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N. 43 - Luglio 2011 (LXXIV)

associazioni femminili Tunisine

femminismo dal maghreb
di Francesca Zamboni

 

Per comprendere il movimento femminista tunisino è necessario fare un’introduzione, partendo dal confronto tra l’esperienza occidentale e quella arabo-musulmana.

 

A coniare ed utilizzare il termine femminismo fu il francese Hubertine Aculert nella rivista “La Citoyenne”, nel 1880. Essendo proprietario del giornale, fece di questo neologismo lo strumento per condannare la supremazia dell’uomo sulla donna.

 

Bisogna tuttavia fare un passo indietro e analizzare l’origine del nuovo vocabolo, ovvero partire dal significato di famiglia sia nei paesi musulmani che in quelli occidentali. Nell’epoca preislamica il nucleo familiare era il frutto di due diverse forme matrimoniali: il nikah al-istibda, finalizzato al concepimento di figli sani e robusti, e il nikah al-mut’a o matrimonio di piacere, la base del quale era il patriarcato. Le donne non avevano personalità giuridica e il loro compito consisteva nella procreazione e nel soddisfare i bisogni sessuali del marito.

 

Con l’avvento dell’Islam, il suddetto sistema tribale fu sostituito da un diverso concetto di famiglia, che diventava il cardine della società, basato sulla consanguineità e sull’affinità. Con il Corano le donne guadagnarono personalità giuridica, la possibilità di esercitare i loro diritti, di chiedere il divorzio e di rifiutare una proposta di matrimonio; la poligamia, che in precedenza era senza limiti, fu limitata al numero di quattro donne.

 

Bourguiba non ha fatto altro che portare avanti il processo di evoluzione femminile avviato dal Libro Sacro grazie all’emanazione del Codice dello Statuto Personale, anche se Tāhir Haddad era già stato il precursore dell’emancipazione femminile in Tunisia negli anni Trenta. Quindi i movimenti femminili hanno costruito le loro battaglie sulla scia di questa evoluzioni.

 

Anche l’Occidente è stato oggetto di analoghe vicissitudini e, per certi aspetti, presenta delle similitudini con la concezione musulmana. Infatti la famiglia, in entrambe le tradizioni, rappresenta la forza motrice della realtà sociale. Nella cultura occidentale il nucleo familiare rappresenta il punto di partenza per la creazione di nuove generazioni; i figli sono la naturale conseguenza dell’unione coniugale, rappresentandone il perfezionamento.

 

Per la concezione arabo musulmana la famiglia è finalizzata alla procreazione ed è strutturalmente basata su aspetti normativi peculiari che devono proteggere l’istituto familiare. La famiglia patriarcale rappresenta l’altra similitudine tra le due tradizioni; un aspetto che ha contribuito alla discriminazione femminile in ambito familiare e lavorativo, favorendo la posizione dell’uomo.

 

Si ricordi come già il Codice napoleonico rafforzava in modo drastico la potestà del marito, stabilendo una condizione della donna caratterizzata dall’incapacità giuridica e politica. Una incapacità che ha avuto riflessi in ambito pubblico e privato, relegando la donna ad una situazione di discriminazione sessuale, impedendole di prendere parte alla vita politica e di avere un ruolo decisionale all’interno del nucleo familiare.

 

Il processo di modernizzazione tunisino, se confrontato con quello italiano, presenta tuttavia alcune discrepanze per quanto riguarda il modo di affrontare la questione femminile e l’adozione di strumenti giuridici.

 

Ecco il motivo per cui i movimenti femministi occidentali differiscono da quelli arabo-musulmani, nonostante il concetto di famiglia sia al centro della struttura sociale. Si tratta di una similitudine teorica che non trova riscontro nell’aspetto pratico. Se pensiamo alla regolamentazione della disciplina del diritto di famiglia italiano, possiamo notare come il paese sia riuscito a parificare il ruolo dell’uomo e della donna nel contesto coniugale, tanto che sia la famiglia legittima che di fatto sono poste sul medesimo piano.

 

Viceversa la Tunisia, pur riformando ed eguagliando i diritti dell’uomo e della donna, non è riuscita a parificare le due tipologie familiari suddette. Anzi, se prima il confine tra unione legittima e naturale era confondibile, adesso le riforme hanno istituzionalizzato il matrimonio tanto da vincolare i coniugi ad una rigida regolamentazione. Basti pensare che in Tunisia vige la separazione dei beni, poiché la comunione era considerata contraria al diritto musulmano classico.

 

Tuttavia l’articolo 11 del CSP ha introdotto la possibilità di inserire delle clausole all’interno del contratto matrimoniale, in modo tale che il coniuge possa scegliere un regime diverso dalla separazione patrimoniale.

 

Inoltre, dal 1998 è stata emanata una legge che disciplina la comunione dei beni affinché l’uomo non approfitti fraudolentemente del regime di separazione in caso di divorzio.

 

Possiamo dedurre che sia la cultura arabo-musulmana che quella occidentale presentano le medesime problematiche circa il ruolo giocato dalla donna e dall’uomo all’interno della società, tuttavia il monitoraggio della situazione è stato diverso per le due culture.

 

La religione e le vicende storiche hanno fatto sì che tematiche sociali uguali siano state affrontate in modo diverso. È vero che le donne sono i soggetti passivi per l’Occidente e per la cultura tunisina e che ambedue le tradizioni abbiano tentato l’emancipazione della donna, ma è altresì vero che i vari sviluppi sono avvenuti con una scansione temporale particolare.

 

Praticamente quello che una cultura ha realizzato in un’epoca permetteva la medesima realizzazione, in tempi successivi, per l’altra. Basti pensare all’interruzione del matrimonio e al regime della separazione dei beni, che prima hanno trovato realizzazione nel mondo tunisino e dopo in quello occidentale. All'inverso, la comunione dei beni e le formalità richieste per la celebrazione del matrimonio, propri della giurisdizione occidentale, sono stati assimilati in seguito da quella musulmana.

 

Il processo di emancipazione femminile è avvenuto nelle due culture in modo diverso, dal momento che nella tradizione tunisina la soggettività della donna e la sua autonomia sono avvenute dopo il riconoscimento dei diritti alla cittadinanza. In Occidente sarebbe invece avvenuto l’opposto.

 

I vari cambiamenti propugnati dall’ordinamento arabo-musulmano e in particolar modo da quello tunisino sembrano però non trovare riscontro nella vita quotidiana.

 

La mancata attuazione tra ciò che è avvenuto in teoria e quello che avviene in pratica sta a rappresentare quanto le donne siano ancora legate alle tradizioni religiose, continuando a farsi portavoce dei precetti sciariatici. La loro cultura si presenta immune alle richieste dei movimenti femministi indipendenti, che si sono sviluppati negli anni Ottanta dopo la rottura con il movimento femminista filogovernativo.

 

La loro struttura eterogenea ha trovato tuttavia omogeneità nel desiderio di dare valore all’identità femminile e ai loro diritti. Uno di questi movimenti è il Club Tahar Haddad de la condition de la femme, sorto nel 1978 ad opera di alcune studentesse universitarie, e l’Association des Femmes Démocrates, nato nel 1989 e volto alla lotta contro tutte le forme di discriminazione della donna.

 

Interessante è il processo che ha condotto il paese a tentativi di forme di tutela delle donne, dando vita ad una legislazione laico-femminista, paradossalmente sostenuta da figure maschili come Bourguiba e Ben Alì, tanto da essere definita “octroyé”, ovvero concesso dal potere politico gestito da uomini.

 

Una particolarità che sembra aver favorito il divario tra le riforme teoriche e la loro applicazione, poiché le donne non riescono a vivere il processo di emancipazione come una loro conquista. Il femminismo tunisino viene definito “femminismo di stato” o “femminismo maschile”, che, se da un lato tenta di tutelare il ruolo della donna, dall’altro tenta di salvaguardare la famiglia di stampo patriarcale.

 

Si tratta di un processo volto alla istituzionalizzazione del movimento femminista, che concepisce il lavoro della donna come il naturale ampliamento di quello domestico e che emancipa il ruolo della donna, però sempre in un contesto dominato dalla figura maschile. I movimenti dipendono, in questo caso, da organi politici espressione dello stato, facendo dei movimenti femministi autonomi il simbolo dell’estremismo.

 

Le associazioni, espressione dei diritti delle donne, perdono così la loro natura sovversiva e destabilizzante. Il femminismo elitario ed indipendente lascia il posto ad un femminismo dissuasivo ed istituzionalizzato, frutto di una regolamentazione che proviene dall’alto e di cui la Tunisia ne è diretta espressione.

 

Ecco il motivo per cui all’indomani dell’indipendenza le donne tunisine si vedono riconosciuti gli stessi diritti degli uomini, che tuttavia non possono esercitare liberamente poiché sottoposti al controllo di uno stato gestito da un unico partito e dominato dalla figura del Presidente della Repubblica. Quindi una sorta di femminismo di stato che limita un femminismo indipendente ed estremista.

 

La Tunisia, sin dalla sua indipendenza, ha mostrato il desiderio di spingere la donna verso una migliore condizione sociale.

 

Non a caso la prima associazione femminile è nata proprio nel 1956, anno dell’indipendenza, facendosi portavoce non solo di una politica femminista, ma anche del programma del Néo-destǔr di Bourguiba, che, dopo aver sciolto le associazioni femminili esistenti, decise di dar vita ad una nuova organizzazione che prese il nome di UNFT (Union Nationale de la Femme Tunisienne); un’associazione rivolta all’emancipazione delle donna in tutti i settori, facendo delle pari opportunità lo strumento attraverso cui realizzare importanti progressi a livello economico e sociale.

 

Il fatto che l’UNFT fosse strettamente legata al governo provocò nel corso degli anni un allontanamento delle nuove generazioni femminili che, nel 1978, promossero un nuovo programma in vista della creazione di un nuovo movimento universitario autonomo denominato CECF (Club d’Etude de la Condition de la Femme).

 

Molte studentesse furono infatti le artefici di questo nuovo progetto, il cui programma, volto all’abolizione di ogni forma di discriminazione femminile, fu il risultato dei numerosi incontri che si tennero presso il “Tahar Haddad Club”. Le studentesse fondarono anche la rivista “Nissa”, che divenne il portavoce delle loro aspirazioni e il mezzo tramite cui dar voce alle proprie battaglie.

 

Il gruppo che si era venuto a creare rappresentò la base per la nascita, nel 1989, di altre due importanti associazioni che presero il nome di AFTURD (Association des Femmes Tunisiennes pour la Recherche et le Développement) e l’AFTD (Association Tunisienne des Femmes Démocrates). La prima rappresenta uno strumento di ricerca e di studio per l’emancipazione delle donne e la democrazia sociale da cui è nata il CREDIF (Centre des Recherches, d’Etudes, de Documentation et d’Information sur la Femme); la seconda è un sistema di lotta contro ogni tipo di violenza nei confronti delle donne per salvaguardare i loro diritti familiari e lavorativi.

 

L’AFTD, riconosciuta ufficialmente nel 1989, non è altro che l’ampliamento del programma del movimento femminista degli anni Settanta che si batte contro le discriminazioni femminili. Per questo motivo, nel 1993 è stato creato un centro di ascolto per le donne vittime di violenze che, per le sue ideologie, è stata oggetto di minacce e intimidazioni, per non parlare delle censure e delle repressioni.

 

Le donne che appartengono all’AFTD sono spesso vittime di soprusi lavorativi e di ostacoli burocratici, in particolare per conseguire un passaporto. Per questo motivo l’associazione si è avvalsa di molti gruppi indipendenti per ottenere un valido aiuto nei momenti di maggiore difficoltà.

 

La Lega tunisina dei diritti dell’uomo, Amnesty International, l’Unione generale degli studenti tunisini e l’Associazione tunisina degli avvocati sono infatti gli elementi complementari dell’attività femminista dell’Associazione tunisina delle donne democratiche.

 

Spesso però l’associazione in questione tende a utilizzare la libertà di espressione e la lotta per le libertà democratiche in modo troppo evidente, perdendo di vista i reali obiettivi per cui si stanno battendo. L’AFTD è stata perciò la prima associazione ad avviare un programma di rivendicazioni politiche, prendendo anche parte ai disordini verificatisi dopo l’aumento del prezzo del pane.

 

Dal 1989 l’organizzazione femminile aderì dinamicamente alla campagna per le elezioni del 1989, opponendosi al programma di alcuni membri di al-Nahda. L’AFTD è la portavoce per eccellenza dei principi democratici, volti alla realizzazione di una società civile, un obiettivo che la Tunisia si era prefissato dal giorno dell’indipendenza e che Bourguiba aveva inseguito sin dal primo giorno del suo mandato.

 

Non solo, il Capo di Stato represse ogni forma di associazione di matrice islamica, facendo da trampolino di lancio per un processo di democratizzazione che in seguito è stato il filo conduttore del programma dell’Associazione Democratica delle Donne Tunisine.

 

Un altro progetto degno di attenzione promosso in questa occasione, sia dall’AFTD che dall’AFTURD, è stato il programma di ricerca intitolato “Cinque argomenti per l’uguaglianza nell’eredità” al fine di creare un dibattito sulla questione dell’eredità, un aspetto della legislazione tunisina che non è stato modificato nonostante i buoni propositi avviati dal Presidente Bourguiba.

 

Tuttavia è stato proprio dopo la sua destituzione che l’associazione ha acquisito maggiore costanza, richiedendo maggiori garanzie per quanto concerne soprattutto la partecipazione delle donne alla vita politica.

 

L’AFTD ha lottato non solo per l’emancipazione femminile, ma anche per la difesa dei diritti umani, condannando nel 2002 la revisione costituzionale e opponendosi, nel marzo 2004, alla campagna pubblica di salvaguardia dei buoni costumi.

 

 Il CNFF (Le Conseil National de la Femme et de la Famille), creato dopo il 1992, è l’altra associazione femminile finalizzata al miglioramento dello status della donna. Presieduta dal “Ministro delle donne, famiglia, bambini e anziani”, l’associazione rappresenta un punto di ascolto per risolvere problematiche femminili.

 

Il suo quadro istituzionale comprende, dal 1997, tre commissioni permanenti che svolgono incarichi importanti, che vanno dal controllo dell’immagine femminile trasmessa dai media fino al controllo sulla giusta applicazione delle leggi e la loro attuazione per assicurare le pari opportunità.

 

La Commission "Femme et Développement" (CFD) è stata creata, invece, nel 1991 ed è volta ad una migliore integrazione della donna in tutti i settori lavorativi. I suoi compiti sono infatti finalizzati ad un maggiore inserimento della donna nei processi di produzione e ad una migliore determinazione dei compiti delle donne delle zone rurali, tanto che dall’agosto 2001 è stata costituita una commissione nazionale per raggiungere lo scopo suddetto.

 

Infine è stato promosso il settore dell’istruzione scolastica, affinché le donne possano essere partecipi dei progressi scientifici. Per assicurare il corretto svolgimento del programma, l’associazione ha attuato dei piani quinquennali, alla fine dei quali è previsto un resoconto finale sull’andamento dei cinque anni.

 

Grazie alla nascita delle suddette organizzazioni, la donna ha potuto conoscere l’inserimento nel settore lavorativo sia per quanto riguarda l’imprenditoria e la politica, sia per quanto concerne il mondo dello spettacolo che dello sport.

 

La prima associazione tunisina dell’industria, del commercio e dell’artigianato (Union Tunisienne de l’Industrie, du Commerce et de l’Artisanat) è stata creata nel 1990, seguita, sempre nello stesso anno, dall’Unione tunisina dell’agricoltura e della pesca, il cui settore, nel 2004, era composto dal 32% di donne.

 

Come si è detto, la figura femminile ha fatto anche la sua comparsa nel mondo dello spettacolo; sono molte le donne registe e attrici, che sono divenute espressione del settore artistico, un mondo che prima era loro precluso.

 

La donna tunisina oggi gioca un ruolo importante anche nelle organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite e in altre istituzioni simili. Quindi la donna, anche se in modo limitato, è riuscita ad ottenere protezione sia nel ruolo di lavoratrice che nel ruolo di madre, raggiungendo parzialmente quell’uguaglianza garantita dal testo costituzionale e dalla legislazione tunisina.

 

Il processo, avviato da Bourguiba per la creazione di una società civile, ha trovato la sua realizzazione con Ben Ali, che è riuscito, grazie a questo ambizioso progetto democratico, a far conquistare alla Tunisia una maggiore considerazione non solo a livello nazionale, ma anche internazionale. Quindi il regime ha rappresentato il veicolo per questa evoluzione volta alla “celebrazione della società civile tunisina”.



 

 

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