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N. 86 - Febbraio 2015 (CXVII)

TERRORISMO ISLAMICO
OLTRE LE SUGGESTIONI, I DATI

di Filippo Petrocelli

 

Per i seguaci di Samuel Huntington, per gli infervorati dello scontro di civiltà sarà un duro colpo. Così come per i crociati vecchi e nuovi che dipingono l’Islam come il principale nemico del cosiddetto Occidente cristiano. Le principali vittime del terrorismo islamico sono musulmane.

 

Almeno secondo il Global Terrorism Index, pubblicazione annuale del Institute for Economics & Peace orientata a studiare e analizzare l’impatto del terrorismo in 162 paesi, che smentisce le nefaste previsioni dei think thank neo-conservatori americani, grandi sostenitori del cldei think thank neo-cons, sul cmo islamico, sono i musulmani stessi.tario rispettash of civilization.

 

Il rapporto chiarisce quella che sembra una delle certezze di questa contemporaneità turbolenta e sono i dati, nudi e crudi, a parlare in modo esauriente: nel 2013 (il rapporto analizza l’anno precedente la pubblicazione) ci sono stati 10.000 attentati con circa 18.000 vittime, il 61% di più del 2012.

 

Un fenomeno in crescita ma molto più circoscritto di quanto si rappresenti sui mezzi di informazione. Delle circa 18.000 vittime infatti, almeno 15.000 sono perite in cinque paesi: Iraq, Siria, Nigeria, Afganistan e Pakistan. Paesi a stragrande maggioranza musulmana (la percentuale di adepti dell’Islam oscilla fra il 94 e il 98% in questi stati, mentre la sola Nigeria ha una popolazione perfettamente divisa a metà fra cristiani e musulmani), in cui la presenza di altre confessioni è tutto sommato marginale.

 

E qui il primo dato che colpisce e stupisce: le prime vittime dei terroristi non sono i cristiani, né le minoranze etnico-religiose dell’area mediorientale, piuttosto sono i musulmani, almeno nell’82% dei casi.

 

Non esiste insomma uno scontro di civiltà ma piuttosto un attacco disperato di una minoranza che sfrutta la religione a proprio vantaggio e agisce contro la propria comunità di riferimento. Insomma se mai dovesse esserci qualcuno che teme per la propria incolumità, questi dovrebbero essere i mussulmani stessi, di gran lunga le prime vittime di questo fenomeno nefasto.

 

Certo attacchi come quello a Charlie Hebdo, o il più recente attacco a Copenaghen, hanno un forte impatto emotivo, ma l’obiettivo dei terroristi è esattamente questo: capitalizzare un numero spesso contenuto di morti e trasferire su un piano diverso lo scontro. Non quindi forza bruta e supremazia militare, ma soprattutto azioni a grande impatto emotivo: è questa la modalità con la quale intendono imporsi.

 

Un terrorismo sottile che agisce a livello ideologico, capace di diffondere insicurezza e instabilità soprattutto nell’immaginario e capace di “minare” gli architravi sui quali si regge tutto l’Occidente, contagiando con il morbo della paura ampie fasce della popolazione. E in questo complesso di sentimenti che parlano alla “pancia” delle persone che sta in nuce la forza dei terroristi, di ieri come di oggi.

 

Ampliando la visuale e i dati statistici dal 2000 a oggi gli attacchi terroristici sono stati 48.000 e hanno causato 107.000 morti. Nel complesso c’è stato quindi un incremento di circa 5 volte del fenomeno nell’ultimo quindicennio, ma nell’ultimo anno a compiere il 66% degli attentati terroristici sono state sostanzialmente quattro organizzazioni: Islamic State (IS), Boko Haram, Al-Qaida e Taliban.

 

A eccezione del Medioriente, dell’Africa sub-sahariana e di parti del subcontinente indiano però il terrorismo non riguarda in maggioranza integralisti religiosi o fondamentalisti, ma piuttosto orientamenti politici “tradizionali” come il nazionalismo o il separatismo etnico. Ancora oggi quindi il terrorismo a matrice religiosa è in un certo senso minoritario rispetto a quello “laico” e più tradizionale.

 

Il 60% degli attentati terroristici prevede l’uso di esplosivo, il 30% l’uso delle armi da fuoco mentre il 10% include tattiche alternative come incendi, armi bianche e sabotaggi. Nel caso degli attentati esplosivi, solo un 5% degli attacchi è condotto con attentatori suicidi, che contrariamente a quanto si crede rappresentano un fenomeno marginale all’interno delle pratiche terroristiche.

 

Neanche il 5% degli attentati si è consumato invece nei paesi di area Ocse, mentre il tasso di omicidi nel mondo è quaranta volte più alto ed è quindi più facile morire per omicidio che per attentato. In altre parole nei paesi occidentali è più pericolosa la criminalità comune piuttosto che il terrorismo.

 

Ecco perché al di là della paura, è opportuno capire a fondo un fenomeno complesso come quello del terrorismo di matrice islamica. Soprattutto per imparare a rispondere con razionalità ai problemi, senza lasciar vincere la paura.



 

 

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