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N. 73 - Gennaio 2014 (CIV)

INFLUENZE AFRICANE NELL'ARTE EUROPEA
DA MATISSE A GIACOMETTI

di Luigi De Palo

 

L’interesse per l’arte africana era nata negli europei dalle numerose mostre che erano state organizzate in tutte le principali città europee: Lipsia (1892), Anversa (1894), Bruxelles (1897), Colonia (1912), Parigi (1907, 1917, 1919).

 

Obiettivo iniziale di queste mostre era quello di evidenziare quanto bene si stesse facendo in quelle “terre incivili” e in questo modo di convincere l’opinione pubblica della superiorità della civiltà occidentale nei confronti degli autori di quegli artefatti e, quindi, della necessità di una presenza “civilizzatrice”. Queste mostre finirono per influenzare i più importanti artisti europei, che cominciarono a collezionare e realizzare opere ispirate a questi oggetti africani.

 

Un grande artista che prese molto dall’arte africana è sicuramente Picasso, il quale nel 1937, parlando con l’amico André Malraux, riferiva l’emozione provata nel visitare una di quelle esposizioni parigine: «Tutti oggi parlano dell’influsso che i neri hanno esercitato su di me... Quando andai al Vecchio Trocadéro, avrei voluto andarmene subito, ma non riuscivo a distaccarmi da quanto avevo davanti agli occhi. E compresi che mi stava succedendo qualcosa. Le maschere non erano come le altre sculture: erano qualcosa di magico, si ergevano contro tutto, contro gli spiriti ignoti e minacciosi. E io continuavo ad ammirare quei feticci... E capii. Anch’io mi ergo contro tutto. Anch’io credo che tutto è sconosciuto, tutto è nemico».

 

Abbiamo citato Picasso, ma sicuramente la prima grande personalità del 1900 ad essere influenzata dall’arte negra e dalle varie esposizioni del British Museum e del Museo d’etnografia di Parigi, fu senz’altro Henri Matisse, tra i primi dei Fauve a diffondere l’arte negra. In essa Matisse aveva riconosciuto una forza primordiale e un’essenzialità formale estrema.

 

L’interesse di Matisse per l’arte africana si accentuerà nella primavera del 1906 in occasione del suo viaggio in Nord Africa; questo momento coincise con l’ultima fase del cosiddetto periodo Fauve, quindi un periodo di transizione tra le sue prime opere direttamente percettive, essenzialmente post-impressioniste e i suoi stili successivamente più sintetici.

 

Dello stesso anno sono le prime opere di Picasso in questo senso, come Uomo in piedi del 1907. Saranno queste numerose influenze (tra cui anche quella di Maurice Vlaminck, che ha introdotto l’artista alla scultura africana di tipo Fang nel 1904) che lo porteranno al capolavoro Les Demoseilles d’Avignon, in cui le 5 ragazze sono raffigurate tutte in maniera differente: mentra nella figura di sinistra sembra riprendere l’arte egizia, in quelle centrali la scultura iberica, e nelle due a destra abbiamo una drastica riduzione dei lori volumi che deriva dalla scultura africana, a cui il pittore allude sostituendo i volti con maschere primitive.

 

Picasso usò l’arte nera per dare un nuovo significato a quella occidentale post-impressionista, il cui punto culminante, in forma logico-astratta, per la parte non figurativa, era stato Cézanne. Nell’opera di Picasso, attraverso l’abolizione di qualsiasi prospettiva o profondità, si simboleggia una presa di coscienza riguardo a una terza dimensione non visiva, ma mentale.

 

Anche l’atelier del francese Georges Braque (1882-1963), uno dei padri del cubismo, si riempì di oggetti africani. Paladino del principio che «non bisogna imitare, ma creare», Braque constatò che gli artisti neri già lo facevano: «Le loro maschere mi hanno aperto un nuovo orizzonte e permesso di prendere contatto con cose intuitive e con manifestazioni dirette, che andavano contro la falsa tradizione che mi faceva inorridire».

 

Fondamentale per queste due figure sarà lo scrittore Carl Einstein e il suo libro scultura negra, uscito nel 1915; é considerato ancora oggi un classico del genere.

 

Altra grande personalità è André Derain (1880-1954), alla ricerca di nuovi orizzonti, passò dal fauvismo al cubismo. Derain rimase colpito dal museo etnologico di Londra, dove ammirò estasiato le sculture lignee africane: «Ma è prodigioso. È una follia d’espressione!». Rientrato a Parigi, cominciò a collezionare quelle sculture.

 

“L’espressione” di cui parlava Derain fu colta dagli espressionisti che miravano a comunicare un messaggio simbolico (come prodotto di uno stato d’animo), permettendo all’osservatore di partecipare all’impulso creativo. Per loro la plasticità nera era una lezione magistrale d’interazione opera-spettatore.

 

Esempi molto concreti li troviamo nello svizzero Paul Klee (1879-1940), il cui quadro Poster per commedianti (1938) ha evidenti analogie con la pittura mangbetu del Congo, o in Max Ernst (1891-1976), che nella sua Testa di uccello (1934) riprodusse una maschera tusyan della Costa d’Avorio.

 

A subire l’influenza di questa nuova arte, che aveva ormai contagiato tutta Europa, fu anche il capofila del gruppo Die Brucke: Ernst Ludwig Kirchner. I pittori della Brucke prediligono atmosfere cupe e drammatici caratteri esistenziali che entrano in uno sbalorditivo corto circuito con i colori puri e con i ritmi sensuali del Post-impressionismo e dell’arte negra.

 

Questa vicinanza in Kirchner è ben visibile in alcune sue opere giovanili come in Nudo di donna nera, ma è evidente anche in uno dei suoi capolavori come Scena di strada berlinese, dove il pittore tedesco vuole realizzare una pittura libera da schemi, libertà che si traduce in un’assoluta brutalità espressiva che si ricollega appunto all’arte primitiva. Anche i visi delle due prostitute, come in Picasso, ricordano le maschere africane.

 

Un altro artista, sempre del gruppo Die Brucke, influenzato dall’arte esotica e primitiva, è Max Pechstein. Nella sua Natura morta con Idolo dei mari del Sud e fiori ci sembra quasi di vedere una fusione tra Picasso e Matisse: si avverte una ricerca plastica cubista, ma allo stesso tempo c’è un certo decorativismo orientaleggiante di Matisse nell’andamento sinuoso degli steli fioriti.

 

Anche tra le Avanguardie russe si avverte un certo ritorno al passato: se Kandiskij è più interessato all’arte popolare russa (La vita colorata,1907), Natalia Goncarova invece è molto più vicina alla cultura africana, ed è evidente nella sua opera Foresta verde e gialla del 1912.

 

Anche in Italia nasce la necessità di superare le Avanguardie a favore di un ritorno alla tradizione con una ricercata semplificazione degli schemi attraverso un atteggiamento volutamente arcaico e primitivo.

 

Se alcuni di questi artisti tendono più a rifarsi alla tradizione italiana, come De Chirico (il quale nel suo autoritratto prende a modello il ritratto a mezzo busto di impianto rinascimentale), altri invece prendono spunto dall’arte negra.

 

Uno di questi è sicuramente Modigliani il quale, vivendo a Parigi, aveva subito molto l’influenza dei movimenti francesi (sopratutto quella di Brancusi e Picasso) e il loro interesse per il primitivismo. In Nudo sdraiato a braccia aperte del 1917 è evidente la straordinaria sintesi plastica delle forme e l’entusiasmo per la purezza delle linee astratte che gli deriva dall’arte egizia, negra e da Cezanne, mentre il colore è di chiara influenza Fauve.

 

Numerose sono le testimonianze che abbiamo sull’influenza che ha avuto il mondo africano su Modigliani: le cartoline dall’Africa inviate alla famiglia Modigliani dallo zio dell’artista, Amedeo Garsin; la foto del 1918 che ritrae Marie Vassileff in costume africano con una maschera indigena. Dello stesso anno, la foto di Aicha, la modella di colore che ispirò Modigliani.

 

E ancora, l’invito alla collettiva di Arte Negra a la Galerie Devambez a Parigi cui partecipò l’artista. Gli archivi legali Amedeo Modigliani sono costituiti da oltre seimila documenti (diari, primi cataloghi di mostre, oggetti appartenuti al grande artista, memorie della sua famiglia), raccolti e catalogati negli anni grazie all’opera di Christian Parisot.

 

Tra le personalità che hanno influenzato Modigliani abbiamo accennato prima alla figura dell’artista rumeno Constantin Brancusi, un altro artista fortemente colpito dalla semplificazione e dalla purezza della forma derivata dalla scultura africana (Maiastra 1915 e La musa addormentata 1910). La scultura negra e l’arte popolare della Romania lo porta a ricercare una forma che sia insieme sintesi ed essenza della realtà.

 

Altra figura importante che lavorò in Francia è Alberto Giacometti. Frequentò l’École des Arts et Métiers di Ginevra, soggiornò in Italia (1920-21), soprattutto a Venezia e a Roma; nel 1922 si stabilì a Parigi, dove studiò e lavorò presso Bourdelle. Attratto dall’arte negra e attento alla lezione cubista, Giacometti eseguì dal 1925 al 1932 una serie di gessi (Sfera sospesa, 1930, Zurigo).

 

L’arte africana giocò un ruolo fondamentale in tutto questo, arte che se all’inizio venne considerata più una curiosità che un oggetto d’arte vero e proprio, riuscì in pochi anni a diventare un elemento insostituibile e fonte d’ispirazione per i grandi artisti del tempo, dando prova di una fantasia inventiva che interessò il gruppo dei surrealisti, nel cui ambito Giacometti fu portato a operare per circa un decennio. In questo periodo conobbe Picasso e nel 1948 realizzò il suo capolavoro: L’uomo che cammina.

 

In questa opera è evidente l’influenza dell’arte africana su Giacometti e come questa ha poi contribuito alla sua fortuna, la scultura infatti detiene il record per il prezzo di acquisto di un’opera d’arte (che non sia un quadro) per più di 100 milioni di dollari USA.

 

La sua semplicità e allo stesso tempo la grande capacità di espressione giocarono un ruolo fondamentale nella cultura dei primi del Novecento. Se l’Europa aveva conquistato l’Africa, il continente nero aveva fatto lo stesso con il mondo dell’arte.



 

 

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