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N. 85 - Gennaio 2015 (CXVI)

L’epopea di Alessandro Magno

IL GRANDE CONDOTTIERO Tra mito e storia- PARTE III
di Paola Scollo

 

L'esistenza di Alessandro Magno non è stata segnata esclusivamente da trionfi e successi, ma anche da sconfitte, vuoti e perdite. Anzi, sono proprio i momenti in cui il giovane sovrano viene attraversato dalla sofferenza quelli che contribuiscono a svelare il volto più umano e fragile della sua personalità.

 

Occorre comunque ricordare che, anche nel modo di affrontare e vivere il dolore, Alessandro ha mostrato di possedere una natura eccezionale e straordinaria. L’episodio più significativo in tal senso è forse rappresentato dalla morte del fedele compagno e amico Efestione.

 

Della formazione e della fanciullezza di Efestione non si hanno molte informazioni. Figlio di Amintore, dovette ricevere un’educazione di tutto rilievo a Pella, al seguito di Aristotele. Ebbe una carriera militare fulminante e notevole.

 

Giovanissimo prese parte al seguito di Filippo II, padre di Alessandro, sia alla spedizione danubiana del 342 a.C. sia alla battaglia di Cheronea del 338. Ottenne la prima importante missione politica in occasione della battaglia di Isso nel 333 quando, dopo la resa della città di Sidone, fu chiamato a scegliere il nuovo sovrano (Curzio IV 1. 16).

 

Dopo l’assedio di Tiro nel 332 fu posto al comando della flotta macedone. In occasione della celebre battaglia di Gaugamela del 331 fu alla guida dei somatophylakes, i sette membri della guardia del corpo di Alessandro cui spettava l’onore di combattere a fianco del sovrano (Diodoro Siculo XVII 61. 3).

 

Acceso sostenitore del progetto politico e culturale di Alessandro volto a promuovere la fusione tra Greci e Persiani, Efestione entrò a far parte della famiglia reale in seguito alle nozze con Dripetide, sorella minore di Statira, seconda moglie di Alessandro, e figlia di Dario III di Persia. Durante la spedizione macedone in Asia ricoprì sempre posti di rilievo, trovandosi alla guida dei cavalieri e degli eteri. Dopo l’arrivo a Susa, gli fu conferita la carica di chiliarca, la seconda autorità dell’impero dopo quella del sovrano.

 

Efestione non rappresentava per Alessandro semplicemente un generale, un consigliere, una guida per il suo esercito: «Fu di gran lunga il più caro di tutti gli amici del re, allevato alla pari con lui e custode di tutti i suoi segreti» (Curzio III 12. 16). Si trattava di un legame che andava ben oltre la stima e la fiducia reciproca: un sentimento profondo e totalizzante che accompagnò e guidò i due giovani per tutto il corso delle loro brevi ma intense esistenze.

 

Tale rapporto fu marcato da gesti e atti volutamente simbolici. A tal proposito Arriano riferisce che, all’inizio della spedizione in Asia, durante la visita di Troia i due giovani vollero identificarsi con Achille e Patroclo (I 12. 1). Alessandro corse nudo verso la tomba di Achille per deporre una corona di fiori ed Efestione lo imitò, onorando il sepolcro di Patroclo.

 

L’esplicito riferimento agli eroi omerici cela, secondo gli interpreti moderni, un rapporto non semplicemente amicale, ma un sostrato erotico. A ben vedere, già Eliano commentava l’episodio nel modo seguente: «Alessandro pose una ghirlanda sulla tomba di Achille ed Efestione una su quella di Patroclo, volendo con ciò significare che era l’erómenos di Alessandro, così come Patroclo lo era stato di Achille» (XII 7). Un’ulteriore conferma giungerebbe dalla reazione di Alessandro di fronte alla scomparsa di Efestione. Osserviamola puntualmente.

 

Lasciata Susa nella primavera del 324, Efestione seguì Alessandro a Ecbatana. In autunno si ammalò. Dapprima la baldanza giovanile lo indusse a sottovalutare la febbre -forse tifoidea- e a non seguire le indicazioni del medico Glaucia. Ma la malattia ebbe il sopravvento e ben presto fu colto da una terribile ricaduta. Alessandro si precipitò da lui, ma quando arrivò Efestione era già morto.

 

Il sovrano si lacerò nello stesso tipo di dolore che aveva colto il Pelide per la morte di Patroclo, con reazioni traboccanti di pathos. Vegliò sul cadavere in digiuno per oltre tre giorni. Giacque a letto tra le lacrime, immerso nel vuoto e nel silenzio della sofferenza, decretando un periodo alquanto lungo di lutto in tutto l’impero (VII 15. 1).

 

Molti eteri furono chiamati a consacrare al morto se stessi e le loro armi. Nell’esercito il posto di Efestione rimase vacante, in quanto Alessandro desiderava che rimanesse legato al suo nome.

 

Così il reggimento di Efestione continuò a chiamarsi nello stesso modo e l’immagine del giovane continuò a essere innalzata davanti a esso (VII 15. 4). Alessandro decise poi la condanna a morte del medico personale di Efestione e ordinò che venissero tagliate criniere e code di cavalli, abbattuti i bastioni delle città vicine, banditi flauti e intrattenimenti di vario tipo.

 

Egli stesso tagliò i capelli per onorare il defunto, sull’esempio di Achille: «No, in nome di Zeus, tra gli dèi il più alto e il più grande,/ non è permesso che l’acqua s’accosti alla testa,/ prima di porre sul rogo il corpo di Patroclo, di erigere il tumulo/ e di tagliarmi la chioma, perché mai più il dolore così/ mi trafiggerà il cuore altra volta, finché resterò tra i viventi» (Il. XXIII 43 - 47).

 

In seguito Alessandro consultò l’oracolo di Zeus-Ammone nell’oasi di Siwa per ricevere il permesso di istituire il culto eroico di Efestione, quindi iniziò a preparare l’apoteosi con un fastoso funerale a Babilonia, dove Perdicca, successore nella chiliarchia, aveva condotto il corpo.

 

Qui il re, postosi a guida del carro funebre per la prima parte del tragitto, predispose che si riunissero tremila partecipanti, artisti di tutte le discipline e atleti, affinché venissero onorate le esequie dell’amico (VII 15. 5).

 

Inoltre Alessandro ordinò alle province che il Fuoco reale fosse spento soltanto al termine delle celebrazioni, come di solito avveniva in occasione della morte del Gran Re. Un tributo non indifferente che ben indica come Efestione non rappresentasse semplicemente il sostituto e successore di Alessandro: era un’ancora, una conferma quotidiana, l’amico d’infanzia che si comportava come lui. Era in qualche modo Alessandro stesso.

 

Da ultimo il sovrano macedone affidò a Stasicrate - artista celebre per le sue innovazioni che univano un grado eccezionale di magnificenza, audacia e ostentazione - il progetto di un immenso mausoleo interamente in mattoni a forma di grande parallelepipedo, lungo 340 metri di lato e alto più di 60 metri, disposto su sette livelli a scalinata. Il primo livello doveva essere decorato con duecentoquaranta quinqueremi dalla prora dorata e con cinque fregi in sequenza sulle superfici verticali, ciascuno recante due arcieri inginocchiati alti un metro e ottanta e guerrieri armati, ancora più alti, divisi da drappi di feltro scarlatto.

 

Il secondo livello doveva contenere torce di quasi sette metri con serpenti attorcigliati alla base, ghirlande dorate nella parte centrale e fiamme sormontate da aquile. Il terzo livello doveva mostrare una scena di caccia, il quarto una centauromachia d’oro, il quinto leoni e tori, il sesto armi macedoni e persiane, il settimo sculture cave di sirene con la funzione di accogliere il coro chiamato a intonare le lamentazioni funebri (Diodoro XVII 115. 1-5).

 

Con ogni probabilità tale struttura, che non fu mai avviata, non era destinata a essere incendiata, ma a sopravvivere al tempo per rendere imperitura la memoria di Efestione.

 

Nel modo di affrontare il dolore Alessandro si rivela molto simile ad Achille. L’episodio della morte di Efestione impone come ulteriore termine di paragone il XVIII libro dell’Iliade che, come è stato ampiamente dimostrato, è a un tempo una fine e un inizio.

 

Qui l’ira di Achille si placa nel dolore per Patroclo, trasformandosi in furia vendicativa nei confronti dell’uccisore dell’amico, Ettore. Un’ira destinata a spegnersi soltanto nel canto XXIV. Cerchiamo dunque di seguirla nei suoi sviluppi essenziali.

 

Quando Antiloco annuncia tra le lacrime che Patroclo è morto per mano di Ettore, si ha una violenta esplosione di dolore da parte di Achille. Teti percepisce il suo grido fin nelle profondità del mare e, insieme alle Nereidi, accorre dal figlio. Dopo lunga contesa, il corpo di Patroclo viene condotto alle navi. Achille e gli Achei piangono il giovane, lo lavano e lo cospargono di unguenti.

 

Il giorno seguente è per Achille una giornata campale. Tutti gli altri eroi Achei sono quasi scomparsi e il Pelide sostiene da solo la lotta, elevandosi a una dimensione sovrumana che custodisce comunque i tratti di una umanissima umanità. Tutto questo si dipana in un climax ascendente.

 

Nel XX libro Achille incontra Ettore e fa strage di nemici. In seguito cattura dodici giovani troiani per sacrificarli in onore di Patroclo e si leva contro il dio-fiume Scamandro, che gli ordina di uscire dall’acqua e di combattere in pianura. L’eroe si trova nella situazione più disperata, nell’angoscia più umana che un uomo possa provare.

 

Nel libro XXII, con la morte di Ettore, le imprese di Achille raggiungono il vertice drammaticamente più elevato. Quando si avvicina a Ettore, l’eroe troiano fugge mostrando una natura minimamente eroica.

 

I due compiono un triplice giro intorno alle mura di Troia, poi Atena li induce a fermarsi. Ha inizio lo scontro. Morente, Ettore cerca di convincere Achille a restituire il suo corpo al padre e a non farne strazio. Achille si rifiuta ed Ettore gli predice la morte alle porte Scee per mano di Apollo.

 

Con l’uccisione di Ettore l’ira di Achille ha raggiunto il suo scopo, ma non la fine. Il suo furor è stato un sentimento devastante di violenza e di crudeltà sorto in un uomo, ma dilatatosi ben oltre l’uomo. La sua ira ha coinvolto il cosmo, turbandone l’ordine costituito. Un equilibrio che viene ristabilito soltanto con le esequie per l’anima di Patroclo, con la celebrazione dei giochi funebri e infine con la restituzione del cadavere di Ettore al padre Priamo.

 

Di notte Patroclo appare ad Achille, gli predice la morte e lo prega di essere deposto nella sua stessa urna, così come in vita avevano condiviso ogni cosa. Iniziano dunque i preparativi. Viene raccolta la legna, la salma è accompagnata con carri e cavalli, i capelli vengono tagliati e gettati sul morto.

 

Infine viene innalzato il rogo e vengono sacrificati pecore, buoi, quattro cavalli, due cani e i giovani prigionieri troiani. Achille invoca il morto fin quando il rogo non si spegne, poi cade stremato. Al risveglio, fa erigere il tumulo e raccoglie le ossa dell’amico in una coppa d’oro per custodirle fino alla sua discesa nell’Ade. Vengono poi allestiti giochi funebri.

 

Ma anche dopo gli onori resi all’amico Achille non trova pace. Ogni mattina trascina attorno al sepolcro di Patroclo il cadavere di Ettore, che Apollo impedisce di sfigurare. Gli dèi dell’Olimpo provano pena per il morto e Apollo afferma che è come un animale selvaggio: ha perso pietà e ritegno. Zeus invia Teti da Achille, che si dice disposto a restituire il morto.

 

Iris viene intanto inviata da Priamo per annunciargli che avrebbe dovuto recarsi da Achille in modo da ottenere il cadavere di Ettore: Achille «non è un pazzo né un cieco, e nemmeno un sacrilego,/ con grande scrupolo invece rispetterà la persona del supplice» (186). Inizia la scena della supplica, hikesía, di Priamo e del suo accoglimento da parte di Achille.

 

L’episodio si conclude con una riconciliazione: i due mangiano insieme e si scrutano, ammirando la bellezza e la dignità reciproche. Infine Achille si addormenta accanto a Briseide, la donna per la quale era sorta la quaestio. Segnato dal dolore come nessun altro, Achille rivela la propria singolarità anche nella sofferenza.

 

Sull’esempio dell’eroe omerico, Alessandro si distingue per una notevole grandezza d’animo: amabile e crudele, deciso e implacabile di fronte all’onore e alla vendetta, sempre preoccupato per gli altri in battaglia, consapevole della brevità della sua esistenza e pronto ad accettare la morte.

 

Due eroi simili sia per la grandezza delle loro imprese sia per la fragilità che li fa sprofondare in una cupa e tragica disperazione da contorni decisamente molto umani.



 

 

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