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N. 36 - Dicembre 2010 (LXVII)

FIUME SAND CREEK
Ora i bambini dormono...

di Federica Caputo

 

Cosa avvenne all’alba del 29 novembre 1864 presso il fiume Sand Creek?

Chi erano gli Cheyenne di Pentola Nera? E gli Arapaho?

 

La strage di Sand Creek è un episodio di cui i libri di storia non parlano molto, un episodio poco noto.

Eppure ancora oggi è considerato uno degli avvenimenti più cruenti dell’intera storia del Far West.

 

Il contesto storico in cui localizzarlo è quello della guerra civile americana (1861-1865).

Questa guerra venne combattuta fra Nordisti (Unionisti o “Giubbe Blu”) e Sudisti (Secessionisti o “Giubbe Grigie”).

All’epoca il presidente era Abraham Lincoln.

I Nordisti agivano ispirati dagli ideali di abolizione della schiavitù, erano industriali e protezionisti, mentre i Sudisti invece erano agricoli, liberisti e schiavisti.

 

Gli Indiani non svolsero ruoli autonomi nel corso della guerra, ma talvolta come conseguenza alla situazione di anarchia, scoppiarono delle vere e proprie “guerre indiane”.

 

Negli anni ’50 del XIX secolo, alle ultime tribù indiane indipendenti, era stato concesso di occupare gli ultimi spazi liberi del continente nordamericano.

 

Poco dopo queste concessioni, gli spazi destinati agli Indiani vennero però notevolmente ridotti dalle costruzioni di ferrovie o edifici volute dalle Giubbe Blu, o semplicemente da attacchi sferrati a danno degli Indiani, sempre da parte delle Giubbe Blu.

 

Tra le tribù indipendenti spiccava quella degli Cheyenne, composta da Indiani dalla personalità allegra e solare. Erano sempre disposti al dialogo con i bianchi, incuriositi e vogliosi di conoscere l’”Altro”, il “Diverso”.

 

La tribù degli Cheyenne, anni prima, insieme alla tribù alleata degli Arapaho, si era divisa in due gruppi: gli Cheyenne settentrionali si erano allontanati dai bianchi, cercando quindi di evitare ogni contatto con loro, mentre gli Cheyenne meridionali si erano stabiliti nelle praterie che si estendevano tra il South Platte, il fiume Kansa e l’alto corso del Colorado.

Gli Cheyenne meridionali stipularono diversi trattati con i bianchi, affinché fossero chiari i loro propositi di serena e rispettosa convivenza.

 

Gli Indiani non vennero mai meno a questo patto, ma i bianchi sì.

In più di una circostanza infatti attaccarono a sorpresa uomini Indiani impegnati nelle loro attività.

Nonostante questo, gli Indiani mai pensarono di reagire alla violenza con altra violenza.

 

Nel 1858 la febbre dell’oro spinse migliaia di colonizzatori nella terra del Colorado.

Questo provocò dei disaccordi fra i nuovi giunti e le tribù lì residenti.

Gli Indiani accettarono di insediarsi nell’area delimitata dall’alto corso del fiume Arkansas e dal Sand Creek.

 

Le violenze che porteranno alla strage iniziarono a essere esercitate nella primavera del 1864, quando le Giubbe Blu, penetrate nei pascoli sul Southe Platte , attaccarono alcuni Indiani a caccia di bisonti.

A distanza di pochi giorni alcuni Dog Soldiers (confraternita di guerrieri del popolo dei Cheyenne) furono attaccati dai volontari del Colorado capeggiati dal colonnello Chivington.

 

Pentola Nera, capo della tribù indiana Cheyenne, interrogò il grande cacciatore americano e amico William Bent, sul perché di questo attacco improvviso, e egli gli spiegò che Evans, governatore del territorio del Colorado, aveva ordinato che la tribù si radunasse a Fort Lyon, ma gli Indiani non avevano obbedito.

Pentola Nera si mostrò subito disponibile a trattative di pace col colonnello Chivington e con lo stesso Evans.

 

Ma questi avevano già costituito un corpo di volontari per combattere gli Indiani, nel quale molti residenti speravano di entrare, evitando così una partenza per il fronte della guerra civile, certamente incerta e rischiosa.

Soltanto quando furono innegabili le volontà di pace espresse da Pentola Nera, Evans fu costretto ad arrendersi all’evidenza e a trattare con Pentola Nera: si stabilì che Cheyenne e Araphalo conservassero le armi necessarie alla caccia e il permesso di piantare accampamenti presso forti militari.

Ma i bianchi pensavano già al tradimento e così gli Indiani di Pentola Nera, sospettosi delle cattive intenzione dei bianchi ma allo stesso tempo certi del fatto che non sarebbero stati attaccati, si accamparono presso una radura del fiume Sand Creek.

 

Purtroppo le cose non andarono come gli Indiani avevano sperato: Chivington, qualche settimana più tardi, radunò dei volontari ai quali ordinò di circondare questo “villaggio” di Indiani con lo scopo non di farli prigionieri, ma di massacrarli, e di uccidere anche donne e bambini poiché “per distruggere i pidocchi bisogna schiacciare le uova”.

 

All’alba del 29 novembre, fu il rimbombare degli zoccoli dei cavalli dei bianchi sulla pianura a svegliare di soprassalto gli Indiani. Il panico si diffuse nell’accampamento: gli uomini iniziarono a uscire dalle tende, le donne cercarono di tranquillizzare invano i figli spaventati.

A nulla valsero i tentativi di incoraggiamento di Pentola Nera, che disperato sventolava una bandiera bianca.

I bianchi incendiarono ai lati l’accampamento e poi iniziarono a sparare indistintamente su donne e bambini inermi. Gli uomini vennero castrati e ridotti a pubblico ludibrio, le donne violentate barbaramente e i bambini usati per il tiro al bersaglio. Si racconta addirittura che molti soldati bianchi tagliarono gli organi genitali alle donne e se li misero fra i capelli esibendo orgogliosamente i loro nuovi copricapo.

 

Fortunatamente però alcuni degli Cheyenne riuscirono a scavare trincee sotto gli argini del torrente in secca e altri a fuggire attraverso la pianura.

 

Quando scese la notte i sopravvissuti uscirono fuori dalle buche.

Tra questi vi era Pentola Nera.

I superstiti seppellirono i loro morti, ossia 214 Cheyenne e 85 Arapaho, per lo più donne e bambini.

Poi si misero in marcia a ritmo serrato, con la disperazione nel cuore, e si unirono agli Arapaho che erano già emigrati.

 

La notizia del massacro di Sand Creek si diffuse rapidamente fra le altre tribù della pianura. I Dog Soldiers, guidati da Naso Aquilino, unitisi ad altre tribù, capitanarono una guerra che iniziò nel gennaio del 1965.

Seguirono sei mesi di attacchi ai bianchi.

Paghi della loro vittoria, dopo questi sei mesi, gli Indiani si sparpagliarono.

 

Nell’ottobre 1865, a circa un anno dal massacro di Sand Creek, gli Cheyenne di Pentola Nera e gli Araphalo uniti, stremati e senza più mezzi di sostentamento, rinunciarono ai territori del Colorado e ricevettero come “riserva permanente” la zona estesa dalle foci dell’Arkansas al fiume Cimarron.

 

 

Questo massacro, che Evans definì codardamente una “spedizione punitiva”, ebbe mai giustizia?

Sì, anche se bisognerà attendere ben 136 anni.

 

In realtà l’inchiesta venne stata aperta l’anno successivo alla strage, quindi nel lontano 1865.

Ma a quel tempo i colpevoli non furono mai condannati.

Questo provocò il perpetuarsi di guerre indiane per almeno dodici anni.

 

Solo nel 2000 il Congresso chiese ufficialmente scusa agli Indiani e condannò gli atti di violenza commessi contro di loro.

Oggi nel luogo della strage sorge una lapide a ricordare quanto avvenuto.

 

Tuttavia i pellerossa hanno ancora una richiesta. Vorrebbero che il loro ruolo nella storia della regione fosse riconosciuto con dei monumenti. Infatti, la maggior parte dei monumenti oggi presenti nel West onorano solo i pionieri bianchi e i soldati.

 

La carneficina di Sand Creek ispirò il cantautore genovese Fabrizio De André, che nella terza canzone dell’album L’Indiano (1981), intitolata appunto Fiume Sand Creek , immagina questa vicenda vissuta e narrata da un bambino.

 

Lapidaria e dolorosa, ma densa di significato, l’ultima battuta del pezzo:

“ora i bambini dormono sul fondo del Sand Creek.”

 

 

Per concludere sarebbe opportuno citare una riflessione di Lance Hanson, una delle grandi voci della letteratura americana contemporanea, che può fungere come morale all’episodio del massacro di Sand Creek:

 

“Le differenze tra le cultura umane sono “normali” come quelle esistenti in natura e non possono essere motivo di scandalo o di inimicizia fra i popoli, le tribù e gli individui. Meno che mai tali differenze possono legittimare pretese superiorità".


 

 

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