.

home

 

progetto

 

redazione

 

contatti

 

quaderni

 

gbeditoria


.

[ISSN 1974-028X]


RUBRICHE


attualità

.

ambiente

.

arte

.

filosofia & religione

.

storia & sport

.

turismo storico



 

PERIODI


contemporanea

.

moderna

.

medievale

.

antica



 

EXTEMPORANEA


cinema

.

documenti

.

multimedia



 

ARCHIVIO


 

 

 

 

.

contemporanea


N. 87 - Marzo 2015 (CXVIII)

La decolonizzazione italiana
La geopolitica del Corno d’Africa e della Libia

di Alessandro Di Meo

 

La fine del colonialismo italiano avvenne con modalità differenti rispetto ai processi che portarono all’indipendenza delle colonie gestite dalle altre potenze europee; l’Italia, infatti, non affrontò una vera e propria “decolonizzazione”, ma perse tutte le sue dipendenze coloniali in seguito alla sconfitta subita nella Seconda Guerra Mondiale.

 

Nel 1940, quando il regime fascista decise l’entrata in guerra del paese, l’Impero coloniale italiano comprendeva la Libia, l’Africa Orientale Italiana (Eritrea, Etiopia e Somalia italiana), più il Dodecaneso greco e la Concessione di Tientsin, l’unica dipendenza coloniale italiana in Asia.

 

Nel 1941 l’Africa Orientale Italiana fu occupata dagli Inglesi che ne assunsero l’amministrazione diretta; l’Etiopia, liberata, fu restituita all’imperatore Hailé Selassié I.

 

La Libia, teatro degli scontri più duri tra l’armata italo – tedesca e le forze inglesi di stanza in Egitto, fu occupata nel gennaio del 1943 in seguito ad una controffensiva britannica; nel settembre dello stesso anno, infine, i Giapponesi occuparono la concessione di Tientsin.

 

Alla fine del conflitto, i governi in carica cercarono di riottenere le ex colonie, non per motivi di prestigio diplomatico, ma per il timore che la loro perdita avrebbe potuto provocare tensioni interne paragonabili a quelle attraversate dall’Italia nel 1919; la diplomazia italiana strinse a tal fine rapporti con Londra e con Washington, ma le trattative non ebbero esito, anche perché le colonie si trovavano in aree strategiche – Mediterraneo, Mar Rosso, Oceano Indiano – ormai di fondamentale importanza nel nuovo scenario geopolitico che si stava delineando, dominato dalla contrapposizione tra Stati Uniti e Unione Sovietica.

 

Le incertezze della diplomazia italiana, che non mantenne una condotta costante e modificò continuamente le proprie richieste, causarono il fallimento delle trattative; inizialmente venne infatti avanzata la richiesta della restituzione delle colonie, ma di fronte alle opposizioni anglo – statunitensi la diplomazia italiana si limitò a richiedere solo alcuni territori, una proposta che ovviamente contrariò le popolazioni locali. Alla fine, il governo italiano decise di sostenere l’indipendenza totale delle sue ex colonie, ma aveva ormai perso sia la fiducia delle potenze vincitrici della guerra, sia il sostegno dei movimenti indipendentisti, che nel caso delle colonie italiane furono comunque molto scarsi. In realtà, l’Italia cercò di riottenere le sue amministrazioni in un periodo segnato dalla diffusione delle ideologie indipendentiste nelle colonie inglesi e francesi; nel 1947 l’India ottenne l’indipendenza dal Regno Unito.

 

La questione delle colonie italiane fu inizialmente discussa nella Conferenza di Londra, tenutasi nelle capitale inglese nell’autunno del 1945, senza però ottenere risultati concreti; accantonata anche alla successiva Conferenza delle Quattro Potenze del 1946, fu definitivamente risolta con la rinuncia dell’Italia al mantenimento delle ex colonie con il Trattato di Pace del 1947, ma la loro sorte rimase oggetto di dibattiti politici e diplomatici per altri due anni.

 

Nelle trattative che portarono al Trattato, il destino delle colonie fu inizialmente discussa nella riunione ministeriale del 2 agosto 1945, indetta da De Gasperi, cui parteciparono, tra gli altri, Giovanni Visconti Venosta (allora sottosegretario agli Esteri) che propose l’amministrazione fiduciaria delle colonie, e il diplomatico Enrico Cerulli, che invece si oppose alla cessione dei territori d’oltremare.

 

La decisione sulla sorte delle colonie italiane rimase sospesa; l’unico articolo del Trattato che se ne occupava (art. 23) stabiliva infatti la rinuncia italiana “A ogni diritto e titolo sui possedimenti territoriali italiani in Africa e cioè la Libia, l’Eritrea e la Somalia italiana”, ma decretava allo stesso tempo che la loro sorte sarebbe stata decisa da una Commissione composta dai rappresentanti delle quattro potenze vincitrici. Sulla base di questa dichiarazione, il Governo italiano tentò di ottenere almeno il mandato fiduciario sulle sue ex colonie, fino alla loro indipendenza; fu istituita una Commissione Internazionale con il compito di esaminare la situazione politica, economica e sociale delle colonie italiane, stabilendone infine la sorte.

 

La Commissione lavorò nel primo semestre del 1948 e propose l’indipendenza delle colonie italiane, ma la decisione finale fu demandata all’Assemblea delle Nazioni Unite a causa dell’opposizione del governo italiano e del disaccordo tra i rappresentanti delle Quattro Potenze. In vista della discussione finale, i ministri degli Esteri italiano Carlo Sforza e  inglese Ernest Bevin elaborarono un progetto, denominato “Compromesso Bevin – Sforza”, sulla sorte delle ex colonie italiane, da sottoporre all’Assemblea delle Nazioni Unite; il compromesso prevedeva la divisione della Libia nelle sue tre provincie originarie, che sarebbero state affidate in amministrazione fiduciaria al Regno Unito (Cirenaica), alla Francia (Fezzan) e all’Italia (Tripolitania), mentre per l’Eritrea si profilava la federazione con l’Etiopia.

 

La Somalia era invece al centro delle attenzioni inglesi, perché la Gran Bretagna progettava la formazione di uno stato, definito “Grande Somalia”, comprendente la Somalia italiana, il Somaliland britannico, Gibuti, la parte settentrionale del Kenya e la regione etiope dell’Ogaden, la cui popolazione era in maggioranza somala.

 

Il Compromesso Bevin – Sforza fu respinto per un solo voto e l’Assemblea delle Nazioni Unite, dopo aver riesaminato la situazione delle ex colonie italiane, approvò la risoluzione 289 del 21 novembre 1949, con cui fu decisa l’indipendenza della Libia a partire dal 1951 e la federazione dell’Eritrea all’Etiopia; la Somalia fu affidata in amministrazione fiduciaria decennale all’Italia nel 1950, fissando al 1960 la data per l’indipendenza della ex colonia.

 

La Libia dichiarò la sua indipendenza il 24 dicembre 1951, quando Idris al Senussi, capo dei Musulmani Senussi, venne proclamato re dello Stato Federale Libico; nel 1963 venne modificata la Costituzione e il governo federale fu abolito, sostituito con dieci nuovi governatorati retti da un amministratore di nomina regia.

 

La scoperta di ricchi giacimenti di petrolio nel deserto libico, avvenuta nel 1963, modificò completamente l’economia del paese e fu tra le cause che provocarono la caduta della monarchia senussita; l’economia libica era infatti gestita prevalentemente dagli occidentali, soprattutto italiani (nel settore agricolo e imprenditoriale), mentre lo sfruttamento dei giacimenti di petrolio era affidato a compagnie inglesi e statunitensi. Nel 1953, inoltre, il governo libico concesse alcune basi militari al Regno Unito e agli Stati Uniti, in cambio di aiuti economici e alimentari; il diffuso malcontento per la gestione straniera dell’economia libica, unito ad un crescente nazionalismo, portò ad un colpo di stato militare che rovesciò la monarchia senussita e proclamò la Repubblica di Libia (1969).

 

Il regime di Muammar Gheddafi avviò subito una politica fortemente nazionalista, che culminò con l’espulsione degli italiani residenti in Libia, la richiesta del ritiro delle forze militari straniere stanziate nel paese e la nazionalizzazione delle imprese gestite dagli stranieri, compresi i giacimenti petroliferi; l’amministrazione del paese, l’educazione e la cultura nazionali furono sottoposte ad un processo di forte arabizzazione, fino all’introduzione della legge coranica nel 1977.

 

Negli anni Settanta il regime libico inasprì i suoi caratteri nazionalistici, intervenendo nelle crisi interne degli stati confinanti – in particolare con il Ciad per il possesso della Striscia di Azou –  e avvicinandosi alla Siria; nel 1979 sostenne apertamente la rivoluzione islamica in Iran.

 

Dopo la rottura con i paesi occidentali, negli anni Ottanta, la Libia avviò un difficile processo di reinserimento nella diplomazia internazionale a partire dalla seconda metà degli anni Novanta; nei confronti dell’Italia, il regime di Gheddafi richiese continuamente un risarcimento economico per i danni derivanti al paese dalla colonizzazione italiana e per i crimini di guerra durante la repressione delle rivolte in Cirenaica.

 

Il trattato di Bengasi, chiuso nel 2008, prevedeva un risarcimento di cinque miliardi di dollari per la Libia e la costruzione di infrastrutture nel territorio libico a carico dell’Italia; due anni dopo, la rivolta legata alle Primavere Arabe e la guerra civile che ne è seguita hanno portato alla caduta del regime di Gheddafi e alla rottura dell’unità nazionale libica, che rendono la Libia attuale un paese diviso tra molte fazioni tribali, cui si sono aggiunte le milizie islamiche che hanno assunto il controllo di alcune grandi città come Derna e Bengasi.

 

L’Italia assunse l’amministrazione fiduciaria sulla Somalia nell’aprile 1950; l’istituto della tutela fiduciaria (trusteeship system) fu impiegato dall’Onu al fine di promuovere il rafforzamento di forme di autogoverno interne alle ex colonie, affidando al contempo tale responsabilità alle Potenze coloniali; l’amministrazione fiduciaria derivò dal “sistema dei mandati” utilizzato dalla Società delle Nazioni al termine della Prima Guerra Mondiale.

 

A differenza delle altre potenze, l’Italia non aveva mantenuto nelle sue colonie una rete di alleanze con le fazioni locali, indispensabile per avviare relazioni diplomatiche stabili, non mancarono neppure incidenti con le popolazioni del luogo; nel 1948 scoppiarono alcuni tumulti a Mogadiscio, le cui cause sono tuttora oscure.

 

L’amministrazione fiduciaria della Somalia fu gestita dai governi centristi, coadiuvati da un organo consultivo, detto Unacs (United Nations Advisory Council of Somalia), che comprendeva rappresentanti provenienti dall’Egitto, dalle Filippine e dalla Colombia; in vista dell’ottenimento dell’indipendenza, l’Italia formò i dirigenti locali e nel 1956 fu eletto il primo Parlamento somalo, cui seguì l’attribuzione al governo della Somalia della difesa nazionale e la gestione della politica estera del paese, nel 1959.

 

I successi che conseguì l’amministrazione italiana furono soprattutto nel campo dell’istruzione e dell’assistenza sanitaria, mentre lo sviluppo economico della Somalia rimase limitato a causa della povertà del territorio, privo di risorse naturali, cui si aggiunsero la mancanza di infrastrutture – molte erano state asportate dagli inglesi durante l’occupazione militare – e il fallimento dei tentativi di rendere sedentaria una popolazione prevalentemente dedita al nomadismo. Queste peculiarità della struttura sociale somala non permisero né uno sviluppo democratico né una vera unità nazionale della Somalia.

 

Le prime elezioni libere della Somalia furono vinte dalla Lega dei Giovani Somali, che durante l’amministrazione fiduciaria avevano progressivamente abbandonato le posizioni antiitaliane, ma sostennero sempre con convinzione la necessità di un’unione dei popoli somali; il nazionalismo della Lega portò, nel corso degli anni Sessanta, a numerosi scontri con tutti gli stati confinanti della Somalia.

 

Nel 1960 la Somalia italiana e il Somaliland britannico raggiunsero entrambi l’indipendenza e si unirono nella Repubblica di Somalia; seguì un decennio di apparente stabilità, segnato però da tensioni  con i paesi confinanti e da una crescente instabilità interna. L’Afis, tuttavia, non era riuscita a risolvere il grave problema delle frontiere tra Somalia ed Etiopia, demandandolo all’Onu; il governo italiano non voleva infatti una rottura diplomatica né con Mogadiscio né con Addis Abeba, ma l’assenza di un arbitrato internazionale e l’ambigua condotta italiana provocarono, di fatto, una situazione di stallo, ancora oggi irrisolta.

 

Nel 1964 scoppiò una prima guerra tra Etiopia e Somalia, preceduta da alcuni incidenti di confine; la Somalia richiese all’Italia assistenza militare, ma il governo italiano lasciò cadere la trattativa e Mogadiscio ricevette il sostegno dell’Unione Sovietica, che fornì l’esercito somalo di armi e uomini. Una seconda guerra scoppiò nel 1966, acuita dal nazionalismo somalo che portò il paese a scontrarsi anche con il Kenya e a rivendicare Gibuti dalla Francia; due anni più tardi i conflitti vennero composti, ma la situazione interna della Somalia era ormai caotica.

 

Nel 1969, con un colpo di stato militare, prese il potere Siad Barre; il regime nazionalizzò le banche e le imprese straniere operanti in Somalia, introdusse una linea economica improntata al socialismo e avviò un progressivo avvicinamento all’Unione Sovietica, inasprendo al tempo stesso l’ideologia nazionalista somala che provocò tensioni con i paesi confinanti con la Somalia.

 

Nel 1977 i contrasti con l’Etiopia per il possesso della regione dell’Ogaden culminarono in un conflitto aperto tra i due paesi; inizialmente Mogadiscio si limitò a sostenere la guerriglia somala nell’Ogaden.

 

La caduta della monarchia etiopica, l’instaurazione del regime di Menghistu – che ottenne il sostegno dell’Unione Sovietica – l’esplosione simultanea di insurrezioni indipendentiste in Etiopia e le caute aperture dell’amministrazione statunitense spinsero Barre ad intervenire direttamente nella guerra; tuttavia, mentre gli Stati Uniti e i paesi europei decisero di non intervenire nel conflitto e isolarono la Somalia, l’Urss sostenne massicciamente l’esercito etiope, che riuscì a restaurare il suo controllo sull’Ogaden.

 

La Somalia, sconfitta e isolata diplomaticamente, tentò allora un più deciso riavvicinamento con i paesi dell’Occidente, mantenendo però un’economica di tipo socialista; Siad Barre riuscì a conservare il potere, alternando periodi di dure repressioni a momenti di cauta apertura politica.

 

Negli anni della Guerra Fredda, la contrapposizione tra il blocco sovietico e lo schieramento occidentale in Africa fu particolarmente intensa nelle regioni meridionali del continente e nel Corno d’Africa, dove le ex colonie italiane, una volta conseguita l’indipendenza, si scontrarono tra loro in numerosi conflitti.

 

Nel 1960 il governo etiope privò l’Eritrea di ogni autonomia e la ridusse a provincia; ne scaturì una guerriglia che negli anni successivi si strutturò in movimento armato, con l’obbiettivo di conseguire l’indipendenza. La politica del negus, tesa da un lato a favorire la modernizzazione industriale del paese e la crescita economica, ma ferma nel mantenere la monarchia assoluta e la politica centralizzatrice dell’Etiopia, non suscitarono grandi consensi né tra la popolazione né all’interno dell’aristocrazia etiope e nel 1962 vi fu un primo tentativo di golpe da parte di alcuni ufficiali, ma la fedeltà dell’esercito verso la monarchia ne causò il fallimento.

 

Gli italiani residenti in Etiopia assunsero in quegli anni incarichi di rilievo nell’economia etiope, ma l’ambigua condotta dei governi centristi verso il paese africano non consentì all’Italia di ottenere commesse nella ricostruzione degli anni Cinquanta; nel 1951 vennero stabiliti i primi rapporti diplomatici cordiali tra Roma e Addis Abeba, ma la decisione di non restituire alcuni monumenti etiopi trafugati dal fascismo, come la Stele di Axum, e la ferma volontà di non versare il risarcimento economico spinse il governo etiope a ricercare la collaborazione economica di altri paesi europei, degli Stati Uniti e della Yugoslavia.

 

Nel luglio 1970 il Ministro degli Esteri italiano, Aldo Moro, visitò Addis Abeba e incontrò l’imperatore Hailè Selassiè; in quell’occasione avvenne la definitiva riconciliazione tra i due paesi, suggellata nell’autunno dello stesso anno con la visita del negus in Italia e la chiusura di alcuni importanti accordi economici. La situazione interna dell’Etiopia, tuttavia, si deteriorò rapidamente, destabilizzando la monarchia e provocando golpe sempre più numerosi; la situazione precipitò in seguito alla carestia del 1973, una delle più gravi attraversate dall’Etiopia.

 

L’anno successivo venne rovesciata la monarchia, sostituita da un governo militare (Derg) guidato dal colonnello Hailé Menghistu, che introdusse un’economia socialista e nazionalizzò i terreni agricoli; in politica estera, il regime di Menghistu abbandonò la politica filostatunitense del negus e l’Etiopia si avvicinò all’Unione Sovietica. La Somalia, fino ad allora la principale alleata dell’Urss nel Corno d’Africa, si schierò con gli Stati Uniti; la politica nazionalista perseguita da Syad Barre portò nel 1977 ad una guerra contro l’Etiopia per il possesso della regione dell’Ogaden, popolata prevalentemente da somali. L’appoggio dell’Unione Sovietica risultò determinante per la vittoria etiope nel conflitto, ma il regime di Menghistu non riuscì a sedare la rivolta eritrea; quando scoppiò la seconda guerra somalo – etiope (1982), i guerriglieri eritrei sostennero attivamente il regime di Mogadiscio.

 

Negli anni immediatamente successivi al colpo di stato in Etiopia si verificò una profonda destabilizzazione del paese, che parve sul punto di disintegrarsi; in Eritrea la lotta per l’indipendenza riprese con maggior vigore e divampò in tutte le principali città del paese, Asmara e Massaua.

 

La comunità italiana, ridotta a qualche migliaio di unità, abbandonò il paese e rimpatriò in Italia; in Etiopia, invece, i rientri furono inizialmente più contenuti e limitati ai ceti sociali medi. Negli anni Ottanta, nonostante l’adesione dell’Etiopia al blocco sovietico, l’Italia continuò a mantenere rapporti diplomatici cordiali con Addis Abeba e a firmare numerosi accordi economici con la giunta militare etiope.

 

Alla fine degli anni Ottanta l’Etiopia fu attraversata da nuove carestie, che provocarono la diffusione di movimenti indipendentisti nel Tigré e nella regione Oromo; il disimpegno sovietico dal Corno d’Africa indebolì ulteriormente il regime di Menghistu, che cadde nel 1991 in seguito ad una controffensiva militare eritrea. Lo stesso anno venne rovesciato anche Syad Barre; la guerra civile che ne scaturì provocò la secessione del Somaliland (mai riconosciuto a livello internazionale) e la disintegrazione della Somalia.

 

Nel 1993, con un referendum, l’Eritrea proclamò la propria indipendenza e avviò relazioni diplomatiche stabili con l’Etiopia, con cui formò un’unione monetaria e a cui garantì l’accesso ai suoi porti; l’anno successivo fu promulgata una nuova Costituzione in Etiopia, che diventò una repubblica democratica su base etnica.

 

La distensione con l’Eritrea si interruppe nel 1998, quando Asmara uscì dall’unione monetaria e il governo di Addis Abeba smise di utilizzare i porti eritrei; la tensione, aumentata a causa di dispute territoriali, provocò una guerra tra i due paesi nel 1998, conclusasi due anni più tardi con gli Accordi di Algeri che però non riuscirono a definire con chiarezza i confini tra i due stati. La politica di Asmara negli anni Novanta fu improntata ad un forte nazionalismo, che culminò con i contenziosi aperti sia con l’Etiopia, sia con lo Yemen; le isole Hanish, nel Mar Rosso, furono attribuite da un arbitrato Onu allo Yemen nel 1995.

 

L’Etiopia, nuovamente alleata degli Stati Uniti – da cui importa soprattutto generi alimentari e armi – è diventata negli ultimi anni una potenza militare regionale nel Corno d’Africa, un ruolo emerso soprattutto con l’intervento in Somalia nel 2006, quando l’esercito etiope riuscì a sconfiggere le Corti Islamiche e permise al Governo Transitorio Somalo di rientrare in possesso di Mogadiscio. Le relazioni con l’Eritrea restano invece molto tese, soprattutto per i rapporti stretti da Asmara con i movimenti separatisti che combattono contro l’esercito etiope in Ogaden, Afar e Oromo; l’Eritrea ha inoltre stretto rapporti con alcuni movimenti indipendentisti somali schierati contro l’Etiopia, cui offre sostegno logistico e finanziario.

 

Un altro motivo di tensione tra i due paesi è rappresentato dalla mancanza di un accesso al mare per l’Etiopia, sia nei porti del Mar Rosso (appartenenti all’Eritrea) sia nell’Oceano Indiano; i porti della Somalia sono infatti controllati dai movimenti separatisti somali legati ad Asmara.

 

L’assenza di un accesso al mare diminuisce notevolmente le opportunità di crescita economica dell’Etiopia, perché ne limita fortemente le esportazioni; nel 2012 è scoppiato un nuovo conflitto con l’Eritrea, che è stata isolata diplomaticamente dagli altri stati africani a causa del sostegno offerto ai separatisti somali. In Italia le notizie sul secondo conflitto etiope – eritreo sono state scarsamente seguite dall’opinione pubblica, soprattutto per la scelta dei mezzi d’informazione di concentrare l’attenzione sui conflitti geograficamente più vicini all’Italia, prevalentemente le guerre civili in Siria e in Libia.

 

In Somalia, dopo la guerra civile che ha devastato il paese negli anni Novanta e l’instabilità provocata dal successivo conflitto contro le Corti Islamiche, sembra avviato un processo di pacificazione; nell’agosto del 2012 l’Assemblea Nazionale Costituente ha istituito la Repubblica Federale Somala, che oggi controlla gran parte del territorio della Somalia, avviando al contempo relazioni diplomatiche con il Somaliland, che però rivendica l’indipendenza.

 

Il presidente della Somalia, Hassan Sheick Mohamud, nel corso di una sua visita di Stato in Italia nel settembre 2013, ha chiesto al governo italiano di sostenere la ricostruzione politica ed economica del paese africano; al momento l’Italia ha offerto la sua cooperazione nel settore della Difesa, sostenendo la formazione delle forze armate somale.

 

Il governo di Mogadiscio ha sostanzialmente chiesto all’Italia di contribuire alla ricostruzione della Somalia seguendo modalità simili a quelle tenute durante l’Amministrazione fiduciaria.



 

 

COLLABORA


scrivi per InStoria



 

EDITORIA


GBe edita e pubblica:

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Edizioni d’Arte

.

- Libri fotografici

.

- Poesia

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Saggi inediti

.

catalogo

.

pubblica con noi



 

links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 

 

 

 

 

 

 


[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE]


 

.