N. 75 - Marzo 2014 
                          
                          (CVI)
																						FEDRA
																						L’AMORE TOTALE DELLA TRAGEDIA EURIPIDEA E LE SUe RIVISITAZIONi
																						di Giulia Elena Vigoni
																			 
																			
																			
																			L’antica 
																			Grecia 
																			vanta 
																			tre 
																			grandi 
																			tragediografi: 
																			Sofocle, 
																			Eschilo 
																			ed
																			
																			Euripide. 
																			Quest’ultimo 
																			fu 
																			autore 
																			di 
																			molte 
																			opere 
																			tra 
																			cui 
																			una, 
																			molto 
																			attuale, 
																			rivisitata 
																			da 
																			numerosi 
																			autori 
																			nei 
																			secoli 
																			successivi 
																			sino 
																			ad 
																			oggi. 
																			Divenuta 
																			celebre 
																			con 
																			il 
																			titolo
																			
																			“Ippolito 
																			Coronato” 
																			per 
																			distinguerla 
																			da 
																			un’ 
																			antecedente 
																			tragedia 
																			di 
																			Euripide 
																			nota 
																			come 
																			“Ippolito 
																			velato”, 
																			oggi 
																			andata 
																			perduta, 
																			fu 
																			rappresentata 
																			per 
																			la 
																			prima 
																			volta 
																			ad 
																			Atene 
																			in 
																			occasione 
																			delle 
																			Grandi 
																			Dionisie 
																			del 
																			428 
																			a. 
																			C.
																			 
																			
																			
																			Tuttavia 
																			il 
																			personaggio 
																			principale 
																			è 
																			Fedra, 
																			la 
																			“luminosa” 
																			figlia 
																			di Pasifae 
																			e 
																			Minosse, 
																			regale 
																			sposa 
																			di 
																			Teseo 
																			re e 
																			fondatore 
																			di 
																			Atene, 
																			perdutamente 
																			innamorata 
																			di 
																			Ippolito, 
																			figlio 
																			che 
																			il 
																			marito 
																			ebbe 
																			in 
																			una 
																			delle 
																			sue 
																			avventure 
																			amorose 
																			con 
																			la 
																			regina 
																			delle 
																			Amazzoni 
																			Antiope.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Indipendentemente 
																			dal 
																			secolo 
																			in 
																			cui 
																			la 
																			tragedia 
																			fu 
																			riadattata, 
																			il 
																			tema 
																			centrale 
																			è 
																			l’amore; 
																			un 
																			amore 
																			incestuoso 
																			e 
																			non 
																			corrisposto, 
																			impossibile 
																			da 
																			realizzare 
																			che 
																			conduce 
																			inevitabilmente 
																			a un 
																			dolore 
																			atroce 
																			che 
																			consuma 
																			l’anima 
																			fino 
																			a 
																			culminare 
																			nella 
																			morte.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Critici 
																			moderni 
																			hanno 
																			speso 
																			numerose 
																			analisi 
																			psicologiche 
																			sulla 
																			malattia 
																			d’amore 
																			patita 
																			da 
																			Fedra 
																			che 
																			arriva 
																			addirittura 
																			a 
																			mostrarne 
																			una 
																			vera 
																			e 
																			propria 
																			sintomatologia. 
																			Da 
																			Euripide 
																			in 
																			poi 
																			celebre 
																			è il 
																			delirio 
																			della 
																			protagonista 
																			nel 
																			primo 
																			atto 
																			della 
																			tragedia. 
																			Non 
																			siamo 
																			più 
																			nelle 
																			selve, 
																			nei 
																			loci 
																			amoeni 
																			di 
																			Ippolito 
																			colto 
																			in 
																			un 
																			ambiente 
																			silvestre 
																			ed 
																			idilliaco 
																			sempre 
																			intento 
																			a 
																			compiere 
																			sacrifici 
																			in 
																			onore 
																			della 
																			dea 
																			Artemide; 
																			ci 
																			spostiamo 
																			in 
																			una 
																			delle 
																			stanze 
																			più 
																			recondite 
																			del 
																			palazzo 
																			di 
																			Teseo 
																			a 
																			Trezene, 
																			dove 
																			il 
																			sovrano 
																			e 
																			fondatore 
																			di 
																			Atene 
																			aveva 
																			spostato 
																			la 
																			corte 
																			nel 
																			tentativo 
																			di 
																			riconciliarsi 
																			con 
																			il 
																			figlio 
																			che 
																			come 
																			ammetterà 
																			Fedra 
																			poco 
																			più 
																			avanti, 
																			era 
																			stato 
																			esiliato 
																			in 
																			quella 
																			città 
																			su 
																			consiglio 
																			della 
																			stessa 
																			regina 
																			perché 
																			innamorata 
																			di 
																			lui 
																			e 
																			convinta 
																			che 
																			rendendosi 
																			odiosa 
																			al 
																			figliastro 
																			ed 
																			allontanandolo 
																			dalla 
																			sua 
																			vista 
																			avrebbe 
																			potuto 
																			mettere 
																			a 
																			tacere 
																			questa 
																			passione 
																			malata.
																			 
																			
																			
																			Se 
																			in 
																			Euripide 
																			e 
																			Seneca 
																			la 
																			bella 
																			e 
																			una 
																			volta 
																			luminosa 
																			regina 
																			è 
																			ritratta 
																			con 
																			il 
																			volto 
																			scarno, 
																			gli 
																			occhi 
																			incavati, 
																			pallida 
																			come 
																			la 
																			morte 
																			e 
																			deperita 
																			perché 
																			ha 
																			deciso, 
																			come 
																			riferisce 
																			alla 
																			nutrice 
																			di 
																			astenersi 
																			dal 
																			cibo 
																			così 
																			come 
																			dal 
																			sesso 
																			con 
																			l’obiettivo 
																			di 
																			raggiungere 
																			quella 
																			purezza 
																			che 
																			connota 
																			Ippolito, 
																			il 
																			quale 
																			ignora 
																			- 
																			come 
																			sottolinea 
																			Racine 
																			(Atto 
																			Primo, 
																			Scena 
																			1) 
																			nella 
																			celebre 
																			e a 
																			suo 
																			dire 
																			miglior 
																			tragedia 
																			della 
																			propria 
																			produzione 
																			- 
																			tutto 
																			ciò 
																			che 
																			concerne 
																			l’eros 
																			e la 
																			corruzione 
																			morale 
																			(al 
																			punto 
																			che 
																			nel 
																			dialogo 
																			con 
																			il 
																			generale 
																			Teramene, 
																			tanto 
																			approva 
																			ed 
																			esalta 
																			le 
																			gesta 
																			eroiche 
																			compiute 
																			dal 
																			padre, 
																			tanto 
																			biasima 
																			le 
																			sue 
																			avventure 
																			erotiche 
																			e 
																			gli 
																			adulteri 
																			commessi 
																			in 
																			gioventù 
																			e da 
																			cui 
																			egli 
																			prende 
																			le 
																			distanze).
																			 
																			
																			
																			Nella 
																			tragedia 
																			raciniana 
																			Fedra 
																			è 
																			colta 
																			nel 
																			momento 
																			in 
																			cui 
																			debole 
																			e 
																			tremante 
																			entra 
																			nella 
																			sua 
																			stanza 
																			dopo 
																			che 
																			la 
																			nutrice 
																			Enone 
																			aveva 
																			informato 
																			Ippolito 
																			e 
																			Teramene 
																			che 
																			l’animo 
																			della 
																			sua 
																			regina 
																			era 
																			da 
																			tempo 
																			pervaso 
																			da 
																			un 
																			eterno 
																			disordine.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Nella 
																			tragedia 
																			antica 
																			di 
																			Euripide 
																			e 
																			Seneca 
																			la 
																			sposa 
																			di 
																			Teseo 
																			prega 
																			le 
																			ancelle 
																			di 
																			scioglierle 
																			le 
																			trecce, 
																			liberarla 
																			dai 
																			pesanti 
																			gioielli 
																			e di 
																			slegare 
																			i 
																			lacci 
																			delle 
																			vesti, 
																			simbolo 
																			del 
																			legame 
																			che 
																			la 
																			passione 
																			amorosa 
																			ha 
																			creato 
																			tra 
																			lei 
																			e 
																			Ippolito, 
																			un 
																			legame 
																			malsano, 
																			da 
																			estirpare.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Jean 
																			Racine 
																			ambienta 
																			la 
																			tragedia 
																			nel 
																			‘600 
																			e 
																			non 
																			può 
																			permettere 
																			che 
																			una 
																			regina 
																			si 
																			abbandoni 
																			mollemente 
																			sul 
																			proprio 
																			letto, 
																			perché 
																			anche 
																			nel 
																			dolore 
																			e 
																			nella 
																			morte 
																			ella 
																			deve 
																			mantenere 
																			il 
																			suo 
																			ruolo 
																			regale; 
																			ecco 
																			perché 
																			non 
																			chiede 
																			di 
																			essere 
																			liberata 
																			da 
																			vesti, 
																			lacci, 
																			gioielli 
																			e la 
																			sua 
																			acconciatura 
																			rimane 
																			perfetta.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Nel 
																			secondo 
																			atto 
																			della 
																			tragedia 
																			raciniana 
																			o 
																			“atto 
																			delle 
																			dichiarazioni” 
																			Ippolito 
																			rivela 
																			il 
																			proprio 
																			amore 
																			ad 
																			Aricia, 
																			la 
																			principessa 
																			ateniese 
																			figlia 
																			dei 
																			nemici 
																			mortali 
																			di 
																			Teseo 
																			e 
																			per 
																			questo 
																			condannata 
																			alla 
																			verginità.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Il 
																			giovane 
																			è 
																			imbarazzato 
																			perché 
																			teme 
																			l’amore 
																			esattamente 
																			come 
																			il 
																			padre 
																			alla 
																			sua 
																			età.
																			
																			
																			
																			
																			Perché 
																			si 
																			ha 
																			paura 
																			di 
																			amare? 
																			Padre 
																			e 
																			figlio 
																			sono 
																			entrambi 
																			caratterizzati 
																			dal 
																			timore 
																			di 
																			lasciarsi 
																			andare 
																			alle 
																			gioie 
																			dell’amore 
																			perché 
																			questo 
																			sentimento 
																			è 
																			un’arma 
																			a 
																			doppio 
																			taglio: 
																			da 
																			un 
																			lato 
																			riempie 
																			l’animo, 
																			dona 
																			felicità 
																			e 
																			appaga, 
																			dall’altro 
																			imprigiona. 
																			Amare 
																			significa 
																			rinunciare 
																			a 
																			parte 
																			della 
																			propria 
																			libertà 
																			e 
																			indipendenza, 
																			significa 
																			legarsi 
																			ed 
																			essere 
																			vincolati.
																			 
																			
																			
																			André 
																			Gide 
																			in
																			“Thésée”, 
																			opera 
																			pubblicata 
																			nel 
																			1946, 
																			esagera 
																			questa 
																			paura 
																			trasformandola 
																			in 
																			spregiudicatezza. 
																			Abituato 
																			a 
																			godere 
																			di 
																			tutti 
																			i 
																			piaceri 
																			che 
																			la 
																			vita 
																			ha 
																			in 
																			serbo, 
																			il 
																			giovane 
																			Teseo 
																			non 
																			vuole 
																			legarsi 
																			definitivamente 
																			a 
																			nessuna 
																			donna. 
																			Lo 
																			stesso 
																			Dedalo 
																			nel 
																			settimo 
																			capitolo 
																			dell’opera 
																			dice:
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			“Dopo 
																			il 
																			terribile 
																			combattimento 
																			dal 
																			quale 
																			uscirai 
																			vittorioso, 
																			non 
																			attardarti 
																			nel 
																			labirinto 
																			né 
																			tra 
																			le 
																			braccia 
																			di 
																			Arianna. 
																			Vai 
																			oltre. 
																			Considera 
																			la 
																			pigrizia 
																			come 
																			un 
																			tradimento. 
																			Una 
																			volta 
																			compiutosi 
																			il 
																			tuo 
																			destino 
																			sappi 
																			trovare 
																			il 
																			riposo 
																			solo 
																			nella 
																			morte. 
																			È 
																			così 
																			che, 
																			oltre 
																			la 
																			morte 
																			apparente, 
																			vivrai 
																			risorgendo 
																			all’infinito 
																			nella 
																			riconoscenza 
																			degli 
																			uomini. 
																			Và 
																			oltre, 
																			và 
																			sempre 
																			avanti 
																			prosegui 
																			nella 
																			tua 
																			strada, 
																			valente 
																			creatore 
																			di 
																			città”.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Teseo 
																			troverà 
																			una 
																			stabilità 
																			solo 
																			con 
																			Fedra 
																			affermando 
																			che 
																			tutte 
																			le 
																			avventure 
																			e 
																			gli 
																			adulteri 
																			successivi 
																			al 
																			loro 
																			matrimonio 
																			furono 
																			solo 
																			voci 
																			che 
																			lasciò 
																			correre 
																			senza 
																			smentire 
																			perché 
																			accrescevano 
																			la 
																			sua 
																			fama. 
																			Da 
																			spregiudicato 
																			quale 
																			è 
																			abbandona 
																			la 
																			“bella 
																			ma 
																			appiccicosa 
																			Arianna” 
																			sull’isola 
																			di 
																			Nasso 
																			dove 
																			qualche 
																			tempo 
																			dopo 
																			sposò 
																			Dioniso 
																			(ovvero, 
																			come 
																			sostiene 
																			il 
																			futuro 
																			re 
																			di 
																			Atene, 
																			si 
																			diede 
																			al  
																			vino).
																			
																			
																			
																			
																			Arianna 
																			nell’opera 
																			di 
																			Gide 
																			è 
																			dipinta 
																			come 
																			la 
																			classica 
																			donna 
																			che 
																			ama 
																			in 
																			modo 
																			egoistico; 
																			nel 
																			sesto 
																			capitolo 
																			dell’opera 
																			gidiana 
																			afferma, 
																			rivolgendosi 
																			all’amato:
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			“Ciò 
																			di 
																			cui 
																			devi 
																			persuaderti 
																			è 
																			che 
																			la 
																			tua 
																			unica 
																			possibilità 
																			di 
																			riuscita 
																			sta 
																			nel 
																			fatto 
																			che 
																			non 
																			dovrai 
																			mai 
																			lasciarmi. 
																			Fra 
																			te e 
																			me, 
																			ormai, 
																			vi 
																			è, 
																			deve 
																			esserci 
																			un 
																			solo 
																			legame: 
																			per 
																			la 
																			vita 
																			e 
																			per 
																			la 
																			morte. 
																			È 
																			solo 
																			grazie 
																			a me 
																			che 
																			tu 
																			potrai 
																			ritrovarti. 
																			Prendere 
																			o 
																			lasciare. 
																			Se 
																			tu 
																			mi 
																			abbandoni, 
																			guai 
																			a 
																			te.”
																			
																			
																			 
																			
																			
																			La 
																			principessa 
																			cretese 
																			ha 
																			già 
																			pianificato 
																			tutta 
																			la 
																			loro 
																			vita 
																			insieme 
																			e 
																			questo 
																			spaventa 
																			l’eroe 
																			che 
																			anche 
																			nel 
																			nono 
																			capitolo, 
																			dopo 
																			il 
																			dialogo 
																			con 
																			Icaro 
																			che, 
																			come 
																			rivela 
																			Dedalo, 
																			non 
																			è il 
																			vero 
																			figlio 
																			poiché 
																			questo, 
																			spregiudicato 
																			come 
																			Teseo, 
																			non 
																			ha 
																			ascoltato 
																			i 
																			consigli 
																			del 
																			padre 
																			e ha 
																			volato 
																			troppo 
																			in 
																			alto 
																			per 
																			uscire 
																			dal 
																			labirinto 
																			andando 
																			troppo 
																			vicino 
																			al 
																			sole 
																			che 
																			gli 
																			ha 
																			bruciato 
																			le 
																			ali 
																			appositamente 
																			costruite 
																			per 
																			questa 
																			fuga 
																			facendolo 
																			cadere 
																			in 
																			mare 
																			dove 
																			morì 
																			annegato. 
																			Icaro 
																			è 
																			l’incarnazione 
																			dell’inquietudine 
																			e di 
																			quegli 
																			slanci 
																			e 
																			tensione 
																			verso 
																			l’irraggiungibile 
																			infinito 
																			tipica 
																			dei 
																			romantici; 
																			è la 
																			personificazione 
																			dell’ 
																			Inquietudine 
																			che 
																			parla.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Un 
																			altro 
																			emblematico 
																			passo 
																			in 
																			cui 
																			si 
																			sottolinea 
																			la 
																			paura 
																			di 
																			amare 
																			di 
																			Teseo 
																			si 
																			evidenzia 
																			nel 
																			momento 
																			in 
																			cui 
																			si 
																			accinge 
																			ad 
																			entrare 
																			nel 
																			labirinto 
																			per 
																			sconfiggere 
																			il 
																			Minotauro. 
																			Arianna 
																			insiste 
																			per 
																			tenere 
																			i 
																			gomitoli 
																			datigli 
																			da 
																			Dedalo 
																			ma 
																			il 
																			figlio 
																			di 
																			Egeo 
																			per 
																			paura 
																			che 
																			questa 
																			compia 
																			qualcosa 
																			per 
																			imprigionarlo 
																			e 
																			legarlo 
																			irreversibilmente 
																			a sé 
																			glielo 
																			impedisce. 
																			Si 
																			lascia, 
																			controvoglia, 
																			legare 
																			un 
																			capo 
																			del 
																			filo 
																			attorno 
																			al 
																			polso, 
																			entra 
																			nel 
																			labirinto, 
																			lascia 
																			i 
																			compagni 
																			nella 
																			prima 
																			sala 
																			dove 
																			vengono 
																			investiti 
																			dai 
																			profumi 
																			inebrianti 
																			del 
																			luogo 
																			che 
																			producono 
																			una 
																			paralisi 
																			della 
																			ragione 
																			e 
																			della 
																			volontà.
																			 
																			
																			
																			È 
																			questo 
																			il 
																			vero 
																			pericolo 
																			del 
																			labirinto, 
																			una 
																			prigione 
																			idilliaca 
																			costruita 
																			in 
																			modo 
																			tale 
																			che 
																			il 
																			Minotauro 
																			non 
																			volesse 
																			uscire 
																			benché 
																			potesse 
																			farlo; 
																			è 
																			quel 
																			paradiso 
																			dei 
																			sensi 
																			che 
																			imprigiona 
																			causando 
																			gli 
																			stessi 
																			effetti 
																			dell’amore 
																			annebbiando 
																			la 
																			vista 
																			di 
																			fronte 
																			alla 
																			realtà.
																			 
																			
																			
																			Solo 
																			la 
																			fermezza 
																			e la 
																			ferrea 
																			volontà 
																			di 
																			Teseo 
																			gli 
																			consentono 
																			di 
																			sconfiggere 
																			il 
																			Minotauro, 
																			la 
																			cui 
																			bellezza 
																			e 
																			armonia 
																			delle 
																			parti 
																			taurine 
																			e 
																			umane 
																			inizialmente 
																			blocca 
																			il 
																			mitologico 
																			fondatore 
																			di 
																			Atene, 
																			e di 
																			recuperare 
																			i 
																			compagni 
																			inebriati 
																			dai 
																			profumi 
																			del 
																			labirinto 
																			uscendo 
																			da 
																			quel 
																			luogo.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Compiuta 
																			la 
																			missione, 
																			con 
																			l’aiuto 
																			di 
																			Piritoo 
																			si 
																			finge 
																			pederasta 
																			e 
																			travestendo 
																			Fedra 
																			da 
																			Glauco, 
																			rapisce 
																			la 
																			giovane, 
																			abbandona 
																			Arianna 
																			sull’isola 
																			di 
																			Nasso 
																			e 
																			giunge 
																			ad 
																			Atene 
																			dove 
																			decide 
																			di 
																			fermarsi, 
																			assumere 
																			le 
																			sue 
																			responsabilità, 
																			unire 
																			i 
																			villaggi 
																			in 
																			lotta 
																			e 
																			fondare 
																			la 
																			città 
																			più 
																			democratica 
																			di 
																			tutta 
																			l’Attica 
																			garantendo 
																			pari 
																			diritti 
																			a 
																			chiunque, 
																			cittadino 
																			e 
																			forestiero.
																			 
																			
																			
																			Si 
																			allontana 
																			da 
																			Piritoo 
																			capendo 
																			che 
																			anche 
																			l’amicizia 
																			a 
																			lungo 
																			andare 
																			diventa, 
																			come 
																			l’amore, 
																			una 
																			trappola 
																			che 
																			ostacola 
																			“l’andare 
																			avanti”. 
																			L’amico 
																			gli 
																			consigliava 
																			di 
																			fermarsi 
																			e 
																			dedicarsi 
																			a 
																			Fedra 
																			e ad 
																			Atene 
																			mentre 
																			Teseo 
																			voleva 
																			continuare 
																			a 
																			fare 
																			conquiste 
																			e 
																			mettersi 
																			alla 
																			prova.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Il 
																			dodicesimo 
																			capitolo 
																			di
																			
																			“Thésée” 
																			è 
																			occupato 
																			dal 
																			dialogo 
																			con 
																			il 
																			vecchio 
																			Edipo, 
																			giunto 
																			in 
																			esilio 
																			a 
																			Colono. 
																			Nonostante 
																			Teseo 
																			lo 
																			reputi 
																			l’unico 
																			le 
																			cui 
																			imprese 
																			fossero 
																			al 
																			pari 
																			delle 
																			sue, 
																			non 
																			condivide 
																			il 
																			fatto 
																			che 
																			l’anziano 
																			e 
																			sventurato 
																			re 
																			di 
																			Tebe 
																			abbia 
																			preferito 
																			accecarsi 
																			per 
																			vergogna 
																			del 
																			suo 
																			incesto 
																			sostenendo 
																			di 
																			essersi 
																			reso 
																			eroe 
																			in 
																			quanto 
																			ha 
																			sfidato 
																			gli 
																			dei: 
																			solo 
																			chi 
																			sfida 
																			i 
																			limiti 
																			del 
																			sovrannaturale 
																			rinunciando 
																			anche 
																			a 
																			piaceri 
																			terreni 
																			è 
																			degno 
																			di 
																			eroicità.
																			 
																			
																			
																			Il 
																			figlio 
																			di 
																			Teseo 
																			non 
																			è 
																			d’accordo: 
																			conclude 
																			affermando 
																			che 
																			eroe 
																			è 
																			colui 
																			che 
																			alla 
																			fine 
																			dei 
																			suoi 
																			giorni 
																			può 
																			dire 
																			“io 
																			ho 
																			vissuto”, 
																			che 
																			non 
																			si è 
																			negato 
																			i 
																			piaceri 
																			terreni 
																			che 
																			la 
																			vita 
																			riserva, 
																			che 
																			ha 
																			sfidato 
																			i 
																			suoi 
																			limiti, 
																			riconoscendoli, 
																			mettendosi 
																			alla 
																			prova 
																			e 
																			non 
																			ha 
																			nulla 
																			da 
																			rimpiangere. 
																			Questo 
																			è 
																			l‘eroe. 
																			E lo 
																			si 
																			può 
																			essere 
																			essendo 
																			anche 
																			spregiudicati.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Radicalmente 
																			diverso 
																			l’approccio 
																			all’amore 
																			che 
																			Racine 
																			conferisce 
																			ai 
																			suoi 
																			personaggi.
																			
																			
																			Quando 
																			Aricia 
																			rivela 
																			all’ancella 
																			Ismene 
																			il 
																			suo 
																			innamoramento 
																			per 
																			Ippolito 
																			aprendo 
																			il 
																			secondo 
																			atto, 
																			teme 
																			di 
																			non 
																			essere 
																			corrisposta. 
																			Ma 
																			Ismene 
																			la 
																			tranquillizza 
																			rivelandole 
																			che 
																			sin 
																			dal 
																			loro 
																			primo 
																			sguardo 
																			si 
																			era 
																			già 
																			capito 
																			che 
																			entrambi 
																			erano 
																			innamorati 
																			l’uno 
																			dell’altra.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Lo 
																			sguardo 
																			è 
																			allora 
																			uno 
																			dei 
																			principali 
																			elementi 
																			del 
																			tema 
																			amoroso 
																			su 
																			cui 
																			è 
																			possibile 
																			fare 
																			un 
																			confronto 
																			tra 
																			Racine 
																			e 
																			Corneille, 
																			suo 
																			contemporaneo.
																			 
																			
																			
																			Per 
																			il 
																			drammaturgo 
																			seicentesco 
																			nativo 
																			di 
																			Rouen, 
																			l’eroe 
																			cerca 
																			lo 
																			sguardo 
																			dello 
																			spettatore 
																			e 
																			degli 
																			altri 
																			personaggi 
																			perché 
																			è 
																			simbolo 
																			di 
																			gloria. 
																			Vuole 
																			essere 
																			guardato 
																			e 
																			ciò 
																			conferisce 
																			allo 
																			sguardo 
																			pienezza 
																			e 
																			limpidezza; 
																			è lo 
																			sguardo 
																			tra 
																			due 
																			innamorati 
																			che 
																			si 
																			cercano 
																			e 
																			che 
																			deve 
																			ripetersi 
																			perché 
																			il 
																			legame 
																			d’amore 
																			non 
																			si 
																			spezzi
																			 
																			
																			
																			Per 
																			quanto 
																			concerne 
																			Racine 
																			l’analisi 
																			di 
																			questo 
																			tema 
																			è 
																			più 
																			complessa: 
																			lo 
																			sguardo 
																			è 
																			qui 
																			uno 
																			“sguardo 
																			tortura”. 
																			I 
																			protagonisti 
																			della 
																			tragedia 
																			cercano 
																			lo 
																			sguardo 
																			dell’altro 
																			ma 
																			allo 
																			stesso 
																			tempo 
																			se 
																			ne 
																			vergognano 
																			e 
																			cercano 
																			di 
																			fuggirvi. 
																			L’essere 
																			guardato 
																			è 
																			essere 
																			oggetto 
																			di 
																			desiderio 
																			e 
																			questo 
																			significa 
																			vergogna 
																			e 
																			paura, 
																			possesso 
																			da 
																			parte 
																			dell’altro 
																			che 
																			nel 
																			momento 
																			in 
																			cui 
																			vede 
																			le 
																			lacrime 
																			sgorgare 
																			dalla 
																			controparte 
																			capisce 
																			di 
																			essere 
																			in 
																			possesso 
																			di 
																			quest’ultima 
																			eppure 
																			allo 
																			stesso 
																			tempo 
																			si 
																			vergogna 
																			di 
																			sé e 
																			dell’immoralità 
																			del 
																			proprio 
																			atto
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Nel 
																			1872 
																			Émile 
																			Zolà 
																			pubblica
																			
																			“La 
																			Curée”, 
																			secondo 
																			romanzo 
																			del 
																			ciclo 
																			“Rougon-Macquart”. 
																			Qui 
																			la 
																			coprotagonista 
																			femminile 
																			Renée 
																			vuole 
																			essere 
																			guardata 
																			e 
																			cerca 
																			di 
																			attirare 
																			l’attenzione 
																			e 
																			gli 
																			sguardi 
																			avidi 
																			degli 
																			uomini 
																			e 
																			invidiosi 
																			delle 
																			donne 
																			su 
																			di 
																			sé 
																			agghindandosi 
																			come 
																			una 
																			“fata 
																			eccentrica”, 
																			circondandosi 
																			di 
																			lusso 
																			sperperando 
																			tutto 
																			lo 
																			spendibile 
																			e 
																			sfociando 
																			in 
																			un 
																			eccessivo 
																			e 
																			cattivo 
																			gusto 
																			rococò 
																			enfatizzato 
																			dalle 
																			dettagliatissime 
																			e 
																			minuziose 
																			descrizioni 
																			di 
																			appartamenti, 
																			abiti, 
																			paesaggi, 
																			oggetti 
																			a 
																			cui 
																			si 
																			dedica 
																			l’autore. 
																			In 
																			questo 
																			modo 
																			la 
																			donna 
																			crede 
																			di 
																			riuscire 
																			a 
																			distrarsi 
																			e a 
																			colmare 
																			il 
																			vuoto 
																			interiore 
																			causatole 
																			in 
																			parte 
																			dallo 
																			stupro 
																			subito 
																			durante 
																			l’adolescenza 
																			e di 
																			cui 
																			si 
																			vergogna 
																			tremendamente 
																			a 
																			causa 
																			della 
																			fervente 
																			religiosità 
																			a 
																			cui 
																			il 
																			collegio 
																			in 
																			cui 
																			fu 
																			educata 
																			l’aveva 
																			indotta. 
																			D’altro 
																			canto 
																			però 
																			tutti 
																			i 
																			tabù 
																			che 
																			le 
																			avevano 
																			inculcato, 
																			quei 
																			“ 
																			non 
																			si 
																			fa, 
																			non 
																			si 
																			deve”, 
																			uniti 
																			al 
																			trauma 
																			subito 
																			le 
																			suscitarono 
																			una 
																			voglia 
																			di 
																			trasgressione 
																			e 
																			ricerca 
																			di 
																			attenzioni 
																			che 
																			riuscì 
																			a 
																			sfogare 
																			con 
																			Maxìme 
																			attraverso 
																			la 
																			passione 
																			incestuosa 
																			consumatasi 
																			nella 
																			serra 
																			della 
																			villa 
																			in 
																			cui 
																			la 
																			nobildonna 
																			viveva 
																			con 
																			il 
																			marito 
																			Aristide 
																			Saccard, 
																			padre 
																			del 
																			giovane.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Diversa 
																			la 
																			questione 
																			per 
																			Fedra: 
																			cosa 
																			induce 
																			la 
																			regina 
																			a 
																			provare 
																			questo 
																			amore 
																			incestuoso?
																			
																			
																			 
																			
																			
																			La 
																			figlia 
																			di 
																			Minosse 
																			è 
																			vittima 
																			di 
																			questa 
																			passione 
																			incestuosa 
																			nei 
																			confronti 
																			del 
																			figlio 
																			del 
																			marito 
																			in 
																			quanto 
																			Ippolito 
																			rappresenta 
																			ciò 
																			che 
																			ella 
																			fu 
																			ai 
																			tempi 
																			cretesi 
																			e 
																			che 
																			non 
																			può 
																			più 
																			essere. 
																			Quel 
																			candore, 
																			quella 
																			purezza, 
																			quell’ingenuità, 
																			quella 
																			libertà 
																			che 
																			connotano 
																			il 
																			giovane 
																			vergine 
																			le 
																			appartenevano 
																			prima 
																			che 
																			Teseo 
																			la 
																			rapisse 
																			e la 
																			imprigionasse 
																			nel 
																			suo 
																			palazzo 
																			ad 
																			Atene, 
																			luogo 
																			di 
																			corruzione 
																			se 
																			ci 
																			riconduciamo 
																			a 
																			Seneca 
																			che, 
																			data 
																			l’epoca 
																			di 
																			distruzione 
																			e 
																			declino 
																			irreversibile 
																			dei 
																			costumi 
																			in 
																			cui 
																			verteva 
																			Roma 
																			soprattutto 
																			sotto 
																			Nerone, 
																			contrappone 
																			Ippolito 
																			e i 
																			suoi 
																			luoghi 
																			bucolici 
																			all’amato 
																			e 
																			desiderato 
																			ritorno 
																			alla 
																			vita 
																			agreste 
																			e al 
																			Mos 
																			maiorum 
																			come 
																			era 
																			volontà 
																			di 
																			Augusto.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Severo 
																			e 
																			inflessibile 
																			il 
																			giudizio 
																			morale 
																			espresso 
																			da 
																			Seneca 
																			il 
																			quale 
																			in
																			
																			“Phaedra” 
																			induce 
																			la 
																			protagonista 
																			al 
																			suicidio 
																			mediante 
																			la 
																			spada 
																			lasciata 
																			in 
																			scena 
																			da 
																			Ippolito 
																			che 
																			per 
																			paura, 
																			vergogna 
																			e 
																			disgusto 
																			era 
																			scappato 
																			via 
																			dopo 
																			la 
																			dichiarazione 
																			d’amore 
																			della 
																			matrigna. 
																			Ma 
																			questo 
																			suicidio 
																			da 
																			un 
																			lato 
																			è 
																			dovuto 
																			ad 
																			un 
																			senso 
																			di 
																			colpa 
																			logorante 
																			tanto 
																			quanto 
																			la 
																			passione 
																			incestuosa, 
																			dall’altro 
																			ad 
																			una 
																			lucida 
																			presa 
																			di 
																			coscienza 
																			dell’immoralità 
																			di 
																			tale 
																			azione; 
																			la 
																			stessa 
																			regina 
																			sa 
																			che 
																			l’unico 
																			modo 
																			per 
																			ripristinare 
																			l’equilibrio 
																			e 
																			spegnere 
																			questa 
																			“fiamma 
																			nera” 
																			che 
																			l’ha 
																			divorata 
																			e 
																			indotta 
																			a 
																			compiere 
																			tutto 
																			ciò 
																			è il 
																			suicidio. 
																			Fedra 
																			non 
																			è 
																			l’unica 
																			vittima 
																			del 
																			drastico 
																			giudizio 
																			senecano; 
																			anche 
																			Teseo, 
																			mosso 
																			da
																			
																			impietas 
																			ed 
																			ira 
																			invoca 
																			Poseidone 
																			per 
																			punire 
																			il 
																			figlio 
																			che 
																			Fedra, 
																			umiliata 
																			dal 
																			rifiuto 
																			e 
																			dalla 
																			reazione 
																			di 
																			Ippolito 
																			davanti 
																			alla 
																			sua 
																			dichiarazione 
																			d’amore, 
																			decide 
																			di 
																			calunniare 
																			davanti 
																			al 
																			marito 
																			appena 
																			tornato 
																			dalla 
																			sua 
																			missione 
																			negli 
																			Inferi, 
																			accusandolo 
																			falsamente 
																			di 
																			aver 
																			abusato 
																			di 
																			lei.
																			 
																			
																			
																			Teseo 
																			non 
																			usa 
																			la 
																			ragione 
																			e 
																			questo 
																			è un 
																			fatto 
																			gravissimo 
																			per 
																			il 
																			Seneca 
																			stoico. 
																			L’ira 
																			domina 
																			su 
																			di 
																			lui 
																			accecandolo 
																			e 
																			mostra 
																			come 
																			egli 
																			sia 
																			un 
																			uomo 
																			capace 
																			solo 
																			di 
																			atti 
																			violenti, 
																			senza 
																			autocontrollo, 
																			ed 
																			impulsivo. 
																			Per 
																			questo 
																			commette 
																			una 
																			carneficina 
																			facendo 
																			uccidere 
																			ingiustamente 
																			il 
																			figlio 
																			innocente 
																			e 
																			causando 
																			quindi 
																			la 
																			morte 
																			della 
																			moglie.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Euripide 
																			non 
																			esprime 
																			un 
																			giudizio 
																			morale 
																			su 
																			Fedra. 
																			Nell’
																			
																			“Ippolito 
																			Coronato” 
																			la 
																			donna 
																			si 
																			suicida 
																			impiccandosi 
																			in 
																			quanto 
																			questa 
																			era 
																			la 
																			morte 
																			a 
																			cui 
																			erano 
																			condannati 
																			gli 
																			adulteri.
																			
																			
																			
																			
																			Il 
																			simbolismo 
																			di 
																			cui 
																			la 
																			tragedia 
																			euripidea 
																			è 
																			impregnata 
																			mostra 
																			come 
																			il 
																			corpo 
																			inerte 
																			della 
																			regina 
																			e le 
																			tavolette 
																			legate 
																			ai 
																			polsi 
																			sulle 
																			quali 
																			ha 
																			inciso 
																			la 
																			calunnia 
																			verso 
																			Ippolito, 
																			certa 
																			che 
																			Teseo 
																			avrebbe 
																			condannato 
																			a 
																			morte 
																			il 
																			figlio 
																			permettendole 
																			di 
																			unirsi 
																			al 
																			giovane 
																			almeno 
																			nell’Ade, 
																			allude 
																			all’oscillazione 
																			tra 
																			vita 
																			e 
																			morte, 
																			amore 
																			e 
																			dolore.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Ma 
																			la 
																			presenza 
																			o 
																			assenza 
																			di 
																			giudizio 
																			è da 
																			inserire 
																			in 
																			una 
																			contestualizzazione 
																			storica 
																			dell’epoca 
																			in 
																			cui 
																			gli 
																			autori 
																			vivono. 
																			Seneca 
																			vive 
																			in 
																			un’epoca 
																			corrotta 
																			in 
																			cui 
																			c’è 
																			bisogno 
																			di 
																			ripristinare 
																			la 
																			moralità; 
																			Euripide 
																			è 
																			più 
																			poetico, 
																			Zolà 
																			critica 
																			con 
																			ironia 
																			la 
																			corruzione 
																			e la 
																			depravazione 
																			dell’800 
																			francese 
																			enfatizzando 
																			lo 
																			sperpero 
																			e 
																			dissolutezza 
																			del 
																			tempo. 
																			È 
																			proprio 
																			la 
																			mancanza 
																			di 
																			giudizio 
																			sull’incesto 
																			tra 
																			Renèe 
																			e 
																			Maxìme 
																			che 
																			la 
																			stessa 
																			donna 
																			non 
																			vede 
																			come 
																			una 
																			colpa 
																			paragonabile 
																			a 
																			quella 
																			di 
																			Fedra: 
																			Scandali 
																			come 
																			questo 
																			erano 
																			usuali 
																			ai 
																			suoi 
																			tempi 
																			e 
																			non 
																			meritavano 
																			certo 
																			l’espiazione 
																			della 
																			colpa 
																			con 
																			la 
																			morte.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Le 
																			tragedie 
																			di 
																			Euripide 
																			e 
																			Seneca 
																			differiscono 
																			anche 
																			sotto 
																			un 
																			altro 
																			aspetto 
																			ovvero 
																			la 
																			rispettivamente 
																			presenza 
																			e 
																			assenza 
																			di 
																			divinità 
																			in 
																			scena. 
																			Euripide 
																			pone 
																			Afrodite 
																			come 
																			narratrice 
																			nel 
																			prologo 
																			e 
																			come 
																			divinità 
																			causante 
																			la 
																			passione 
																			incestuosa 
																			in 
																			Fedra 
																			in 
																			quanto 
																			gelosa 
																			delle 
																			attenzioni 
																			che 
																			il 
																			casto 
																			Ippolito 
																			rivolge 
																			alla 
																			sola 
																			dea 
																			Artemide. 
																			Quest’ultima 
																			è 
																			tuttavia 
																			colei 
																			che 
																			nell’epilogo 
																			riporta 
																			l’equilibrio 
																			in 
																			scena 
																			rivelando 
																			a 
																			Teseo 
																			- 
																			quando 
																			il 
																			figlio 
																			ormai 
																			morente 
																			per 
																			le 
																			ferite 
																			riportate 
																			nella 
																			lotta 
																			contro 
																			il 
																			mostro 
																			marino 
																			evocato 
																			da 
																			Poseidone 
																			- la 
																			sua 
																			innocenza 
																			e 
																			facendo 
																			in 
																			modo 
																			che 
																			questo 
																			lo 
																			riconosca 
																			come 
																			giusto 
																			riabilitandolo 
																			come 
																			figlio 
																			e 
																			degno 
																			successore.
																			 
																			
																			
																			In 
																			Seneca 
																			gli 
																			dei 
																			sono 
																			invece 
																			solo 
																			citati 
																			nelle 
																			due 
																			invocazioni 
																			di 
																			Fedra 
																			e di 
																			Teseo 
																			rispettivamente 
																			a 
																			Venere 
																			e 
																			Nettuno.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Nella 
																			prefazione 
																			alla 
																			prima 
																			edizione 
																			di
																			
																			“Phédre 
																			et 
																			Hyppolite” 
																			pubblicata 
																			nel 
																			1677, 
																			Racine 
																			critica 
																			Seneca 
																			perché 
																			troppo 
																			severo 
																			nel 
																			giudicare 
																			così 
																			empia 
																			la 
																			colpa 
																			di 
																			Fedra:“elle 
																			n’est 
																			pas 
																			tout 
																			coupable”. 
																			Anche 
																			Teseo 
																			ha 
																			le 
																			sue 
																			colpe; 
																			se 
																			ne 
																			rese 
																			conto 
																			lo 
																			stesso 
																			Ovidio 
																			quando 
																			nella 
																			raccolta 
																			epistolare 
																			“Heroides” 
																			composta 
																			tra 
																			il 
																			25 
																			a.C. 
																			e il 
																			16 
																			a.C. 
																			non 
																			condanna 
																			Fedra 
																			che 
																			qui 
																			si 
																			dichiara 
																			ingenuamente 
																			e 
																			candidamente 
																			a 
																			Ippolito 
																			sostenendo 
																			di 
																			essere 
																			nuova 
																			all’adulterio 
																			e di 
																			non 
																			sentirsi 
																			minimamente 
																			in 
																			colpa. 
																			Teseo 
																			è 
																			stato 
																			fedifrago, 
																			ha 
																			abbandonato 
																			la 
																			sorella 
																			e 
																			ucciso 
																			il 
																			fratello 
																			e 
																			inoltre 
																			l’autore 
																			non 
																			avrebbe 
																			mai 
																			potuto 
																			condannare 
																			moralmente 
																			una 
																			donna 
																			che 
																			non 
																			stava 
																			facendo 
																			né 
																			più 
																			né 
																			meno 
																			di 
																			quello 
																			che 
																			nella 
																			sua 
																			epoca 
																			era 
																			comunissimo 
																			tra 
																			le 
																			cortigiane 
																			esperte 
																			dell’ars 
																			amatoria.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Per 
																			questo 
																			motivo 
																			Racine 
																			scrive 
																			di 
																			voler 
																			rendere 
																			sgradito 
																			al 
																			pubblico 
																			Teseo.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Anche 
																			Marguerite 
																			Yourcenar, 
																			scrittrice 
																			francese 
																			del 
																			XX 
																			secolo 
																			e 
																			autrice 
																			di
																			
																			“Feux” 
																			sosterrà, 
																			da 
																			un 
																			punto 
																			di 
																			vista 
																			femminista, 
																			che 
																			ognuno 
																			è 
																			vittima 
																			e 
																			carnefice 
																			di 
																			sé 
																			stesso: 
																			Fedra 
																			non 
																			ha 
																			che 
																			da 
																			accusare 
																			sé 
																			stessa 
																			per 
																			aver 
																			fabbricato 
																			tutto 
																			ciò 
																			che 
																			ama 
																			di 
																			Ippolito 
																			e la 
																			stessa 
																			odiata 
																			Aricia.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			“È 
																			per 
																			causa 
																			di 
																			lui 
																			che 
																			lei 
																			è 
																			morta; 
																			è 
																			per 
																			causa 
																			di 
																			lei 
																			che 
																			lui 
																			non 
																			ha 
																			vissuto. 
																			Lui 
																			non 
																			le 
																			deve 
																			che 
																			la 
																			morte; 
																			lei 
																			gli 
																			deve 
																			i 
																			soprassalti 
																			di 
																			un’inestinguibile 
																			agonia”.
																			 
																			
																			
																			Una 
																			sofferenza 
																			che 
																			l’annienta 
																			a 
																			tal 
																			punto 
																			che 
																			alla 
																			fine 
																			lo 
																			ringrazierà, 
																			una 
																			volta 
																			rincontrato 
																			nel 
																			labirintico 
																			Ade 
																			paragonato 
																			anacronisticamente 
																			alla 
																			metropolitana 
																			francese 
																			gli 
																			dirà
																			
																			“sans 
																			doute 
																			merci”.
																			 
																			
																			
																			Lo 
																			stesso 
																			Labirinto 
																			centrale 
																			nel 
																			mito 
																			di 
																			Fedra 
																			e 
																			della 
																			sua 
																			stirpe 
																			minoica 
																			che 
																			in 
																			Racine 
																			avvolge 
																			mente 
																			e 
																			cuore 
																			di 
																			Fedra 
																			è 
																			trasportato 
																			all’esterno. 
																			Nella 
																			dichiarazione 
																			d’amore 
																			rivolta 
																			ad 
																			Ippolito, 
																			fa 
																			collimare 
																			la 
																			figura 
																			di 
																			Teseo 
																			a 
																			quella 
																			del 
																			figlio 
																			sino 
																			a 
																			domandare:
																			
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			“Pourquoi, 
																			trop 
																			jeune 
																			encor, 
																			ne 
																			pùtes-vous 
																			alors 
																			entrer 
																			dans 
																			le 
																			vaisseau 
																			qui 
																			le 
																			mit 
																			sur 
																			nos 
																			bords? 
																			Par 
																			vous 
																			aurait 
																			perì 
																			le 
																			monstre 
																			de 
																			la 
																			Crète, 
																			malgré 
																			tous 
																			les 
																			détours 
																			de 
																			sa 
																			vaste 
																			retraite.(…).
																			
																			
																			
																			
																			 Moi-même 
																			devant 
																			vous 
																			j’aurais 
																			voulu 
																			marcher, 
																			et 
																			Phèdre 
																			au 
																			Labyrinthe 
																			avec 
																			vous 
																			descendue 
																			se 
																			serait 
																			avc 
																			vous 
																			retrouvée 
																			ou 
																			perdue”.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Ne
																			
																			“La 
																			Curèe”di 
																			Zolà 
																			si 
																			può 
																			ravvisare 
																			una 
																			forte 
																			analogia 
																			tra 
																			Renée 
																			e 
																			Fedra: 
																			entrambe 
																			le 
																			donne 
																			hanno 
																			un 
																			comportamento 
																			bipolare.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Anche 
																			qui 
																			viene 
																			spontaneo 
																			riflettere 
																			su 
																			quale 
																			sia 
																			la 
																			ragione 
																			che 
																			induce 
																			Renée 
																			a 
																			trasgredire 
																			e ad 
																			assecondare 
																			la 
																			sua 
																			passione 
																			incestuosa 
																			per 
																			Maxìme. 
																			 
																			 
																			
																			
																			È il 
																			tentativo 
																			di 
																			colmare 
																			il 
																			vuoto 
																			lasciatole 
																			dallo 
																			stupro 
																			subito 
																			e 
																			dalla 
																			conseguente 
																			vergogna 
																			che 
																			la 
																			fa 
																			sentire 
																			sporca 
																			che 
																			la 
																			inducono 
																			a 
																			ricercare 
																			l’attenzione 
																			altrui 
																			credendo 
																			che 
																			l’essere 
																			considerata 
																			un 
																			oggetto 
																			in 
																			bella 
																			mostra, 
																			l’approfittare 
																			della 
																			sua 
																			bellezza, 
																			l’agghindarsi 
																			e 
																			circondarsi 
																			di 
																			lusso, 
																			il 
																			far 
																			parlare 
																			di 
																			sé - 
																			non 
																			importa 
																			come 
																			basta 
																			che 
																			se 
																			ne 
																			parli 
																			- un 
																			percorso 
																			sartoriale 
																			che 
																			va 
																			sempre 
																			dal 
																			vestito 
																			al 
																			nudo, 
																			il 
																			suo 
																			sentirsi 
																			superiore 
																			e il 
																			trarre 
																			coraggio 
																			e 
																			sicurezza 
																			semplicemente 
																			rimirandosi 
																			e 
																			pavoneggiandosi 
																			allo 
																			specchio 
																			conscia 
																			di 
																			quella 
																			bellezza 
																			che 
																			sa 
																			essere 
																			bramata 
																			dagli 
																			uomini 
																			e 
																			invidiata 
																			dalle 
																			donne, 
																			le 
																			conferiscono 
																			un’apparente 
																			ed 
																			effimera 
																			pienezza.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Ma 
																			questi 
																			sguardi 
																			sono 
																			solo 
																			superficiali, 
																			non 
																			si 
																			chiedono 
																			cosa 
																			provi 
																			realmente 
																			Renèe; 
																			nemmeno 
																			a 
																			alla 
																			giovane 
																			sembra 
																			importare 
																			o 
																			forse 
																			neppure 
																			lei 
																			ha 
																			accesso 
																			alla 
																			sua 
																			interiorità 
																			sentimentale.
																			 
																			
																			
																			Il 
																			romanzo 
																			sperimentale 
																			di 
																			Zolà 
																			mostra 
																			in 
																			modo 
																			più 
																			che 
																			evidente 
																			come 
																			peculiarità 
																			dell’aristocrazia 
																			francese 
																			di 
																			fine 
																			‘800 
																			fosse 
																			la 
																			superficialità.
																			 
																			
																			
																			Renèe 
																			già 
																			nel 
																			primo 
																			capitolo 
																			dell’opera, 
																			mentre 
																			è in 
																			carrozza 
																			con 
																			Maxìme 
																			lungo 
																			il 
																			Bois 
																			de 
																			Boulogne 
																			in 
																			una 
																			sera 
																			dell’ 
																			ottobre 
																			del 
																			1842 
																			diretta 
																			ad 
																			un 
																			ballo, 
																			dice 
																			di 
																			essere 
																			annoiata 
																			ma 
																			non 
																			sa 
																			da 
																			cosa. 
																			Desidera 
																			qualcos’altro 
																			e lo 
																			cerca 
																			in 
																			una 
																			relazione 
																			incestuosa 
																			e 
																			puramente 
																			sessuale 
																			con 
																			Maxìme 
																			il 
																			quale 
																			la 
																			vede 
																			solo 
																			come 
																			un 
																			divertimento 
																			mentre 
																			la 
																			matrigna 
																			pian 
																			piano 
																			finisce 
																			per 
																			innamorarsene.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Racine 
																			con 
																			la 
																			sua 
																			tragedia 
																			diventò 
																			un 
																			modello 
																			per 
																			gli 
																			autori 
																			successivi, 
																			tanto 
																			che 
																			anche 
																			il 
																			realista 
																			Zolà 
																			improntò
																			
																			“La 
																			Curée” 
																			sul 
																			modello 
																			della
																			
																			“Phédre” 
																			del 
																			suo 
																			predecessore 
																			tragediografo 
																			del 
																			XVII 
																			secolo. 
																			È 
																			possibile 
																			notare 
																			una 
																			corrispondenza 
																			simmetrica 
																			tra 
																			le 
																			due 
																			opere 
																			dal 
																			punto 
																			di 
																			vista 
																			contenutistico 
																			e 
																			formale. 
																			Il 
																			primo 
																			Atto 
																			della 
																			tragedia 
																			di 
																			Racine 
																			corrisponde 
																			al 
																			primo 
																			capitolo 
																			espositivo 
																			de
																			
																			“La 
																			Curèe” 
																			di 
																			Zolà 
																			mentre 
																			il 
																			secondo 
																			Atto 
																			di
																			
																			“Phédre” 
																			corrisponde 
																			al 
																			quarto 
																			capitolo 
																			dell’opera 
																			ottocentesca 
																			in 
																			quanto 
																			l’ 
																			argomento 
																			centrale 
																			è 
																			rappresentato 
																			dall’incesto.
																			 
																			
																			
																			L’Atto 
																			e il 
																			capitolo 
																			successivo 
																			delle 
																			due 
																			opere 
																			è 
																			basato 
																			sulla 
																			sospensione 
																			rappresentata 
																			dal 
																			ritorno 
																			di 
																			Teseo 
																			e 
																			dalle 
																			scoperte 
																			di 
																			Maxìme 
																			circa 
																			i 
																			traffici 
																			e i 
																			raggiri 
																			pecuniari 
																			del 
																			padre, 
																			l’annuncio 
																			delle 
																			sue 
																			nozze 
																			con 
																			Louise 
																			e la 
																			presa 
																			di 
																			coscienza 
																			del 
																			fatto 
																			che 
																			Renée 
																			avesse 
																			un 
																			amante.
																			 
																			
																			
																			Il 
																			quarto 
																			Atto 
																			di
																			
																			“Phédre” 
																			è 
																			incentrato 
																			sulla 
																			conclusione 
																			tragica 
																			in 
																			cui 
																			si 
																			scopre 
																			il 
																			suicidio 
																			di 
																			Enone, 
																			Ippolito 
																			viene 
																			ucciso 
																			e 
																			Fedra 
																			rivela 
																			la 
																			sua 
																			colpa; 
																			il 
																			sesto 
																			capitolo 
																			de
																			
																			“La 
																			Curée” 
																			vede 
																			Saccard 
																			cogliere 
																			moglie 
																			e 
																			figlio 
																			in 
																			atti 
																			inequivocabili 
																			ma 
																			lascia 
																			che 
																			il 
																			desiderio 
																			di 
																			denaro 
																			finalmente 
																			soddisfatto 
																			da 
																			quella 
																			cambiale 
																			firmata 
																			da 
																			Renée 
																			con 
																			cui 
																			gli 
																			conferiva 
																			la 
																			sua 
																			dote 
																			abbia 
																			la 
																			meglio 
																			sul 
																			suo 
																			onore 
																			infangato 
																			da 
																			tale 
																			scandalo. 
																			Il 
																			secondo 
																			e 
																			terzo 
																			capitolo 
																			del 
																			romanzo 
																			i 
																			Zolà 
																			sono 
																			incentrati 
																			sulle 
																			vite 
																			di 
																			Saccard 
																			e 
																			Renèe 
																			prima 
																			del 
																			loro 
																			matrimonio.
																			 
																			
																			
																			La 
																			scena 
																			finale 
																			della 
																			tragedia 
																			e il 
																			settimo 
																			capitolo 
																			del 
																			romanzo 
																			vedono 
																			invece 
																			la 
																			tragica 
																			morte, 
																			non 
																			descritta 
																			ma a 
																			cui 
																			solo 
																			si 
																			allude, 
																			delle 
																			due 
																			protagoniste 
																			femminili.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Come 
																			nella 
																			favola 
																			de
																			
																			“La 
																			Bella 
																			e la 
																			Bestia”, 
																			in 
																			cui 
																			la 
																			Bella 
																			fugge 
																			di 
																			casa 
																			per 
																			emanciparsi 
																			dalla 
																			famiglia 
																			e 
																			crescere, 
																			maturare, 
																			diventar 
																			donna 
																			e 
																			responsabilizzarsi 
																			incontrando 
																			una 
																			Bestia 
																			che 
																			con 
																			la 
																			forza 
																			dell’amore 
																			riuscirà 
																			a 
																			trasformare 
																			in 
																			un 
																			principe, 
																			ne
																			
																			“La 
																			Curée”
																			
																			tutto 
																			è 
																			stravolto: 
																			Renée 
																			si 
																			allontana 
																			dalla 
																			casa 
																			paterna 
																			dove 
																			sarebbe 
																			cresciuta 
																			con 
																			sani 
																			principi 
																			etici 
																			e 
																			valori 
																			morali 
																			per 
																			addentrarsi 
																			in 
																			un 
																			mondo 
																			insidioso 
																			e 
																			corrotto 
																			che 
																			promette 
																			solo 
																			immoralità 
																			e 
																			degrado 
																			dei 
																			costumi 
																			e a 
																			cui 
																			solo 
																			il 
																			vecchio 
																			padre 
																			di 
																			lei 
																			sembra 
																			essere 
																			stoicamente 
																			immune. 
																			Anziché 
																			apportare 
																			un 
																			miglioramento 
																			nella 
																			Bestia 
																			è la 
																			Bella 
																			che 
																			cambia 
																			in 
																			peggio, 
																			regredendo. 
																			Solo 
																			alla 
																			fine 
																			del 
																			romanzo 
																			la 
																			giovane 
																			capisce 
																			cosa 
																			è 
																			diventata 
																			e 
																			cosa 
																			ha 
																			sempre 
																			rappresentato 
																			per 
																			gli 
																			altri: 
																			un 
																			oggetto. 
																			Piange 
																			Renée 
																			nella 
																			sua 
																			vecchia 
																			cameretta 
																			all’Hôtel 
																			Béraud 
																			dove 
																			vive 
																			il 
																			padre. 
																			È in 
																			questa 
																			stanza 
																			tutta 
																			impolverata, 
																			piena 
																			di 
																			ragnatele, 
																			finestre 
																			da 
																			cui 
																			entra 
																			una 
																			luce 
																			fredda 
																			affacciate 
																			su 
																			un 
																			giardino 
																			non 
																			curato 
																			e 
																			popolato 
																			da 
																			alberi 
																			scheletrici; 
																			che 
																			guardandosi 
																			allo 
																			specchio 
																			non 
																			vede 
																			più 
																			la 
																			Belle 
																			Dame 
																			Saccard 
																			ma 
																			solo 
																			una 
																			donna 
																			invecchiata 
																			troppo 
																			presto, 
																			socialmente 
																			ed 
																			economicamente 
																			morta, 
																			con 
																			il 
																			cuore 
																			infranto 
																			non 
																			per 
																			amore 
																			ma 
																			dall’aver 
																			venduto 
																			se 
																			stessa 
																			e la 
																			propria 
																			dignità 
																			ad 
																			un 
																			mondo 
																			che 
																			coglieva 
																			solo 
																			l’apparenza 
																			e a 
																			cui 
																			lei 
																			stessa 
																			si 
																			era 
																			conformata.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Quella 
																			stessa 
																			“apparenza” 
																			a 
																			cui 
																			l’aristocrazia 
																			francese 
																			di 
																			fine 
																			‘800 
																			è 
																			legata 
																			è un 
																			ostacolo 
																			che 
																			la 
																			scrittrice 
																			Marguerite 
																			Yourcenar 
																			vuole 
																			eliminare 
																			almeno 
																			per 
																			quel 
																			che 
																			concerne 
																			la 
																			conoscenza 
																			e 
																			l’amore 
																			riproponendo 
																			questa 
																			sfida 
																			in 
																			tutte 
																			le 
																			sue 
																			opere.
																			
																			
																			
																			“Feux” 
																			opera 
																			pubblicata 
																			nel 
																			1936 
																			e 
																			nata 
																			da 
																			una 
																			crisi 
																			passionale 
																			in 
																			cui 
																			tema 
																			dominante 
																			è 
																			proprio 
																			il 
																			sentimento 
																			totale 
																			d’amore 
																			che 
																			da 
																			un 
																			lato 
																			aliena 
																			ma 
																			che 
																			allo 
																			stesso 
																			tempo, 
																			quando 
																			non 
																			corrisposto, 
																			fa 
																			assumere 
																			coscienza 
																			di 
																			noi 
																			stessi, 
																			del 
																			fatto 
																			che 
																			esistiamo 
																			proprio 
																			perché 
																			soffriamo.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Non 
																			racconta 
																			la 
																			propria 
																			esperienza 
																			amorosa 
																			in 
																			prima 
																			persona 
																			perché 
																			l’obiettivo 
																			dell’autrice, 
																			influenzata 
																			dalla 
																			filosofia 
																			greca 
																			di 
																			Parmenide, 
																			è 
																			quella 
																			di 
																			cogliere 
																			l’amore 
																			nella 
																			sua 
																			universalità 
																			ed 
																			essenzialità 
																			perché 
																			come 
																			insegna 
																			il 
																			filosofo 
																			di 
																			Elea, 
																			ciò 
																			che 
																			noi 
																			conosciamo 
																			non 
																			è 
																			altro 
																			che 
																			la 
																			realtà 
																			fenomenica 
																			ovvero 
																			apparenza, 
																			“doxa”.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Siamo 
																			pigri 
																			e ci 
																			accontentiamo 
																			della 
																			conoscenza 
																			apparente 
																			di 
																			ciò 
																			che 
																			è 
																			inconoscibile 
																			perché 
																			diviene 
																			sempre, 
																			che 
																			una 
																			volta 
																			è e 
																			una 
																			volta 
																			non 
																			è; 
																			dobbiamo 
																			conoscere 
																			ciò 
																			che 
																			resta 
																			sempre 
																			identico 
																			a se 
																			stesso, 
																			l’essenza 
																			delle 
																			cose 
																			che 
																			è 
																			universale 
																			e 
																			ciò 
																			che 
																			realmente 
																			esiste. 
																			L’ontologia 
																			e la 
																			gnoseologia 
																			parmenidea 
																			vengono 
																			trasportate 
																			a 
																			livello 
																			sentimentale 
																			dalla 
																			Yourcenar 
																			che 
																			riprendendo 
																			anche 
																			Nietzsche 
																			e la 
																			teoria 
																			dell’ 
																			“eterno 
																			ritorno 
																			dell’uguale” 
																			afferma 
																			che 
																			tutto 
																			è 
																			identico 
																			a se 
																			stesso 
																			in 
																			quanto 
																			tutto 
																			ritorna 
																			sempre 
																			e 
																			per 
																			l’amore 
																			vale 
																			la 
																			stessa 
																			cosa. 
																			Ecco 
																			perché 
																			la 
																			sua 
																			vicenda 
																			traspare 
																			dai 
																			sessantaquattro 
																			criptici 
																			aforismi 
																			alternati 
																			alle 
																			nove 
																			prose 
																			liriche 
																			dell’opera 
																			ma 
																			non 
																			è 
																			protagonista; 
																			all’autrice 
																			non 
																			interessa 
																			il 
																			particolare 
																			ma 
																			l’universale. 
																			Ecco 
																			perché 
																			usa 
																			il 
																			mito 
																			e 
																			l’aforisma.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			In 
																			questi 
																			miti 
																			però 
																			lo 
																			spazio 
																			e il 
																			tempo 
																			vengono 
																			sapientemente 
																			annullati, 
																			trascesi 
																			grazie 
																			all’anacronismo 
																			ripreso 
																			da 
																			Cocteau. 
																			Per 
																			esempio 
																			in
																			
																			“Antigone 
																			o 
																			della 
																			scelta” 
																			si 
																			parla 
																			delle 
																			mura 
																			di 
																			Tebe 
																			come 
																			se 
																			fossero 
																			trincee 
																			e 
																			dei 
																			campi 
																			di 
																			battaglia 
																			come 
																			se 
																			fossero 
																			campi 
																			di 
																			concentramento.
																			 
																			
																			
																			In
																			
																			“Achille 
																			o 
																			della 
																			menzogna” 
																			il 
																			tema 
																			è 
																			quello 
																			della 
																			maschera, 
																			del 
																			travestimento, 
																			della 
																			crisi 
																			di 
																			identità 
																			sessuale 
																			così 
																			come 
																			in
																			
																			“Saffo 
																			o 
																			del 
																			suicidio”.
																			 
																			 
																			
																			
																			Riferimenti 
																			bibliografici:
																			 
																			
																			
																			
																			“Phèdre”, 
																			Jean 
																			Racine, 
																			Pocket 
																			Classiques
																			“La 
																			Curée”, 
																			Émile 
																			Zolà,, 
																			Pocket 
																			Classiques
																			“Fuochi”, 
																			Marguerite 
																			Yourcenar, 
																			Bompiani
																			“Teseo”, 
																			Andrè 
																			Gide, 
																			Crescenzi 
																			Allendorf 
																			Editori
																							
																			
																			
																			
																			
																							
																			 
																			
																			