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storia & sport


N. 20 - Agosto 2009 (LI)

La storia dei Giochi Olimpici Invernali

Parte VI - Oslo 1952

di Simone Valtieri

 

Nel 1952, per la prima e finora unica volta nella storia delle Olimpiadi invernali, è una capitale ad ospitare le gare a cinque cerchi: Oslo. La candidatura della città norvegese viene suggerita già nel primo dopoguerra da alcuni membri britannici del Cio, che vedevano nella capitale scandinava il luogo perfetto per la rassegna invernale del 1948, da affiancare a quella estiva di Londra, visto anche il fatto che la Gran Bretagna non aveva né impianti né siti adatti ad ospitare gare sulla neve

 

I norvegesi decisero però di candidare Oslo per i giochi del 1952, superando per diciotto voti a nove Cortina d’Ampezzo.

 

I siti scelti per le gare sono eccezionali. Lo sci di fondo ha in Holmenkollen, a pochi chilometri da Oslo, la sua culla naturale, essendo nato proprio in queste terre, molti secoli prima, come metodo per spostarsi il più agevolmente possibile sulla neve. Il trampolino della località norvegese, costruito nel 1883, è già allora uno dei templi dello sport mondiale e lo stadio ai suoi piedi è capace di ospitare oltre centomila persone. Per i cerimoniali e le gare di pattinaggio si opta per lo stadio Bislett, costruito negli anni ’30, mentre per lo sci alpino vengono scelte la vicina postazione di Rødkleiva e quella un po’ più isolata di Norefjell, a 120 chilometri dalla capitale.In termini di presenze viene stabilito un record di poco superiore a quello dei precedenti giochi

 

 di St.Moritz, con 694 iscritti in rappresentanza di 30 nazioni, tra cui anche 53 atleti provenienti dalla Repubblica Federale Tedesca in rappresentanza di tutta la Germania. Le donne al via sono 109 e donna - la principessa Ragnhild di Norvegia – è colei che è chiamata a pronunciare la formula d’apertura dei giochi, il 14 febbraio 1952. La cerimonia avviene di fronte al sacro fuoco di Olimpia (o in questo caso meglio sarebbe dire “di Morgedal”, in quanto la torcia fu eccezionalmente accesa in questa piccola località scandinava, patria del leggendario sciatore norvegese Sondre Nordheim, invece che nella tradizionale sede greca) ed è la prima volta che il braciere rimane acceso durante i giorni di gara nello stadio di un’olimpiade invernale.

 

Le prove più sentite dal pubblico locale sono, neanche a dirlo, quelle nordiche. Alla finale olimpica nel salto dal trampolino sono 101.400 gli spettatori paganti, ai quali vanno aggiunte altre 40.000 persone assiepate sulle colline circostanti.

 

In un clima così suggestivo e coinvolgente, gli atleti di casa Arnfinn Bergmann e Torbjorn Falkanger non possono fallire, centrando i primi due posti del podio. Anche nella combinata nordica vincerà un norvegese, Simon Slattvik, mentre nel fondo a mettere i bastoni tra le ruote ai padroni di casa saranno i cugini della Finlandia che si aggiudicheranno tre prove su quattro, tra cui la prestigiosa 50 km con il ventisettenne Veikko Hakulinen e la prova femminile sui 10 km, al debutto in un’olimpiade, con Lydia Wideman.

 

Le prove di sci alpino, un po’ snobbate dal pubblico scandinavo più propenso a seguire le “loro” discipline nordiche, sono perlopiù terreno di caccia per sciatori provenienti dall’Europa centrale. L’austriaco Othmar Schneider riporta il successo nello slalom, davanti all’idolo di casa Stein Eriksen, che si rifarà vincendo l’oro nel debuttante slalom gigante. Nella discesa libera a vendicare Eriksen sarà l’italiano Zeno Colò, già campione del mondo nella specialità ad Aspen nel 1950. L’esperto sciatore toscano, considerato l’inventore della posizione “a uovo”, veniva da due quarti posti nelle prove precedenti. Senza perdersi d’animo e facendo affidamento sulle sue innate doti di agilità e coraggio, si buttò a capofitto nella pericolosissima pista Norefjell giungendo sul traguardo con oltre un secondo di vantaggio sul fresco campione olimpico dello slalom, Schneider, e sul suo compagno di nazionale Christian Pravda.

 

In campo femminile l’americana Andrea Mead, sposata Lawrence, non riuscirà nell’impresa di vincere in tutte e tre le prove alpine, visto che dopo i brillanti successi in slalom e gigante, cadrà ben due volte durante la discesa e sarà costretta al ritiro. A trarre vantaggio del suo infortunio sarà l’austriaca Trude Beiser-Jochum e ancor di più l’italiana Giuliana Minuzzo, che giungerà terza e regalerà all’Italia la prima medaglia olimpica femminile della storia.

 

L’atleta simbolo dei giochi di Oslo è però un pattinatore: il norvegese Hjalmar Andersen. Nell’ovale ghiacciato allestito all’interno del Bislett Stadion, il padrone di casa perderà solo la gara dei 500 metri, appannaggio dell’americano Kenneth Henry, dominando senza discussioni le prove dei 5000 e dei 10.000 metri e vincendo di misura anche quella dei 1500, per soli due decimi di secondo sull’olandese Willem Van der Voort. Nel meno fisico e più aggraziato pattinaggio artistico è sempre la stella Dick Button a brillare più delle altre.

 

Il campione americano illumina il palcoscenico con una prova perfetta, impreziosita da un difficile triplo loop, mai eseguito prima nella storia di questo sport. Tra le donne è l’inglese Jeannette Altwegg a trasformare in oro il bronzo ottenuto quattro anni prima, mentre nella gara a coppie si verifica il curioso fatto di un podio occupato interamente da atleti legati non solo nello sport ma anche nella vita: i tedeschi Peter e Ria Falk, marito e moglie, precedono i fratelli americani Karol e Michael Kennedy e quelli ungheresi Marianna e Laszlo Nagy.

 

Nel bob, grazie all’indubbio vantaggio legato al maggiore peso dei propri atleti, i tedeschi, guidati da Andreas Oestler, vincono sia la prova nel “due” che nel “quattro”, facendo risuonare durante le due premiazioni l’inno alla gioia di Beethoven, scelto dal comitato olimpico nazionale della Repubblica Federale Tedesca in rappresentanza di entrambi i popoli della Germania.

 

In seguito alle due gare il Cio deciderà di porre un limite di 200 chili per gli equipaggi del bob a due (236 era stato il peso dei tedeschi a Oslo) e di 410 per quello a quattro (contro i 472 del team di Oestler). Nell’hockey su ghiaccio infine sarà ancora lo squadrone canadese ad aggiudicarsi l’oro collezionando sette vittorie e un solo e ininfluente pareggio nell’ultimo match contro gli Stati Uniti.

 

Nel medagliere finale svettano i padroni di casa, con sette ori e sedici medaglie complessive, davanti agli americani, che collezionano 4 ori sugli 11 metalli totali, e ai finlandesi, nove volte a podio, tre delle quali sul gradino più alto.



 

 

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