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N. 32 - Agosto 2010 (LXIII)

la guerra di Corea
conflitto di straordinaria attualità

di Giuseppe Cursio

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Le tensioni nella Penisola di Corea non si sono affievolite con il collasso del sistema bipolare internazionale della Guerra fredda (1991). Washington non esclude un intervento militare per annichilire il regime di Pyongyang, mentre quest’ultimo intende moltiplicare i suoi sforzi per completare il programma atomico, da utilizzare come "deterrente psicologico" nei confronti degli Stati Uniti e dei loro Paesi alleati.

 

Un’escalation militare che potrebbe causare una seconda guerra di Corea, le cui operazioni belliche potrebbero non essere questa volta limitate alla sola Penisola di Corea e i cui effetti potrebbero rivelarsi catastrofici per l’intero Nord-Est asiatico nel caso fossero impiegate armi di distruzione di massa (WMD).

 

Nella Penisola di Corea, che è divisa territorialmente da un’area smilitarizzata (DMZ) larga meno di quattro chilometri e lunga pressappoco 250 chilometri che corre lungo il 38° parallelo, si contrappongono due differenti sistemi politici ed economici; da una parte, nel nord, vi è un regime comunista che persegue l’autosufficienza economica con l’autarchia (in coreano juche), dall’altra, a sud del 38° parallelo, un governo democratico che si ispira in economia ai princìpi del puro liberismo.

 

La guerra di Corea si concluse il 27 luglio del 1953 con la firma dell’Armistizio di Panmunjom, -un piccolo villaggio che si trova in pratica al confine tra le due Coree-, senza vincitori e ribadendo la divisione della penisola in due Stati, uno filosovietico e uno filoamericano.

 

Ma se gli esiti fossero stati diversi, oggi la penisola sarebbe costituita soltanto da uno Stato comunista pro-cinese o Repubblica Democratica Popolare della Corea del Nord (DPRK) se a prevalere fossero state le forze nord-coreane (KPA), oppure, nel caso fossero, invece, uscite vittoriose dal conflitto quelle sud-coreane, della regione del Nord-Est asiatico farebbe parte uno Stato liberal-democratico fautore della tradizionale alleanza strategica con gli Stati Uniti, ovvero la Repubblica di Corea (ROK). In entrambi i casi, comunque, la Penisola di Corea sarebbe stata ineluttabilmente unificata.


L’attraversamento della linea di divisione territoriale (DMZ) da parte delle forze corazzate nord-coreane, -appartenenti al XIII e al XV Reggimento della VI^ Divisione dell’Esercito Popolare Coreano (KPA)-, segnò l’inizio delle ostilità tra le due Coree. Era il 25 giugno 1950. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Uniti immediatamente ordinò il «cessate il fuoco» e il ripristino dello status quo ante bellum (Risoluzione n. 82 del 25.06.1950). Rimasto inascoltato il suo appello, autorizzò, pertanto, l’uso della forza per «respingere l’attacco nord-coreano e ristabilire la pace e la sicurezza internazionale nella Penisola di Corea» (Risoluzione n. 83 del 27.06.1950). Il comando generale delle forze alleate fu affidato al generale americano Douglas MacArthur, che aveva ai suoi ordini anche le forze sud-coreane.


Intervennero nella Penisola di Corea per primi gli Stati Uniti; inizialmente per preservare lo status quo. Poi, la Cina. Il 15 settembre, i marines americani sbarcarono nella baia di Incheon, che si affaccia sul Mar Giallo e che dista solo pochi chilometri da Seoul, tagliando in due il fronte nemico e riconquistando la capitale sud-coreana al termine di una spettacolare operazione anfibia. Mentre le forze nord-coreane che cingevano d’assedio quelle sud-coreane impegnate nella difesa del «perimetro di Pusan», - dal nome della città portuale più grande della Corea del Sud situata sulla costa sud-orientale della penisola-, furono attaccate alle spalle e costrette ad arrendersi.


Al contempo, altri reparti delle forze alleate, dopo aver occupato Pyongyang il 19 ottobre 1950, si erano diretti verso il fiume Yalu che segna il confine naturale con la Manciuria. Ma dovettero ripiegare a sud della DMZ per l’intervento dei «volontari cinesi». Ciò che preoccupava maggiormente Pechino era l’avanzata dei marines verso un’area industriale di vitale importanza strategica, sebbene l’obiettivo primario della Cina fosse, in realtà, quello di soppiantare «l’influenza dell’Unione Sovietica in Corea del Nord».


Iniziò, quindi, una lunga ed estenuante guerra di trincea durata due anni e mezzo; le posizioni dei rispettivi eserciti sarebbero, infatti, rimaste invariate sino alla cessazione delle ostilità. Il bilancio conclusivo della guerra in termini di perdite di vite umane é spaventoso. Fu colpita soprattutto la popolazione coreana. Contro di essa vennero infatti impiegati sia bombe al napalm che potentissimi esplosivi chimici. In totale morirono più di tre milioni di persone, tra soldati e civili. Anche i danni all’agricoltura e all’ambiente furono ingenti.


Il fallimento della successiva Conferenza di Ginevra (1954) non fu tanto quello di creare le condizioni per unificare la Penisola di Corea quanto «l’incapacità di ricostruire un tessuto di legami umani ed economici che avrebbero potuto rendere la vita in comune sulla penisola più accettabile per le due Coree».

 

La Penisola di Corea rimane una delle aree più esplosive dell’Asia Orientale. Né la fine della Guerra fredda, seguita alla dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991 e al collasso del sistema politico internazionale dei blocchi contrapposti dell'Est e dell'Ovest, guidati il primo dagli Stati Uniti il secondo dall'Unione Sovietica, ha contribuito a creare un clima di distensione nella penisola, anche in prospettiva di una ripresa del dialogo tra le due Coree per l’unificazione nazionale. Al contrario, lo spettro di una seconda guerra di Corea aleggia nella penisola soprattutto dopo i progressi realizzati nel settore nucleare dalla Corea del Nord, impegnata da diversi anni in un programma di ricerca scientifica per la costruzione della bomba atomica.


La politica della détente del governo di Seoul per l’avvio di una coesistenza pacifica con la Corea del Nord (che si ispira alla Sunshine Policy di Kim Dae-jung, il presidente della Corea del Sud (1998-2003) che nel 2000 ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace), s’infrange contro le ambizioni militari del regime di Pyongyang suggellate con il secondo test nucleare effettuato con successo nel 2009 e con i progressi ottenuti dalle autorità militari nord-coreane nel settore missilistico che, oltre ad avere inacerbito i contrasti con gli Stati Uniti, inducono gli Stati del Nord-est asiatico, primo fra tutti il Giappone, a rafforzare le loro capacità militari difensive (per il cosiddetto effetto domino).

 

Cresce, dunque, la tensione tra Stati Uniti e Corea del Nord, e nonostante il tentativo di mediazione diplomatica della Cina. I negoziati multilaterali di Pechino, cui prendono parte Stati Uniti, Cina, Giappone, Russia e le due Coree, sono finiti in una lunga impasse. Kim Jong-il, il «Caro Leader» nord-coreano, che ha da poco scelto il figlio Kim Jong-un come suo legittimo erede alla guida del Paese, non vuole rinunciare all’arma della «deterrenza nucleare» per salvaguardare l’integrità politico-territoriale della Corea del Nord.


Gli Stati Uniti sono tecnicamente in guerra con la Corea del Nord dal 1953. L’Armistizio di Panmunjom non è mai stato infatti sostituito da un trattato di pace tra i due Paesi. Se gli Stati Uniti dovessero decidere di distruggere con un attacco aereo (preemptive strike) i siti nucleari di Yongbyon e Taechon, seguendo l’esempio del “raid” missilistico israeliano del 7 giugno 1981 contro il reattore nucleare di Osirak, situato in territorio iracheno, la risposta militare del regime di Pyongyang non si farebbe attendere.

 



 

 

 

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