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N. 86 - Febbraio 2015 (CXVII)

UN DISCO TI SALVERÀ LA VITA
PARTE VI – GRACE

di Andrea Bajocco

 

Composto da 7 pezzi inediti e 3 cover, Grace, album d’esordio del figlio d’arte Jeff Buckley (entrato nel mondo della musica in punta di piedi, seguendo le orme del compianto Tim), esce nell’agosto del 1994.

 

Neanche trentenne, Jeff si ritrova a esordire con un disco capolavoro. Crescendo, col passare degli anni, avrebbe potuto raggiungere la piena maturità artistica, ma purtroppo, come successo in passato al padre, oltre all’amore per la musica e alle indiscutibili doti vocali, il fato aveva riservato a Jeff una vita e una carriera brevi, spezzate da un destino infame.

 

Il 29 maggio del 1997, il giovane cantautore, dirigendosi verso lo studio di registrazione, arrivò all’altezza del Wolf River, affluente del Mississippi, e come spesso accadeva decise di tuffarsi. Nuotando verso la riva e, si dice, canticchiando Whole Lotta Love dei Led Zeppelin, passò vicino a un battello che si pensa creò un gorgo che inesorabilmente risucchiò il giovane che sparì dalla vista di Foti, suo amico che lo accompagnava agli studi. Giorni di ricerche risultarono invani fino al 4 giugno, quando il corpo di Jeff sarà ritrovato. La breve storia del giovane cantautore finisce così, sul più bello...

 

Tornando all’album, bisogna dire che addetti ai lavori e colleghi non perdono occasione per complimentarsi con il cantautore, dichiarando anche pubblicamente il loro apprezzamento per il lavoro svolto e, soprattutto, il risultato raggiunto. Parole al miele arrivano, tra gli altri, anche da mostri sacri della musica come Jimmy Page che dichiarò: "[...] my favorite album of the decade". Stesso discorso vale per Bob Dylan: "[...] one of the great songwriters of this decade".

 

Il primo lavoro di Jeff Buckley parte con i 5 minuti e 42 secondi di Mojo Pin, i cui arpeggi, in crescita lungo l’intera canzone, di fatto straripano grazie alla voce graffiante del cantautore.

 

La seconda traccia è Grace, la title-track dell’album che, inoltre, è stato il singolo di debutto nel mondo della musica di Jeff Buckley (prima aveva avuto soltanto esperienze dal vivo con concerti in onore del padre).

 

Sia Grace che Last Goodbye, terza canzone dell’album, sono dedicate alla storia d’amore vissuta da Buckley con Rebecca Moore. Nella prima, il cantautore “parla” direttamente alla compagna (nel pieno dell’amore), mentre nella seconda si parla della difficile separazione e delle sensazioni che naturalmente ne conseguono.

 

La prima cover inserita è Liliac Wine di James Shelton, canzone che potrebbe essere definita in pieno “stile Buckley”, soprattutto per la malinconia del testo.

 

Con So Real, Buckley vuole quasi predicare una sorta di “libertà musicale”, visto che lo schema seguito è composto dal classico “strofa-ritornello-strofa”.

 

A So Real segue la seconda cover, la malinconica e spottocutanea Hallelujah (con cui chiudeva quasi tutti i suoi concerti). La rivisitazione del pezzo, originariamente di Leonard Cohen, lo fa entrare definitivamente nel mondo della musica. L’interpretazione gli vale numerosi riconoscimenti tanto da meritare di essere inserita dalla rivista Rolling Stone nelle 500 migliori canzoni di tutti i tempi (terza tra le cover).

 

Si continua con la funerea Lover, You Should've Come Over che, salendo d’intensità rispetto alla precedente traccia, rende alla perfezione l’idea di un triste e bagnato corteo funebre.

 

Le due successive, Corpus Christi Carol e Eternal Life, sono l’una il contrario dell’altra. La prima è la terza e ultima cover dell’album ed è un canto puramente religioso che si distingue per la sua “tranquillità”. La seconda, invece, è caratterizzata da chitarre rumorose. In comune hanno soltanto l’effetto di meraviglia regalato a chi le ascolta.

 

L’album si chiude con Dream Brother nella quale ancora una volta, musicalmente, a farla da padroni sono arpeggi. Per quanto riguarda le liriche, neanche a dirlo, si tratta di poesia pura.

 

Il disco è come detto meraviglioso e, oltre ai già citati addetti ai lavori e colleghi, anche il pubblico lo ha subito apprezzato. Stessa sorte spetta al seguente tour, al termine del quale il cantautore si mette subito a lavoro sul nuovo album, Sketches for My Sweetheart the Drunk (che uscirà postumo). Tutto sembra andare per il meglio. Fino a quel maledetto tuffo che portò all’ultimo, tragico “Last Goodbye” di Jeff Buckley.



 

 

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