cosa che diceva uno che di guerra 
										partigiana se ne intendeva perché è 
										stato prima il Comandante di Roma, poi 
										di Bologna, poi ancora di Torino: cioè 
										Giorgio Amendola... Secondo Giorgio 
										Amendola, in quei 9 mesi in cui Roma ha 
										fatto la Resistenza (tenga conto che la 
										Resistenza romana è finita il 4 giugno 
										del '44, cioè perlomeno 10 mesi prima 
										che finisse la Resistenza nelle altre 
										zone del Paese) le azioni militari dei 
										partigiani italiani romani sono state 
										maggiori delle azioni militari dei 
										partigiani di qualsiasi altra città 
										d'Italia, cioè è una leggenda che i 
										romani non abbiamo fatto niente. I 
										romani hanno fatto, tanto è vero che i 
										nazisti hanno duramente colpito la 
										popolazione romana, e l'hanno colpita 
										proprio perché resisteva, e l'hanno 
										colpita con la fame prima di tutto, poi 
										con razzie, con il coprifuoco! ne è un 
										esempio il fatto che non si poteva 
										girare in bicicletta.
 
 D.: Senta, qual era il programma 
										politico delle vostre cellule 
										combattenti?
 
 R.: Ma, guardi, parlare di programma 
										politico delle cellule è un po' vago. 
										Io... le cellule si trasformavano tutte 
										il S.A.P. Dalle S.A.P. vennero fuori i 
										G.A.P. Il problema politico era uno: 
										cacciare i Tedeschi e i Fascisti. 
										L'obiettivo era la democrazia, una 
										democrazia avanzata, la giustizia 
										sociale, la libertà.
 
 D.: A Roma il Colonnello Montezemolo 
										aveva riunito un gruppo di ufficiali per 
										organizzare un servizio informazioni a 
										favore degli Alleati simile a quello di 
										De Gaulle in Francia. Come mai i G.A.P. 
										non sostennero questa iniziativa, ma la 
										snobbarono completamente?
 
 R.: Ma, guardi, i G.A.P. erano un 
										reparto militare, e non potevano fare 
										altro che quello che gli veniva 
										comandato. I G.A.P. non hanno mai avuto 
										un servizio informazioni. Io so che con 
										il Colonnello Montezemolo collaborarono 
										anche i servizi informazioni del Partito 
										Comunista, ad esempio, ma era tutt'altra 
										cosa.
 Noi non avevamo una struttura che ci 
										permettesse di avere un servizio 
										informazioni. Ci venivano delle 
										disposizioni di carattere militare e le 
										eseguivamo. Ecco, io posso dirle, per 
										esempio, che il servizio informazione - 
										io ne ho avvicinato uno solo, questo di 
										cui le sto raccontando - era gestito da 
										un ex-ufficiale di Cavalleria torinese, 
										che durante la Prima Guerra Mondiale 
										aveva fatto anche il Capitano negli 
										Arditi, che gestiva appunto uno dei 
										servizi di informazione del Partito 
										Comunista presso la IV° Zona ed aveva 
										collegamenti diversi con molte 
										strutture, anche con le strutture 
										militari, con la struttura di 
										Montezemolo ecc.
 Fu preso dai Tedeschi nel gennaio del 
										'44, fu portato a Via Tasso e fu ucciso 
										a calci. Insieme a lui fu arrestata, e 
										non ne venne fuori una parola né da lui 
										della sua collaboratrice, la 
										professoressa - allora era una 
										studentessa di medicina - la Prof. Carla 
										Angelini, che oltre tutto era una mia 
										carissima amica, una psichiatra, una 
										nota psichiatra che adesso sarà pure in 
										pensione, ....siamo diventati tutti 
										vecchi.
 
 D.: Oltre ai G.A.P., quali altri gruppi 
										resistenziali esistevano a Roma, e 
										com'erano formati?
 
 R.: Ma, guardi, le formazioni... c'erano 
										nei G.A.P. diverse formazioni. C'erano 
										la formazione Giustizia e Libertà, le 
										formazioni Matteottine del Partito 
										Socialista, le formazioni Garibaldine 
										del Partito Comunista, il Centro 
										Militare di Montezemolo, Bandiera Rossa, 
										che era una formazione comunista 
										antipartito, loro erano una mescolanza 
										di trotzkisti, poi si dicevano più 
										stalinisti di noi, e quant'altro, 
										c'erano le formazioni democristiane, le 
										formazioni repubblicane, le formazioni 
										dei cattolici comunisti che avevano le 
										loro S.A.P. e avevano il loro G.A.P., 
										cioè questo termine G.A.P. è il termine 
										della squadra di, chiamiamoli così, 
										combattenti di avanguardia, di arditi, 
										li chiami come vuole, no, a cui venivano 
										affidate le azioni più impegnative e più 
										rischiose, ed erano per questo 
										particolarmente selezionati.
 
 D.: Qual era il tuo?
 
 R.: Non so, il mio amico Valerio 
										Perucchini, il mio compagno Valerio 
										Perucchini era il Comandante del G.A.P. 
										di Tor Pignattara, ed è stato fucilato 
										alle Fosse Ardeatine. C'era anche 
										Chiesa, Edoardo Chiesa, che era il 
										Comandante del G.A.P. dei Cattolici 
										Comunisti, e che è stato fucilato alle 
										Fosse Ardeatine.
 Il G.A.P. non era... era un reparto di 
										una formazione partigiana, così come lo 
										era la S.A.P., appunto, come lo erano 
										gli uffici informazione, come lo erano 
										quelle che potremmo definire, non so, le 
										salmerie, ecco, la parte organizzativa, 
										ecc.
 
 D.: Qual era il gruppo politico più 
										consistente?
 
 R.: Dal punto di vista dei combattenti 
										senza dubbio Bandiera Rossa, i 
										comunisti, il Partito d'Azione e il 
										Centro Militare Clandestino. Questi 
										erano i gruppi militari più consistenti.
 Dal punto di vista politico c'era anche 
										la Democrazia Cristiana, c'erano i 
										repubblicani e c'erano... Oh, poi, 
										guardi che c'era una miriade di 
										formazioni costituite da gruppi più o 
										meno autonomi che svolgevano una loro 
										guerra contro i Tedeschi senza avere 
										collegamento con il Comitato di 
										Liberazione Nazionale, e ce n'erano 
										moltissime che spontaneamente sono sorte 
										nei quartieri, nei paesini, e questa è 
										la ragione per cui tra l'altro la 
										Resistenza romana, malgrado quello che 
										Lei ha ipotizzato inizialmente, è stata 
										così ricca.
 Non è vero che Roma sia stata una città 
										che aspettava soltanto. Certo, c'erano 
										anche quelli che aspettavano, ma c'erano 
										anche quelli che aspettavano 
										attivamente, voglio dire, e non tutti 
										aspettavano attivamente militarmente, ma 
										aspettavano attivamente anche attraverso 
										un grosso movimento solidaristico. Per 
										esempio, io mangiavo tutti i giorni o 
										quasi, non proprio tutti, e non sempre 
										abbondantemente, ma mangiavo perché me 
										ne portavano.
 Quando io sono stato partigiano a 
										Centocelle, per esempio, a Centocelle la 
										popolazione era tutta con noi, tutta, 
										completamente. Io sono stato subito dopo 
										lo sbarco ad Anzio per un mese padrone 
										della Borgata di Centocelle. Poi dopo 
										sono arrivati i Tedeschi e hanno 
										sbaraccato tutto, ci hanno ammazzato 
										tutti i compagni, li hanno deportati e 
										quant'altro.
 Ma Lei lo sa -durante la Resistenza a 
										Roma- quante centinaia di romani, quante 
										migliaia di romani sono morti!? 1750 
										persone... non sono poche... a Roma e 
										nel Lazio voglio dire, complessivamente, 
										i romani non so, in particolare, ma solo 
										a Porta San Paolo tra i soldati e la 
										gente sono morte circa 650 persone.
 Però queste cose non le sa nessuno.
 
 D.: Lei conta anche i 335 delle Fosse 
										Ardeatine?
 
 R.: Beh, nelle 1750 sì, però non conto 
										tutti i deportati che non sono tornati, 
										non conto i 1800 ebrei... i 1200 ebrei 
										che non sono tornati perché tenga conto, 
										tra l'altro, delle razzie; la gente 
										portata via è stata qualche migliaio. 
										Pensi alla razzia del Quadraro, alla 
										razzia degli ebrei, in queste cifre non 
										ci sono questi romani che sono stati 
										portati via ai campi di concentramento e 
										non sono più tornati.
 
 D.: Senta, il 17 e 18 gennaio del '44 
										Montezemolo e la sua organizzazione 
										furono totalmente arrestati dalla 
										polizia nazifascista. Si dice che ciò 
										accadde perché si prevedevano delle 
										azioni di disturbo contro i Tedeschi di 
										passaggio nella capitale in concomitanza 
										con lo sbarco di Anzio. E' vero?
 
 R.: Guardi, io non avevo contatti con il 
										Colonnello Montezemolo, e quindi non so 
										esattamente che cosa avesse in mente di 
										fare Montezemolo.
 Per quanto ci riguardava, il CLN aveva 
										ipotizzato l'insurrezione di Roma, anche 
										per le segnalazioni che aveva avuto dai 
										Comandi Militari Alleati, tanto è vero 
										che con lo sbarco di Anzio i G.A.P. 
										centrali di cui io già facevo parte 
										furono sciolti, e ognuno di noi fu 
										mandato nelle zone della città per 
										guidare l'insurrezione, e io fui mandato 
										a Centocelle.
 
 D.: I G.A.P. da chi ricevevano ordini?
 
 R.: Dai loro comandanti.
 
 
 D.: Si è detto da più parti che 
										ricevessero ordini dagli Alleati.
 
 R.: Certamente i nostri comandanti erano 
										in collegamento con il Comando Alleato.
 
 D.: Molti, più affermativamente, hanno 
										detto che invece ricevessero ordini da 
										Togliatti.
 
 R.: Ma, questa è una delle immani 
										cavolate che vengono dette.
 Lei tenga conto che Togliatti è sbarcato 
										da Salerno dalla Russia il 24 marzo.
 Si è detto addirittura che Togliatti ha 
										dato l'ordine di fare Via Rasella. 
										Togliatti probabilmente manco sapeva che 
										esisteva Via Rasella. Togliatti è 
										tornato dalla Russia, stava in nave in 
										giro per il Mediterraneo in attesa di 
										poter sbarcare, ed è sbarcato il giorno 
										in cui c'è stata la rappresaglia delle 
										Fosse Ardeatine.
 Lei... io mi vorrei divertire, prima di 
										crepare, mi vorrei divertire a scrivere 
										tutto lo sciocchezzaio immane che è 
										stato costruito su questa questione 
										della Resistenza romana.
 
 D.: Come ex-gappista Blasi testimoniò, 
										al processo contro Kappler, di aver 
										visto dalle mani di Calamandrei un 
										ordine di esecuzione di Via Rasella 
										siglato EE, cioè Ercoli. In quel caso, 
										dietro l'ordine lui affermava di sicuro 
										che ci fosse Togliatti.
 
 R.: Guardi, nessun ordine scritto è 
										stato mai emesso da una parte all'altra 
										dei comandi della Resistenza, quanto 
										meno a Roma.
 Secondo, torno a dirLe, Togliatti 
										quando... noi abbiamo cominciato a 
										preparare l'azione di Via Rasella a 
										febbraio, si figuri, poi per una serie 
										di ragioni fu rimandata, poi la 
										prendemmo in considerazione per marzo, 
										la facemmo il 23 marzo perché quel 
										giorno era l'anniversario dei Fasci e 
										delle Corporazioni, ma Ercoli in quel 
										giorno stava ancora navigando per il 
										Mediterraneo.
 
 D.: Beh, non per questo non poteva far 
										venire un'ordine.
 
 R.: Per scritto o con le regie poste 
										magari, mi faccia capire. Ma con che 
										cosa lo poteva far venire l'ordine 
										scritto firmato da lui? Ma è una 
										colossale idiozia! Solo pensarla, una 
										cosa di questo genere, significa non 
										avere la più pallida idea di come 
										vivevamo, di come viveva Roma, di come 
										viveva l'Italia e di che cos'era 
										l'Italia attraversata in su e in giù da 
										due eserciti che si combattevano.
 
 D.: Gli arresti delle organizzazioni 
										resistenziali non comuniste avvenuti 
										nella seconda metà di gennaio avvennero 
										non solo per l'imprudenza delle stesse, 
										ma anche per la delazione di uomini 
										della Resistenza, che avevano tutto 
										l'interesse a monopolizzare la struttura 
										partigiana. Si disse che questi uomini 
										delatori fossero comunisti.
 
 R.: Questa è un'altra infamia che fa 
										parte dello sciocchezzaio che ogni tanto 
										viene fuori.
 Lei pensi soltanto al fatto che alle 
										Fosse Ardeatine sono morti tanti 
										comunisti anche importanti, voglio 
										ricordarLe Mallossi, ex-combattente in 
										Spagna, voglio ricordarLe il Prof. 
										Gesmondo, che è stato anche Commissario 
										Politico dei G.A.P.
 
 
 D.: Tuttavia il massacro delle Ardeatine 
										eliminò buona parte della Resistenza 
										romana non comunista?
 
 R.: Il massacro delle Ardeatine eliminò 
										quella parte della Resistenza che stava 
										in prigione.
 
 D.: Ed era in buona parte non...
 
 R.: Non comunista... in buona parte, 
										certo, perché mica solo i comunisti 
										hanno fatto la Resistenza. C'erano 
										dentro comunisti, non comunisti, 
										anticomunisti, perfino dei fascisti, 
										guardi, perfino dei fascisti, e questo 
										tra l'altro è un altro aspetto 
										estremamente interessante, una delle 
										ragioni per cui non sono d'accordo che 
										la Resistenza sia stata una guerra 
										civile, perché insieme a noi hanno 
										combattuto anche elementi che venivano 
										dal Partito Nazionale Fascista, e sono 
										stati ammazzati come noi.
 
 
 D.: Sì, però qualcuno ha detto che gli 
										uomini non comunisti della Resistenza 
										romana che sono stati uccisi alle 
										Ardeatine erano in pratica dei futuri 
										avversari fatti fuori in anticipo.
 
 R.: Che vuole che Le dica? La gente si 
										può inventare tutte le favole che 
										preferisce, ma questa è soltanto una 
										mascalzonata. E' soltanto una 
										mascalzonata che del resto... nella mia 
										lunga vita ormai ho visto ripercorrere 
										tante volte spesso dalle stesse persone.
 
 D.: Tuttavia per gli uomini della 
										Repubblica di Salò e per i Tedeschi 
										c'era una stretta omonimia tra 
										partigiano e comunista. Come mai è nata 
										questa leggenda?
 
 R.: Guardi, questo faceva parte delle 
										esigenze della propaganda nazifascista, 
										ma comunque posso dirLe che quando i 
										Tedeschi hanno parlato di noi a 
										proposito dell'azione di Via Rasella e 
										hanno parlato dei martiri delle Fosse 
										Ardeatine hanno parlato di comunisti 
										badogliani.
 Beh, noi eravamo comunisti badogliani.
 
 D.: E non è una contraddizione?
 
 R.: Beh no, in quel momento no. Non c'è 
										nessuna contraddizione in questo.
 Tenga conto che noi avevamo l'obiettivo 
										di cacciare i Tedeschi e di liquidare il 
										Fasciamo.
 Questo voleva e ci aveva chiesto il 
										governo legittimo, che era il Governo 
										Badoglio, e questo noi facevamo.
 
 D.: Proprio perché si rifà al governo 
										legittimo di Badoglio, proprio per 
										disposizione di questo pare che il CLN 
										avrebbe dovuto progettare le azioni 
										sotto il profilo politico, demandando 
										invece al Comando Militare Clandestino 
										il compito di guerriglia e di 
										sabotaggio. Il Comando del Lazio era 
										stato affidato dal Governo del Sud al 
										Generale Quirino Armellini, però i 
										G.A.P. boicottarono apertamente tutti 
										gli ordini emanati da questo Generale.
 
 R.: Guardi, torniamo alla definizione 
										delle funzioni dei G.A.P. I G.A.P. non 
										avevano funzioni politiche. Avevano solo 
										funzioni militari.
 Nella realtà c'era un conflitto tra il 
										CLN e Armellini, e il CLN non accettò 
										mai di dipendere dal Generale Armellini, 
										tanto è vero che aveva un suo Comando 
										Militare, una sua Giunta Militare i cui 
										comandanti, i cui rappresenti erano 
										Bauer per il Partito d'Azione, Pertini 
										per il Partito Socialista, Amendola per 
										il Partito Comunista e mi pare Manlio 
										Brosio per il Partito Liberale.
 
 C.: Ma Armellini era l'uomo delegato dal 
										Governo del Sud.
 
 R.: Dal Governo a gestire le forze che 
										facevano capo al Centro Militare. Ancora 
										non c'era stata l'unificazione del Corpo 
										Volontari della Libertà.
 Soltanto quando avverrà l'unificazione 
										di tutte le forze partigiane nel Corpo 
										dei Volontari della Libertà, che mi pare 
										sia avvenuta qualche mese dopo, allora 
										c'è stato un Comando unico ed era 
										costituito da Cadorna, Parri e Longo.
 
 D.: Ma allora Armellini che potere 
										aveva?
 
 R.: Era l'uomo ufficiale delle 
										formazioni del Centro Militare. Non era 
										l'uomo ufficiale del CLN, e c'era una 
										certa conflittualità con il CLN, 
										politica e anche militare, anche perché 
										da parte del CLN... all'interno del CLN 
										esistevano forti correnti attendistiche.
 L'attendismo era un particolare 
										atteggiamento che avevano parecchie 
										forze della Resistenza, e tuttavia 
										c'erano anche prevalenti forze non 
										attendistiche, e cioè quelle che 
										volevano che si facesse l'insurrezione 
										di Roma.
 Tenga conto che Roma è l'unica capitale 
										d'Europa che non ha avuto 
										un'insurrezione e l'unica grande città 
										italiana che non ha avuto 
										un'insurrezione, e questo dipende dal 
										fatto che probabilmente... certamente è 
										dipeso da due fenomeni in particolare: 
										il primo, il fatto che tra febbraio e 
										giugno moltissimi gruppi partigiani 
										hanno avuto fortissime perdite: la gran 
										parte dei quadri, ma non solo dei 
										quadri, e non solo non comunisti ma 
										anche comunisti stava in carcere. Noi 
										gappisti siamo andati in carcere un po' 
										più tardi perché avevamo una maggiore 
										disciplina cospirativa, gli altri ci 
										sono andati un po' prima. Ora, questo ha 
										indebolito fortemente le forze militari 
										della Resistenza.
 Poi c'è stato un altro fatto, la spinta 
										del Vaticano a fare in modo che Roma non 
										insorgesse.
 Dietro questo ci sono una grande 
										quantità di ragioni. Però Le assicuro 
										che il 4 giugno, quando sono arrivati 
										gli Alleati, arrivò l'ordine dal Governo 
										di Salerno di lasciar andar via i 
										Tedeschi senza attaccare.
 
 D.: Roma fu proclamata città aperta. In 
										seguito a questa decisione accettata e 
										rispettata anche dai Tedeschi il 
										Generale Armellini diede ordine che i 
										partigiani si astenessero dal compiere 
										attentati all'interno della capitale 
										proprio per evitare che i comandi 
										germanici si avvalessero del diritto di 
										rappresaglia.
 I G.A.P. volutamente questo ordine lo 
										ignorarono.
 
 R.: Primo, Armellini non era in grado di 
										dare ordini ai nostri.
 Secondo, è falso che i Tedeschi abbiano 
										mai accettato la città aperta di Roma. 
										Non è mai esistita. La città aperta di 
										Roma è stata promulgata di iniziativa 
										del Governo Badoglio dopo il secondo 
										bombardamento di Roma del 14 agosto del 
										'43 e non è mai stata accettata né dai 
										Tedeschi, né dagli Alleati, tanto è vero 
										che i Tedeschi si sono serviti di Roma 
										dove avevano comandi, dove avevano 
										truppe e attraverso cui facevano passare 
										per ferrovia o per strada le truppe che 
										si muovevano da e per il Nord e per i 
										vari fronti, e gli alleati bombardavano 
										regolarmente Roma.
 Le dico, soltanto dopo Via Rasella, ed 
										esattamente tre o quattro giorni dopo - 
										e c'è un comunicato germanico che io 
										potrei citarle, mi pare che sia del 26 o 
										del 27 - i Tedeschi dissero: "Ci 
										impegnamo a non usare più Roma come 
										transito per le truppe alleate", e 
										arrivarono a dire una cosa ridicola: "I 
										soldati germanici non potranno prendere 
										più nemmeno il tram", ecco, si figuri un 
										po' se era un problema che il soldato 
										tedesco andasse da una parte all'altra 
										di Roma in tram, poteva essere un fatto 
										militare! Ma era un fatto militare il 
										fatto che questi passassero per Roma, 
										tant'è che noi abbiamo bruciato un 
										deposito di carburante tedesco a Via 
										Claudia, lo bruciò in particolare Carla 
										Capponi.
 
 D.: Tuttavia le azioni partigiane che 
										avvenivano a Roma contro i Tedeschi da 
										uomini importanti del Governo del Sud e 
										del CLN venivano considerate illegali, 
										azioni non lecite. Eravate consapevoli 
										di queste contraddizioni?
 
 R.: Guardi, anche questo è falso. Non è 
										vero che queste azioni fossero 
										considerate illegali o illecite. Da 
										alcuni sono state considerate non 
										opportune, che è un discorso 
										completamente diverso.
 Ora, quello che ci veniva detto dal 
										Governo del Sud, Badoglio, "Bisogna 
										colpire i Tedeschi comunque e dovunque", 
										da Radio Londra, dalla Radio Libera 
										dell'America, ci veniva detto soltanto: 
										"Colpite i Tedeschi dovunque e 
										comunque", e questa era la parola 
										d'ordine nostra.
 Questi fatti di cui Lei si sta facendo 
										portavoce sono fatti inesistenti. Non è 
										vero. La storia è ignorata da coloro che 
										dicono cose di questo genere.
 
 D.: Nonostante tutto, fino alla bomba di 
										Via Rasella i G.A.P. avevano portato a 
										termine già 14 attentati che provocarono 
										diversi morti e dai quali non seguì - 
										salvo in un caso - alcuna rappresaglia. 
										Non fu proprio questa saldezza di nervi 
										degli occupanti ed una certa 
										indifferenza della città ad accendere 
										l'animo dei G.A.P. al punto da 
										progettare l'agguato di Via Rasella per 
										dare uno scossone?
 
 R.: No, questa è un'altra delle 
										interpretazioni inattendibili.
 Noi ogni volta che ci ponevamo 
										l'obiettivo di attaccare i Tedeschi li 
										attaccavamo cercando di mettercela 
										tutta. Qualche volta ci siamo riusciti, 
										per esempio a Piazza Barberini, abbiamo 
										fatto saltare un camion con dentro 
										qualche decina di Tedeschi, o per 
										esempio a Regina Coeli, o per esempio 
										all'Hotel Flora.
 Però, Le dicevo, inizialmente i Tedeschi 
										non ricorsero alla rappresaglia perché 
										speravano di beccarci attraverso le 
										taglie. Lei sa che c'era anche questo 
										criterio, questo sistema. Lei sa che 
										Celeste Di Porto, la famosa Pantera 
										Nera, si vendeva ai suoi correligionari 
										ebrei a 5.000 lire l'uno, 5.000 lire era 
										anche una bella somma anche allora.
 E questo accadeva anche per noi.
 L'azione che ha fatto saltare un 
										deposito di macchine a Via Barberini ha 
										comportato una taglia di 250.000 lire, e 
										così via. Su ogni azione mettevano dei 
										manifesti dicendo: "... azione..... 
										diamo 250.000 lire a chi permette 
										di...", e hanno fatto buca, e quello 
										perché la popolazione non aveva nessuna 
										voglia di collaborare con loro.
 Noi abbiamo fatto anche dei comizi in 
										piazza, in mezzo alla gente. Non voglio 
										parlare sempre di Centocelle, dove mi è 
										capitato di vedere la gente che si 
										radunava intorno a noi mentre facevamo i 
										comizi e i soldati Tedeschi che si 
										barricavano dentro un negozio abbassando 
										una saracinesca, proprio in Piazza dei 
										Mirti. Però, anche altrove, la gente ci 
										proteggeva e ci difendeva sempre, 
										regolarmente.
 Se non ci fosse stato questo ci 
										avrebbero preso subito.
 
 D.: Se dopo l'attentato di Via Rasella 
										non ci fosse stata la rappresaglia come 
										vi sareste comportati?
 
 R.: Avremmo continuato a fare quello che 
										abbiamo fatto, perché noi abbiamo 
										continuato a fare azioni militari contro 
										i Tedeschi anche dopo l'azione di Via 
										Rasella.
 E tenga conto che qualche giorno dopo... 
										no, qualche settimana dopo, anzi, 
										l'azione di Via Rasella, il tradimento 
										di Blasi ci ha mandato tutti in galera. 
										Cioè, siamo rimasti in quattro fuori, e 
										siamo stati dislocati nelle zone delle 
										montagne intorno a Roma.
 I G.A.P. furono ricostituiti con 
										elementi nuovi però arrivarono gli 
										Alleati. Hanno fatto qualche azione ma 
										non fecero in tempo ad entrare 
										seriamente in combattimento.
 
 D.: E gli uomini che finirono in galera 
										che sorte ebbero?
 
 R.: Furono condannati a morte. Furono 
										condannati a morte e dovevano essere 
										fucilati il 4 giugno. Furono messi sul 
										camion il 4 giugno da Via Tasso e 
										dovevano essere portati alla Storta.
 Il caso volle che il camion su cui 
										stavano loro, che era il penultimo - 
										Bozzi e gli altri che sono finiti alla 
										Storta stavano in camion precedenti - il 
										camion su cui stavano loro fu sabotato e 
										il camion successivo, che era un camion 
										delle SS, fece scendere questi qui, li 
										rimandò dentro le prigioni di Via Tasso, 
										e si presero loro il camion...
 Cioè, il camion delle SS fu sabotato, 
										quindi questi che stavano sul penultimo 
										camion furono rimandati nelle celle di 
										Via Tasso e in questo modo si salvarono 
										la pelle, ed erano Carlo Salinari, 
										Luigino Pintor, Franco Ferri e altri.
 
 D.: Ma da chi fu sabotato il camion 
										delle SS?
 
 R.: Questo non glielo so dire.
 
 D.: Perché fu scelta proprio Via Rasella 
										per l'attentato, e non un'altra strada?
 
 R.: Perché era una strada 
										sufficientemente deserta, 
										sufficientemente stretta, che creava 
										meno rischi per la popolazione.
 
 D.: Perché fu scelto proprio il 23 
										marzo?
 
 R.: Perché era l'anniversario dei Fasci 
										di Combattimento, ma l'azione contro 
										quel reparto, come ripeto, era già stata 
										studiata e approntata anche al di là del 
										23 marzo. L'avremmo attaccato lo stesso.
 
 D.: Da chi giunse l'ordine dell'agguato 
										di Via Rasella?
 
 R.: Dal comando dei G.A.P.
 
 D.: Chi?
 
 R.: Giorgio Amendola.
 
 D.: Come mai non fu deciso di attaccare 
										ad esempio un corteo fascista, visto che 
										l'ordine di rinunciare alla 
										manifestazione - quella fascista - per 
										la città era giunto appena la sera del 
										22?
 
 R.: Noi i fascisti li avevamo già 
										attaccati in Via Tomacelli, ma non 
										avevamo attaccato il corteo, perché non 
										attaccavamo i civili, abbiamo attaccato 
										un reparto della Guardia Nazionale 
										Repubblicana che precedeva il corteo. 
										Era il 10 marzo, cioè quando i fascisti 
										si permisero di fare la commemorazione 
										di Bassini. Attaccammo e distruggemmo 
										questo reparto, lasciandone sul terreno 
										parecchi...
 
 D.: Ci fu una rappresaglia?
 
 R.: No, non ci furono rappresaglie.
 
 
 D.: Come mai?
 
 R.: .... Ordine del Comando Tedesco: che 
										i fascisti non uscissero più in pubblico 
										perché i romani non li volevano vedere. 
										Non solo, ma i fascisti per il 23 marzo 
										avevano ipotizzato una grande 
										manifestazione alla Piramide, e noi 
										avremmo preparato un doppio attacco, uno 
										alla Piramide e uno a Via Rasella. 
										Quello della Piramide non poté più 
										essere portato a termine - per questo ci 
										avanzò il tritolo - perché i Tedeschi 
										dettero l'ordine ai fascisti di non fare 
										nessuna manifestazione pubblica.
 
 D.: Si è insistito molte volte, ed anche 
										Lei lo ha affermato in questa sede, che 
										i Tedeschi uccisi in Via Rasella fossero 
										delle SS, invece non è vero.
 
 R.: Erano membri di un reggimento voluto 
										da Himmler, tenuto a battesimo da 
										Himmler - c'è una documentazione per 
										questo - che si chiamava SS Polizei 
										Regiment Bozen, cioè non erano SS come 
										struttura politica organizzativa, però 
										era un reggimento di polizia militare 
										delle SS, e nel titolo del reggimento 
										c'è proprio "SS Bozen Regiment".
 
 D.: Guardi che erano uomini della 
										polizia territoriale.
 
 R.: No, è falso, falso.
 
 D.: Gli uomini del Bozen erano di 
										nazionalità italiana. Molti di essi 
										avevano combattuto nell'Esercito 
										Italiano in Russia.
 
 R.: No, non è vero, erano di nazionalità 
										germanica, e molti di loro avevano 
										lottato per la nazionalità germanica 
										prima... nel 1938 quando ci fu l'accordo 
										sull'Alto Adige tra Mussolini e Hitler.
 ...Ma anche molti fascisti avevano 
										combattuto nell'Esercito Italiano. Il 
										fatto poi, che fossero italiani non 
										aveva significato. Per noi avevano una 
										divisa nemica, erano nemici. Cioè, anche 
										i fascisti erano italiani, che 
										ragionamento è? Certo, avevano fatto la 
										guerra, stavano da una parte e 
										dall'altra, ci siamo sparati, ci hanno 
										ammazzato loro, li abbiamo fatti fuori 
										noi, ci siamo sparati. Ma questa cosa è 
										un'altra delle cose sciocche... un altro 
										degli argomenti sciocchi che vengono 
										tirati fuori. Che significava "erano 
										dell'Alto Adige"? E se fossero nati a 
										Roma? Avevano la divisa tedesca, dei 
										soldati tedeschi, stavano in un 
										reggimento di polizia militare... 
										territoriale, che significa 
										territoriale? Certo, mica volavano, non 
										erano mica uccellini. Territoriali un 
										cavolo, questi erano... si stavano 
										preparando a fare la guerriglia 
										antipartigiana, come hanno fatto altri 
										del loro stesso reggimento.
 Le ho citato l'esperienza del II° 
										Battaglione - perché questo era il III° 
										Battaglione che si stava addestrando 
										nelle operazioni antiguerriglia a Roma - 
										quelli del II° Battaglione sono i 
										responsabili delle stragi del Biois, di 
										Falcade e di 80 rastrellamenti nel 
										bellunese.
 Quelli del I° Battaglione sono 
										responsabili di una quantità di stragi e 
										di attività che non conosco peraltro, 
										per cui non posso documentarmi, mentre 
										quelli del II° sì, che hanno operato a 
										Fiume, e io non credo che questi qui che 
										operavano a Fiume e in Istria fossero 
										tanto più teneri nei confronti degli 
										slavi di quanto lo siano stati nei 
										confronti degli italiani nel bellunese.
 
 D.: Comunque voi avete colpito il 
										battaglione più innocuo.
 
 R.: Abbiamo colpito un battaglione il 
										quale quel giorno - questo è stato... 
										l'abbiamo saputo dopo, ovviamente - 
										aveva finito le esercitazioni per essere 
										impiegato nelle operazioni 
										antiguerriglia probabilmente in questo 
										senso, in questo senso probabilmente 
										erano dei territoriali, perché dovevano 
										fare delle azioni antiguerriglia.
 
 D.: Durante l'esplosione della bomba 
										morirono anche 7 civili, fra cui un 
										bambino. E' stato il senso di colpa a 
										far sì che ostinatamente da parte 
										partigiana non si sia mai voluto 
										ammettere che ci siano stati dei morti 
										italiani eccetto i sud-tirolesi?
 
 R.: Guardi, durante... con l'esplosione 
										della bomba non è morto nessun italiano.
 Io ho fatto delle ricerche all'Anagrafe 
										di Roma, e non risulta nessun italiano 
										morto quel giorno per cause di guerra, 
										mentre risultano quelli che sono morti 
										il giorno dopo alle Fosse Ardeatine.
 Le dirò di più, no, perché il discorso 
										va completato.
 Recentemente ho avuto testimonianza - 
										credo che ne parli De Simone nel libro 
										che sta uscendo in questi giorni, "Roma 
										Prigioniera" - che due persone sono 
										state... due italiani sono... Robert 
										Katz nel suo libro libro parla di un 
										italiano, l'autista di Caruso, morto per 
										una pallottola vagante il 23 marzo. 
										Caruso era il Questore di Roma della 
										polizia fascista romana. Il Prof. 
										Starelli parla di due ragazzi, o un uomo 
										e un vecchio, non è chiara la questione, 
										che ha visto tra i cadaveri dei soldati 
										tedeschi, e che possono essere stati 
										uccisi successivamente in seguito alla 
										reazione spropositata che i Tedeschi 
										hanno avuto.
 
 D.: Coloro...
 
 R.: Aspetti. Un altro caso che mi è 
										stato raccontato recentemente proprio da 
										De Simone: sembra che ci sia al Verano 
										la tomba di un ragazzo che è morto il 23 
										marzo, un garzone che è morto il 23 
										marzo in Via Rasella.
 Però di questi 7 di cui si parla nessuno 
										ne ha mai parlato del nome e cognome e, 
										torno a dirle, all'Anagrafe non sono 
										registrati.
 Questi tre casi, io ho sentito delle 
										testimonianze e non posso escluderli, ma 
										certamente non sono stati colpiti dalle 
										bombe partigiane.
 
 D.: Beh, non lo può escludere, come fa 
										ad escluderlo?
 
 R.: Lo posso quasi escludere, perché non 
										c'era nessuno sulla strada. Lo posso 
										quasi escludere. Sa, Lei tenga conto che 
										Roma non era una città affollata in 
										quell'epoca. Tenga conto che, beh, 
										insomma, era una città semideserta.
 
 D.: Che ruolo ebbe Antonio Rezza?
 
 R.: Nessuno.
 
 D.: E la sua nipotina?
 
 R.: Nessuno.
 
 D.: Lei conosce il libro di Giorgio 
										Rossi?
 
 R.: Sì, ma la questione della 
										partecipazione di Antonio Rezza è pura 
										fantasia romanzistica. Toto Rezza è 
										stato un partigiano gappista che ha 
										fatto parte dei G.A.P di zona, non ha 
										mai fatto parte dei G.A.P. centrali, che 
										è venuto anche con me una volta al FUOP 
										(?), e che poi non fu accolto nei G.A.P. 
										centrali, o soltanto marginalmente, e 
										che poi invece è morto in combattimento 
										sul fronte di Alfonsine, nella battaglia 
										di Alfonsine, insieme ad un altro nostro 
										compagno, Silvio Serra, che invece era 
										della sede.
 
 D.: Come mai si fa tanto mistero sugli 
										uomini che nel complesso hanno 
										partecipato all'azione di Via Rasella?
 
 R.: Nessuno ha fatto mistero, soltanto 
										che si è voluto creare l'uomo-simbolo, e 
										purtroppo l'uomo-simbolo sono io.
 Dico purtroppo per quanto riguarda il 
										costo che ho pagato nella mia vita per 
										questo fatto, non perché io abbia 
										qualsiasi preoccupazione nel ritenere 
										che Via Rasella non fosse giusto farla o 
										che comunque non dovesse essere fatta la 
										Resistenza anche militare, l'esempio che 
										Le ho portato chiacchierando, della 
										vespa che punge e mi fa un pomfo, e 
										delle cento vespe che invece mi 
										ammazzano, è quello che significava la 
										Resistenza.
 
 D.: E' detto da molti che diversi uomini 
										che hanno fatto parte del gruppo di Via 
										Rasella poi sono stati arrestati dai 
										fascisti e sono passati armi e bagagli 
										all'altra parte.
 
 R.: No, questo è stato vero solo per 
										Guglielmo Blasi, il quale però non è 
										stato arrestato come antifascista. La 
										storia di Guglielmo Blasi è molto più 
										pesante.
 Guglielmo Blasi - e questo noi non lo 
										sapevamo, e il Comando non lo sapeva - 
										era un pregiudicato, ed è stato beccato 
										mentre con documenti tedeschi falsi che 
										noi avevamo, e con una pistola in tasca, 
										di notte stava svaligiando un negozio.
 Fu preso e non aveva scampo, era 
										condannato a morte, e allora lui disse: 
										"Alt, Signori, io sono uno di quelli che 
										hanno fatto l'azione di Via Rasella," - 
										ed era vero, c'era stato anche lui - "Se 
										voi mi salvate la pelle, io vi faccio 
										arrestare... Spartaco, Cola e 
										quant'altri", e li fece arrestare. Di 
										più, fece arrestare una quantità 
										notevole di compagni perché tra l'altro 
										lui era stato tra i G.A.P. della VI° 
										Zona, che era quella che gravitava 
										intorno a San Giovanni, e fece arrestare 
										una quantità di compagni, e pare che 
										partecipasse anche all'azione in cui 
										trovò la morte Colorni, però poi lui è 
										stato nella banda koch, e anche nelle 
										altre. Però è l'unico che è passato 
										dall'altra parte.
 
 D.: Gli uomini del CLN come 
										considerarono l'attentato di Via Rasella, 
										o l'azione di Via Rasella?
 
 R.: Ma, guardi, ci sono state opinioni 
										difformi. Amendola l'aveva raccontato 
										molto bene. Da parte della Democrazia 
										Cristiana ci sono state delle riserve, 
										da parte dei liberali anche, meno e 
										certamente no da parte dei socialisti e 
										da parte del Partito d'Azione. Tra 
										l'altro Giorgio Amendola raccontava che 
										subito dopo l'azione di Via Rasella lui 
										doveva avere una riunione del CLN con De 
										Gasperi, al Palazzo di Propaganda Fide, 
										quindi a pochi metri da Via Rasella, in 
										Piazza di Spagna, De Gasperi gli disse: 
										"Ho sentito un botto. Siete stati voi?", 
										e la cosa finì lì.
 
 D.: La cittadinanza romana fu concorde 
										nel deplorare la strage, e perfino il 
										giornale antifascista "Italia Nuova" la 
										ritenne insensata.
 
 R.: Se Lei parla di strage penso che si 
										riferisca alla strage delle Ardeatine.
 
 D.: No, si riferisce a Via Rasella.
 
 R.: Bene, chi dice che Via Rasella è 
										stata una strage - non posso dire le 
										parolacce per televisione - è quanto 
										meno uno sciocco.
 Via Rasella è stata un'azione di 
										combattimento regolata, indetta e 
										portata avanti da combattenti regolari 
										che per quella azione sono stati 
										decorati al Valor Militare.
 Quella azione ha comportato anche dei 
										riconoscimenti da parte del Parlamento 
										del Governo Italiano quando in qualche 
										occasione qualcuno si è permesso di 
										intervenire.
 Quell'azione ha provocato da parte di 
										alcuni familiari, di 5 familiari, 6... 5 
										familiari dei 335 martiri delle Fosse 
										Ardeatine un'azione giudiziaria.
 Il Tribunale di Roma, la Corte d'Appello 
										di Roma, la Cassazione a sezioni riunite 
										riconoscono la legittimità dell'atto di 
										guerra di Via Rasella, riconoscono la 
										legittimità dell'azione svolta dai 
										partigiani e addirittura, in Corte 
										d'Appello e in Tribunale, ci sono motivi 
										di elogio nei confronti dei partigiani 
										che hanno condotto quell'azione..
 Ovviamente la Cassazione si è limitata a 
										dare una risposta di carattere 
										giuridico.
 
 
 D.: Io ho parlato con molti ebrei e 
										anche con molti familiari delle vittime. 
										Deplorano decisamente l'azione di Via 
										Rasella.
 
 R.: Non lo metto in dubbio, però ci sono 
										molti altri che non la deplorano, tanto 
										è vero che Lei sa probabilmente che il 
										1° marzo di quest'anno, proprio sulla 
										base di un'iniziativa presa da un gruppo 
										di ebrei romani, io ho partecipato con 
										dei discorsi ad un dibattito su Via 
										Rasella a cui ha aderito anche la 
										Comunità Israelitica di Roma.
 
 D.: Che vi aspettavate che potesse 
										accadere dopo i 33 morti dell'attentato? 
										Che i Tedeschi avessero rinunciato alla 
										rappresaglia come nei 13 casi 
										precedenti?
 
 R.: A prescindere dal fatto che noi 
										questo problema non ce lo siamo posto: 
										noi non ci aspettavamo né che facessero 
										la rappresaglia, né che non la 
										facessero. Sapevamo comunque che se 
										avessero fatto una rappresaglia 
										avrebbero subito, oltre la sconfitta 
										militare che avevano subito in Via 
										Rasella, anche una sconfitta politica - 
										come è stato - gravissima.
 Ma c'è di più. Il problema della 
										rappresaglia noi ce lo siamo posto al 
										principio, e non solo noi. Tutte le 
										Resistenze di tutta l'Europa - Francia, 
										Belgio, Norvegia, Olanda, Jugoslavia, 
										Cecoslovacchia, Russia, Polonia, il 
										problema della rappresaglia ce l'avevano 
										ben presente.
 Ecco, il discorso era questo: dovevamo 
										accettare il ricatto? Noi ci siamo 
										risposti di no, e sapevamo che queste 
										azioni che noi portavamo a termine 
										avrebbero potuto comportare delle 
										rappresaglie.
 C'é di più: quando si dice, come dicono 
										molti che non sanno bene come vanno le 
										cose, "ma non doveva essere fatta in 
										città, doveva essere fatta fuori dalla 
										città", io invito coloro che dicono 
										questo a farsi una passeggiata a 60 Km. 
										da Roma, sul Monte Tancia, sopra Poggio 
										Catino.
 Sul Monte Tancia c'era una brigata 
										partigiana che ha combattuto duramente 
										contro i Tedeschi e che è stata 
										sconfitta, in cui la maggioranza dei 
										partigiani si è salvata la pelle perché 
										6 ragazzi, uno dei quali era un compagno 
										che aveva fatto parte dei G.A.P. 
										centrali, 6 ragazzi con una 
										mitragliatrice si sono messi sulla cima 
										del monte e hanno contenuto l'attacco 
										della divisione Göring e di due 
										battaglioni di Camicie Nere. Sono morti 
										con la mitragliatrice.
 Poi sono arrivati i Tedeschi e hanno 
										scannato come vitelli una trentina di 
										persone, donne, bambini e vecchi perché, 
										visto che avevano ammazzato i 
										partigiani, non c'era più nessuno.
 
 D.: Si è detto molte volte che la notte 
										tra il 23 e il 24 marzo, cioè prima che 
										fosse compiuta la rappresaglia delle 
										Ardeatine, Pietro Koch riuscì a 
										catturare Franco Calamandrei, che però 
										fu rilasciato perché non si riuscì ad 
										identificarlo. Inoltre Pietro Koch 
										riuscì a sapere anche il nome di 
										battaglia di chi aveva acceso la miccia 
										della bomba di Via Rasella. Come si sono 
										svolti i fatti e quella notte come 
										l'avete vissuta?
 
 R.: Guardi, questa è una cosa che io per 
										la verità tra le tante sciocchezze... 
										dello sciocchezzaio intorno a Via 
										Rasella questa cosa non l'avevo sentita 
										mai.
 Calamandrei non fu arrestato quella 
										notte, e i Tedeschi e i fascisti fino a 
										quando non presero Blasi non capirono 
										mai com'era avvenuta l'azione di Via 
										Rasella. Non l'hanno mai capito. Hanno 
										parlato di bombe di mortaio sparate dal 
										Quirinale, hanno parlato di un ordigno 
										lasciato cadere da una finestra di 
										Palazzo Tittoni, hanno parlato di tutto 
										ma non hanno mai saputo come è avvenuta 
										la dinamica di Via Rasella. Gliel'ha 
										raccontato Blasi, e Blasi poté dire 
										soltanto il mio pseudonimo perché non 
										sapeva come mi chiamavo, e disse che era 
										Paolo, studente in medicina. Però fece 
										arrestare Calamandrei e Salinari, tanto 
										è vero che Koch pagò un milione di lire 
										a quelli che avevano arrestato Salinari 
										e poi disse a Salinari: "Ecco, c'è 
										pronto un milione per te se mi dici chi 
										è Paolo", se mi dici chi è Paolo, non 
										come prenderlo. E Salinari gli sputò in 
										faccia, e poi lo pestarono. Lo pestarono 
										di botte, lo massacrarono Carlo.
 
 D.: Quand'è che fu arrestato Blasi?
 
 R.: Blasi è stato arrestato... Blasi è 
										stato preso dai Tedeschi verso la fine 
										di aprile, i primi di maggio, non mi 
										ricordo... verso la fine di aprile.
 Poi, dopo prese contatto con il Questore 
										Caruso al quale raccontò tra l'altro, 
										per farsi credito... che noi stavamo 
										preparando un attacco alla sua 
										abitazione, che sapevamo gli orari, dove 
										mangiava, dove usciva, con chi andava, 
										ecc. ecc.. Blasi era uno di quelli che 
										con noi aveva fatto questa azione di 
										individuazione e di studio per eliminare 
										questo personaggio terribile. Ora, 
										questa cosa gli dette credito.
 Poi Calamandrei, arrestato insieme a 
										Salinari, fu portato alla Pensione 
										Iaccarino in Via Romagna, evidentemente 
										non era ben sorvegliata perché riuscì a 
										scappare dalla finestra del bagno. Così 
										venne ad avvertire il Comando: "Badate 
										che Blasi ha tradito" disse, perché 
										Blasi, quando si è presentato da 
										Salinari e dagli altri compagni che poi 
										ha fatto arrestare, Raul Falcioni, 
										Duilio Rigioni... si è presentato come 
										uno che era riuscito a farla franca, e 
										invece aveva i fascisti intorno che 
										arrestavano man mano che lui si 
										allontanava.
 Calamandrei ci avvertì, perché se io 
										avessi incontrato Blasi gli sarei andato 
										incontro - io non lo conoscevo come 
										Blasi, ma come Guglielmo - gli sarei 
										andato incontro: "Oh, bravo, te la sei 
										cavata", però, avvertiti che fummo, se 
										incontravamo Blasi gli sparavamo, 
										ovviamente.
 
 D.: Quella notte come la trascorreste?
 
 R.: Ma, io... ci dividemmo. Non tornai 
										al deposito di Via Marc'Aurelio. Carla, 
										io, Giulio Cortini e la moglie fummo 
										ospitati da una signora ebrea che era la 
										moglie di un grande eroe della Prima 
										Guerra Mondiale, Medaglia d'Oro, che era 
										stato tra l'altro anche un quadro 
										fascista, che però era morto qualche 
										anno prima. Il fatto di essere stato 
										Medaglia d'Oro e quadro fascista non 
										aveva esentato sua moglie e i suoi figli 
										dalla persecuzione antiebraica, comunque 
										era una casa che ci sembrava abbastanza 
										tranquilla. E lì passammo la notte; 
										ricordo, c'era la foto del marito, 
										giovane ragazzo, era chiamato il Caimano 
										del Piave, era uno di quelli che... col 
										coltello fra i denti attraversava il 
										Piave a nuoto, andava dall'altra parte e 
										colpiva a pugnalate gli austriaci di 
										guardia dall'altra parte del Piave, era 
										un Ardito. Stemmo lì, dove c'erano tra 
										l'altro tutti i ricordi di questo 
										personaggio straordinario così 
										coraggioso, così patriotticamente 
										importante, in questa specie di 
										sacrario. Passai fino alle tre, le 
										quattro del mattino a giocare a scacchi 
										con il figlio di questo eroe della Prima 
										Guerra Mondiale.
 
 D.: Come si chiamava?
 
 R.: Ma, non c'è bisogno.
 
 D.: Senta, Lei ha conosciuto Massimo De 
										Massimi?
 
 R.: Mai.
 
 D.: Eppure questo signore ha pubblicato 
										su un giornale che si chiamava "Italia 
										Monarchica", nel '49 un articolo... 
										oppure, ha pubblicato una testimonianza 
										che La riguarda.
 Lui afferma che la notte tra il 23 e il 
										24 marzo Lei, insieme a Carla Capponi e 
										Calamandrei, sia stato ospite di casa 
										sua...
 
 R.: Questo è un mentitore che sa di 
										mentire.
 
 D.: ...e dice anche delle cose che 
										risulterebbero un po' compromettenti.
 
 R.: La so la storia. Ma guardi che 
										questo è un mentitore che sa di mentire, 
										e su queste cose, in questi 
										cinquant'anni, su questa cosa me ne sono 
										capitati tanti mentitori che sanno di 
										mentire.
 Le posso raccontare che queste cose mi 
										sono capitate anche prima, e cioè nel 
										corso della Resistenza. Quando stavo a 
										Palestrina - dopo il tradimento di Blasi 
										io fui mandato a comandare i reparti 
										partigiani di Palestrina - mi è capitato 
										di conoscere due Carabinieri che mi 
										raccontarono come avevano fatto l'azione 
										di Via Rasella.
 
 Ho letto su alcuni libri di gente che 
										dice di ricordare delle cose 
										completamente false su questo problema.
 E Le potrei dire di più, che una mia 
										amica, una persona di altissimo livello 
										culturale, e che ha vissuto quei fatti 
										in qualche modo insieme a noi, anche se 
										non faceva parte dei G.A.P., arriva 
										addirittura a dire - questo fra l'altro 
										fa riflettere sulla verità di certe 
										testimonianze - e non lo dice in 
										malafede, guardi, lo dice in perfetta 
										buonafede, arriva addirittura a dire di 
										aver letto lei i manifesti con cui 
										Kesserling chiedeva a quelli che avevano 
										fatto l'azione di Via Rasella a 
										presentarsi, noti che questo è stato 
										smentito. Oltre ad essere impossibile, 
										perché l'azione di Via Rasella è 
										avvenuta alle alle 15.45 del 23, e la 
										rappresaglia è cominciata alle 14.00 del 
										24, quindi non c'era proprio il tempo 
										materiale perché fosse emesso un 
										qualsiasi comunicato. Ma racconta di 
										averlo letto lei, e badi che è stata 
										smentita sia da Kesselring, sia da 
										Kappler, i quali hanno detto che il 
										manifesto non l'hanno messo, e non hanno 
										voluto avvertire dopo quell'azione 
										perché -ha detto Kappler testualmente- 
										Roma era una città esplosiva.
 Tra l'altro questa è una risposta a 
										quella sua prima domanda, che chiedeva 
										se Roma era una città tranquilla, 
										tutt'altro che tranquilla. Kappler 
										disse: "Roma era una città esplosiva, e 
										non sapevamo che cosa potesse venir 
										fuori se avessimo annunciato la 
										rappresaglia", per cui la rappresaglia è 
										stata fatta nella più grande segretezza.
 
 D.: Senta, però la Stazione Radio Roma 3 
										trasmise la richiesta agli attentatori 
										di presentarsi...
 
 R.: Non è vero, non è vero. E' falso. 
										Questa è un'altra sciocchezza inventata 
										da un sacerdote dei Salesiani che è 
										stata pubblicata sulla Stampa di qualche 
										mese fa, e a cui ho fatto una rettifica, 
										e il Salesiano non mi ha risposto.
 
 D.: Senta, si ebbe...
 
 R.: La notizia dell'azione di Via 
										Rasella e della rappresaglia avvenuta è 
										stata data dalla Stefani la sera del 24, 
										a rappresaglia avvenuta, cioè dopo le 
										8.00, perché la rappresaglia finiva alle 
										8.00 di sera, ed è stata pubblicata dai 
										giornali del mattino a mezzogiorno, 
										perché allora i giornali uscivano a 
										mezzogiorno in quanto, essendoci il 
										coprifuoco, i tipografi non potevano 
										andare la notte a stampare il giornale.
 Quindi, niente, Le garantisco che ci si 
										può fare un volume alto così sullo 
										sciocchezzaio che è stato raccontato e 
										detto intorno a Via Rasella.
 
 D.: Senta, però mi è stato detto, a 
										proposito della testimonianza di Massimo 
										De Massimi, che Lei non ha contestato 
										questa cosa con...
 
 R.: Ma, guardi, io non ho mai... io non 
										ho mai saputo che Massimo De Massimi 
										parlasse di me, so che parlava di 
										Calamandrei.
 
 D.: Sì, ma anche di Lei.
 
 R.: Ma, in ogni caso io Le posso dire 
										anche il nome di dove stavo, non lo 
										voglio dire per delicatezza nei 
										confronti delle persone che mi hanno 
										ospitato, perché... Comunque erano degli 
										ebrei. Molto famosi. Molto, molto 
										famosi.
 
 D.: Senta, su qualche libro si 
										accennerebbe alla possibilità che il 
										Vaticano abbia saputo della rappresaglia 
										che si stava organizzando, e non abbia 
										potuto fare molto per evitarla...
 
 R.: Guardi, su questa questione... Non 
										c'è dubbio che sugli atti della Santa 
										Sede... se vuole glieli faccio vedere, 
										perché ce li ho. Sugli atti della Santa 
										Sede c'è scritto che un certo Ing. 
										Ferrero è stato alle dieci e un quarto 
										in Vaticano, alle dieci e un quarto, 
										cioè la mattina del 24, alle dieci e un 
										quarto, al Vaticano per avvertire che ci 
										sarebbe stata la rappresaglia, e di 
										questo non c'è dubbio.
 E' possibile che Pio XII non sia stato 
										informato di questo fatto.
 Ma c'è di più. C'è stata una biografia 
										di Pio XII, scritta da Antonio Spinosa, 
										il quale continua a sostenere che Pio 
										XII non sapesse niente, e trasferisce 
										quella data, 24 marzo, ore 10.30, 
										pubblicata dalla Santa Sede, dagli atti 
										della Santa Sede, al 25 marzo, ore 
										10.30, probabilmente, e 
										involontariamente, commettendo un falso 
										storico.
 Se fosse vero quello che dice Spinosa, 
										beh, non c'è dubbio, l'annuncio sarebbe 
										arrivato il 25. Ma la Santa Sede dice 
										che l'annuncio è arrivato il 24 marzo, e 
										quindi l'ipotesi corrisponderebbe ad una 
										qualche realtà.
 Io non credo assolutamente che il 24 
										marzo l'annuncio non fosse stato dato al 
										Papa.
 C'è di più. Questo episodio è stato 
										riportato in un romanzo americano, mi 
										pare si chiami "Cent'anni", o "Un 
										secolo", in cui l'autore americano, 
										raccontando bene, con sufficiente 
										abbondanza di particolari, l'azione di 
										Via Rasella, perché poi introduce tra i 
										martiri delle Ardeatine uno dei suoi 
										personaggi, che per altro non 
										corrisponde ai nomi dei caduti delle 
										Ardeatine, racconta anche con 
										sufficiente verosimiglianza, e quindi 
										l'informazione può averla avuta, così 
										come aveva avuto l'informazione corretta 
										dell'azione di Via Rasella e della 
										strage delle Ardeatine, racconta con 
										sufficiente verosimiglianza lo stato 
										d'animo del Vaticano in quella sera tra 
										il 23 e il 24. Se vuole glielo faccio 
										vedere.
 
 Io ho saputo dell'avvenuta rappresaglia 
										il 24 marzo alle ore 12.00 quando 
										davanti al giornale "Il Messaggero" ho 
										comperato il giornale e ho letto il 
										comunicato dei Tedeschi in cui si diceva 
										appunto "Quest'ordine è già stato 
										eseguito". In quel momento l'ho saputo.
 La nostra reazione. Ci arriva l'ordine 
										del Comando Militare di preparare subito 
										una risposta alla rappresaglia, e noi la 
										prepariamo. E avevano preparato 
										l'attacco al reparto di polizia che 
										faceva la guardia a Regina Coeli di cui 
										conoscevamo il passaggio dei camion per 
										le vie di Roma.
 Eravamo già pronti per fare l'azione e 
										all'ultimo momento ci è venuto il 
										contrordine che l'azione non si doveva 
										più fare.
 
 D.: Perché?
 
 R.: Beh, probabilmente proprio perché si 
										era creata una certa polemica 
										all'interno del CLN, cioè il CLN aveva 
										deciso di non fare la rappresaglia che 
										peraltro era già stata ordinata dal 
										nostro Comando.
 
 D.: ... fare?
 
 R.: No, di non fare l'azione... Noi 
										dovevamo fare l'azione di risposta alla 
										rappresaglia attaccando un camion e 
										facendo fuori i Tedeschi che stavano 
										dentro questo camion.
 
 D.: Ma l'Articolo 29 della Convenzione 
										dell'Aja non affermava che era proibito 
										attaccare uomini in divisa di un 
										esercito senza avere una divisa e far 
										parte di un altro esercito, e che azioni 
										di questo tipo comportavano poi la 
										rappresaglia con uno a dieci ?
 
 R.: Guardi, due cose: primo, sì, esiste 
										questo articolo e lo sapevamo, e lo so. 
										Si trattava di dire che non dovevamo 
										fare la Resistenza. Le rappresaglie... 
										quell'Articolo indica anche come devono 
										essere fatte le rappresaglie, e non è 
										stato questo il modo in cui l'hanno 
										fatta i Tedeschi.
 Difatti, si dice in genere che Kappler è 
										stato condannato soltanto per 5 uomini 
										in più che ha ammazzato.
 Non è esatto. Kappler è stato condannato 
										per i 5 uomini in più non perché i 330 
										corrispondessero al diritto di 
										rappresaglia, ma perché, essendosi egli 
										appellato al fatto di aver eseguito un 
										ordine, l'ordine era che ne uccidesse 
										solo 330, mentre invece ne aveva uccisi 
										335. Quindi non c'è stato il 
										riconoscimento della legittimità 
										dell'ordine, ma il fatto che lui ha 
										sopravanzato l'ordine stesso.
 
 D.: Aveva sbagliato Caruso che ne aveva 
										fatti consegnare 55 invece di 50.
 
 R.: Aveva sbagliato Priebke, che non 
										aveva tenuto i conti, avevano sbagliato 
										tutti, però l'ergastolo se l'è beccato 
										Kappler.
 Kappler è stato condannato all'ergastolo 
										per quei 5 in più, quei 5 in più in 
										quanto, essendosi egli appellato al 
										fatto di aver avuto un comando 
										gerarchicamente valido e a cui non si 
										poteva sottrarre, aveva fatto 5 morti in 
										più.
 Però, responsabilità è anche di Pribke, 
										è anche di Caruso e di quant'altri non 
										ha tenuto bene i conti...
 Comunque, un'altra cosa è importante per 
										quanto si riferisce al diritto di 
										rappresaglia... Il diritto di 
										rappresaglia deve essere specificato nei 
										confronti di azioni dicendo: "Questi 
										sono gli ostaggi", non "Dieci italiani 
										per ogni tedesco", ma "Questi sono gli 
										ostaggi che noi abbiamo individuato se 
										accade questo", questo precisa... 
										l'Articolo 29 della Convenzione 
										Internazionale dell'Aja.
 Io ho visto dei manifesti fatti 
										affiggere da comandi germanici che si 
										erano mantenuti nell'ambito della Legge 
										dell'Aja, per esempio a Faenza, 
										recentemente, nel museo della Resistenza 
										che sta ad Altocielo, in una località di 
										montagna sopra Faenza dove c'è stata una 
										grossa battaglia partigiana, ho visto 
										questo manifesto in cui il comandante 
										tedesco dice: "Signori, io non voglio 
										più attacchi alle truppe tedesche, per 
										cui gli abitanti del tale villaggio, o 
										del tale paese che... nel caso avverrà 
										un attacco... saranno fucilati". Cioè, 
										faceva riferimento al gruppo degli 
										ostaggi, non genericamente dieci 
										italiani per ogni tedesco, ma al gruppo 
										degli ostaggi e al tipo di azione di 
										sabotaggio che avrebbe provocato questa 
										rappresaglia.
 
 In riferimento alla rappresaglia, devo 
										precisare che von Keitel, comandante 
										generale dell'esercito tedesco, è stato 
										condannato al processo di Norimberga, 
										condannato a morte anche per questo 
										episodio, che faceva parte dei capi di 
										imputazione che gli erano stati 
										addebitati.
 E sul problema della rappresaglia voglio 
										citare una frase della sentenza del 
										processo di Norimberga: "La rappresaglia 
										di guerra contro le popolazioni civili, 
										contro prigionieri di guerra o persone 
										comunque detenute estranee ai fatti, 
										contro città o villaggi inermi, è un 
										crimine contro l'umanità" e, la sentenza 
										prosegue: "Per un principio morale 
										superiore, ma anche di fronte alle leggi 
										degli uomini, la responsabilità degli 
										orrori di un'ingiusta rappresaglia di 
										guerra ricade solo ed esclusivamente su 
										chi la commette. Essa disonora la divisa 
										dei soldati che la compiono e addita al 
										disprezzo e alla esecrazione la bandiera 
										sotto la quale combattono. Essa umilia e 
										sconfigge in primo luogo la loro stessa 
										gente". Questo ha sancito in modo 
										inequivocabile il tribunale di 
										Norimberga.
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