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N. 37 - Gennaio 2011 (LXVIII)

I Drusi del Libano
Il mistero di una setta millenaria

di Lawrence M.F. Sudbury

 

Se esiste un Paese che può essere considerato paradigma di tutto il Medio Oriente, specchio della sua varietà etnica, storica e politica, della sua bellezza e potenziale ricchezza ma anche delle sue infinite contraddizioni, questo Paese è certamente il Libano, con il suo fragile e spesso rotto (in modo eclatante, ad esempio, in occasione dei quindici lunghissimi della guerra civile tra 1975 e 1990) equilibrio tra Cristiani Maroniti e Musulmani Sciiti, con la sua permeabilità alle ingerenze, anche militari, siriane e israeliane, con il suo essere a lungo centro degli affari internazionali che le era valso il titolo di "Svizzera del Medio Oriente" e la povertà di enormi fette della popolazione contrapposta al potere dei suoi clan plutocratici.

Le vicende libanesi, anche recenti, sono piuttosto note fin dai tempi del conflitto tra Amal e Falange e, più recentemente, con l'invasione israeliana in funzione repressiva contro i missili hezbollah costantemente puntati (e spesso lanciati) sul nord della Galilea.
Quello che pochi conoscono (e quei pochi soprattutto in relazione alle già menzionate vicende del sanguinoso passato prossimo) è che, nel cuore del Libano, esiste forse una delle più interessanti anomalie storico-politiche (ma anche etnico-religiose) di tutta l'area levantina: l'esistenza di una sorta di feudo settario druso sui monti dello Chouf.

Situata a sud-est di Beirut, la regione dello Chouf comprende una stretta fascia costiera che include la città cristiana di Damour e le valli e le montagne del versante occidentale del Jabal Barouk, il massiccio del Monte Libano che dà il nome a tutto il Paese, a pochi chilometri da quella Valle della Beka'a che è centro dell'agricoltura di sussistenza di migliaia di contadini di ogni religione e della produzione mondiale della cannabis (con conseguenti proventi). La bellezza incontaminata di queste zone montagnose hanno fatto sì che in passato alcuni emiri del Libano fissassero qui la propria residenza come testimonia il magnifico palazzo di Beiteddine, voluto durante la prima metà del XIX secolo da Bachir Chehab II a una manciata di chilometri da uno dei luoghi più intensamente mistici della costa orientale mediterranea, il celeberrimo Deir al Qamar (il Monastero della Luna).

Eppure, nonostante queste bellezze artistiche, il centro più importante della regione è Moukhtara, una cittadina quasi insignificante e non diversa da decine di altri villaggi che punteggiano il Governatorato del Monte Libano, se non fosse che qui ha sede, in una sorta di castello, la famiglia Joumblatt, oggi guidata da Walid Joumblatt, quella che potremmo definire l'ultimo potere feudale del Medio Oriente.

La storia degli Joumblatt si perde nelle nebbie del tempo: di origine curda, già influenti governatori di Aleppo nel XVI secolo, essi si stabilirono a Moukhtara nel 1630, sviluppando, nel tempo, una leadership sull'area che perdura invariata fino ad oggi. Probabilmente la figura più importante della storia recente della famiglia fu Kemal, padre di Walid, politico di spicco del Libano post-coloniale, sempre fortemente critico di ogni politica di sudditanza culturale ed economica all'occidente dei governi maroniti e fondatore del Fronte Socialista Popolare, un partito nazionalista di sinistra la cui leadership venne assunta, alla morte del padre nel 1977 (assassinato, come praticamente tutti i suoi antenati negli ultimi cento anni, nella lotta tra fazioni che da secoli insanguina il Paese), appunto da Walid. Quest'ultimo, fino a quel momento noto più per le sue vicende da "golden boy" del jet-set internazionale, seppe guidare con fermezza e determinazione l'F.S.P. negli anni della guerra civile, guadagnandosi dalla BBC il titolo di "più brillante politico mediorientale" e riuscendo a dare, in anni non certo facili, un certo grado di prosperità al distretto da lui praticamente, per quanto non ufficialmente, governato dal suo fortino sui monti.

Ma il potere degli Joumblatt, ferme restando le capacità strategiche di gran parte dei membri di una delle genie politiche più longeve del Medio Oriente, non risiede tanto né nella loro accortezza amministrativa né negli ideali socialisticheggianti che da decenni portano avanti, quanto nell'essere, in un sistema culturale in cui il confine tra politica e religione è così vago da risultare a tratti inesistente, leader indiscussi di una delle comunità religiose più chiuse e, per molti versi, misteriose tra le tante che difficoltosamente coesistono del Paese dei cedri e nell'area mediorientale, della drusa.

Chi sono dunque, questi Drusi che, pur senza una nazione propria, sono riusciti a crearsi, non solo in Libano, enclave chiaramente definite e posizioni di potere consolidate ovunque siano presenti (con la sola parziale eccezione, forse, di Israele)?

I Drusi, noti anche come i "Figli della Grazia", sono i membri di un sorta di setta segreta religiosa le cui origini possono essere rintracciate in Egitto, un migliaio di anni fa, come movimento interno all'Ismailitismo, con fondamentali influenze dalla filosofia greca e dallo gnosticismo. Il fondatore di quella che, praticamente da subito, è divenuta una religione a sé stante fu Ahmad ibn Alī ibn Hamza', un mistico e studioso persiano giunto in Egitto nel 1014 e intenzionato, con un gruppo di studiosi e leader provenienti da tutto il mondo islamico, a formare un nuovo movimento unitario che sincretizzasse tutte le correnti dell'Islam.

Nel 1017, Hamza rivelò ufficialmente i fondamenti della nuova la fede "drusa" (curiosamente il nome deriva da un altro predicatore, Anushtakīn ad-Darazī, che, in seguito, per le sue idee radicali sul fatto che Dio potesse incarnarsi in un essere umano, venne considerato eretico ed espulso dal movimento) e cominciò a predicare la sua dottrina, incoraggiato dal califfo fatimide al-Hakim, che aveva appena emesso un decreto per promuovere la libertà religiosa nel suo regno.

Immediatamente Al-Hakim divenne una figura centrale nella fede drusa (assurgendo, per una parte minoritaria dei discepoli di Hamza, ad uno status divino), ma venne ben presto assassinato, forse su ordine della sorella Sitt al-Mulk (molti Drusi ritengono che non morì realmente ma entrò in quello che verrà chiamato "Occultazione", così come più tardi avvenne ad Hamza e ad altri tre grandi leader del movimento unitario), lasciando il califfato al figlio minorenne, Ali az-Zahir. I Drusi riconobbero az-Zahir come il Califfo, ma non come Imam della loro comunità, prerogativa questa concessa da Hamza a Bahā'a ad-Din as-Samuki , oggi visto come il primo vero capo politico e spirituale della setta.

Il mancato riconoscimento del figlio come leader unico scatenò sul neonato movimento unitarista le ire di Sitt al-Mulk (probabilmente anche male informata sulle intenzioni di as-Samuki da alcuni dissidenti rispetto alla linea teologica di quest'ultimo), la quale diede inizio, nel 1021, ad una persecuzione continuata nei sette anni successivi da az-Zahir, divenuto nel frattempo maggiorenne. I maggiori massacri di aderenti al movimento, che si era diffuso a macchia d'olio, si ebbero ad Antiochia (dove oltre 5.000 capi drusi furono trucidati), Aleppo e Alessandria e costarono la vita a decine di migliaia di convertiti.
Come risultato, i fedeli cominciarono a nascondersi, concentrandosi in Libano e Siria meridionale, e a celare i fondamenti teologici del loro credo, che poté ricominciare ad esprimersi liberamente solo nel 1038, due anni dopo la morte di al-Zahir. Probabilmente queste enormi difficoltà iniziali influenzarono fortemente l'aspetto "iniziatico" del pensiero druso, tanto che, pur in una situazione relativamente più favorevole, nel 1043 as-Samuki dichiarò che la setta non avrebbe più accettato nuovi convertiti (ancora oggi non è possibile "diventare drusi" e si è riconosciuti come appartenenti alla comunità solo per nascita) e proibì qualsiasi forma di proselitismo.

Fu durante il periodo di dominazione dei crociati in Siria (1099-1291) che i Drusi assunsero importanza nella storia della regione delle montagne dello Chouf: come forti guerrieri al servizio dei governanti musulmani di Damasco contro le truppe crociate, i Drusi ricevettero il compito di sorvegliare che "i Franchi" che avevano occupato il porto di Beirut non si estendessero nell'entroterra e la perizia con cui eseguirono tale missione permise loro, in seguito, di porre la loro notevole esperienza militare a disposizione dei sovrani mamelucchi d'Egitto (1250-1516) per aiutarli a porre fine a ciò che rimaneva del dominio crociato sulla Siria costiera e, in seguito, a salvaguardare la costa siriana contro eventuali nuove invasioni.

Nel primo periodo dell'era crociata, il potere feudale druso era nelle mani di due famiglie, i Tanukhs e Arslans. In particolare, i primi erano divenuti signori incontrastati delle zone del Monte Libano ma, verso la metà del XII secolo, vennero sostituiti dalla famiglia Ma'an che, dal suo quartier generale nel villaggio montuoso di Baaqlin, arrivò a dominare la pianura marittima tra Beirut e Sidone, venendo investita di autorità feudale dal sultano Nur-al-Din.

Con tutta probabilità quello fu il momento di massimo apogeo dei Drusi nel medioevo: nel 1305, però, lo studioso sunnita hanbalita Ibn Taymiyyah emise, con il beneplacito dei fatimidi che desideravano tacitare ogni movimento "eretico" siriano, una fatwa con relativa chiamata alla jihad contro tutti i non-sunniti e i Drusi, così come gli Sciiti, gli Alawiti, gli Ismailiti e i Duodecimani, divennero oggetto di una nuova persecuzione che, dopo la pesantissima sconfitta nella battaglia di Keserwan, li obbligò a mostrare un ossequio formale per l'ortodossia sunnita e a ritirarsi in isolamento sulle montagne, che, per altro, rimasero sotto il loro controllo.

Con l'avvento dei Turchi ottomani e la conquista della Siria da parte del sultano Selim I nel 1516, inizialmente la situazione rimase invariate e una serie di ribellioni druse vennero represse con scontri sanguinosi, culminati nella terribile battaglia di al-Ayn Ṣawfar nel 1585. Queste misure militari non riuscirono, però a ridurre i Drusi alla sottomissione e ciò indusse il governo ottomano ad accettare un accordo secondo il quale un emiro druso doveva ricevere una "iltizam" (concessione fiscale) sui vari "nahiyes" (distretti) dello Chouf: in questo modo i Ma'an vennero riconosciuti come i signori feudali del sud del Libano e i villaggi drusi si diffusero e prosperarono in tutta la regione, al punto che, sotto l'emiro Fakhr-ed-din II, a inizi '600, il dominio druso era aumentato fino comprendere quasi tutta la Siria e che egli si spinse addirittura, nel 1608, a firmare un trattato commerciale con il duca Ferdinando I di Toscana contenente clausole militari segrete.

Ovviamente tutto questo potere dava fastidio al sultano Murad IV che, nel 1614, inviò un contingente contro Fakhr, il quale, dopo un periodo di esilio a Firenze e a Napoli, tornò in Libano nel 1618, riuscendo ad ottenere vittorie tali da rendere il suo principato praticamente indipendente, aprendo il Libano alle influenze occidentali e sviluppando un governo largamente tollerante. Nel 1632, però, il compito di "normalizzare" la situazione venne affidato all'emiro turco di Damasco Koujak che, nel giro di tre anni, porto Fakhr ad assoggettarsi a Istanbul, dove fu ucciso, ponendo fine all'unico esperimento d' autonomia libanese fino al 1920.

Alla fine del XVII secolo (1697) gli Shihab subentrarono ai Ma'an nella leadership feudale dei Drusi del Libano meridionale, pur professando prima l'Islam sunnita (sebbene i membri della famiglia avessero sempre dimostrato simpatia per la fede dei loro sudditi) e, dai tempi Amir Bashir Shihab II (1788-1840) che, dopo Fakhr-al-Din, fu il signore feudale più potente mai avuto dal Libano, il Cristianesimo. Quando, quasi a metà del XIX secolo, Ibrahim Pascià, figlio del viceré d'Egitto, Muhammad Ali Pasha, commise l'errore di cercare di disarmare i Cristiani e i Drusi libanesi, furono proprio gli Shihab a guidare la resistenza congiunta dei due gruppi religiosi che, però, dopo anni di convivenza pacifica, cominciarono ad avere, a partire dal 1840, scontri sempre più frequenti, che culminarono nella guerra civile del 1860. I problemi non erano tanto dovuti alla sudditanza delle popolazioni druse a una famiglia cristiana, quanto all'intervento di fattori esterni, soprattutto dati dall'alleanza dei Drusi con la Gran Bretagna e dal conseguente permesso concesso dai capi-villaggio a missionari protestanti di stanziarsi nelle zone del Monte Libano, che creava tensioni tra loro e i Cattolici maroniti, sostenuti dai francesi. La guerra civile, che culminò con i massacri del 1859-1860 e la sconfitta dei Cristiani per mano drusa non fu, quindi, una guerra di religione, ma essendo costata la vita a oltre 10.000 Maroniti, diede il pretesto alla Francia per intervenire nell'area con un corpo di spedizione a difesa dei Cattolici e ciò, nonostante l'intervento della Gran Bretagna che non desiderava lo smembramento dell'Impero Ottomano e che limitò l'azione dei francesi, portò il Libano, sotto la supremazia cristiana, ad ottenere una larga autonomia che perdurò fino alla Prima Guerra Mondiale e che confinò il potere drusi alle montagne da cui originariamente provenivano.

Dopo questo periodo, in tutto il mondo arabo i Drusi, pur ottenendo ovunque il riconoscimento ufficiale di "comunità religiosa separata" con un proprio sistema legale legato alla morale cultuale, lottarono per l'indipendenza dei vari Paesi in cui erano presenti e ovunque trovarono la collocazione più consona alle proprie idee religiose in partiti di sinistra, come dimostrato anche dalla posizione politica che si è detto essere stata assunta dalla famiglia Joumblatt, leader del "popolo dell'unitarismo" dello Chouf dai tempi della guerra contro i Cristiani, in occasione della guerra civile.

Ma quali sono, dunque, queste idee?
In realtà, rispondere a questa domanda è tutt'altro che facile, stante non solo la natura strettamente "intra-comunitaria" del loro credo (tanto che persino il contrarre matrimonio con non-Drusi è fortemente sconsigliato per gli appartenenti alla setta), ma anche e soprattutto per l'usanza della cosiddetta "taqiya", la pratica, ripresa dall'Islam sciita, di occultare o dissimulare le proprie convinzioni religiose se necessario, e per la natura esoterica della fede, molti insegnamenti della quale sono tenuti segreti persino agli stessi aderenti di grado più basso.

Così, capita che i Drusi, in aree diverse, possano avere opinioni teologiche e stili di vita radicalmente differenti tra loro, tanto che alcuni sostengono di essere musulmani mentre altri negano decisamente di rientrare nell'Islam, cosa perfettamente comprensibile se si tiene conto che il credo druso rispetta di base tutti i principi islamici ma tende ad essere fortemente separatista rispetto agli altri gruppi musulmani e a discostarsi dalle principali correnti islamiche su una serie di punti fondamentali.

Insomma, ciò che si può conoscere dall'esterno non è molto ed è, per lo più, frutto di informazioni trapelate e di congetture fatte, nei secoli, dagli studiosi delle religioni.

Su queste basi, le certezze maggiori riguardano la visione dottrinale di Dio, del quale si sottolinea fortemente e senza compromessi la rigida unità, l'essere al di sopra di qualsiasi attributo umano e l'essere allo stesso tempo immanente e trascendente. Questi aspetti risultano tutti interdipendenti: nel desiderio di mantenere la totale unità monoteistica, i Drusi spogliano Dio di qualsiasi attributo che possa portare al peccato estremo del politeismo ("shirk"), cosicché Egli non abbia attributi distinti dalla sua essenza (Dio non ha saggezza, potenza o giustizia ma è saggio, giusto e potente) e risulti essere "l'intera esistenza" piuttosto che una "esistenza superiore", che lo renderebbe in qualche modo limitato, quando, in realtà, nella sua infinita illimitatezza senza "come", "quando" e "dove" Egli risulta incomprensibile agli occhi umani.

Traspaiono, in questo dogma, chiare le influenze del Sufismo e, infatti, proprio come nel Sufismo, centrale è il concetto di "tajalli", cioè della possibilità di teofania, che spesso è stata confusa con una idea di "incarnazione del Divino" che, invece, risulta estranea alla teologia drusa. In realtà, infatti, il "tajali" è una sorta di esperienza della luce di Dio vissuta da alcuni mistici che hanno raggiunto un elevato livello di purezza nel loro cammino spirituale. Ciò s'inserisce in una percezione di Dio come essenza che manifesta la Sua luce nel mondo materiale che diviene Suo riflesso, ma tale riflesso non è Dio e tutti gli scritti dottrinali, in particolare il fondamentale "Kitab Al Hikma" (Epistole della Sapienza) sottolineano continuamente tale differenza, viso che la concezione di "incarnazione" di Dio, spesso fraintesa da commentatori esterni, risulterebbe assolutamente contraria al monoteismo. Il "tajalli", per altro, è una fase fondamentale nell'ascesi del mistico druso: esso si verifica quando l'umanità del fedele è annientata a tal punto che gli attributi divini e la luce di Dio vengano vissuti dalla persona come propri.

E' proprio il cammino d'ascesi ad essere il nucleo fondamentale della fede drusa in cui iniziazione e misticismo esoterico hanno una importanza enorme. I Drusi credono che molti insegnamenti dati da Profeti, leader religiosi, e libri sacri abbiano significati esoterici nascosti, comprensibili solo a coloro che, per intelletto e grado di conoscenza, possano afferrarli. Di conseguenza, molti insegnamenti vengono visti come semplici simboli e allegorie naturali, interpretabili in modo differente a seconda dei tre "livelli di lettura" possibili: l'ovvio o essoterico (zahir), accessibile a chiunque sia in grado di leggere o ascoltare; il nascosto o esoterico (Batin), accessibile a coloro che sono disposti a cercare e imparare attraverso l'esegesi; il "nascosto del nascosto", comprensibile solo attraverso un processo anagogico e inaccessibile per tutti, se non per pochi individui illuminati in grado di capire davvero la natura dell'universo.
A differenza di altri movimenti islamici esoterici, i Drusi, comunque, non ritengono che il passaggio ad un livello superiore cancelli il significato precedentemente acquisito: i vari livelli si completano a vicenda in un unicum di verità

Ciò spiega la "ratio" in base alla quale il popolo druso si divide in due gruppi distinti. Alla gran maggioranza laica (circa l'80% della popolazione), chiamata "al-Juhhāl" ("gli ignoranti") non è consentito l'accesso alla letteratura mistica, non è permesso di partecipare agli incontri religiosi di stampo esoterico e non viene imposto l'obbligo di seguire alcun precetto ascetico. Il secondo gruppo, iniziatico, che comprende sia gli uomini e le donne (circa il 20% della popolazione), è chiamato "al-Uqqāl", ("iniziati informati"), è riconoscibile perché indossa abiti realizzati in conformità con la tradizione coranica: le donne possono scegliere di portare "al-Mandil", un velo bianco indossato sulla testa per coprire i capelli e avvolto intorno alla bocca, camicie nere e gonne lunghe che coprono le gambe fino alle caviglie; gli uomini si fanno crescere i baffi, hanno vestiti scuri di taglio tradizionale turco-levantino ("shirwal") e turbanti bianchi che variano a seconda della gerarchia iniziatica.

Gli "al-Uqqāl" hanno gli stessi diritti degli "al-Juhhāl", ma la differenza tra i due gruppi va intesa come una sorta di "gerarchia di rispetto" sulla base dei servizi resi, in senso spirituale, alla comunità. Circa il 5% degli "al-Uqqāl", poi, diventa "Ajawīd", cioè entra a far parte dei leader religiosi riconosciuti di tutto il popolo druso.

Gli "Ajawīd" non vanno confusi con gli "Shaykh al-Aql", i notabili politici (come visto, la differenza tra leadership politica e leadership religiosa ha una radice storica nel periodo iniziale della fede) che hanno una posizione ufficiale in Siria, Libano e Israele e vengono eletti dalle comunità locali per servire come capi del consiglio religioso druso e giudici dei tribunali religiosi: a differenza dei leader spirituali, l'autorità di un "Shaykh al-Aql" è locale, anche se non è infrequente che gli "Ajawīd" vengano eletti per assumere queste posizioni.

Per tutti il "gradi", comunque, vale l'obbligo di seguire i sette precetti (di origine chiaramente ismailita) che sono considerati il nucleo della fede e che sono percepiti come l'essenza dei pilastri dell'Islam: veridicità nella parola; protezione e di mutuo soccorso ai fratelli nella fede; rinuncia a tutte le forme di culto eretiche e alle false credenze; ripudio del diavolo ("Iblis") e tutte le forze del male; confessione dell'unità divina; acquiescenza all'azione di Dio, qualunque essa sia; assoluta sottomissione e la rassegnazione alla volontà di Dio sia in segreto che in pubblico.

Nella pratica, dunque, possiamo parlare della religione drusa come di una sorta di Islamismo fortemente influenzato da una visione neo-platonica di come Dio interagisca con il mondo attraverso emanazioni, in questo molto simili ad alcune sette gnostiche ed esoteriche.

Sebbene di base la religiosità e il culto vengano visti come elementi che riguardano solo il singolo (i Drusi non sono obbligati ad osservare la maggior parte dei rituali religiosi) e che, dunque, non possano essere in alcun modo imposti, la religione forma un impianto fondamentale nell'azione sociale di ciascuno sia sul versante pratico (con il rifiuto di tabacco, alcool, consumo di carne di maiale e, contrariamente alla maggior parte delle sette islamiche, poligamia) che su quello morale (con principi che si concentrano su onestà, lealtà, pietà filiale, altruismo, sacrificio patriottico e monoteismo e che, a differenza dell'Islam classico, portano a diversi gradi di reincarnazione): solo questo può spiegare il senso di unità che esiste tra i Drusi sparsi in tutto il mondo e l'esistenza ci enclave così coese da riuscire a formare, all'atto pratico, veri e propri stati a sé stanti, con una propria politica interna ed una propria leadership riconosciuta da tutti.
 


Riferimenti bibliografici:


R. Brenton Betts, The Druze, Yale University Press 1990
N. Dana, The Druze in the Middle East: Their Faith, Leadership, Identity and Status, Sussex Academic Press 2003
P. Khuri Hitti, The Origins of the Druze People and Religion, BiblioBazaar 2007
M.K. Saab, Stories & Scenes From Mount Lebanon, Saqi Books 2004
K. Salibi, The Druze: Realities & Perceptions, Druze Heritage Foundation 2005
R.K. Westheimer, G. Sedan, The Olive and the Tree: The Secret Strength of the Druze, Lantern Books 2007.



 

 

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