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arte


N. 87 - Marzo 2015 (CXVIII)

Henri Matisse

Pensieri sull’arte
di Ettore Janulardo

 

Matisse ha scritto pochissimo. La maggior parte delle sue idee sull'arte ci è nota attraverso interviste e conversazioni da cui emergono la compatta coerenza della riflessione e il linguaggio lucido e controllato, capace di sviscerare punti apparentemente minori del fare artistico per poi abbracciare in una sintesi nuova e personale tutta la propria opera.

 

Due sono i caratteri di queste riflessioni. Da una parte, il convincimento che non c'è nulla da spiegare né da descrivere; dall'altra, un continuo controcanto dialettico alla propria opera, che ne sottolinea i momenti più significativi ed espressivi in un colloquio-monologo appassionato e ininterrotto.

 

Matisse non espone teorie cui conformerà l'esecuzione - prolessi radicalmente lontana dalla vibrante espressività dei suoi esiti più personali – né pacati racconti di realizzazioni ormai lontane; ma offre la cenere della combustione che ha generato il quadro e che vorrebbe, nonostante negazioni più volte ribadite, illuminare un'arte che trova luce nel suo essere-in-sé. L'insoddisfazione di un artista che teme di non riuscire a spiegarsi, che medita le affermazioni come le proprie opere, è il segnale che la combustione del fare, sebbene abbia consumato il creatore, non riesce a placarne l'ansia espressiva.

 

Il colore è uno degli snodi fondamentali della pittura e della riflessione matissiane che, dopo la "classica" iniziazione impressionistica nei paesaggi della Bretagna, si dispiegano in direzioni nuove. Se per gli impressionisti era un mezzo per avvicinarsi il più possibile alla variabilità e alla "verità" dell'atmosfera e della luce naturali, per Matisse il colore crea l'immagine: l'artista rifiuta la mimesi in favore di una costruzione del quadro che è soltanto analoga a quella del soggetto rappresentato.

 

La consapevolezza dell'artista traccia quindi un discrimine tra il proprio colore-luce e il colore mimetico degli impressionisti. Mentre la concezione del quadro come campo di forze costituito da rapporti equivalenti a quelli esistenti nella realtà del soggetto è tipica di tutte le punte più avanzate del post-impressionismo - da Gauguin a Cézanne, dal divisionismo al cubismo - lo specifico matissiano sarà la convinzione, ereditata da Moreau, che il colore deve essere pensato, sognato, immaginato, in un trasporto di partecipazione al soggetto che segna un processo di interiorizzazione dell'arte.

 

Il colore ha quindi una funzione creativa che non è in contrasto con la funzione decorativa. Per Matisse sono ancora valide le indicazioni di Gauguin che parlava di "magico accordo" dei colori e di semplificazione mediante la sintesi delle impressioni sottomesse a un'idea generale. Il sintetismo e la decorazione erano un mezzo per eliminare la dispersione del pensiero e dell'emozione nell'eccesso dei particolari: tale disposizione naturalistica permane in Matisse, pur disgiunta dalla carica misterico-spiritualistica di Gauguin.

 

Punta avanzata del fauvisme, Matisse rientra in quel filone della pittura occidentale contemporanea che alla ricerca analitica del cubismo oppone la vocazione, l'incanto del colore, la contemplazione, la partecipazione all'opera, insieme alla quale crescere. Ma a queste affermazioni di tipo contemplativo-orientale, caratteristiche soprattutto dell'età avanzata di Matisse, fanno frequentemente da contraltare altre esprimenti un'etica del fare che mette in primo piano l'attività dell'uomo e dell'artista.

 

Egli mostra un interesse "pentito" e disilluso per le arti orientali e i paesi esotici. Il viaggio a Tahiti del 1930 è quanto di più occidentalizzato si possa concepire, anti-Gauguin per eccellenza: Matisse vi si reca per cogliere con maggiore profondità la luce e l'atmosfera occidentali attraverso il reagente esotico, certamente a disagio in un contesto tanto differente dal proprio quieto habitat.

 

Eppure, nulla si perde completamente. Matisse, a distanza di anni, dichiarerà che quell'esperienza di viaggio ha fruttato, generando nuove sensazioni e consapevolezze cromatiche.

 

La compresenza di innovazione e tradizione, caratteristica del pensiero matissiano, segna un'arte sospesa tra '800 e '900. Dall' '800 Matisse eredita la centralità della figura che, pur ridotta ad una sommaria caratterizzazione di ascendenza simbolista, continuerà a svolgere un ruolo fondamentale, in dialettica con lo sfondo. La stesura a larghe zone cromatiche e l'à plat di derivazione gauguiniana articolano lo spazio attraverso strutture planimetriche che razionalizzano la fenomenologia borghese dei contemporanei Bonnard e Vuillard.

 

Da questi ultimi lo distingue la volontà di non lasciarsi assorbire dal pulviscolo cromatico, riproponendo quindi la traccia di contorno contro la dissoluzione della figura. Quest'ultima, a differenza dei cubisti e della tendenza che si rifà a Cézanne - da Matisse tanto ammirato -, non sarà mai ricostruita dall'interno insieme allo sfondo, ma rimarrà ineliminabile icona soggiacente alla carica emotiva dell'artista e alla sua violenta cromia areferenziale.

 

Matisse rappresenta una linea alternativa alla ristrutturazione della figura e dello spazio proposta dai cubo-futuristi. Il suo più convinto tentativo di collusione con gli schemi cubisti si avrà intorno al 1914. Ma l'unico schema generativo dell'arte matissiana, ricorda Barilli, è la curva: evocativa traccia biomorfa che richiama la pittura borghese di fine '800, rivale della tendenza geometrico-razionalista di ascendenza cézanniana.

 

Il punto culminante di questa tradizione fin-de-siècle che si rinnova nel '900 sarà costituito dall'esperienza di Jazz e dei papiers découpés. Ma con questi e i mosaici e le vetrate della cappella di Vence siamo alla conclusione di un processo di affinamento che sfiora l'astrattismo lirico e avolumetrico.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

H. Matisse, Scritti e pensieri sull'arte, a cura di D. Fourcade, trad. ital. di M. Lamberti, Milano, SE Abscondita, 2003



 

 

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