.

home

 

progetto

 

redazione

 

contatti

 

quaderni

 

gbeditoria


.

[ISSN 1974-028X]


RUBRICHE


attualità

.

ambiente

.

arte

.

filosofia & religione

.

storia & sport

.

turismo storico



 

PERIODI


contemporanea

.

moderna

.

medievale

.

antica



 

EXTEMPORANEA


cinema

.

documenti

.

multimedia



 

ARCHIVIO


 

 

 

 

 

 

 

.

contemporanea


N. 34 - Ottobre 2010 (LXV)

La storia scritta dai vinti
ideologizzazione dell’esercito tedesco
nella II Guerra Mondiale
di Biagio Nuciforo & Roberto Rota

 

Non sempre sono i vincitori a scrivere la storia, non sempre la verità dei vinti è celata dalla forza della memoria dei vittoriosi. La memoria della Seconda Guerra Mondiale e in particolare del coinvolgimento della Wehrmacht nei crimini nazisti ne sono un esempio lampante.

 

Il secondo dopoguerra è per la Germania, distrutta dai bombardamenti alleati, soprattutto un momento di necessaria ricostruzione. Scartato il piano Morgenthau (il quale prevedeva di ricostruire appena il necessario per non far morire di fame il popolo tedesco e in particolare di limitare l’economia all’agricoltura e alla pastorizia, allagando le miniere della Ruhr e vietando l’estrazione del minerale di ferro) il profilarsi del conflitto bipolare rendeva necessario la ricostruzione della Germania Ovest da parte delle potenze occidentali, soprattutto per la sua posizione strategica e di confine con il blocco sovietico.

 

È indispensabile, per poter andare avanti, partire da se stessi e soprattutto da una considerazione positiva e costruttiva di quelle forze che avrebbero dovuto sostenere la ricostruzione: il popolo tedesco appunto. Una memoria che considerasse il pesante coinvolgimento della Wehrmacht (e quindi di gran parte della popolazione) nei crimini nazisti avrebbe messo in dubbio le fondamenta della società tedesca che doveva contare primariamente su se stessa per la sua rinascita.

 

Ben presto, quindi, la memoria cambiò e il passato fu ben presto dimenticato.

 

La “parentesi” nazista cominciò a trasformarsi, sembrò davvero come un evento estraneo alla storia tedesca, come un brutto ricordo che non coinvolgeva il cittadino tedesco.

 

Il Nazionalsocialismo divenne, nel ricordo del dopoguerra, come un qualcosa che avesse riguardato solo una minoranza della popolazione e, in particolare, che non avesse toccato i soldati. L’esercito, era considerato, solo come un insieme di “uomini comuni” semplici strumenti nelle mani di pochi criminali.

 

Chi avrebbe potuto recriminare, al povero soldato tedesco, di aver cercato solo di non rischiare la propria vita e quindi di aver seguito ordini che egli non condivideva?

 

Era forse una colpa quella di aver cercato di sopravvivere nel momento più buio della storia europea non avendo il coraggio e l’eroismo necessari per ribellarsi?

 

Solo in questo modo il soldato/cittadino poteva essere considerato innocente e quindi “degno” di continuare la storia della Germania nel dopoguerra.

 

Questo tipo di argomentazioni nasce principalmente da tutta una serie di letterature auto-giustificazioniste nate negli anni Cinquanta e Sessanta per opera dei generali tedeschi sopravvissuti alla guerra: si veda, soprattutto Von Manstein oppure Von Paulus. Questi scritti sottolineano soprattutto l’eroismo delle truppe tedesche ed è proprio da ques

 

te opere che troveranno ispirazione gli studiosi occidentali i quali, attenti soprattutto alle questioni strategico-militari, sottolineeranno l’abilità degli strateghi tedeschi (anche per esaltare, di conseguenze, le vittorie alleate) e la cavalleria degli ufficiali. Molto spesso gli ufficiali tedeschi sottolineano la tradizione di Uberparteilichkeit (sovrapartiticità) dell’esercito tedesco, ligio ai propri doveri e quindi impossibilitato a mettere in discussione gli ordini, anche se questi fossero stati discutibili.

 

Questo tipo di memoria che discolpa il soldato-cittadino tedesco fu fatto proprio anche dai governi delle due germanie divise. Per la Repubblica Federale Tedesca (occidente) la memoria della guerra era soprattutto la memoria della tragica sorte di quei tedeschi morti o caduti prigionieri in mano ai russi oppure il ricordo dell’ingiustizia subita da coloro che erano stati costretti a lasciare le proprie case e le proprie terre nell’Europa Orientale conquistata dall’Unione Sovietica con la guerra.

 

Nella memoria, invece, della Repubblica Democratica Tedesca (oriente) la guerra era stata soprattutto causata da quei capitalisti che avevano guidato Hitler alla conquista e poi alla distruzione dell’Europa. Le vere vittime erano i lavoratori-cittadini tedeschi che avevano visto distrutto il loro paese ed erano stati costretti a partire per una guerra che essi non condividevano.

 

In entrambe le ricostruzioni, il coinvolgimento dell’uomo comune (sia che fosse considerato come libero cittadino oppure come compagno lavoratore) alle barbarie naziste era completamente assente.

 

Chi avrebbe potuto accusare colui il quale avrebbe dovuto ricostruire la patria distrutta?

 

Mettere in discussione l’innocenza del cittadino-lavoratore voleva dire mettere in discussione l’esistenza stessa di un futuro per il popolo tedesco.

 

Emblematico, di questa strumentalizzazione della storia, è la memoria della Battaglia di Stalingrado. Nel 1950 viene pubblicato il volume “Ultime Lettere da Stalingrado”. Si tratta di 39 lettere di soldati tedeschi (portate via dalla sacca in cui era imprigionata la VI armata di Von Paulus poco prima che questa cadesse) in cui, anche attraverso profonde riflessioni filosofiche, si descrive l’approssimarsi della morte e la fine di tutte le illusioni religiose ma soprattutto la fine del consenso nell’infallibilità del Fuhrer.

 

In verità le lettere si dimostreranno false e, in particolare, il distacco da Hitler avverrà solo durante la prigionia in Russia e non a Stalingrado. Anzi i soldati della VI armata, accerchiati, avevano l’estremo bisogno di credere in un miracolo, e soprattutto di credere nell’infallibilità del Fuhrer che li avrebbe, prodigiosamente, tratti in salvo. È questo, quello che si evince dalle lettere ritrovate negli archivi russi dopo il crollo dell’URSS. Il culto del Fuhrer era duro a morire anche nei momenti più disperati e questo dimostra l’estrema ideologizzazione delle truppe al fronte.

 

La memoria ufficiale, invece, ci presenterà un’immagine diversa della battaglia. Per la Repubblica Federale Tedesca il ricordo di Stalingrado è soprattutto il ricordo dell’Armata tradita, abbandonata alla sua distruzione dalla scelleratezza di Hitler. Non solo, ma nel clima bipolare della Guerra Fredda, la distruzione della VI armata assumerà anche un aspetto diverso, diventerà il simbolo del sacrificio del libero cittadino tedesco dinanzi all’avanzata del comunismo (memoria, questa, già presentata da Goebbels poco dopo la disfatta).

 

Il soldato tedesco, grazie alla sua resistenza, aveva evitato il crollo completo del fronte meridionale e quindi difeso la patria. Per la Repubblica Democratica Tedesca, invece, Stalingrado sarà soprattutto il luogo di origine di quel Comitato per la Germania Liberà nucleo della futura Germania orientale. In entrambi i casi non si fa riferimento al fatto che, se fu possibile resistere così a lungo nella situazione disperata della VI armata fu soprattutto perché il soldato tedesco era sorretto da un idea, ma qual’era quest’idea?

 

Ciò che sorprende di più nell’osservare l’operato delle truppe tedesche durante la Seconda Guerra Mondiale è il fatto che mai un esercito ha resistito così a lungo e in condizioni così disperate come la Wehrmacht in Russia. Non basta far riferimento alle spiegazioni classiche.

 

Secondo alcuni, per esempio, la forza dei tedeschi era dovuta alla coesione del gruppo primario all’interno delle truppe, in particolare il sentirsi tutti fratelli uniti in un’unica missione. In verità è difficile parlare di gruppi primari laddove le perdite furono altissime e i ricambi non lasciavano il tempo, ai soldati, di rafforzare la propria coesione.

 

D’altronde neanche il concetto di sopravvivenza fu il motivo fondante della resistenza. Nei diari dei soldati spesso si fa riferimento a una “guerra di sopravvivenza e di difesa” contro i russi, in verità parlare di difesa in una guerra di invasione è molto difficile. L’idea che sostenette, oltre l’inverosimile, le truppe tedesche per tutti i sei anni di guerra e che non fece mai crollare la fede nella Endsieg cioè nella vittoria finale, fu la Weltanschauung (ideologia) nazista.

 

Sebbene la letteratura militare classica ponga l’accento ripetutamente sull’Uberparteilichkeit delle truppe, in verità le cose stavano diversamente. Se si analizza la classe degli ufficiali tedeschi (spina dorsale delle Forze Armate) ci si rende conto del fatto che essa era profondamente coinvolta con la politica del partito (NsDap).

 

L’allargamento dell’esercito, durante gli anni trenta, aveva profondamente stravolto la composizione dello stesso. In particolare la classe aristocratica, che al tempo dell’esercito imperiale formava il 65% degli ufficiali, durante la guerra si era ridotta al solo 7%. Quindi quella classe che, nella società tedesca, si discostava di più dai nazisti (considerati dei parvenus, ma con i quali, in ogni modo, collaborò) era fortemente minoritaria nella classe ufficiale.

 

L’altra classe che, come quella aristocratica, era più distante dal partito, era quella proletaria anch’essa in minoranza nella classe ufficiale (solo il 7%). Quindi chi era più distante dall’ideologia nazionalsocialista (aristocratici e proletari) era in minoranza all’interno degli ufficiali (i primi per il veloce allargamento dell’esercito i secondi perché, ovviamente, non avevano i requisiti giusti).

 

Il ceto medio, invece, che sosteneva fortemente Hitler formava la parte più consistente (65%) della classe ufficiali delle forze armate. Inoltre bisogna considerare che si trattava di ufficiali i quali a causa del forte aumento degli effettivi e poi della necessità di rimpiazzi erano molto giovani.

 

Essi erano cresciuti durante il regime hitleriano e grazie alla “Legge della Gioventù Hitleriana” (1936) e alla “Legge sul servizio del lavoro nel Reich” (1935) erano stati educati nella mente, nel corpo e nello spirito secondo la Weltanschauung nazista. Quindi, non solo gli ufficiali erano profondamente ideologizzati, ma tradizionalmente essi erano, nell’esercito tedesco, non solo guide militari ma anche guide spirituali delle truppe. Questo sostegno morale non era solo una libera iniziativa degli ufficiali ma era richiesto anche dalle direttive ufficiali e dagli ordini dall’alto.

 

La propaganda all’interno dell’esercito tedesco fu un veicolo molto importante per il sostegno spirituale delle truppe. Le truppe erano dotate di radio-van e film-van che presentavano messaggi e documentari incentrati sull’ideologia nazista.

 

L’informazione cartacea fu sempre presente non solo attraverso periodici puntualmente distribuiti (ricordiamo, per esempio, “Comunicazione per le Truppe” oppure “Notiziario dell’OKW”) ma anche attraverso opuscoli specializzati nel presentare la visione della storia, della geografia e della biologia nazista.

 

La propaganda più efficace, comunque, fu quella orale ad opera di conferenzieri o professori universitari (quando le truppe erano sul fronte orientale) ma soprattutto quella degli ufficiali subalterni (sottotenenti, tenenti e capitani che, come abbiamo già detto, erano suggestionati dall’ideologia nazionalsocialista) molto vicini alle truppe i quali avevano la fiducia e il rispetto dei soldati.

 

Uno dei paradossi più importanti della guerra fu il fatto che i sovietici, osservando la forza e l’organizzazione dell’esercito nazista, eliminarono tutte le infiltrazioni e i poteri dei commissari politici all’interno dell’esercito (in precedenza questi commissari avevano diritto di veto sulle decisioni degli ufficiali combattenti), la rigidità ideologica era stata sacrificata per una migliore efficienza militare.

 

Dall’altra parte era convinzione comune che la forza (disperata, assurda e inutile per i tedeschi) dell’esercito russo era data dall’opera dei commissari politici che sostenevano, con l’ideologia, le truppe. Quindi, con un processo inverso rispetto a quello sovietico, la Wehrmacht introdusse delle figure politiche all’interno dell’esercito. Il 15 luglio 1942 OKW creò la figura del “responsabile per l’impulso dello spirito militare” supervisore nelle sezioni informative.

 

Il 14 maggio 1943 viene creata la figura dell’Ufficiale Istruttore, subordinato, però, agli ufficiali combattenti. La vera sottomissione dell’esercito al partito comincia concretamente con la creazione (dicembre 1943) di Ufficiali direttivi Nazionalsocialisti (dipendenti non dagli ufficiali combattenti ma dallo Stato Maggiore Nazionalsocialista) e non si realizzerà solo a causa della fine della guerra.

 

L’ideologizzazione delle truppe non era solo dovuta all’influenza degli ufficiali, ma anche gli ordini, che venivano dagli stati maggiori, seguivano la Weltanschauung. In particolare stiamo parlando dei cosiddetti “Ordini criminali” i quali giustificavano qualsiasi tipo di barbarie sul fronte orientale.

 

Essi erano di quattro tipi: 1 “Disposizioni relative alle attività delle Einsatzgruppen delle SS e delle SD” (le quali davano libertà di uccidere, a queste unità, nei territori conquistati); 2 “Limitazione della giurisdizione militare” (libertà per le truppe di giustiziare i partigiani, chi li sosteneva e di fare rappresaglie); 3 “Ordine sui commissari” (immediata fucilazione dei commissari politici);4 “Linee guida per la condotta delle truppe in Russia”.

 

Molto spesso, per giustificare violenze gratuite soprattutto contro vecchi, donne e bambini, i civili russi venivano considerati come degli “agenti”, cioè delle spie. La figura simbolo della spia era l’ebrea-donna-bambina russa, la quale cercava maliziosamente di attrarre il soldato tedesco. Questo era solo uno dei vari modi, per contribuire alla disumanizzazione del nemico, la qual cosa, avrebbe reso più facile l’accettazione della politica di sterminio.

 

L’Untermenschen sovietico non era umano, era più simile ad un anonimo animale e poteva essere semplicemente liquidato. La collaborazione della Wehrmacht con le azioni delle Einsatzgruppen dimostra come questa politica d’ideologizzazione fosse stata efficace. Erano le truppe a consegnare i partigiani alle SS ed erano sempre loro a dividere per “razze” i prigionieri, in modo da facilitarne la deportazione (si pensi a quella degli ebrei).

 

Dunque, è chiaro che ci fu ad opera non solo degli ufficiali subalterni ma anche da parte delle alte sfere degli stati maggiori una decisa politica di ideologizzazione. Il soldato semplice, non era, però estraneo a queste ideologie (come dimostra il suo comportamento). Non solo le idee razziste-naziste (si pensi all’idea dell’inferiorità degli slavi) erano già presenti nella società tedesca ma gli stessi soldati richiedevano un profondo supporto spirituale.

 

Dinanzi alla durezza e alla lunghezza della guerra, alla lontananza da casa, essi avevano bisogno di un’idea in cui credere, un’idea che nobilitasse e giustificasse una guerra, a prima vista, assurda.

 

L’ideologia non era solo diffusa, era anche disperatamente richiesta. E il fatto che fu profondamente assimilata è chiaro dalla strenua resistenza dimostrata dal soldato tedesco anche nel momento in cui la guerra era chiaramente ed evidentemente persa.

 

Quindi l’ideologizzazione fu importante non solo perché aumentò il consenso delle truppe circa il credo nazista (giustificando e legittimando le politiche di sterminio) ma aumentò anche la capacità di resistenza dell’esercito rendendolo cieco circa l’avvicinamento della catastrofe finale.

 

La guerra sul fronte orientale fu profondamente differente da tutte le altre guerre. Dimenticare il profondo coinvolgimento delle truppe tedesche nei crimini nazisti ci porta a sottovalutare la loro (necessaria per il partito) ideologizzazione.

 

Se questo “passato che non passa” è stato spesso dimenticato dalla storia che costruisce e ricostruisce sempre se stessa, ricordarlo è necessario per comprendere la profonda drammaticità e violenza della guerra sul fronte orientale e la sua peculiarità rispetto a tutti gli altri conflitti.

 



 

 

COLLABORA


scrivi per InStoria



 

EDITORIA


GBe edita e pubblica:

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Edizioni d’Arte

.

- Libri fotografici

.

- Poesia

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Saggi inediti

.

catalogo

.

pubblica con noi



 

links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 

 

 

 

 

 

 


[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE]


 

.