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MEDIEVALE


N. 91 - Luglio 2015 (CXXII)

Gli Horti conclusi
Il giardino degli aromi e le sue origini

di Raffaella Di Vincenzo

 

Le piante aromatiche, oggi come in passato, hanno suscitato e suscitano un grande interesse per i loro utilizzi culinari, medicinali, ed alfine ornamentali; esse sono state associate alla religione o alla magia (oltre che alla medicina) cosa che ha consentito alla conoscenza specifica delle loro intrinseche proprietà di essere tramandata nei secoli. L’importanza di queste erbe portò, in particolare durante il periodo medievale, alla elaborazione in chiave cosmogonica, filosofica e architettonica di alcuni speciali tipi di giardini denominati horti conclusi. I giardini descritti nell’Antico Testamento (quali quello della Genesi e del Cantico dei Cantici) appaiono come modelli di riferimento e la solerzia con la quale essi vengono coltivati ed amministrati prende origine dalla “Regola dei monaci Cistercensi” ed in particolare dal capitolo quarantottesimo di quest’ultima:

 

L’ozio è nemico dell’anima, perciò i monaci devono dedicarsi al lavoro in determinate ore e in altre, pure prestabilite, allo studio della parola di Dio. Quindi pensiamo di regolare gli orari di queste due attività fondamentali nel modo seguente: da Pasqua fino al 14 settembre, al mattino verso le 5 quando escono da Prima, lavorino secondo le varie necessità fino alle 9; dalle 9 fino all’ora di Sesta si dedichino allo studio della parola di Dio. Dopo l’Ufficio di Sesta e il pranzo, quando si alzano da tavola, riposino nei rispettivi letti in assoluto silenzio e, se eventualmente qualcuno volesse leggere per proprio conto, lo faccia in modo da non disturbare gli altri. Si celebri Nona con un po’ di anticipo, verso le 14, e poi tutti riprendano il lavoro assegnato dall’obbedienza

fino all’ora di Vespro. Ma se le esigenze locali o la povertà richiedono che essi si occupino personalmente della raccolta dei prodotti agricoli, non se ne lamentino, perché i monaci sono veramente tali, quando vivono del lavoro delle proprie mani come i nostri padri e gli Apostoli. Tutto però si svolga con discrezione, in considerazione dei più deboli.

 

Il concetto “Ora et labora”, proveniente dall’ ispirazione spontanea di san Benedetto da Norcia, viene ad ampliarsi fino ad assurgere significati che non riguardano la mera vita monastica;

Ascolta, figlio mio, gli insegnamenti del maestro e apri docilmente il tuo cuore; accogli volentieri i consigli ispirati dal suo amore paterno e mettili in pratica con impegno, in modo che tu possa tornare attraverso la solerzia dell’obbedienza a Colui dal quale ti sei allontanato per l’ignavia della disobbedienza. Io mi rivolgo personalmente a te, chiunque tu sia, che, avendo deciso di rinunciare alla volontà propria, impugni le fortissime e valorose armi dell’obbedienza per militare sotto il vero re, Cristo Signore. Prima di tutto chiedi a Dio con costante e intensa preghiera di portare a termine quanto di buono ti proponi di compiere, affinché, dopo averci misericordiosamente accolto tra i suoi figli, egli non debba un giorno adirarsi per la nostra indegna condotta.

Bisogna dunque servirsi delle grazie che ci concede per obbedirgli a ogni istante con tanta fedeltà da evitare, non solo che egli giunga a diseredare i suoi figli come un padre sdegnato, ma anche che, come un sovrano tremendo, irritato dalle nostre colpe, ci condanni alla pena eterna quali Servi infedeli che non lo hanno voluto seguire nella gloria.

 

Alziamoci, dunque, una buona volta, dietro l’incitamento della Scrittura che esclama: “E’ ora di scuotersi dal sonno!” e aprendo gli occhi a quella luce divina ascoltiamo con trepidazione ciò che ci ripete ogni giorno la voce ammonitrice di Dio: “Se oggi udrete la sua voce, non indurite il vostro cuore!” e ancora: “Chi ha orecchie per intendere, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese!”. E che

dice? “Venite, figli, ascoltatemi, vi insegnerò il timore di Dio. Correte, finché avete la luce della vita, perché non vi colgano le tenebre della morte”. Quando poi il Signore cerca il suo operaio tra la folla, insiste dicendo: “Chi è l’uomo che vuole la vita e arde dal desiderio di vedere giorni felici?”. Se a queste parole tu risponderai: “Io!”, Dio replicherà: “Se vuoi avere la vita, quella vera ed eterna, guarda la tua lingua dal male e le tue labbra dalla menzogna. Allontanati dall’iniquità, opera il bene, cerca la pace e seguila”.

 

Da questi concetti espressi dal Santo nel prologo della sua “Regola” avrà origine la teorizzazione in chiave mistico-filosofica dell’esercizio del lavoro quotidiano associato all’esercizio dell’anima, tale concetto avrà ampia divulgazione non soltanto in ambito religioso e diverrà una visione di vita che influenzerà la cultura e l’arte dell’XI secolo e di quelli successivi.

L’origine del giardino, paesaggio artificiale a cui vengono conferiti un valore e un significato particolare rispetto a quello naturale, proviene dalla tradizione vicino orientale. Il mito sumerico di Eden, divinità delle foreste, sembra costituire la fonte originaria di tutte le rappresentazioni del giardino. Il termine paradeios con cui i greci lo chiamavano ha finito per identificarsi con l’Eden, mentre i Romani utilizzavano il termine hortus per indicare il terreno per la coltivazione degli ortaggi e horti per uno spazio verde adibito all’otium.

 

Nell’Alto Medioevo le condizioni climatiche, sociopolitiche, ambientali e culturali determinarono una crisi dell’agricoltura, della floricoltura e della frutticoltura; nel VII secolo Giona di Bobbio contrapponeva le felici condizioni degli antichi, i quali potevano disporre di splendidi fiori e delicati aromi, alla terra arida e agli stentati arbusti della sua epoca. Tuttavia, proprio all’interno dei monasteri, il lavoro della terra e la frequentazione delle opere naturalistiche e geoponiche dei greci e dei romani consentirono la ripresa delle coltivazioni in spazi ben delimitati. Con il termine conclusus s’indica il concetto di chiuso, circondato, nascosto. L’orto chiuso è infatti circondato da un’alta cinta muraria e la sua forma quadrata riflette i quattro angoli dell’universo e la Gerusalemme celeste. Il suo centro è costituito da un albero (albero della vita) oppure dal pozzo o fonte (fonte di sapienza, simbolo del Cristo e dei quattro fiumi del paradiso).

 

Le immagini tramandate dai codici miniati e le fonti letterarie ci descrivono il giardino medievale come un luogo fantastico, senza tempo, dove un universo simbolico confonde il reale e l’immaginario; fin dal X-XI secolo il giardino fu talmente importante che i monasteri vennero forniti di ben quattro tipologie di spazi coltivati: orti - frutteti (pomaria); giardini (viridaria); erbari (herbaria). Lo spazio risulta diviso geometricamente da aiuole separate e da vialetti coperti da pergole ed è costituito da varie parti, ognuna delle quali ha una sua propria destinazione. 

 

L’Hortus conclusus è dunque una sorta di giardino segreto che all’interno del chiostro offre riparo e preclude il male; qui trovano posto fiori e frutti densi di significato simbolico: la rosa (fiore sacro a Venere, attributo delle Grazie) rappresenta la Vergine ma è anche simbolo del sangue divino e per le sue spine oltremodo simbolo delle pene di amore, il giglio (nato dal latte versato da Giunone mentre allattava Ercole) simbolo della purezza e della povertà, le violette (nascono dal sangue del Dio Atti, morto pazzo) simbolo della modestia e dell’umiltà, la melagrana (nasce dal sangue di Bacco) che rappresenta la salda unità della chiesa, la palma (prima della nascita di Romolo e Remo due palme appaiono in sogno a Rea Silvia) simbolo della giustizia di vittoria e fama, il fico (albero sacro a Saturno) metafora della dolcezza, della fertilità, del benessere e della salvezza, l’olivo (pianta sacra a Minerva) simbolo della misericordia, pace, e perfino il trifoglio che allude alla trinità.

 

Nel celebre piano dell’abbazia carolingia di S. Gallo l’hortus, che occupava un’area di circa 2200 m, va considerato in stretto rapporto con il frutteto, il pollaio e l’infermeria nella quale venivano utilizzate le erbe medicamentose coltivate nel giardino. Eredi dei complessi produttivi-residenziali delle villae rusticae romane, codificate da Varrone, gli orti e i giardini del Medioevo non erano soltanto una realtà delle abbazie: archeologicamente si sono infatti potuti distinguere i cosiddetti giardini delle case contadine, quelli domenicali, quelli urbani e suburbani.

 

Gli aspetti del giardino medievale e i suoi messaggi spirituali intrinseci, nei secoli successivi, non furono accantonati ma furono recuperati e inglobati in una visione neoplatonica. I primi esempi di giardino quattrocentesco si ispirarono ancora all’Hortus conclusus monastico; sul retro delle case sorgevano angusti orti in cui si coltivavano, in ordinati riquadri, erbe aromatiche, generi di prima necessità e a volte anche vigneti e frutteti. A partire dal XV secolo si tende però a dare più importanza alla parte puramente artistica ed estetica del giardino, che diverrà predominante nel cosiddetto “giardino all’Italiana” tipico del decorativismo di epoca Barocca.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

CRISP. F., Medieval Gardens, New York 1924

BEK, L., Ut ars natura. Ut natura ars. Le ville di Plinio e il concetto di giardino nel Rinascimento, Roma 1968.

FARIELLO, F., Arte dei giardini, Roma 1952.

VERCELLONI, V., Atlante storico dell’idea del giardino europeo,Milano 1990.

BERNARDINI, M., Giardino, in Enciclopedia dell’Arte Medievale, Roma 1995.



 

 

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