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N. 64 - Aprile 2013 (XCV)

a proposito di DIVULGAZIONe
vuoti da riempire

di Davide Colombini

 

Quando sento parlare di cultura, metto mano alla pistola

Joseph Goebbels

 

Esistono discipline che, divulgate o no, in ogni caso assolvono al loro compito. È il caso delle scienze matematiche, della fisica, della chimica e della biologia, tanto per fare degli esempi.

 

Noi possiamo trarre beneficio dalle svariate applicazioni nate dalle scoperte di queste discipline senza che il grande pubblico ne abbia una conoscenza approfondita. Non c’è bisogna di conoscere la composizione chimica di un sapone per utilizzarlo, né è necessario conoscere i fenomeni fisici legati alle lenti per fare uso degli occhiali.

 

Esistono invece altre materie che hanno ragione di essere solo se divulgate. Un esempio è la storia. La storia (e con essa tutte le materie umanistiche), se non divulgata, è completamente autoreferenziale e inutile.

 

L’utilità della storia sta nella sua capacità di spiegare il presente e i suoi problemi con una profonda visione prospettica.

 

Capire la storia significa capire i rapporti causa-effetto che legano il presente al passato. Per cogliere i frutti della storia, quindi, è necessario che questa sia conosciuta il più approfonditamente possibile dal maggior numero di persone possibile. Per raggiungere questo obbiettivo è fondamentale che la storia sia insegnata bene nelle scuole e sia divulgata da storici competenti.

 

Veniamo al primo punto: l’istruzione. Credo che la situazione italiana non sia messa così male. Nella mia esperienza personale ho sempre incontrato professori competenti in materia, anche se noto con dispiacere che l’insegnamento della storia è spesso delegato, nelle scuole superiori, a professori laureati in filosofia.

 

Raramente di proposito, sovente inconsciamente, questi professori danno più importanza e peso alla loro materia di studio piuttosto che mantenere fra le due discipline un rapporto di parità.

 

Il secondo punto è decisamente più critico: la divulgazione storica in Italia non esiste, o quasi. Il dramma è dovuto al fatto che le facoltà di scienze storiche italiane (ma, ripeto, il discorso vale anche per le altre discipline umanistiche) sono votate esclusivamente alla formazione di storici-ricercatori, mentre lo storico-divulgatore non è nemmeno considerato.

 

Il risultato è che la divulgazione storica risulta monopolizzata da figure “extra-accademiche”, solitamente giornalisti. Basti pensare a figure come Pansa, Vespa o Montanelli (non che quest’ultimo sia allo stesso livello dei primi due, ci mancherebbe).

 

Il risultato è uno scontro continuo e feroce fra il mondo accademico, che accusa i divulgatori di essere superficiali e scorretti scientificamente, e i divulgatori, che accusano i grandi professori di essere chiusi come una casta.

 

Il fatto è che entrambi gli schieramenti hanno ragione: le scarse basi storiografiche dei giornalisti li rendono superficiali nei giudizi storici, e gli accademici sono talmente chiusi e autoreferenziali da apparire come una casta.

 

Nel nostro paese manca la figura di mezzo, l’ibrido fra l’accademico e il divulgatore: qualcuno che sia in grado di scrivere di storia in modo corretto (come un accademico), ma utilizzando lo stile accattivante e fluido che tipico dei divulgatori.

 

Credo che questo vuoto possa essere colmato solo dall’università ma, per il momento, credo che la chiusura del mondo accademico sia troppo forte.

 

Indro Montanelli (il più vicino alla figura ibrida di storico-giornalista), colui che con le diverse decine di milioni di copie vendute della sua Storia d’Italia ha contribuito alla diffusione della conoscenza storica come nessun altro, è stato asfaltato dalle critiche degli accademici per anni.

 

Rendersi conto di questo problema è il primo, fondamentale, passo, per giungere a una soluzione che oggi sembra ancora lontana.



 

 

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