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N. 62 - Febbraio 2013 (XCIII)

Gli alberi e la loro influenza sui miti
Jacques Brosse e la mitologia degli alberi – Parte V

di Christian Vannozzi

 

Enormi, secolari, ricche di mistero, le querce sono da sempre considerate intermediarie tra gli uomini e gli dei, dall'antica Grecia fino ad arrivare alle leggende arturiane riguardanti il druido Merlino, saggio e protettore degli antichi culti della Britannia e tutore del giovane Artù.

 

Il filoso e botanico greco Teofrasto, riguardo le querce, spiega: “Tra tutti gli alberi la quercia dà il numero più alto di prodotti, come la galla di piccole dimensioni e l'altra nera e simile alla pece; c'è inoltre un'altra escrescenza a forma di mora, ma dura e difficile da spezzare, e rara; un'altra a forma di verga, dura, eretta e forata; questa assomiglia per certi versi a una testa di toro, ma rotta, e racchiude una specie di nocciolo di oliva. Produce pure ciò che alcuni chiamano 'feltro'. È una piccola palla lanosa e molle intorno a un nocciolo duro, della quale ci si serve per le lampade, perchè brucia bene come la galla nera”.

 

Le galle di cui parla il filosofo sono escrescenze causate alla quercia dalle punture di alcuni insetti, e venivano utilizzate dai greci antichi nella tintura, a dimostrazione che questo tipo di albero era veramente un dono degli dei per gli umani, in quanto rendeva utili servigi in maniera naturale, senza dover essere coltivato, quindi senza bisogno dell'aiuto dell'uomo.

 

In Italia, i latini, non erano inferiori ai greci in quanto all'importanza che davano alle querce, basta pensare che i 7 colli, nei tempi antichi, erano ricoperti da querce dedicate alla dea Giunone. Il primo tempio dedicato a Giove di Roma, quello che Romolo costituì sul Campidoglio, venne edificato nel luogo ove era ubicata una quercia venerata da tempo dai pastori. I generali della repubblica e in seguito gli imperatori, salivano in trionfo al tempio di Giove Capitolino in Campidoglio portando in testa una corona fatta da foglie di quercia in onore del dio a cui veniva dedicata la vittoria.

 

A Roma sono degni di nota altri due templi che sono strettamente legati alle querce, come il tempio del colle del celio, che veniva interamente circondato da un bosco di querce sacre a Giove, e il tempio di Vesta che si ergeva in mezzo a un altro bosco di querce che venivano utilizzate dalle sacerdotesse vestali per alimentare il fuoco della dea.

 

Il culto della quercia fu adottato anche dai popoli celtici di Gallia e Britannia. Il botanico inglese John Ray riferisce di una quercia con il tronco del diametro di 10 metri e di duemila anni di età (Historia Plantarum, 1704). I druidi, depositari dei segreti e della religione celtica, esercitavano gli atti di giustizia, i sacrifici e le cerimonie in onore degli dei all'ombra di una quercia. I sacerdoti celtici montavano un piccolo altare sotto la quercia dove sacrificavano le loro offerte per gli dei, oppure officiavano i loro culti misterici.

 

L’usanza fu talmente radicata nelle popolazioni europee che anche il cristianissimo re di Francia, Luigi IX detto il Santo, ancora la rispettava e faceva officiare riti cristiani e tribunali all'ombra delle querce.

 

Nel loro migrare tra Europa e Asia Minore i celti portarono il culto della quercia che divenne così visibile non solo in Britannia, Gallia e Germania, ma anche in Russia e nella Galazia, in Anatolia. Le comunità celtiche si riunivano nei boschi di querce per officiare i riti in favore dei propri dei, dimostrando di non volersi assolutamente allontanare dai culti dei loro padri.

 

Per capire meglio l'importanza del culto della quercia per le popolazioni celtiche riportiamo le parole dello scrittore latino Plinio: “I Druidi, così si chiamano i maghi di quei paesi, non considerano niente di più sacro del vischio e dell'albero su cui esso cresce, purchè si tratti di un rovere. Già scelgono come sacri i boschi di rovere in quanto tali, e non compiono alcun rito religioso se non hanno fronde di questo albero, tanto che il termine di Druidi può sembrare di derivazione greca. In realtà essi ritengono tutto ciò che nasce sulle piante di rovere come inviato dal cielo, un segno che l'albero è stato scelto dalla divinità stessa. Peraltro il vischio di rovere è molto raro a trovarsi e quando viene scoperto lo si raccoglie con grande devozione: innanzitutto al sesto giorno della luna (che segna per loro l'inizio del mese e dell'anno e del secolo, ogni trent'anni) e questo perchè in tal giorno la luna ha già abbastanza forza e non è a mezzo. Il nome che hanno dato al vischio significa 'che guarisce tutto'. Dopo aver apprestato secondo il rituale il sacrificio e il banchetto ai piedi dell'albero, fanno avvicinare due tori bianchi a cui per la prima volta sono state legate le corna. Il sacerdote, vestito di bianco, sale sull'albero, taglia il vischio con un falcetto d'oro e lo raccoglie in un panno bianco. Poi immolano le vittime, pregando il dio perchè renda il suo dono (il vischio) propizio a coloro ai quali lo ha destinato. Ritengono che il vischio, preso in pozione, dia la capacità di riprodursi a qualunque animale sterile, e che sia un rimedio contro tutti i veleni”.

 

L'usanza celtica di utilizzare l'infuso di vischio contro il veleno o per purificare l'organismo è ancora in uso oggigiorno nelle isole britanniche a dimostrazione che dai tempi di Plinio ai nostri ancora si crede che il vischio abbia la possibilità di 'guarire tutto'.

 

Con l'avvento del cristianesimo nelle isole britanniche, per forte volontà del papato, si cercò di estirpare queste credenze e usanze pagane disseminando i boschi sacri ai druidi con dei monasteri.

 

La scelta di utilizzare i boschi per costruire i monasteri della cristianità non era soltanto per raggiungere l'obiettivo della solitudine e della contemplazione, ma soprattutto per ripulire queste zone pagane dai loro culti che offendevano Dio.

 

In questo contesto storico-sociale può essere inserito il personaggio enigmatico di Merlino che conosciamo attraverso romanzi e numerosi film e serie televisive. Senza dubbio Merlino era un uomo dei boschi legato al culto degli alberi sacri. Oltre a essere un druido era anche un bardo e un indovino.

 

Assieme al suo re combattè contro gli invasori sassoni che cercavano di impadronirsi dell'isola ormai non più protetta dalle legioni romane. Aiutò Artù a costituire la 'tavola rotonda' e Camelot, ma ormai vecchio e stanco della crudeltà manifestata dagli umani decise di ritirarsi nel sacro bosco di Broceliande dal quale usciva soltanto per pronunciare condanne verso la società corrotta e violenta che lo circondava.

 

Il ritorno di Merlino alla vita primitiva nei boschi voleva rappresentare un ritorno alle origini dell'uomo, che poteva vivere in simbiosi e completo rispetto con la natura come le altre forme animali, cosa che l'uomo che si riteneva civile non era più in grado di fare.



 

 

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