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N. 22 - Ottobre 2009 (LIII)

IL COLORE DELLE PAROLE
L’immigrazione vista da Marco Simon Puccioni

di Leila Tavi

 

Il documentario Il colore delle parole di Marco Simon Puccioni è stato presentato alla 66° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nella Sezione Orizzonti.


Protagonisti del documentario sono Teodoro Ndjock, Ngana, Steve Emejuru, Martin Congo e Justin Mondo; quattro africani che vivono in Italia da più di trent’anni.


Sono arrivati dai loro paesi di provenienza agli inizi degli anni Settanta con una borsa di studio del loro governo, così come era d’uso ai quei tempi, per poter diventare quadri di una nuova classe dirigente post-coloniale.


I quattro amici raccontano davanti alla telecamera il loro passato, le difficoltà incontrate dal momento che hanno deciso, conclusi gli studi, di rimanere in Italia per formare una famiglia e lottare per i diritti dei migranti africani e non.


Tra i quattro protagonisti spicca la forte personalità di Teodoro Njock Ngana, scrittore, attivista, griot e discendente di una famiglia di patriarchi basaa del Camerun.


Teodoro si considera un italiano, perché ha vissuto gran parte della sua vita a Roma, tra i quartieri San Lorenzo, Porta Maggiore e Prenestino. Ricorda con affetto le partite di pallone con gli amici italiani e africani a Villa Gordiani. Commenta: «In Italia se giochi a calcio va bene, va tutto bene, o quasi… perché in Italia bisogna sempre dire “quasi”».


Insieme agli altri tre amici, sin dai primi anni del suo soggiorno a Roma, ha iniziato una campagna di sensibilizzazione nei confronti delle culture africane e di affermazione dei diritti dei cittadini stranieri in Italia.


In Europa oggi sono presenti circa 28 milioni di immigrati, di cui 4 milioni sul territorio italiano, che costituiscono il 10% della forza lavoro nel nostro paese; eppure la presenza degli stranieri in Italia rimane nel silenzio, ci accorgiamo di loro solo in occasione di eventi tragici, come stupri o morti.


È quella che Teodoro chiama la “tecnica del morto”. In Italia vige la legge dell’emotività: ogni volta che accade un fatto capace di scuotere l’opinione pubblica si cerca di correre ai ripari con una normativa d’emergenza.


Dal 2002, anno della legge Bossi-Fini, si è potuto riscontrare un inasprimento delle misure per quanto concerne il controllo degli stranieri sul territorio nazionale.


La recente introduzione del reato di immigrazione clandestina, previsto dal pacchetto sicurezza del luglio 2009, non aiuta sicuramente la formazione di una società multiculturale in Italia ed è in contrasto con i principi costituzionali e con la Dichiarazione dei diritti umani.


Lo slogan del documentario è: “Migrare non può essere un reato”. Marco Simon Puccioni ha deciso di realizzare Il colore delle parole per avere un punto di vista sull’argomento tête-bêche, dalla parte di uno straniero, che ha vissuto sulla sua pelle il mutamento di atteggiamento da parte del popolo italiano.


Negli anni Settanta gli africani in Italia erano considerati semplici “stranieri”, si sentivano stranieri, accomunati dalla nostalgia per la loro terra con coloro che erano immigrati dal Sud Italia. Negli anni Ottanta agli africani fu associato il concetto di “vu’ cumprà”, con un’enfasi triviale, per passare poi all’appellativo di “immigrato”, già con in un’accezione negativa negli anni Novanta, fino a giungere all’attuale denigrante epiteto di “clandestino”.


Queste le parole del regista: “È sufficiente sentir parlare Teodoro, Steve, Martin, Justin per capire di quante risorse, umane e intellettuali, potrebbe beneficiare un’Italia (e un’Europa) pacificamente e felicemente multietnica e interculturale”.


Una parte del documentario è girata in Camerun, in una foresta abitata dai Basaa, una delle 250 etnie presenti sul territorio. Marco S. Puccioni ha seguito Teodoro fino al suo paese natale, Makak, dove lo scrittore è tornato dopo trent’anni di assenza.


Teodoro si considera italiano, perché ha trascorso nel nostro paese la maggior parte della sua vita, dove ha formato una famiglia con una donna italiana, ma dentro di sé l’amore per la terra non è mai morto, la voglia di spazi aperti, ampi e liberi, l’odore della foresta.


Il viaggio ha rappresentato per Teodoro il ritorno alle sue radici e un modo per contribuire allo sviluppo dell’Africa.


Attraverso il suo ammirevole impegno i bambini delle scuole elementari in Italia e in Camerun possono conoscere e apprezzare l’arte e le tradizioni africane, con una nuova prospettiva, senza i condizionamenti che il retaggio culturale dell’epoca coloniale ha imposto sulla storia e la cultura africane.


 

 

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