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N. 26 - Febbraio 2010 (LVII)

HACHIKŌ E FIDO
Due storie di fedeltà e amore

di Giulia Gabriele

 

È a Odate, in Giappone, che il 10 novembre 1923 nasce Hachi, un bellissimo cucciolo di razza Akita, il cui nome in giapponese significa 8, simbolo dell’infinito e della ciclicità, di un qualcosa che dall’alto va verso il basso. Hachi, all’età di circa due mesi, viene adottato da Hidesaburō Ueno, un professore universitario del dipartimento agricolo di Tokyo.

 

E così, da Odate, il cucciolo trova la sua nuova casa a Shibuya. Essendo il signor Ueno un pendolare, ogni mattina si reca alla stazione della città per andare a lavorare. E con lui viene anche Hachikō (dove Hachi sta per 8, - è un vezzeggiativo), che poi torna a prenderlo alle tre del pomeriggio al rientro dal lavoro.

 

Purtroppo, il 21 maggio 1925, Ueno muore di ictus mentre si trova all’università, ma il suo fedele amico, come ogni giorno, va ad aspettarlo alla stazione, questa volta invano. E così fece ogni giorno, alle tre in punto, accattivandosi con il tempo l’affetto del capostazione e degli altri pendolari, che se ne presero cura.

 

Negli anni, tutto il Giappone conobbe la storia di Hachikō e molte persone iniziarono anche ad andare alla stazione di Shibuya per vederlo e coccolarlo. Nonostante stesse ormai invecchiando, Hachi continuò a presentarsi al solito posto alla solita ora per ben 10 anni (assistendo tra l’altro, nel 1934, all’inaugurazione della statua in bronzo con le sue sembianze, posta proprio davanti alla stazione) fino a quando l’8 marzo 1935 si spense.

 

La morte di Hachi commosse tutto il Giappone tanto che non solo i principali giornali del Paese gli dedicarono le prime pagine ma venne anche istituito un giorno di lutto nazionale per ricordare la sua estrema fedeltà verso il padrone. Nonostante, poi, il corpo sia stato conservato tramite tassidermia e sia attualmente esposto al Museo Nazionale di Natura e Scienza, alcune sue ossa sono sepolte nel cimitero di Aoyama, accanto alla tomba del padrone.

 

L’8 aprile di ogni anno, in Giappone viene organizzata una cerimonia per ricordare Hachikō: lui non ha dimenticato il suo amico Ueno, e noi non dimenticheremo lui, sembrano voler dire i giapponesi per i quali ormai il cane è diventato un vero e proprio eroe, ricordato sia con il film dell’87 Hachikō Monogatari del regista Seijirô Kôyama che con i manga (una protagonista della serie “Nana”, per esempio, viene soprannominata Hachi, per il suo carattere fedele e affettuoso).

 

Per il grande pubblico, poi, a ricordare la storia di questo cane, nel 2009, ci pensa Hollywood grazie al regista svedese Lasse Hallström che, con attori del calibro di Richard Gere e Joan Allen, riesce a metter su un film commovente ma non melenso e che, pur essendo ambientato in America, non perde la sua forza emotiva. Riassumendo un’intervista dello stesso Gere, possiamo dire che da una storia semplice, di straordinaria (come comune) fedeltà e grande amore tra uomo e cane, si è voluto produrre un film che fosse altrettanto semplice e che raccontasse questa vicenda, quasi senza l’uso della parola, come lo si farebbe davanti a un falò.

 

Il “premio fedeltà”, però, non spetta solo ad Hachi, ma anche a un nostrano amico a quattro zampe, vissuto circa 50 anni fa: Fido.

 

In una sera d’inverno del 1941, il signor Carlo Soriani di Luco del Mugello (frazione di Borgo San Lorenzo – Firenze - dove questi lavorava nelle Fornaci Brunori), trovò in un fosso un cucciolo di meticcio ferito e decise di adottarlo. Lo chiamò Fido e da allora il cane lo accompagnò tutti i giorni alla fermata della corriera che prendeva per recarsi a lavoro. Tutte le sere, poi, puntuale aspettava il suo ritorno.

Ma il 30 dicembre 1943 attese invano: le Fornaci Brunori, infatti, vennero bombardate per errore dagli Alleati (l’obiettivo era la ferrovia lì vicino), provocando la morte di molti operai, tra cui il signor Soriani.

 

Fido continuò ad aspettare alla fermata della corriera il suo padrone per altri 14 anni fino al 9 giugno 1958, quando morì. L’anno prima il sindaco di Borgo San Lorenzo, colpito dalla sua incredibile fedeltà, gli aveva conferito una medaglia d’oro e poco tempo dopo la sua scomparsa venne fatta realizzare una statua in bronzo con le sue sembianze, ancora oggi posta davanti al palazzo del Comune, che sotto riporta la frase: “A Fido, esempio di fedeltà”. Le sue spoglie invece si trovano fuori dal cimitero di Luco, dove è sepolto il tanto amato (e atteso) padrone.

 

Anche in Italia, come in Giappone per Hachi, ci fu una straordinaria attenzione mediatica per la vicenda di Fido (le riviste Gente e Grand Hotel ne pubblicarono la storia, che uscì anche su alcuni cinegiornali dell’Istituto Luce) tanto che La Domenica del Corriere il 22 giugno 1958 commemorò la sua scomparsa con una bellissima copertina, firmata da Walter Molino.

 

Quelle di Hachi e di Fido sono due storie semplici e straordinarie insieme, che raccontano di sentimenti al limite dell’umanità fatti propri da musetti pelosi e code canine. Proprio loro, i cani, che spesso sono abbandonati non riescono ad abbandonare i loro padroni nemmeno dopo la morte.

 

E chissà se prima di lasciare questo mondo, i due non abbiano rivisto, come in sogno, rispettivamente il signor Ueno e il signor Soriani, per quell’ultima carezza mai arrivata. È un pensiero che consola tutti e che ripagherebbe loro, Hachi e Fido, di tutta quell’estenuante attesa, loro che non hanno mai imparato a chiedere, ma semmai insegnato a donare.

 

Tre postille, in conclusione… Una che ringrazia tutti i nostri amici animali (cani, gatti, pesci o iguana che siano) per l’affetto e la gioia che ci donano; un’altra che vuole riportare una frase scritta su un muro vicino casa mia (ecco, magari usate la carta, anziché i muri) che mi ha molto colpita: “Prova ad abbandonare il bastardo che hai dentro”, con accanto disegnata l’impronta di un animale, che da sé penso riassuma il pensiero; e la terza che ricorda a tutti quei bambini o a quegli adulti che adesso, sull’onda della moda, vorrebbero “il cane di Richard Gere” (tra l’altro la Saki, Sezione Akita Italia, ha lanciato un allarme per evitare che si ripetano gli errori del passato; leggasi: “commercio scriteriato”, come fu per i dalmata o per i pastori tedeschi dopo il film La carica dei 101 e la serie tv Rex) che i nostri canili sono pieni zeppi di dolcissimi cani, pronti a dare affetto in egual modo, se non di più, di Hachi.

 

E, in generale, mettete bene a mente che un cane, Akita o meticcio che sia, non è un giocattolo: è una vita e in quanto tale va rispettata e amata finché non si spegne naturalmente.

Grazie.

 



 

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