N. 55 - Luglio 2012 
                          
                          (LXXXVI)
																						Dino Campana
																						Storia di un poeta
																						di Mirko Riazzoli
																			 
																			
																			
																			
																			Il 
																			poeta 
																			Carlo 
																			Giuseppe 
																			Campana, 
																			detto 
																			Dino, 
																			nacque 
																			il 
																			20 
																			agosto 
																			1885 
																			a 
																			Marradi, 
																			un 
																			comune 
																			in 
																			provincia 
																			di 
																			Firenze 
																			nella 
																			Valle 
																			del 
																			Lamene 
																			nell'Appennino 
																			tosco-romagnolo 
																			al 
																			confine 
																			con 
																			la 
																			Romagna.
																			
																			Alla 
																			sua 
																			terra 
																			natia 
																			dedicò 
																			in 
																			seguito 
																			un 
																			suo 
																			componimento:
																			
																			 
																			
																			
																			
																			Il 
																			mattino 
																			arride 
																			sulle 
																			cime 
																			dei 
																			monti. 
																			In 
																			alto 
																			sulle 
																			cuspidi 
																			di 
																			un 
																			triangolo 
																			desolato 
																			si 
																			illumina 
																			il 
																			castello, 
																			più 
																			alto 
																			e 
																			lontano. 
																			Venere 
																			passa 
																			in 
																			barroccio 
																			accoccolata 
																			per 
																			la 
																			strada 
																			conventuale. 
																			Il 
																			fiume 
																			si 
																			snoda 
																			per 
																			la 
																			valle: 
																			rotto 
																			e 
																			ruggente 
																			a 
																			tratti 
																			canta 
																			e 
																			riposa 
																			in 
																			larghi 
																			specchi 
																			d’azzurro: 
																			e 
																			più 
																			veloce 
																			trascorre 
																			le 
																			mura 
																			nere 
																			(una 
																			cupola 
																			rossa 
																			ride 
																			lontana 
																			con 
																			il 
																			suo 
																			leone) 
																			e i 
																			campanili 
																			si 
																			affollano 
																			e 
																			nel 
																			nereggiare 
																			inquieto 
																			dei 
																			tetti 
																			al 
																			sole 
																			una 
																			lunga 
																			veranda 
																			che 
																			ha 
																			messo 
																			un 
																			commento 
																			variopinto 
																			di 
																			archi!
																			(Marradi, 
																			Antica 
																			Volta, 
																			Specchio 
																			Velato, 
																			Canti 
																			Orfici)
																			 
																			
																			
																			
																			Il 
																			padre 
																			Giovanni 
																			fu 
																			prima 
																			insegnante 
																			di 
																			scuola 
																			elementare 
																			per 
																			poi 
																			divenire 
																			direttore 
																			didattico 
																			mentre 
																			la 
																			madre 
																			Francesca 
																			Luti 
																			(detta 
																			Fanny) 
																			era 
																			una 
																			casalinga. 
																			La 
																			sua 
																			casa 
																			natale 
																			era 
																			in 
																			via 
																			Celestino 
																			Bianchi, 
																			nel 
																			quartiere 
																			nei 
																			pressi 
																			del 
																			fiume 
																			detto 
																			l’Inferno: 
																			verrà 
																			poi 
																			bombardata 
																			e 
																			distrutta 
																			durante 
																			la 
																			seconda 
																			guerra 
																			mondiale. 
																			Dino 
																			visse 
																			gran 
																			parte 
																			dei 
																			suoi 
																			giorni 
																			marradesi 
																			nella 
																			casa 
																			“Campana” 
																			di 
																			Via 
																			Pescetti.
																			 
																			
																			
																			
																			I 
																			rapporti 
																			con 
																			la 
																			madre 
																			divennero 
																			problematici 
																			nell’anno 
																			1888, 
																			quando 
																			nacque 
																			suo 
																			fratello 
																			Manlio 
																			(detto 
																			Nini), 
																			il 
																			secondogenito 
																			della 
																			coppia, 
																			come 
																			testimonia 
																			una 
																			lettera 
																			della 
																			zia 
																			del 
																			poeta 
																			Giovanna 
																			Diletti 
																			Campana. 
																			“Dopo 
																			la 
																			nascita 
																			di 
																			Manlio, 
																			il 
																			Cocco”, 
																			scrisse 
																			Giovanna 
																			Diletti 
																			Campana, 
																			“Dino 
																			passò 
																			in 
																			seconda, 
																			o 
																			per 
																			meglio 
																			dire 
																			in 
																			terza 
																			linea. 
																			Ninni 
																			(Manlio), 
																			sempre 
																			Ninni, 
																			solo 
																			Ninni” 
																			(G. 
																			Turchetta, 
																			Dino 
																			Campana: 
																			biografia 
																			di 
																			un 
																			poeta, 
																			p. 
																			25).
																			 
																			
																			
																			
																			Frequentò 
																			le 
																			scuole 
																			elementari 
																			a 
																			Marradi, 
																			dopo 
																			di 
																			che 
																			frequentò 
																			la 
																			terza, 
																			quarta 
																			e 
																			quinta 
																			ginnasio 
																			presso 
																			il 
																			collegio 
																			dei 
																			Salesiani 
																			di 
																			Faenza 
																			(Ravenna) 
																			e 
																			nel 
																			1899-1900 
																			sostenne 
																			gli 
																			esami 
																			di 
																			licenza 
																			nel 
																			locale 
																			ginnasio-liceo
																			“E. 
																			Torricelli”. 
																			L'anno 
																			successivo 
																			divenne 
																			allievo 
																			di 
																			prima 
																			liceo 
																			presso 
																			lo 
																			stesso 
																			“Torriccelli” 
																			e 
																			cominciò 
																			a 
																			dare 
																			i 
																			primi 
																			segni 
																			di 
																			quello 
																			squilibrio 
																			mentale 
																			con 
																			manifestazioni 
																			di 
																			aggressività 
																			verso 
																			la 
																			madre 
																			che 
																			lo 
																			affliggerà 
																			fino 
																			alla 
																			morte. 
																			Gli 
																			studi 
																			liceali 
																			li 
																			svolse 
																			in 
																			parte 
																			a 
																			Ravenna 
																			presso 
																			il 
																			Liceo 
																			“Torricelli”, 
																			in 
																			parte 
																			a 
																			Carmagnola 
																			(Torino), 
																			in 
																			Piemonte, 
																			presso 
																			il 
																			Regio 
																			Liceo 
																			“Baldessano”, 
																			dove 
																			conseguì 
																			la 
																			maturità 
																			nel 
																			luglio 
																			del 
																			1903. 
																			Durante 
																			questi 
																			anni 
																			il 
																			rendimento 
																			scolastico 
																			divenne 
																			incerto 
																			e 
																			saltuario.
																			 
																			
																			
																			
																			Nella 
																			sua 
																			formazione 
																			contò 
																			molto 
																			la 
																			lettura 
																			di 
																			poeti 
																			e 
																			scrittori 
																			moderni. 
																			Lui 
																			stesso 
																			infatti 
																			affermò: 
																			“Leggevo 
																			molto 
																			qua 
																			e 
																			là. 
																			Carducci 
																			mi 
																			piaceva 
																			molto, 
																			Pascoli, 
																			D’Annunzio, 
																			Poe 
																			anche; 
																			l’ho 
																			letto 
																			molto 
																			Poe. 
																			Dei 
																			musicisti 
																			ammiravo 
																			molto 
																			Beethoven, 
																			Mozart, 
																			Schumann. 
																			Verdi 
																			anche 
																			mi 
																			piace; 
																			Spontini, 
																			Rossini”. 
																			Accanto 
																			a 
																			queste 
																			passioni 
																			si 
																			interessò 
																			anche 
																			di 
																			pittura.
																			 
																			
																			
																			
																			Durante 
																			questo 
																			periodo 
																			ebbe 
																			a 
																			che 
																			fare 
																			per 
																			la 
																			prima 
																			volta, 
																			secondo 
																			una 
																			sua 
																			testimonianza 
																			purtroppo 
																			abbastanza 
																			vaga, 
																			con 
																			la 
																			giustizia: 
																			sarebbe 
																			stato 
																			rinchiuso 
																			per 
																			un 
																			mese 
																			in 
																			un 
																			carcere 
																			di 
																			Parma, 
																			probabilmente 
																			durante 
																			una 
																			delle 
																			pause 
																			della 
																			vita 
																			di 
																			collegio. 
																			Il 
																			motivo 
																			è 
																			ignoto, 
																			ma è 
																			probabile 
																			che 
																			la 
																			motivazione 
																			sia 
																			riconducibile 
																			a 
																			una 
																			di 
																			quelle 
																			che 
																			nel 
																			resto 
																			della 
																			sua 
																			vita 
																			gli 
																			causarono 
																			innumerevoli 
																			problemi: 
																			l'ubriachezza, 
																			l'irascibilità 
																			e lo 
																			squilibrio 
																			nervoso.
																			 
																			
																			
																			
																			Dal 
																			4 
																			gennaio 
																			al 4 
																			agosto 
																			1904, 
																			a 
																			diciannove 
																			anni, 
																			anticipando 
																			di 
																			due 
																			anni 
																			il 
																			servizio 
																			di 
																			leva 
																			Campana 
																			entrò 
																			nella 
																			scuola 
																			per 
																			ufficiali 
																			di 
																			complemento 
																			di 
																			Ravenna 
																			(40° 
																			Reggimento 
																			di 
																			fanteria): 
																			non 
																			superò 
																			però 
																			l'esame 
																			per 
																			divenire 
																			sergente 
																			e 
																			venne 
																			espulso 
																			per 
																			“comprovata 
																			inidoneità”
																			
																			(G. 
																			Turchetta,
																			
																			Dino 
																			Campana: 
																			biografia 
																			di 
																			un 
																			poeta, 
																			p. 
																			46). 
																			Si 
																			iscrisse 
																			quindi
																			
																			il 
																			22 
																			novembre 
																			1905 
																			il 
																			primo 
																			anno 
																			della 
																			facoltà 
																			di 
																			chimica 
																			pura
																			
																			presso 
																			l'Università 
																			di 
																			Bologna, 
																			per 
																			passare 
																			l'anno 
																			seguente 
																			alla 
																			facoltà 
																			di 
																			chimica 
																			farmaceutica 
																			a 
																			Firenze.
																			 
																			
																			
																			
																			La 
																			sua 
																			presenza 
																			a 
																			Bologna 
																			sarà 
																			importante 
																			per 
																			la 
																			sua 
																			formazione 
																			letteraria: 
																			qui 
																			infatti 
																			frequentò 
																			le
																			
																			lezioni 
																			della 
																			facoltà 
																			di 
																			lettere 
																			e 
																			intrattenne 
																			rapporti 
																			di 
																			amicizia 
																			con 
																			i 
																			gruppi 
																			di 
																			goliardi 
																			e 
																			con 
																			i 
																			giovani 
																			appassionati 
																			di 
																			letteratura. 
																			Nel 
																			1905, 
																			durante 
																			la 
																			frequentazione 
																			dell’università, 
																			venne 
																			regolarmente 
																			chiamato 
																			alle 
																			armi 
																			ma 
																			rinviò 
																			il 
																			servizio 
																			a 
																			causa 
																			degli 
																			studi. 
																			Nel 
																			1906 
																			venne
																			
																			congedato 
																			a 
																			causa 
																			della 
																			sua 
																			infermità 
																			di 
																			mente. 
																			A 
																			quest’anno 
																			risale 
																			appunto 
																			una 
																			lettera, 
																			del 
																			13 
																			settembre, 
																			inviata 
																			al 
																			prof. 
																			A. 
																			Bruglia, 
																			direttore 
																			del 
																			manicomio 
																			di 
																			Imola, 
																			dal 
																			padre:
																			 
																			
																			
																			
																			"Nel 
																			1900 
																			incominciò 
																			[Dino 
																			Campana] 
																			a 
																			dar 
																			prova 
																			di 
																			impulsività 
																			brutale, 
																			morbosa, 
																			in 
																			famiglia 
																			e 
																			specialmente 
																			con 
																			la 
																			mamma".
																			 
																			
																			
																			
																			Nel 
																			1905-1906 
																			frequentò 
																			chimica 
																			farmaceutica 
																			di 
																			nuovo 
																			a 
																			Bologna, 
																			nel 
																			1906-1907 
																			restò 
																			a 
																			Bologna, 
																			ma 
																			passando 
																			di 
																			nuovo 
																			a 
																			chimica 
																			pura. 
																			Nel 
																			1906, 
																			mentre 
																			era 
																			ancora 
																			a 
																			Bologna, 
																			il 
																			padre 
																			lo 
																			fece 
																			visitare 
																			dal 
																			prof. 
																			G. 
																			Vitali 
																			che 
																			in 
																			una 
																			sua 
																			lettera 
																			inviata 
																			a 
																			Brugia 
																			scrisse:
																			 
																			
																			
																			
																			"Si 
																			tratta 
																			di 
																			una 
																			forma 
																			psichica 
																			a 
																			base 
																			di 
																			esaltazione, 
																			per 
																			cui 
																			si 
																			rende 
																			necessario 
																			il 
																			riposo 
																			intellettuale, 
																			l'isolamento 
																			affettivo 
																			e 
																			morale, 
																			e 
																			l'uso 
																			di 
																			preparati 
																			bromici. 
																			Con 
																			tali 
																			si 
																			otterranno 
																			vantaggi; 
																			ma 
																			quali? 
																			E 
																			fino 
																			a 
																			qual 
																			punto?"... 
																			(G. 
																			Turchetta,
																			
																			Dino 
																			Campana: 
																			biografia 
																			di 
																			un 
																			poeta, 
																			p. 
																			41)
																			 
																			
																			
																			
																			Il 4 
																			settembre 
																			venne 
																			ricoverato 
																			nel 
																			manicomio 
																			di 
																			Imola, 
																			dove 
																			restò 
																			fino 
																			al 
																			31 
																			ottobre, 
																			quando 
																			il 
																			padre, 
																			contro 
																			il 
																			parere 
																			dei 
																			sanitari, 
																			decise 
																			di 
																			farlo 
																			uscire. 
																			Nei 
																			mesi 
																			successivi 
																			Campana 
																			migliorò, 
																			ma 
																			l'ombra 
																			della 
																			pazzia 
																			e 
																			della 
																			demenza 
																			non 
																			lo 
																			lascerà 
																			mai 
																			più.
																			 
																			
																			
																			
																			Probabilmente 
																			nel 
																			1907, 
																			trovandosi 
																			un 
																			giorno 
																			alla 
																			stazione 
																			di 
																			Bologna 
																			fu 
																			preso 
																			da 
																			un 
																			improvviso 
																			desiderio 
																			di 
																			partire 
																			e, 
																			infilatosi 
																			in 
																			un 
																			treno, 
																			raggiunse 
																			con 
																			pochi 
																			soldi 
																			Milano: 
																			di 
																			qui 
																			attraverso 
																			Domodossola 
																			passò 
																			in 
																			Svizzera, 
																			poi 
																			in 
																			Francia, 
																			dove 
																			arrivò 
																			fino 
																			a 
																			Parigi. 
																			Il 
																			1908 
																			fu 
																			l'anno 
																			dei 
																			grandi 
																			viaggi. 
																			A 
																			quella 
																			data, 
																			infatti, 
																			va 
																			fatto 
																			risalire 
																			(secondo 
																			la 
																			ricostruzione 
																			fatta 
																			da 
																			G. 
																			Gerola) 
																			l'inizio 
																			di 
																			una 
																			lunga 
																			peregrinazione 
																			di 
																			cui 
																			vi 
																			sono 
																			varie 
																			testimonianze 
																			nei 
																			suoi 
																			componimenti.
																			 
																			
																			
																			
																			S'imbarcò 
																			di 
																			lì a 
																			poco 
																			a 
																			Genova 
																			e 
																			raggiunse 
																			Buenos 
																			Aires. 
																			Nei 
																			mesi 
																			successivi, 
																			girovagando 
																			quasi 
																			sempre 
																			a 
																			piedi, 
																			si 
																			recò 
																			a 
																			Bahia 
																			Blanca, 
																			Montevideo, 
																			Rosario, 
																			Santa 
																			Rosa 
																			e 
																			Mendoza. 
																			Esercitò
																			
																			nel
																			
																			contempo 
																			innumerevoli 
																			mestieri 
																			per 
																			ottenere 
																			abbastanza 
																			da 
																			mantenersi 
																			e 
																			continuare 
																			la 
																			peregrinazione: 
																			il 
																			suonatore 
																			di 
																			triangolo 
																			nella 
																			marina 
																			argentina, 
																			lo 
																			sterratore, 
																			il 
																			garzone, 
																			lo 
																			stalliere, 
																			il 
																			portiere 
																			in 
																			un 
																			circolo, 
																			il 
																			poliziotto 
																			(ossia 
																			"pompiere"). 
																			Di 
																			questi 
																			suoi 
																			viaggi 
																			si 
																			trova 
																			traccia 
																			nei 
																			componimenti 
																			intitolati 
																			appunto
																			
																			Pampa 
																			e 
																			Genova.
																			 
																			
																			
																			
																			Per 
																			ritornare 
																			in 
																			Italia, 
																			s'imbarcò 
																			clandestinamente 
																			su 
																			una 
																			nave 
																			ma 
																			venne 
																			scoperto 
																			e 
																			dovette 
																			così 
																			lavorare 
																			come 
																			marinaio 
																			per 
																			pagare 
																			la 
																			traversata. 
																			Giunse 
																			ad 
																			Odessa, 
																			dove 
																			la 
																			nave 
																			fece 
																			un 
																			lungo 
																			scalo.
																			 
																			
																			
																			
																			Campana 
																			riprese 
																			a 
																			girovagare, 
																			si 
																			aggregò 
																			ad 
																			una 
																			compagnia 
																			di 
																			bossiaki, 
																			sorta 
																			di 
																			zingari, 
																			con 
																			i 
																			quali 
																			si 
																			recò 
																			in 
																			varie 
																			fiere 
																			a 
																			vendere 
																			stelle 
																			filanti. 
																			Ripartito, 
																			raggiunse 
																			Anversa, 
																			dove 
																			visitò 
																			diversi 
																			musei 
																			e 
																			vide 
																			il 
																			quadro 
																			da 
																			cui 
																			trarrà 
																			ispirazione 
																			per
																			
																			Il 
																			cappello 
																			alla 
																			Rembrandt. 
																			A 
																			causa 
																			delle 
																			sue 
																			stravaganze, 
																			venne 
																			messo 
																			in 
																			prigione 
																			a 
																			Saint 
																			Gilles 
																			(Belgio) 
																			e 
																			poi 
																			rinchiuso 
																			nel 
																			manicomio 
																			di 
																			Tournay 
																			(dove 
																			incontrò 
																			la 
																			figura 
																			che 
																			lo 
																			ispirò 
																			nella 
																			stesura 
																			de
																			
																			Il 
																			russo).
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			Rilasciato, 
																			passò 
																			a 
																			Parigi 
																			e di 
																			lì 
																			tornò 
																			infine 
																			a 
																			Marradi, 
																			dove 
																			era 
																			già 
																			giunto 
																			in 
																			marzo, 
																			quando 
																			il 
																			sindaco 
																			comunica 
																			al 
																			procuratore 
																			del 
																			Re 
																			la 
																			notizia 
																			di 
																			aver 
																			emesso 
																			un’ordinanza 
																			per 
																			il 
																			suo 
																			ricovero. 
																			Dal 
																			ritorno 
																			fin 
																			verso 
																			il 
																			1912 
																			continuò 
																			a 
																			condurre 
																			un'esistenza 
																			di 
																			vagabondaggio 
																			e di 
																			inquietudine. 
																			Dal 
																			9 
																			aprile 
																			1909 
																			fu 
																			ricoverato 
																			in 
																			una 
																			clinica 
																			fiorentina 
																			per 
																			malattie 
																			nervose 
																			e 
																			mentali, 
																			da 
																			cui 
																			venne 
																			dimesso 
																			il 
																			26 
																			del 
																			mese. 
																			Nel 
																			1910 
																			compì 
																			un 
																			lungo 
																			pellegrinaggio 
																			a 
																			piedi 
																			da 
																			Marradi 
																			al 
																			Monte 
																			Falterona 
																			e 
																			alla 
																			Verna 
																			(Arezzo).
																			 
																			
																			
																			
																			All'incirca 
																			nello 
																			stesso 
																			periodo 
																			si 
																			trasferì, 
																			pare 
																			per 
																			parecchi 
																			mesi, 
																			presso 
																			un 
																			contadino 
																			delle 
																			montagne 
																			di 
																			Marradi, 
																			molto 
																			probabilmente 
																			alla 
																			ricerca 
																			di 
																			una 
																			pace 
																			che 
																			doveva 
																			essere 
																			propizia 
																			alla 
																			manifestazione 
																			della 
																			sua 
																			poesia. 
																			Fra 
																			il 
																			1911 
																			e il 
																			1912 
																			rimise 
																			insieme, 
																			molto 
																			probabilmente 
																			in 
																			più 
																			riprese, 
																			i 
																			frutti 
																			di 
																			un'attività 
																			poetica 
																			che 
																			doveva 
																			aver 
																			cominciato 
																			intorno 
																			ai 
																			venti 
																			anni.
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			I 
																			suoi 
																			primi 
																			lavori 
																			letterari 
																			risalgono 
																			infatti 
																			a 
																			quel 
																			periodo, 
																			per 
																			la 
																			precisione 
																			al 
																			1907: 
																			si 
																			tratta 
																			di 
																			quei 
																			quarantatré 
																			componimenti 
																			che, 
																			essendo 
																			stati 
																			trascritti 
																			su 
																			di 
																			un 
																			quaderno 
																			scolastico 
																			ritrovato 
																			in 
																			casa 
																			sua 
																			molti 
																			anni 
																			dopo 
																			la 
																			morte, 
																			compongono 
																			quella 
																			sezione 
																			delle 
																			liriche 
																			che 
																			è 
																			nota 
																			sotto 
																			il 
																			nome 
																			di 
																			Quaderno. 
																			I 
																			suoi 
																			esperimenti 
																			poetici 
																			raccolti 
																			nel 
																			Quaderno 
																			vennero 
																			poi 
																			accantonati, 
																			presumibilmente 
																			nel 
																			1912, 
																			quando 
																			iniziò 
																			la 
																			stesura 
																			dei 
																			Canti 
																			Orfici.
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			L’8 
																			dicembre 
																			pubblicò 
																			nel 
																			foglio 
																			goliardico 
																			bolognese 
																			Papiro 
																			alcune 
																			delle 
																			sue 
																			opere:
																			
																			La 
																			chimera,
																			
																			Le 
																			cafard 
																			e 
																			Dualismo. 
																			A 
																			metà 
																			febbraio 
																			del 
																			1913 
																			pubblicò 
																			nel
																			
																			Goliardo, 
																			un 
																			altro 
																			foglio 
																			universitario 
																			bolognese,
																			
																			Torre 
																			rossa 
																			- 
																			Scorcio 
																			(i 
																			primi 
																			otto 
																			capoversi 
																			de
																			
																			La 
																			notte). 
																			In 
																			questo 
																			stesso 
																			periodo 
																			si 
																			trasferì 
																			presso 
																			l'università 
																			di 
																			Genova, 
																			ma 
																			verso 
																			la 
																			primavera 
																			s'imbarcò, 
																			raggiunse 
																			La 
																			Spezia 
																			e di 
																			lì 
																			la 
																			Sardegna.
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			Verso 
																			l'autunno 
																			del 
																			1913 
																			la 
																			composizione 
																			della 
																			raccolta 
																			delle 
																			sue 
																			opere 
																			doveva 
																			essere 
																			terminata. 
																			Nel 
																			dicembre 
																			1913 
																			Campana 
																			si 
																			recò 
																			da 
																			Marradi 
																			a 
																			Firenze 
																			e si 
																			presentò 
																			a 
																			Giovanni 
																			Papini 
																			(1881-1956) 
																			e 
																			Ardengo 
																			Soffici 
																			(1879-1964), 
																			allora 
																			direttori 
																			di
																			
																			Lacerba 
																			(una 
																			rivista 
																			letteraria 
																			fiorentina 
																			per 
																			avanguardie 
																			fondata 
																			il 
																			1° 
																			gennaio 
																			1913) 
																			per 
																			avere 
																			un 
																			giudizio 
																			sul 
																			proprio 
																			lavoro 
																			letterario.
																			 
																			
																			
																			
																			La 
																			storia 
																			dei 
																			suoi 
																			rapporti 
																			con 
																			l'ambiente 
																			della 
																			giovane 
																			cultura 
																			fiorentina 
																			fu 
																			alquanto 
																			complessa 
																			e 
																			controversa. 
																			Campana 
																			consegnò 
																			a 
																			Papini 
																			e 
																			Soffici 
																			il 
																			manoscritto 
																			de
																			
																			II 
																			più 
																			lungo 
																			giorno 
																			(il 
																			primo 
																			titolo 
																			dell’opera
																			
																			Canti 
																			Orfici) 
																			che 
																			Soffici, 
																			in 
																			un 
																			trasloco, 
																			smarrisce, 
																			causando 
																			la 
																			furia 
																			dell’autore 
																			che 
																			in 
																			una 
																			lettera 
																			scrisse:
																			 
																			
																			
																			
																			“Caro 
																			Cecchi, 
																			le 
																			dò 
																			parola 
																			d'onore 
																			che 
																			le 
																			dico 
																			ora 
																			pura 
																			verità. 
																			Non 
																			so 
																			come 
																			fare 
																			a 
																			descrivere 
																			quei 
																			fiorentini. 
																			Li 
																			ho 
																			mandati 
																			a 
																			sfidare 
																			4 
																			volte 
																			in 
																			due 
																			anni 
																			senza 
																			risultato 
																			[...] 
																			Un 
																			mese 
																			fa 
																			ho 
																			scritto 
																			a 
																			Papini 
																			che 
																			andavo 
																			a 
																			Firenze 
																			con 
																			un 
																			buon 
																			coltello 
																			per 
																			lui 
																			e mi 
																			ha 
																			risposto 
																			gentilmente. 
																			Volevo 
																			bastonarlo 
																			a 
																			morte. 
																			Se 
																			provocava 
																			un 
																			processo 
																			non 
																			m'importava. 
																			La 
																			sua 
																			vigliaccheria 
																			risultava 
																			evidente 
																			[...] 
																			Posso 
																			provare 
																			che 
																			Papini 
																			e 
																			Soffici 
																			sono 
																			ladri 
																			spie 
																			venduti 
																			e 
																			vigliacchi 
																			soprattutto.”
																			 
																			
																			
																			
																			Anche 
																			successivamente 
																			non 
																			dette 
																			segni 
																			di 
																			essersi 
																			ripreso 
																			e 
																			infatti 
																			scrisse 
																			“mi 
																			decisi 
																			a 
																			riscriverlo, 
																			giurando 
																			di 
																			vendicarmi 
																			se 
																			avevo 
																			vita”. 
																			Il 
																			manoscritto 
																			rappresenta 
																			una 
																			fase 
																			di 
																			avvicinamento 
																			ai
																			
																			Canti 
																			Orfici 
																			che 
																			la 
																			leggenda, 
																			assecondata 
																			dallo 
																			stesso 
																			poeta, 
																			vuole 
																			riscritti 
																			a 
																			memoria 
																			anche 
																			se 
																			più 
																			probabilmente 
																			utilizzò 
																			gli 
																			appunti 
																			e le 
																			bozze 
																			per 
																			ricostruire 
																			i 
																			componimenti.
																			 
																			
																			
																			Dai 
																			contatti 
																			con 
																			il 
																			poeta 
																			Vincenzo 
																			Cardarelli 
																			(1887-1959, 
																			vero 
																			nome
																			
																			
																			Nazareno
																			
																			
																			
																			
																			Cardarelli) 
																			e il 
																			critico 
																			d’arte 
																			e 
																			letterario 
																			Emilio 
																			Cecchi 
																			(1884-1966) 
																			nacque 
																			il 
																			progetto 
																			di 
																			fondare 
																			una 
																			nuova 
																			rivista,
																			
																			Il 
																			diario 
																			della 
																			nuova 
																			Italia, 
																			un 
																			organo 
																			di 
																			"umanesimo 
																			integrale", 
																			"la 
																			realtà 
																			come 
																			dimostrazione 
																			dell'attuazione 
																			dello 
																			spirito", 
																			capace 
																			di 
																			collocarsi 
																			al 
																			livello 
																			europeo.
																			 
																			
																			
																			
																			Nel 
																			1914, 
																			ultimata 
																			la 
																			stampa 
																			della 
																			prima 
																			edizione 
																			dei
																			
																			Canti 
																			Orfici, 
																			l’autore 
																			si 
																			recò 
																			a 
																			Firenze 
																			a 
																			più 
																			riprese, 
																			vendendo 
																			le 
																			copie 
																			per 
																			le 
																			strade 
																			e ai 
																			frequentatori 
																			dei 
																			caffè. 
																			Nell'autunno 
																			del 
																			1914 
																			componeva 
																			il
																			
																			Canto 
																			proletario 
																			italo-francese, 
																			pubblicato 
																			nel 
																			novembre 
																			'14 
																			sul 
																			foglio 
																			goliardico 
																			bolognese
																			
																			Il 
																			cannone 
																			e 
																			poi 
																			nel 
																			1916 
																			sulla 
																			rivista
																			
																			La 
																			Riviera 
																			ligure 
																			di 
																			Mario 
																			Novaro 
																			(1868-1944).
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			A 
																			dicembre 
																			era 
																			a 
																			Torino, 
																			da 
																			dove 
																			venne 
																			rinviato 
																			a 
																			Marradi 
																			dalla 
																			polizia. 
																			All'inizio 
																			della 
																			primavera 
																			del 
																			'15 
																			ritornò 
																			nuovamente 
																			a 
																			Torino 
																			e 
																			poi, 
																			attraverso 
																			Domodossola, 
																			raggiunse 
																			Ginevra 
																			dove 
																			lavorò, 
																			come 
																			operaio 
																			straordinario, 
																			presso 
																			il 
																			Comitato 
																			delle 
																			società 
																			italiane 
																			fino 
																			al 6 
																			maggio, 
																			quando 
																			fu 
																			licenziato. 
																			Rientrato 
																			in 
																			Italia, 
																			ormai 
																			scesa 
																			in 
																			guerra, 
																			cercò 
																			di 
																			farsi 
																			arruolare, 
																			ma 
																			venne 
																			riformato 
																			all’Ospedale 
																			militare 
																			di 
																			Firenze. 
																			Campana 
																			accusò 
																			il 
																			colpo, 
																			che 
																			ufficialmente 
																			lo 
																			condannava 
																			alla 
																			sua 
																			infermità: 
																			nei 
																			mesi 
																			successivi 
																			fu 
																			preso 
																			da 
																			altri 
																			malesseri 
																			e da 
																			una 
																			crescente 
																			irrequietezza. 
																			Dopo 
																			la 
																			pubblicazione 
																			dei 
																			Canti, 
																			continuò 
																			a 
																			scrivere:
																			
																			Bastimento 
																			in 
																			viaggio, 
																			Arabesco-Olimpia, 
																			Toscanità.
																			 
																			
																			
																			
																			Si 
																			trasferì 
																			nell’aprile 
																			del 
																			1916 
																			a 
																			Lastra 
																			a 
																			Signa, 
																			presso 
																			il 
																			padre. 
																			Qui 
																			durante 
																			l’estate 
																			conobbe 
																			la 
																			scrittrice 
																			Sibilla 
																			Aleramo 
																			(1876-1960, 
																			vero 
																			nome 
																			Rina 
																			Faccio). 
																			Si 
																			innamorarono, 
																			anche 
																			se i 
																			loro 
																			sentimenti 
																			durarono 
																			solo 
																			fino 
																			all’inverno 
																			dell’anno 
																			successivo: 
																			ne 
																			rimangono 
																			testimonianze 
																			nella 
																			raccolta 
																			delle 
																			Lettere, 
																			raccolte 
																			e 
																			pubblicate 
																			a 
																			cura 
																			di 
																			N. 
																			Gallo
																			
																			(Carteggio 
																			con 
																			Sibilla 
																			Aleramo, 
																			Vallecchi, 
																			Firenze, 
																			1973).
																			 
																			
																			
																			
																			Conobbe 
																			il 
																			pittore 
																			e 
																			incisore 
																			Giovanni 
																			Costetti 
																			(1874-1949) 
																			per 
																			il 
																			quale 
																			aveva 
																			posato 
																			nel 
																			1913 
																			per 
																			un 
																			ritratto 
																			e fu 
																			in 
																			buoni 
																			rapporti 
																			con 
																			Primo 
																			Conti 
																			(1900-1988),
																			
																			di 
																			cui 
																			resta 
																			una 
																			piccola 
																			corrispondenza 
																			dell’aprile 
																			1918 
																			con 
																			Raimondi 
																			circa 
																			il 
																			ricovero 
																			del 
																			comune 
																			amico 
																			poeta 
																			a 
																			San 
																			Salvi 
																			(Firenze) 
																			e 
																			poi 
																			a 
																			Castelpulci 
																			presso 
																			Scandicci 
																			(Firenze).
																			 
																			
																			
																			
																			Il 
																			12 
																			gennaio 
																			1918 
																			fu 
																			necessario 
																			ricoverarlo 
																			all'Istituto 
																			fiorentino 
																			di 
																			osservazione 
																			per 
																			le 
																			malattie 
																			mentali. 
																			Il 
																			28 
																			fu 
																			trasferito 
																			all'ospedale 
																			psichiatrico 
																			di 
																			Castel 
																			Pulci, 
																			presso 
																			Badia 
																			a 
																			Settimo, 
																			da 
																			cui 
																			non 
																			uscì 
																			più. 
																			Della 
																			lunga 
																			degenza 
																			sappiamo 
																			soprattutto 
																			quanto 
																			narrò 
																			il 
																			dottore 
																			Emilio 
																			Pariani, 
																			il 
																			suo 
																			medico 
																			curante 
																			per 
																			un 
																			certo 
																			periodo. 
																			Pare 
																			Campana 
																			non 
																			fosse 
																			sempre 
																			tranquillo, 
																			alternasse 
																			momenti 
																			di 
																			aggressività 
																			e di 
																			confusione 
																			mentale. 
																			"Fallacie 
																			sensoriali 
																			o 
																			solo 
																			rappresentative, 
																			ossia 
																			percepite 
																			come 
																			idee 
																			immesse 
																			da 
																			altri, 
																			generano 
																			e 
																			rafforzano 
																			i 
																			deliri".
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			Si 
																			adattava 
																			però 
																			al 
																			trattamento 
																			riservato 
																			ai 
																			più 
																			umili 
																			fra 
																			i 
																			ricoverati, 
																			mostrava 
																			occasionalmente 
																			di 
																			conservare 
																			coscienza 
																			di 
																			ciò 
																			che 
																			era 
																			stato. 
																			Nel 
																			1928, 
																			quando 
																			apparve 
																			una 
																			nuova 
																			edizione 
																			dei
																			
																			Canti
																			
																			Orfici, 
																			curata 
																			dall'amico 
																			e 
																			poeta 
																			Bino 
																			Binazzi 
																			(1878-1930), 
																			rilevò 
																			i 
																			difetti 
																			e le 
																			modificazioni 
																			apportate 
																			rispetto 
																			all’originale. 
																			Nel 
																			novembre 
																			1931 
																			manifestò 
																			un 
																			netto 
																			miglioramento, 
																			ma 
																			la 
																			speranza 
																			del 
																			ristabilimento 
																			era 
																			effimera 
																			infatti 
																			nel 
																			febbraio 
																			1932 
																			ebbe 
																			una 
																			ricaduta.
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			Verso 
																			la 
																			fine 
																			del 
																			mese 
																			fu 
																			preso 
																			da 
																			una 
																			forte 
																			febbre, 
																			originata 
																			probabilmente 
																			da 
																			setticemia. 
																			Morì 
																			così 
																			il 
																			1° 
																			marzo 
																			1932. 
																			Venne 
																			dapprima 
																			sepolto 
																			nel 
																			cimitero 
																			di 
																			S. 
																			Colombano 
																			a 
																			Badia 
																			a 
																			Settimo 
																			(Firenze). 
																			In 
																			seguito 
																			all'invito 
																			per 
																			una 
																			sistemazione 
																			più 
																			degna 
																			lanciato 
																			dallo 
																			scrittore 
																			Piero 
																			Bargellini 
																			(1897- 
																			1980) 
																			nel 
																			1938 
																			dalle 
																			pagine 
																			della 
																			sua 
																			rivista
																			
																			Frontespizio
																			
																			(1929-1940), 
																			nel 
																			1942 
																			la 
																			sua 
																			salma 
																			fu 
																			collocata 
																			nella 
																			chiesa 
																			del 
																			paese 
																			di
																			
																			Marradi, 
																			ai 
																			piedi 
																			del 
																			campanile 
																			romanico.
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			Dopo 
																			le 
																			distruzioni 
																			della 
																			seconda 
																			guerra 
																			mondiale, 
																			fu 
																			risistemata 
																			sotto 
																			il 
																			pavimento 
																			della 
																			ricostruita 
																			navata. 
																			Nel 
																			1946 
																			venne 
																			posta 
																			anche 
																			una 
																			lapide 
																			nella 
																			navata 
																			della 
																			chiesa 
																			con 
																			il 
																			suo 
																			nome 
																			e 
																			l’indicazione 
																			“Poeta”. 
																			Il 
																			20 
																			agosto 
																			1954 
																			nel 
																			suo 
																			comune 
																			natale 
																			gli 
																			venne 
																			intestata 
																			una 
																			via 
																			(R. 
																			Jacobbi,
																			
																			Invito 
																			alla 
																			lettura 
																			di 
																			Campana, 
																			pag.30).
																			
																			
																			
																			Come 
																			rilevante 
																			omaggio 
																			al 
																			poeta 
																			si 
																			può 
																			citare 
																			il 
																			film 
																			del 
																			1985 
																			che 
																			il 
																			regista
																			
																			
																			Luigi 
																			Faccini 
																			ha 
																			dedicato 
																			a 
																			Campana 
																			ed 
																			intitolato
																			
																			Inganni
																			
																			(di 
																			cui 
																			assieme 
																			a
																			
																			
																			Sergio 
																			Vecchio 
																			è 
																			autore 
																			sia 
																			del 
																			soggetto 
																			che 
																			della 
																			sceneggiatura), 
																			pellicola 
																			che 
																			ha 
																			vinto 
																			due 
																			Nastri 
																			d'argento 
																			l'anno 
																			successivo.
																			 
																			
																			
																			
																			Nel 
																			giugno 
																			1914 
																			Campana 
																			a 
																			Marradi, 
																			grazie 
																			a 
																			quarantaquattro 
																			sottoscrittori 
																			ed 
																			ai 
																			suoi 
																			amici, 
																			in 
																			particolare 
																			Luigi 
																			Bandini 
																			(1892-1952) 
																			che 
																			effettuò 
																			un 
																			versamento 
																			di 
																			110 
																			lire, 
																			si 
																			accordò 
																			con 
																			il 
																			locale 
																			tipografo 
																			Bruno 
																			Ravagli 
																			per 
																			la 
																			stampa 
																			dei
																			
																			Canti 
																			Orfici. 
																			La 
																			prima 
																			pagina 
																			della 
																			prima 
																			edizione 
																			portava 
																			nel 
																			frontespizio 
																			il 
																			sottotitolo 
																			in 
																			tedesco 
																			"Die 
																			Tragödie 
																			des 
																			letzten 
																			Germanen 
																			in 
																			Italien", 
																			con 
																			la 
																			dedica 
																			"A 
																			Guglielmo 
																			II 
																			imperatore 
																			dei 
																			germani 
																			l'autore 
																			dedica". 
																			Campana 
																			vendette 
																			lui 
																			stesso 
																			la 
																			prima 
																			edizione 
																			nei 
																			caffè 
																			letterari 
																			“Paskosvki” 
																			e le 
																			“Giubbe 
																			Rosse” 
																			a 
																			Firenze, 
																			e 
																			“San 
																			Pietro” 
																			a 
																			Bologna.
																			 
																			
																			
																			
																			La 
																			scelta 
																			del 
																			sottotitolo, 
																			oltre 
																			a 
																			testimoniare 
																			il 
																			suo 
																			essere 
																			un 
																			poliglotta 
																			(conosceva 
																			le 
																			lingue 
																			francese, 
																			inglese, 
																			tedesco 
																			e 
																			spagnolo 
																			in 
																			maniera 
																			sistematica), 
																			verrà 
																			spiegata 
																			in 
																			una 
																			sua 
																			successiva 
																			lettera 
																			inviata 
																			il 
																			13 
																			marzo 
																			a 
																			Cecchi 
																			in 
																			cui 
																			scrisse:
																			 
																			
																			
																			
																			Ora 
																			io 
																			dissi:
																			
																			Die 
																			tragödie 
																			des 
																			lezten 
																			germanen 
																			in 
																			Italien, 
																			mostrando 
																			di 
																			aver 
																			nel 
																			libro 
																			conservato 
																			la 
																			purezza 
																			del 
																			germano 
																			(ideale 
																			non 
																			reale) 
																			che 
																			è 
																			stata 
																			la 
																			causa 
																			della 
																			loro 
																			morte 
																			in 
																			Italia. 
																			Ma 
																			io 
																			dicevo 
																			ciò 
																			in 
																			senso 
																			imperialistico 
																			e 
																			idealistico, 
																			non 
																			naturalistico. 
																			(Cercavo 
																			idealmente 
																			una 
																			patria 
																			non 
																			avendone). 
																			Il 
																			germano 
																			preso 
																			come 
																			rappresentante 
																			del 
																			tipo 
																			morale 
																			superiore 
																			(Dante 
																			Leopardi 
																			Segantini)". 
																			Così 
																			invocavo 
																			giustizia 
																			contro 
																			la 
																			brutalità 
																			secolare 
																			clericale... 
																			(A. 
																			Comi, 
																			A. 
																			Pontzen 
																			(a 
																			cura 
																			di),
																			
																			Italien 
																			in 
																			Deutschland 
																			- 
																			Deutschland 
																			in 
																			Italien, 
																			p. 
																			306).
																			 
																			
																			
																			
																			L'opera
																			
																			Canti 
																			orfici,
																			
																			raccolta 
																			di 
																			componimenti 
																			poetici 
																			portata 
																			a 
																			termine 
																			nell’autunno 
																			del 
																			1913 
																			in 
																			una 
																			prima 
																			stesura 
																			dal 
																			titolo
																			
																			Il 
																			più 
																			lungo 
																			giorno, 
																			comprende 
																			ventidue 
																			componimenti, 
																			parte 
																			in 
																			prosa 
																			(le 
																			"novelle 
																			poetiche"), 
																			parte 
																			in 
																			poesia, 
																			cui 
																			vanno 
																			aggiunti 
																			altri 
																			sei 
																			componimenti, 
																			inseriti 
																			dal 
																			Binazzi 
																			nell'edizione 
																			del 
																			'28 
																			e 
																			definitivamente 
																			portati 
																			a 
																			dieci 
																			dal 
																			Falqui 
																			nella 
																			sezione 
																			della 
																			raccolta 
																			da 
																			lui 
																			intitolata 
																			dei
																			
																			Versi 
																			sparsi.
																			 
																			
																			
																			
																			Nel 
																			1971 
																			Valeria 
																			Soffici, 
																			figlia 
																			di 
																			Ardengo 
																			Soffici, 
																			ritrova 
																			il 
																			manoscritto 
																			affidato 
																			da 
																			Campana 
																			a 
																			Papini 
																			e 
																			Soffici 
																			e 
																			ritenuto 
																			perduto 
																			da 
																			quest’ultimo. 
																			La 
																			notizia 
																			del 
																			ritrovamento 
																			venne 
																			data 
																			da 
																			Mario 
																			Luzi 
																			il 
																			17 
																			giugno 
																			1971 
																			sul 
																			“Corriere 
																			della 
																			Sera” 
																			in 
																			un 
																			articolo 
																			intitolato: 
																			"Un 
																			eccezionale 
																			ritrovamento 
																			fra 
																			le 
																			carte 
																			di 
																			Soffici. 
																			Il 
																			quaderno 
																			di 
																			Dino 
																			Campana".
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			Il 
																			documento 
																			era 
																			stato 
																			trovato 
																			mentre 
																			venivano 
																			riordinate 
																			le 
																			carte 
																			di 
																			Soffici, 
																			morto 
																			nel 
																			1964, 
																			nella 
																			sua 
																			casa 
																			di 
																			Poggio 
																			a 
																			Caiano. 
																			La 
																			versione 
																			originale, 
																			scritta 
																			su 
																			un 
																			quadernetto 
																			del 
																			Settecento 
																			in 
																			carta 
																			antica 
																			filigranata, 
																			era 
																			ancora 
																			intitolata
																			
																			Il 
																			più 
																			lungo 
																			giorno. 
																			L’opera 
																			venne 
																			poi 
																			venduta 
																			all’asta 
																			presso 
																			Christies: 
																			il 
																			valore 
																			stimato 
																			era 
																			tra 
																			i 
																			180.000 
																			e i 
																			200.000 
																			euro 
																			ma 
																			alla 
																			fine 
																			l'opera 
																			è 
																			stata 
																			venduta 
																			per 
																			€213,425.
																			 
																			
																			
																			Nel
																			
																			
																			
																			
																			1973 
																			questo 
																			libretto
																			
																			
																			
																			fu 
																			anche 
																			pubblicato 
																			in 
																			edizione 
																			anastatica 
																			con 
																			il 
																			titolo
																			
																			
																			
																			
																			
																			
																			Il 
																			più 
																			lungo 
																			giorno.
																			 
																			 
																			
																			
																			Riferimenti 
																			bibliografici:
																			 
																			
																			
																			
																							
																			
																			
																			
																			
																							
																			 
																			
																			