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N. 64 - Aprile 2013 (XCV)

La Grecia dei colonnelli
Dalla dittatura alla ricerca di una nuova democrazia

di Federica Mirabile

 

Nel periodo che va dal 1967 al 1974, la vita politica della Grecia, patria della democrazia, viene sconvolta da un colpo di stato e dal conseguente susseguirsi di una serie di governi militari anticomunisti; questa situazione è stata agevolata da una politica ormai debole e malata insediatasi all’indomani della Seconda Guerra Mondiale.

 

Secondo gli accordi di Jalta l’influenza politica del Paese doveva essere divisa tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica con una netta prevalenza degli americani. A causa della debolezza da parte del potere centrale, gruppi di destra e di sinistra fomentano fino all’esasperazione le già esistenti e difficili tensioni sociali che danno origine sia alla guerra civile greca (1945-49) che a un conseguente succedersi di governi deboli e privi di autorevolezza.

 

Negli anni ’60 il governo è in mano alla destra ma sono ormai evidenti i malesseri della popolazione che chiede maggiori libertà.

 

Nel 1963 viene assassinato Gregoris Lambrakis, parlamentare della Sinistra Democratica Unita (EDA), da gruppi parastatali di destra. Questo avvenimento provoca una serie di manifestazioni di protesta che culminano con le dimissioni del primo ministro Konstantinos Karamanlis.

 

Le elezioni del 1963 portano alla vittoria l’Unione Democratica di Centro ma il suo leader, Georgios Papandréu decide di dimettersi per puntare alla maggioranza e così nelle successive elezioni ottiene il 53% dei voti e un’ampia maggioranza in parlamento.

 

Il giovane e inesperto re Costantino II, a causa del suo disperato tentativo di mantenere il controllo sull’esercito, si scontra con Papandréu e nel luglio del 1965 trova finalmente un pretesto per costringere alle dimissioni il primo ministro, dichiarando che nelle file dell’esercito vi è un gruppo di cospiratori di sinistra.

 

Dopo questo episodio ha inizio un periodo travagliato a causa del succedersi di governi incapaci di ottenere la fiducia in parlamento; tutto ciò porta al colpo di stato del 1967.

Intanto, già dal 1966 si formano, all’interno dell’esercito, alcuni gruppi di ufficiali che puntano a varie forme di intervento per evitare la presa del potere dell’Unione di Centro.

 

Un gruppo di undici ufficiali, guidati da Georgios Spantidakis, studia un piano per permettere all’esercito di prendere il potere e agevolare la nomina di Panagiotis Pipinelis, politico fedele al sovrano. Il re si dichiara favorevole al progetto e nel novembre 1966 viene elaborato un piano basato su quello denominato “Prometheus” che era stato messo a punto per contrastare un’ipotetica sollevazione comunista.

 

Contemporaneamente viene formato un gruppo di ufficiali guidati dal colonnello Georgios Papadopoulos e pronto a intervenire a un eventuale colpo di stato. Papadopoulos, però, non attende il via libera da parte del re e, temendo l’avvicinarsi delle elezioni, decide di agire individualmente; nella notte tra il 20 e il 21 aprile 1967, viene concesso ai golpisti il lascia passare per agire.

 

Alle ore 2.00 Papadopoulos, Makarezos e il colonnello Ladas, entrano nella sede dello Stato Maggiore dell’esercito e annunciano al comandante Spantidakis il colpo di stato; il comandante non si oppone e mezz’ora più tardi vengono occupati il Ministero della Difesa, il parlamento e il palazzo reale. Il primo ministro, insieme a dirigenti politici e a civili simpatizzanti di sinistra, vengono arrestati.

 

Nella mattina del 21 aprile, i tre dirigenti del colpo di stato si recano presso la residenza estiva del re, il quale, dopo un attimo di resistenza, cerca il dialogo con i golpisti. Il primo ministro Kannellopoulos, trattenuto in stato di arresto, cerca di convincere il re a interrompere ogni tipo di dialogo con i golpisti e di denunciarli pubblicamente.

 

Costantino II, invece, decide di collaborare e in seguito giustificherà il suo atteggiamento dichiarando che l’indecisione iniziale era dettata da una strategia precisa e cioè organizzare un contro colpo ai danni della Giunta militare.

 

Tutto ciò porta nel 1974, tramite referendum popolare, alla fine della monarchia. Al re viene concessa la nomina di primo ministro ma il potere di fatto rimane nelle mani dei militari e di Papadopoulos in particolare, che in breve tempo assume il ruolo di “uomo forte” della Giunta militare.

 

Il governo formatosi in ventiquattro ore adotta l’atto costituente, un emendamento che prevede la cancellazione delle elezioni e l’abolizione della stessa costituzione che sarebbe dovuta essere sostituita con una nuova e che quindi avrebbe permesso al governo di gestire il Paese seguendo dei decreti; una delle prime misure adottate dai colonnelli è quella di confermare l’istituzione della legge marziale.

 

La Giunta si unisce ideologicamente alle idee anticomuniste e tenta di giustificare il colpo di stato come un atto dovuto, una misura drastica da prendere in difesa della stessa nazione.

 

Molti storici hanno visto nella giunta militare tanti punti in comune con il fascismo; altri, invece, hanno cercato nella dittatura dei colonnelli dei punti di contatto con il pensiero di uno degli ideologi del governo militare, Dimistris Tsakounas che teorizzava la sostituzione con i militari dei politici incapaci di governare.

 

Intanto, i rapporti tra la Giunta militare e il re iniziano a deteriorarsi in quanto nessuno dei due era intenzionato a cedere. Il re, consigliato dal presidente americano Lyndon B. Johnson, che gli ha intimato un cambiamento di governo, decide di organizzare un contro colpo di stato e così il 13 dicembre 1967 decide di intervenire. Abbandona Atene in mano al governo militare e si trasferisce insieme alla famiglia a Kavala, piccola città a est di Salonicco.

 

Secondo i suoi piani, bisognava avanzare verso Atene con l’aiuto di truppe fedeli alla corona e formare un governo alternativo a quello militare. Malgrado il successo iniziale, il piano si rivela un vero e proprio fallimento tanto che nel giro di poche ore la Giunta militare avanza verso Kavala con lo scopo di arrestare il re.

 

Costantino II abbandona la Grecia insieme alla sua famiglia rimanendo in esilio volontario per tutto il perdurare del potere militare nonostante avesse conservato la reggenza, se pur formale, fino al 1°giugno 1973. L’ultima astuzia del re è quella di portare con sé il capo del governo lasciando quindi il Paese privo di questa figura.

 

La Giunta militare non si perde d’animo e così fa pubblicare sulla Gazzetta Ufficiale una risoluzione che nomina il maggior generale Georgios Zoitakis in qualità di reggente. Subito dopo la pubblicazione del decreto, Zoitakis nomina primo ministro Papadopoulos.

 

Nel 1972 Zoitakis e alcuni membri della giunta iniziano a non trovare più punti di accordo e così la reggenza passa nelle mani di Papadopoulos stesso che in breve tempo riesce ad allontanare le istituzioni dalla monarchia e a ottenere ampi consensi da parte della popolazione in quanto si presenta come un “amico dell’uomo qualunque”.

 

Tutto ciò gli permette di accattivarsi le simpatie delle classi più povere grazie anche alla sua politica economica di sviluppo delle aree rurali, lasciate ai margini dai governi precedenti che avevano puntato sullo sviluppo delle aree industriali urbane.

 

Sul piano internazionale il regime gode dell’appoggio silenzioso degli americani impegnati nella guerra fredda; la posizione strategica della Grecia, ai confini con il blocco orientale, diventa, infatti, un’importante pedina nel gioco internazionale.

 

La Giunta militare, per tutto il periodo in cui rimane al potere, reprime anche la più naturale libertà civile; i partiti politici vengono sciolti e al loro posto vengono istituiti tribunali militari speciali, vengono vietate le minigonne, le letture di Sofocle, Tolstoj, Euripide, la libertà di stampa, la musica moderna e la libertà sindacale.

 

Tra il 1967 e il 1972, si va organizzando l’opposizione al regime dei colonnelli anche all’interno della stessa destra. A tutto ciò si aggiunge il malumore degli uomini d’affari danneggiati dall’isolamento internazionale del Paese e della classe media colpita pesantemente dalla crisi economica. L’unica risposta che il regime riesce a fornire è la repressione poliziesca che prevede il carcere senza processo e l’uso della tortura.

 

Gli oppositori, intanto, iniziano a organizzarsi per cercare di ostacolare la politica della Giunta. Nel 1968 iniziano a formarsi numerosi gruppi di opposizione per lo più clandestini che tentano di assassinare, il 13 agosto 1968, Papadopoulos.

 

Il piano prevedeva l’esplosione di una bomba in un punto della strada costiera che collega Lagonisi, luogo della residenza estiva, ad Atene. Il piano fallisce e l’attentatore, Alekos Panagulis, viene catturato poche ore dopo mentre cerca di fuggire a bordo di un battello. Panagulis viene portato in commissariato e torturato ripetutamente. Il 17 novembre dello stesso anno viene condannato a morte, ma la sua condanna non è mai stata eseguita per timore delle reazioni nazionali e internazionali.

 

Nei tre anni e mezzo passati rinchiuso in una cella piccolissima, torturato e umiliato, tenta più volte di evadere e si allena stoicamente per non sprofondare nella pazzia e per tali ragioni si prende gioco delle guardie intente a praticare sul suo corpo e nel suo animo ogni sorta di umiliazione. Rifiuta, persino, il permesso per andare a far visita al padre morente e di beneficiare dell’amnistia generale concessa dai colonnelli ai detenuti politici a causa delle pressioni internazionali; questo rifiuto è servito per non dare agli occhi dell’opinione pubblica un’immagine distorta del regime. Il 21 agosto 1974 viene finalmente liberato grazie a un’amnistia.

 

Le proteste nazionali e internazionali si fanno sempre più insistenti tanto che il 14 novembre 1973 gli studenti del Politecnico di Atene muovono una forte reazione contro la Giunta. Durante le prime fasi della protesta il governo militare non si oppone più di tanto e così migliaia di lavoratori e di giovani prendono coraggio e si uniscono alla protesta.

 

Il 17 novembre Papadopoulos ordina all’esercito di mettere fine alla protesta con l’aiuto di un carro armato; durante la repressione rimangono uccisi 24 civili.

 

Il 25 novembre, a causa delle violenze al Politecnico di Atene e delle proteste nazionali e internazionali, il generale Dimitrios Ionnides si trova costretto a rimuovere dall’incarico Papadopoulos ma tenta di far rimanere il potere sempre nelle mani dei militari.

 

Nel luglio 1974 Ionnides tenta di rovesciare l’arcivescovo Makarios III, presidente di Cipro, attraverso un colpo di stato. Questa mossa azzardata porta la Grecia sull’orlo della guerra con la Turchia. Quest’ultima, infatti, come conseguenza all’azione greca, interviene militarmente nella parte nord dell’isola instaurando un governo filo–turco riconosciuto solo dalla Turchia. L’imminente rischio della guerra contro i turchi costringe parte degli ufficiali più anziani a togliere l’appoggio alla Giunta e a Ionnides.

 

I membri della Giunta militare nominano presidente Phaedon Gizikis e convocano alcuni uomini politici con l’obiettivo di formare un governo di unità nazionale che portasse il Paese alle elezioni. Il presidente Gizikis decide di proporre l’incarico a Konstantinos Karamanlis che accetta. Le elezioni del novembre 1974 portano alla vittoria la Nuova Democrazia, partito conservatore fondato da Karamanlis che diviene, di conseguenza, primo ministro.

 

Panagulis, intanto, nonostante non fosse propenso a partecipare alla politica dei partiti, decide di entrare in parlamento pur di continuare a dare la caccia ai politici che avevano collaborato al regime di colonnelli. Si presenta alle elezioni nel novembre 1974 con l’Unione del Centro – Nuove Forze, partito di ispirazione liberale progressista.

 

Due mesi dopo Panagulis viene eletto in parlamento e riesce a ottenere dei documenti dai servizi segreti ellenici che provano i rapporti di collaborazione tra alcuni politici e la Giunta. Dal momento che non riesce a ottenere ciò che vuole, decide di dimettersi dal partito pur conservando la poltrona nel parlamento greco come indipendente.

 

Successivamente, entra in aperto contrasto con il Ministro della Difesa e poco dopo, nella notte tra il 30 aprile e il 1° maggio 1976 rimane vittima di un misterioso incidente stradale ad Atene.

 

L’inchiesta ufficiale congeda la morte di Panagulis come un errore commesso dalla vittima stessa, mentre le perizie degli esperti italiani ritengono che l’incidente sia stato messo a punto da qualcuno che voleva la morte dell’uomo.

 

Al suo funerale, celebrato nella cattedrale di Atene il 5 maggio, partecipano milioni di persone facendo diventare questo evento la più grande manifestazione di popolo della storia greca.



 

 

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