N. 30 - Giugno 2010 
                          
                          (LXI)
																						GEOGRAFIA DANTESCA e realtà del viaggio
																						Geografia e cosmologia dantesca - parte iII
																						di Giuseppe Maiorano
																						 
																			
																			
																			Se 
																			c’è 
																			un 
																			argomento 
																			che 
																			è 
																			stato 
																			ed è 
																			tuttora 
																			notevolmente 
																			sottovalutato 
																			rispetto 
																			alla 
																			sua 
																			importanza, 
																			alla 
																			sua 
																			antichità, 
																			alla 
																			profondità 
																			dei 
																			suoi 
																			significati 
																			storici, 
																			artistici, 
																			filosofici, 
																			religiosi, 
																			questo 
																			è il 
																			‘Bosco 
																			Sacro’ 
																			o 
																			‘Parco 
																			dei 
																			Mostri’ 
																			di 
																			Bomarzo, 
																			in 
																			provincia 
																			di 
																			Viterbo.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			La 
																			ricerca 
																			dei 
																			motivi 
																			ispiratori, 
																			dell’epoca 
																			e 
																			delle 
																			modalità 
																			di 
																			realizzazione 
																			di 
																			questo 
																			eccezionale 
																			complesso 
																			di 
																			sculture 
																			e 
																			architetture 
																			in 
																			peperino, 
																			è 
																			stata 
																			in 
																			genere 
																			confinata 
																			entro 
																			spazi 
																			e 
																			tempi 
																			alquanto 
																			ridotti 
																			e 
																			compressi 
																			rispetto 
																			alle 
																			effettive 
																			dimensioni 
																			del 
																			fenomeno 
																			in 
																			esame, 
																			secondo 
																			uno 
																			schema 
																			di 
																			studi 
																			specialistici 
																			che, 
																			se 
																			utili 
																			per 
																			analisi 
																			settoriali 
																			ed 
																			approfondimenti 
																			tematici 
																			di 
																			qualunque 
																			genere 
																			e 
																			ampiezza, 
																			qui 
																			con 
																			la 
																			loro 
																			parcellizzazione 
																			non 
																			riescono 
																			a 
																			cogliere 
																			le 
																			molteplici 
																			relazioni 
																			esistenti 
																			a 
																			scala 
																			superiore, 
																			ad 
																			un 
																			livello 
																			fenomenologico 
																			più 
																			complesso 
																			e 
																			tale 
																			da 
																			richiedere 
																			una 
																			metodologia 
																			di 
																			indagine 
																			realmente 
																			interdisciplinare.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Autore 
																			di 
																			importanti 
																			pubblicazioni 
																			sul 
																			‘Bosco 
																			Sacro’ 
																			di 
																			Bomarzo 
																			è 
																			Maurizio 
																			Calvesi, 
																			che 
																			si è 
																			occupato 
																			di 
																			tale 
																			tema 
																			già 
																			a 
																			partire 
																			dal 
																			1956. 
																			I 
																			volumi 
																			‘Il 
																			Sacro 
																			Bosco 
																			di 
																			Bomarzo’ 
																			(Lithos 
																			Editrice, 
																			1999), 
																			‘Gli 
																			incantesimi 
																			di 
																			Bomarzo. 
																			Il 
																			Sacro 
																			Bosco 
																			tra 
																			arte 
																			e 
																			letteratura’, 
																			(Bompiani, 
																			2000), 
																			ed 
																			il 
																			successivo 
																			‘Bomarzo, 
																			il 
																			sacro 
																			bosco. 
																			Dieci 
																			incisioni 
																			di 
																			Giuliano 
																			Vangi’ 
																			(Il 
																			Cigno 
																			Galileo 
																			Galilei, 
																			2001) 
																			- in 
																			vendita 
																			al 
																			ragguardevole 
																			prezzo 
																			di 
																			7.700 
																			euro 
																			- 
																			sono 
																			appunto 
																			le 
																			ultime 
																			fatiche 
																			di 
																			Calvesi 
																			sull’argomento.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Nonostante 
																			i 
																			notevoli 
																			studi 
																			comparativi 
																			riferiti 
																			alla 
																			produzione 
																			letteraria 
																			compresa 
																			tra 
																			Medioevo 
																			e 
																			Rinascimento, 
																			le 
																			attente 
																			puntualizzazioni 
																			sia 
																			sulla 
																			personalità 
																			del 
																			duca 
																			Vicino 
																			Orsini, 
																			presunto 
																			ideatore 
																			e 
																			committente 
																			delle 
																			sculture, 
																			sia 
																			sul 
																			coevo 
																			ambiente 
																			culturale, 
																			sulle 
																			amicizie 
																			e le 
																			corrispondenze 
																			epistolari 
																			intrattenute 
																			dal 
																			duca 
																			con 
																			artisti, 
																			letterati 
																			ed 
																			alte 
																			cariche 
																			politiche 
																			e 
																			religiose, 
																			è 
																			evidente 
																			che 
																			gli 
																			ultimi 
																			lavori 
																			di 
																			Calvesi 
																			non 
																			hanno 
																			sostanzialmente 
																			mutato 
																			il 
																			quadro 
																			di 
																			riferimento, 
																			evolutosi 
																			solo 
																			marginalmente 
																			nell’arco 
																			di 
																			oltre 
																			un 
																			cinquantennio 
																			di 
																			studi 
																			e 
																			pubblicazioni.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Un 
																			altro 
																			notevole 
																			contributo 
																			alla 
																			conoscenza 
																			del 
																			complesso 
																			della 
																			Villa 
																			Orsini 
																			di 
																			Bomarzo 
																			e 
																			dell’annesso 
																			giardino 
																			rinascimentale 
																			è 
																			stato 
																			quello 
																			offerto 
																			da 
																			Horst 
																			Bredekamp 
																			con 
																			il 
																			volume 
																			‘Vicino 
																			Orsini 
																			und 
																			der 
																			Heilige 
																			Wald 
																			von 
																			Bomarzo’, 
																			pubblicato 
																			nel 
																			1985 
																			in 
																			due 
																			tomi 
																			in 
																			lingua 
																			tedesca, 
																			riproposto 
																			nel 
																			1989 
																			in 
																			traduzione 
																			italiana 
																			dalle 
																			Edizioni 
																			dell’Elefante 
																			col 
																			titolo 
																			‘Vicino 
																			Orsini 
																			e il 
																			Bosco 
																			Sacro 
																			di 
																			Bomarzo’, 
																			dotato 
																			di 
																			un 
																			ricco 
																			apparato 
																			illustrativo 
																			e 
																			documentario.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Ma 
																			anche 
																			il 
																			benemerito 
																			lavoro 
																			di 
																			paziente 
																			analisi 
																			e di 
																			sintesi 
																			interpretativa 
																			prodotto 
																			da 
																			Bredekamp, 
																			pur 
																			contribuendo 
																			con 
																			nuovi 
																			dati 
																			e 
																			documenti 
																			all’approfondimento 
																			del 
																			tema, 
																			si è 
																			tuttavia 
																			mantenuto 
																			nell’alveo 
																			della 
																			tradizionale 
																			interpretazione, 
																			che 
																			vede 
																			nella 
																			personalità 
																			di 
																			Vicino 
																			Orsini 
																			il 
																			vero 
																			genio 
																			ispiratore 
																			delle 
																			opere 
																			di 
																			Bomarzo.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Nel 
																			2006 
																			veniva 
																			stampato 
																			il 
																			primo 
																			ed 
																			unico 
																			numero 
																			dei 
																			‘Quaderni 
																			di 
																			Bomarzo’, 
																			pubblicato 
																			da 
																			Davide 
																			Ghaleb 
																			Editore 
																			e 
																			curato 
																			da 
																			Enrico 
																			Guidoni, 
																			che 
																			con 
																			questo 
																			lavoro 
																			avanzava 
																			una 
																			nuova 
																			interessante 
																			ma 
																			improbabile 
																			proposta 
																			di 
																			attribuzione 
																			a 
																			Michelangelo 
																			considerato 
																			quale
																			
																			‘regista 
																			più 
																			o 
																			meno 
																			occulto 
																			del 
																			progetto’.
																			 
																			
																			
																			Le 
																			ultime 
																			iniziative 
																			editoriali 
																			in 
																			ordine 
																			di 
																			tempo 
																			sono 
																			costituite 
																			dal 
																			volume 
																			‘Bomarzo. 
																			Il 
																			Sacro 
																			Bosco’, 
																			a 
																			cura 
																			di 
																			Sabine 
																			Frommel, 
																			edito 
																			da 
																			Electa 
																			nel 
																			2009, 
																			che 
																			raccoglie 
																			gli 
																			atti 
																			di 
																			un 
																			convegno 
																			tenutosi 
																			a 
																			Bomarzo 
																			nel 
																			settembre 
																			2007, 
																			ed 
																			il 
																			volume 
																			‘Bomarzo: 
																			il 
																			Sacro 
																			Bosco. 
																			Fortuna 
																			critica 
																			e 
																			documenti’, 
																			edito 
																			sempre 
																			nel 
																			2009 
																			da 
																			Ginevra 
																			Bentivoglio 
																			Editoria, 
																			che 
																			pubblica 
																			importanti 
																			documenti 
																			relativi 
																			alla 
																			presenza 
																			degli 
																			Orsini 
																			nel 
																			Lazio 
																			e 
																			promuove 
																			una 
																			attenta 
																			riflessione 
																			sulla 
																			fortuna 
																			critica 
																			del 
																			celebre 
																			parco.
																			 
																			
																			
																			Una 
																			diversa 
																			attribuzione 
																			e 
																			più 
																			antica 
																			datazione, 
																			tuttavia, 
																			erano 
																			state 
																			avanzate 
																			sin 
																			dal 
																			1990 
																			in 
																			alcuni 
																			brevi 
																			articoli 
																			- 
																			curati 
																			dal 
																			sottoscritto 
																			- 
																			nei 
																			quali 
																			si 
																			indicava 
																			una 
																			originale 
																			soluzione 
																			ai 
																			problemi 
																			interpretativi 
																			ed 
																			attributivi 
																			di 
																			tale 
																			complesso, 
																			tentando 
																			di 
																			chiarire 
																			soprattutto 
																			quei 
																			punti 
																			che 
																			mostravano 
																			evidenti 
																			incoerenze 
																			e 
																			contraddizioni. 
																			Con 
																			la 
																			nuova 
																			interpretazione, 
																			sorretta 
																			da 
																			una 
																			prospettiva 
																			nettamente 
																			interdisciplinare, 
																			si 
																			ampliavano 
																			notevolmente 
																			le 
																			coordinate 
																			storiche 
																			e 
																			geografiche 
																			della 
																			ricerca, 
																			si 
																			estendevano 
																			i 
																			limiti 
																			del 
																			quadro 
																			di 
																			riferimento 
																			sia 
																			in 
																			senso 
																			temporale 
																			- 
																			risalendo 
																			indietro 
																			di 
																			oltre 
																			3.000 
																			anni 
																			rispetto 
																			all’età 
																			di 
																			Vicino 
																			Orsini 
																			- 
																			sia 
																			in 
																			senso 
																			spaziale, 
																			muovendosi 
																			verso 
																			gli 
																			estremi 
																			confini 
																			dell’Europa 
																			e 
																			del 
																			Mediterraneo.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Inoltre, 
																			se 
																			le 
																			ricerche 
																			storiche 
																			e 
																			filologiche 
																			di 
																			Calvesi, 
																			Bredekamp 
																			e 
																			degli 
																			altri 
																			studiosi 
																			che 
																			si 
																			sono 
																			dedicati 
																			alla 
																			questione 
																			- 
																			definita 
																			da 
																			qualcuno 
																			‘paradosso 
																			di 
																			Bomarzo’ 
																			– 
																			hanno 
																			indagato 
																			ed 
																			analizzato 
																			ogni 
																			possibile 
																			elemento 
																			di 
																			interesse, 
																			collegamento, 
																			evento, 
																			dato 
																			e 
																			documento 
																			esistente, 
																			ottenendo 
																			spesso 
																			risultati 
																			pregevoli, 
																			qual’è 
																			in 
																			sostanza 
																			il 
																			punto 
																			debole 
																			di 
																			queste 
																			ricerche?
																			
																			
																			 
																			
																			
																			La 
																			risposta 
																			è 
																			apparentemente 
																			semplice: 
																			la 
																			relazione 
																			di 
																			dipendenza 
																			delle 
																			opere 
																			di 
																			Bomarzo 
																			da 
																			un 
																			presunto 
																			preesistente 
																			modello 
																			letterario, 
																			artistico 
																			o 
																			filosofico, 
																			va 
																			completamente 
																			rovesciata, 
																			individuando 
																			nell’originale 
																			complesso 
																			artistico 
																			ed 
																			architettonico 
																			di 
																			Bomarzo 
																			il 
																			vero 
																			unico 
																			prototipo, 
																			preesistente 
																			alle 
																			creazioni 
																			di 
																			età 
																			medievale 
																			e 
																			rinascimentale.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Le 
																			intuizioni 
																			di 
																			alcuni 
																			degli 
																			studiosi 
																			prima 
																			citati 
																			si 
																			possono 
																			quindi 
																			considerare 
																			in 
																			qualche 
																			modo 
																			valide, 
																			ma 
																			andrebbero 
																			praticamente 
																			ribaltate 
																			rispetto 
																			alla 
																			realtà 
																			storica 
																			dei 
																			fatti, 
																			alla 
																			sequenza 
																			degli 
																			avvenimenti, 
																			alle 
																			effettive 
																			motivazioni 
																			e 
																			alle 
																			modalità 
																			di 
																			ideazione 
																			e 
																			realizzazione 
																			delle 
																			opere 
																			presenti 
																			a 
																			Bomarzo.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Se 
																			pertanto 
																			il 
																			campo 
																			di 
																			indagine 
																			fosse 
																			stato 
																			ampliato 
																			sino 
																			ad 
																			abbracciare 
																			le 
																			prime 
																			testimonianze 
																			epigrafiche 
																			e 
																			letterarie 
																			dei 
																			boschi 
																			sacri, 
																			quali 
																			si 
																			ritrovano 
																			ad 
																			esempio 
																			in 
																			Egitto 
																			nelle 
																			‘Lamentazioni 
																			di 
																			Ipuwer’ 
																			- 
																			testo 
																			della 
																			fine 
																			del 
																			terzo 
																			millennio 
																			a.C. 
																			in 
																			cui 
																			si 
																			menziona 
																			la 
																			creazione 
																			e la 
																			dedica 
																			di 
																			‘boschetti’ 
																			alle 
																			divinità 
																			egizie 
																			- 
																			oppure 
																			esteso 
																			alla 
																			letteratura 
																			escatologica 
																			dei 
																			popoli 
																			nordici 
																			di 
																			età 
																			vichinga 
																			o 
																			posteriore, 
																			che 
																			nella 
																			visione 
																			infernale 
																			dell’anonimo 
																			poema 
																			norreno 
																			‘Solarljod’ 
																			o 
																			nella 
																			descrizione 
																			dell’apocalittico 
																			‘Ragnarök’ 
																			trova 
																			sorprendenti 
																			agganci 
																			con 
																			il 
																			nostro 
																			tema, 
																			sarebbe 
																			stato 
																			possibile 
																			istituire 
																			da 
																			subito 
																			importanti 
																			collegamenti 
																			in 
																			grado 
																			di 
																			valorizzare 
																			uno 
																			dei 
																			caratteri 
																			che 
																			si 
																			presentano 
																			con 
																			immediatezza 
																			e 
																			quasi 
																			banale 
																			evidenza: 
																			la 
																			‘sacralità’ 
																			del 
																			sito.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Perché 
																			allora 
																			tutte 
																			le 
																			principali 
																			linee 
																			di 
																			ricerca, 
																			letteraria 
																			e 
																			non, 
																			si 
																			sono 
																			mantenute 
																			per 
																			mezzo 
																			secolo 
																			nel 
																			solco 
																			di 
																			una 
																			consolidata 
																			ma 
																			univoca 
																			tradizione 
																			di 
																			studi 
																			sull’argomento? 
																			Perché 
																			non 
																			si 
																			sono 
																			spinte 
																			oltre? 
																			Anche 
																			qui 
																			la 
																			risposta 
																			è 
																			semplice: 
																			le 
																			scienze 
																			storiche 
																			ed 
																			archeologiche, 
																			la 
																			ricerca 
																			filologica, 
																			la 
																			stessa 
																			critica 
																			d’arte, 
																			sono 
																			spesso 
																			confinate 
																			entro 
																			‘griglie’ 
																			metodologiche 
																			evolutesi 
																			gradualmente 
																			sulla 
																			base 
																			di 
																			successivi 
																			apporti 
																			di 
																			indubbio 
																			valore 
																			per 
																			sé 
																			stessi, 
																			ma 
																			purtroppo 
																			sempre 
																			più 
																			settoriali 
																			e ‘monodisciplinari’, 
																			tanto 
																			più 
																			approfonditi 
																			e 
																			specializzati 
																			quanto 
																			più 
																			indipendenti 
																			ed 
																			isolati 
																			dal 
																			contesto.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			I 
																			ripetuti 
																			appelli 
																			alla 
																			cooperazione 
																			interdisciplinare 
																			spesso 
																			si 
																			risolvono 
																			nel 
																			demandare 
																			semplicemente 
																			ad 
																			altri 
																			studiosi 
																			ulteriori 
																			indagini, 
																			anch’esse 
																			di 
																			natura 
																			specialistica. 
																			Ciò 
																			che 
																			occorre 
																			è 
																			soprattutto 
																			una 
																			rete 
																			di 
																			collegamenti 
																			‘trasversali’ 
																			tra 
																			le 
																			diverse 
																			discipline, 
																			ma 
																			anche 
																			l’elaborazione 
																			di 
																			metodologie 
																			più 
																			duttili 
																			e 
																			meno 
																			cristallizzate, 
																			in 
																			grado 
																			di 
																			ammettere, 
																			come 
																			auspicato 
																			ad 
																			esempio 
																			da 
																			Feyerabend, 
																			procedimenti 
																			non 
																			sempre 
																			canonici, 
																			percorsi 
																			di 
																			indagine 
																			ai 
																			limiti 
																			dell’ortodossia 
																			ufficiale, 
																			ipotesi 
																			di 
																			lavoro 
																			apparentemente 
																			paradossali, 
																			fino 
																			alla 
																			rivalutazione 
																			di 
																			ipotesi 
																			e 
																			teorie 
																			già 
																			rigettate 
																			e 
																			finite 
																			nell’oblio 
																			(è 
																			il 
																			caso 
																			della 
																			teoria 
																			eliocentrica).
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Nel 
																			caso 
																			di 
																			Bomarzo, 
																			tuttavia, 
																			sembra 
																			sia 
																			mancata 
																			una 
																			generale 
																			‘acutezza’ 
																			di 
																			visione, 
																			di 
																			capacità 
																			di 
																			penetrazione 
																			del 
																			problema, 
																			probabilmente 
																			offuscata 
																			da 
																			uno 
																			stratificato 
																			e 
																			persistente 
																			accumulo 
																			di 
																			preconcetti 
																			e 
																			luoghi 
																			comuni.
																			
																			
																			 
																			
																			‘Va 
																			ancora 
																			bene 
																			quando 
																			le 
																			mani 
																			degli 
																			uomini 
																			costruiscono 
																			le 
																			piramidi, 
																			quando 
																			si 
																			scavano 
																			canali 
																			e si 
																			fanno 
																			boschetti 
																			per 
																			gli 
																			dei…’. 
																			Così 
																			il 
																			citato 
																			Ipuwer, 
																			notabile 
																			egizio 
																			vissuto 
																			intorno 
																			al 
																			2100 
																			a.C., 
																			riferiva 
																			in 
																			un 
																			passo 
																			delle 
																			sue 
																			‘Lamentazioni’, 
																			allorquando 
																			si 
																			assisteva 
																			al 
																			crollo 
																			dell’Antico 
																			Regno 
																			ed 
																			alla 
																			conseguente 
																			crisi 
																			economica 
																			e 
																			sociale 
																			del 
																			cosiddetto 
																			‘Primo 
																			Periodo 
																			Intermedio’.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			La 
																			vetusta 
																			tradizione 
																			dei 
																			boschi 
																			e 
																			delle 
																			piante 
																			sacre, 
																			diffusasi 
																			anche 
																			in 
																			Grecia 
																			e 
																			nel 
																			Vicino 
																			Oriente 
																			antico 
																			– un 
																			valido 
																			riferimento 
																			è l’Asklepieion 
																			dell’isola 
																			di 
																			Kos 
																			con 
																			annesso 
																			bosco 
																			sacro 
																			- 
																			poi 
																			confluita 
																			nel 
																			‘lucus’ 
																			e 
																			‘nemus’ 
																			in 
																			ambito 
																			etrusco-romano 
																			e, 
																			in 
																			genere, 
																			italico, 
																			può 
																			essere 
																			assunta 
																			come 
																			punto 
																			di 
																			partenza 
																			per 
																			tentare 
																			una 
																			ricostruzione 
																			di 
																			questo 
																			variegato 
																			‘mosaico’, 
																			giuntoci 
																			alquanto 
																			lacunoso 
																			e 
																			frammentario 
																			dopo 
																			una 
																			serie 
																			di 
																			complesse 
																			vicende 
																			storiche. 
																			E’ 
																			proprio 
																			l’attributo 
																			della 
																			‘sacralità’, 
																			piuttosto 
																			che 
																			del 
																			‘meraviglioso’ 
																			o 
																			del 
																			‘mostruoso’ 
																			- 
																			categorie 
																			con 
																			cui 
																			viene 
																			in 
																			genere 
																			connotato 
																			il 
																			sito 
																			in 
																			esame 
																			- ad 
																			indicare 
																			una 
																			diversa 
																			direzione 
																			di 
																			ricerca.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			A 
																			prospettare 
																			l’ipotesi 
																			di 
																			una 
																			destinazione 
																			cultuale 
																			del 
																			sito 
																			era 
																			stata 
																			l’individuazione 
																			e la 
																			segnalazione 
																			alla 
																			competente 
																			Soprintendenza 
																			Archeologica, 
																			già 
																			nel 
																			1983, 
																			di 
																			alcune 
																			testimonianze 
																			di 
																			‘arte 
																			rupestre’ 
																			consistenti 
																			in 
																			vaschette, 
																			canaline, 
																			fossette 
																			o ‘coppelle’, 
																			ricavate 
																			direttamente 
																			nella 
																			pietra 
																			locale, 
																			il 
																			peperino, 
																			e 
																			distribuite 
																			in 
																			modo 
																			apparentemente 
																			casuale 
																			nell’area 
																			del 
																			Bosco 
																			Sacro. 
																			Tali 
																			lavorazioni, 
																			di 
																			difficile 
																			datazione, 
																			rinviavano 
																			comunque 
																			a 
																			pratiche 
																			religiose 
																			di 
																			età 
																			preistorica 
																			e 
																			protostorica, 
																			includenti 
																			l’offerta 
																			di 
																			vittime 
																			sacrificali 
																			alla 
																			divinità.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			L’ipotesi 
																			dell’esistenza 
																			a 
																			Bomarzo 
																			di 
																			un 
																			antico 
																			santuario 
																			veniva 
																			ulteriormente 
																			confermata, 
																			qualche 
																			anno 
																			dopo, 
																			dal 
																			rinvenimento 
																			fortuito 
																			di 
																			due 
																			grandi 
																			massi 
																			con 
																			tracce 
																			di 
																			lavorazione 
																			- 
																			uno 
																			dei 
																			quali 
																			chiaramente 
																			adattato 
																			ad 
																			altare 
																			sacrificale 
																			e 
																			dotato 
																			di 
																			letto 
																			di 
																			deposizione 
																			funebre 
																			– e 
																			con 
																			la 
																			chiara 
																			rappresentazione 
																			di 
																			simboli 
																			astrali 
																			incisi 
																			sul 
																			prospetto 
																			principale, 
																			databili 
																			tra 
																			l’Eneolitico 
																			e il 
																			Bronzo 
																			Antico, 
																			ossia 
																			approssimativamente 
																			tra 
																			quarto 
																			e 
																			terzo 
																			millennio 
																			a.C.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			I 
																			confronti 
																			istituiti 
																			con 
																			altri 
																			siti 
																			archeologici, 
																			in 
																			relazione 
																			sia 
																			alla 
																			tipologia 
																			e 
																			cronologia 
																			dell’arte 
																			rupestre, 
																			sia 
																			alle 
																			affinità 
																			toponomastiche 
																			– ad 
																			esempio 
																			il 
																			‘colle 
																			sacro’ 
																			di 
																			Bonnannaro 
																			in 
																			Sardegna, 
																			quello 
																			di 
																			Luine 
																			in 
																			Valcamonica, 
																			le 
																			cime 
																			Bo e 
																			Momarzo 
																			nel 
																			Biellese 
																			- 
																			hanno 
																			fornito 
																			ulteriori 
																			importanti 
																			elementi 
																			a 
																			favore 
																			dell’ipotesi 
																			in 
																			esame.
																			 
																			
																			
																			Ma 
																			un’altra 
																			questione 
																			si 
																			poneva 
																			subito 
																			all’attenzione: 
																			quali 
																			relazioni 
																			potevano 
																			esistere 
																			tra 
																			le 
																			preesistenze 
																			archeologiche 
																			prima 
																			descritte 
																			e le 
																			creazioni 
																			in 
																			pietra 
																			attribuite 
																			a 
																			Vicino 
																			Orsini?
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Era 
																			possibile 
																			che 
																			le 
																			sculture 
																			realizzate 
																			dal 
																			duca 
																			si 
																			fossero 
																			ispirate 
																			ad 
																			eventuali 
																			formazioni 
																			geologiche 
																			presenti 
																			nel 
																			parco, 
																			aventi 
																			sembianze 
																			antropomorfe 
																			o 
																			zoomorfe?
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Nella 
																			ricerca 
																			di 
																			possibili 
																			elementi 
																			di 
																			continuità 
																			tra 
																			le 
																			età 
																			antiche 
																			e la 
																			fase 
																			rinascimentale 
																			del 
																			Bosco 
																			Sacro, 
																			emersero 
																			ben 
																			presto 
																			nuovi 
																			dati, 
																			che 
																			ribadivano 
																			l’ipotesi 
																			di 
																			una 
																			sua 
																			prolungata 
																			destinazione 
																			cultuale. 
																			Infatti, 
																			l’identificazione 
																			di 
																			caratteri 
																			etruschi, 
																			incisi 
																			sulla 
																			superficie 
																			di 
																			alcune 
																			sculture, 
																			suggeriva 
																			una 
																			evidente 
																			retrodatazione 
																			non 
																			solo 
																			del 
																			sito 
																			in 
																			quanto 
																			tale, 
																			ma 
																			delle 
																			stesse 
																			opere 
																			di 
																			scultura 
																			e di 
																			architettura 
																			disseminate 
																			nel 
																			parco. 
																			Le 
																			raffigurazioni 
																			di 
																			divinità 
																			e di 
																			eroi 
																			semidivini, 
																			come 
																			la 
																			coppia 
																			di 
																			giganti 
																			in 
																			lotta 
																			- 
																			Ercole 
																			e 
																			Caco, 
																			oppure 
																			Ercole 
																			e 
																			Anteo 
																			- 
																			databile 
																			tra 
																			il 
																			III 
																			ed 
																			il I 
																			secolo 
																			a.C., 
																			erano 
																			verosimilmente 
																			riferibili 
																			ad 
																			un 
																			‘lucus’ 
																			di 
																			tradizione 
																			etrusco-romana, 
																			la 
																			cui 
																			denominazione 
																			si 
																			era 
																			miracolosamente 
																			conservata, 
																			attraverso 
																			la 
																			fase 
																			rinascimentale, 
																			fino 
																			ai 
																			nostri 
																			giorni.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Un 
																			ulteriore 
																			interessante 
																			riferimento, 
																			a 
																			tale 
																			proposito, 
																			poteva 
																			essere 
																			individuato 
																			nel 
																			racconto 
																			dell’ottavo 
																			libro 
																			dell’Eneide 
																			di 
																			Virgilio, 
																			con 
																			la 
																			descrizione 
																			dell’arrivo 
																			dell’eroe 
																			troiano 
																			alla 
																			reggia 
																			del 
																			re 
																			Evandro 
																			e 
																			l’incontro 
																			dei 
																			due 
																			capi 
																			presso 
																			l’antico 
																			altare 
																			eretto 
																			nel 
																			‘bosco 
																			sacro’ 
																			a 
																			ricordo 
																			della 
																			vittoria 
																			di 
																			Ercole 
																			sul 
																			gigante 
																			Caco 
																			(Eneide, 
																			VIII 
																			79-306) 
																			- 
																			episodio 
																			che 
																			trovava 
																			pertanto 
																			una 
																			precisa 
																			corrispondenza 
																			nel 
																			citato 
																			gruppo 
																			di 
																			giganti 
																			in 
																			lotta 
																			tra 
																			le 
																			sculture 
																			del 
																			parco 
																			di 
																			Bomarzo.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Circa 
																			i 
																			caratteri 
																			dell’alfabeto 
																			etrusco 
																			individuati 
																			sulla 
																			superficie 
																			di 
																			alcune 
																			sculture 
																			e 
																			leggibili 
																			con 
																			difficoltà, 
																			dato 
																			il 
																			loro 
																			cattivo 
																			stato 
																			di 
																			conservazione, 
																			la 
																			maggior 
																			parte 
																			delle 
																			iscrizioni 
																			sembra 
																			riferirsi 
																			allo 
																			scomparso 
																			‘Fanu 
																			Veltune’, 
																			o 
																			‘Santuario 
																			di 
																			Veltuna’, 
																			fondamentale 
																			centro 
																			di 
																			culto 
																			e di 
																			riunione 
																			delle 
																			genti 
																			etrusche, 
																			sede 
																			dell’annuale 
																			concilio 
																			dei 
																			rappresentanti 
																			delle 
																			grandi 
																			città-stato, 
																			come 
																			Tarquinia, 
																			Cere, 
																			Volsinii. 
																			Secondo 
																			la 
																			testimonianza 
																			di 
																			autorevoli 
																			fonti, 
																			presso 
																			tale 
																			santuario 
																			si 
																			svolgevano 
																			feste 
																			religiose, 
																			gare 
																			sportive, 
																			nonché 
																			atti 
																			politici 
																			ed 
																			amministrativi, 
																			come 
																			l’elezione 
																			della 
																			suprema 
																			carica 
																			politico-religiosa 
																			della 
																			nazione 
																			etrusca, 
																			lo ‘zilath’.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Si 
																			potrebbe 
																			quindi 
																			sostenere 
																			che 
																			proprio 
																			l’equivoco 
																			storico, 
																			prodottosi 
																			molti 
																			secoli 
																			dopo 
																			con 
																			l’insediamento 
																			della 
																			famiglia 
																			Orsini 
																			a 
																			Bomarzo 
																			e 
																			l’attribuzione 
																			della 
																			progettazione 
																			e 
																			dell’esecuzione 
																			del 
																			complesso 
																			al 
																			duca 
																			Vicino 
																			Orsini, 
																			avrebbe 
																			contribuito 
																			ad 
																			occultare 
																			e a 
																			cancellare, 
																			in 
																			modo 
																			quasi 
																			irreversibile, 
																			il 
																			ricordo 
																			del 
																			massimo 
																			santuario 
																			d’Etruria 
																			– 
																			quello 
																			che 
																			si 
																			potrebbe 
																			forse 
																			definire 
																			un 
																			caso 
																			di 
																			‘falso’ 
																			al 
																			contrario. 
																			Risulta 
																			invece 
																			verosimile 
																			assegnare 
																			l’esecuzione 
																			della 
																			maggior 
																			parte 
																			dei 
																			manufatti 
																			esistenti 
																			nel 
																			Bosco 
																			Sacro 
																			alla 
																			fase 
																			finale 
																			della 
																			produzione 
																			artistica 
																			etrusca.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			In 
																			particolare, 
																			tali 
																			opere 
																			si 
																			daterebbero, 
																			come 
																			già 
																			accennato, 
																			tra 
																			il 
																			III 
																			ed 
																			il I 
																			secolo 
																			a.C., 
																			arco 
																			temporale 
																			ricadente 
																			nell’età 
																			ellenistica, 
																			durante 
																			la 
																			quale 
																			la 
																			ormai 
																			decadente 
																			civiltà 
																			etrusca 
																			mostrava, 
																			nelle 
																			sue 
																			residue 
																			espressioni 
																			artistiche, 
																			un 
																			costante 
																			ricorso 
																			a 
																			simbologie 
																			legate 
																			al 
																			mondo 
																			ultraterreno 
																			quale 
																			conseguenza 
																			del 
																			declino 
																			economico 
																			e 
																			sociale 
																			della 
																			nazione 
																			etrusca 
																			in 
																			seguito 
																			alla 
																			sconfitta 
																			militare 
																			e 
																			all’occupazione 
																			dei 
																			propri 
																			territori 
																			da 
																			parte 
																			dell’inarrestabile 
																			potenza 
																			romana.
																			 
																			
																			
																			Non 
																			a 
																			caso 
																			un 
																			intervento 
																			dell’architetto 
																			Giuseppe 
																			Zander 
																			al 
																			convegno 
																			‘I 
																			Farnese: 
																			trecento 
																			anni 
																			di 
																			storia’, 
																			svoltosi 
																			a 
																			Gradoli 
																			nell’ottobre 
																			1987 
																			e 
																			pubblicato 
																			nel 
																			Bollettino 
																			del 
																			Centro 
																			Studi 
																			e 
																			Ricerche 
																			sul 
																			Territorio 
																			Farnesiano 
																			nel 
																			1990 
																			(nn.7 
																			e 8 
																			dei 
																			‘Quaderni 
																			di 
																			Gradoli’) 
																			- 
																			testo 
																			quasi 
																			mai 
																			citato 
																			dagli 
																			studiosi 
																			di 
																			Bomarzo 
																			- 
																			aveva 
																			come 
																			tema 
																			‘Le 
																			statue 
																			nei 
																			giardini 
																			secondo 
																			la 
																			consuetudine 
																			romana. 
																			Il 
																			rinnovarsi 
																			di 
																			una 
																			tradizione 
																			antica 
																			al 
																			tempo 
																			dei 
																			Farnese’. 
																			Egli 
																			individuava 
																			nelle 
																			sculture 
																			all’aperto 
																			di 
																			Bomarzo 
																			una 
																			inconfondibile 
																			iconografia 
																			di 
																			impronta 
																			classicheggiante 
																			e la 
																			presenza 
																			di 
																			una 
																			‘forte 
																			tradizione 
																			antica’.
																			 
																			
																			
																			Nel 
																			corso 
																			degli 
																			studi 
																			e 
																			delle 
																			ricerche 
																			sulle 
																			realizzazioni 
																			di 
																			Bomarzo, 
																			si 
																			era 
																			osservato 
																			che 
																			i 
																			temi 
																			dell’oltretomba 
																			e le 
																			figure 
																			demoniache 
																			rinviavano, 
																			a 
																			loro 
																			volta, 
																			ad 
																			un 
																			importante 
																			‘topos’ 
																			della 
																			tradizione 
																			classica 
																			e 
																			medievale: 
																			il 
																			viaggio 
																			agli 
																			inferi. 
																			Così, 
																			la 
																			compresenza 
																			a 
																			Bomarzo 
																			del 
																			tema 
																			infernale 
																			e 
																			del 
																			Bosco 
																			Sacro 
																			giustificavano 
																			un 
																			ulteriore 
																			confronto 
																			con 
																			quella 
																			che 
																			viene 
																			generalmente 
																			considerata 
																			l’opera 
																			fondamentale 
																			della 
																			letteratura 
																			italiana: 
																			la 
																			‘Commedia’ 
																			dantesca, 
																			o 
																			‘Divina 
																			Commedia’.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Nonostante 
																			la 
																			comparazione 
																			apparisse 
																			a 
																			prima 
																			vista 
																			improbabile, 
																			tuttavia, 
																			le 
																			analisi 
																			e le 
																			successive 
																			verifiche 
																			sul 
																			campo, 
																			inclusa 
																			l’esplorazione 
																			dei 
																			luoghi 
																			in 
																			prossimità 
																			del 
																			parco, 
																			hanno 
																			via 
																			via 
																			prodotto 
																			risultati 
																			sempre 
																			più 
																			importanti 
																			e 
																			convincenti.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Infatti, 
																			la 
																			morfologia 
																			dei 
																			luoghi 
																			esplorati 
																			nel 
																			raggio 
																			di 
																			una 
																			dozzina 
																			di 
																			chilometri, 
																			le 
																			caratteristiche 
																			ambientali, 
																			geologiche 
																			e 
																			idrogeologiche, 
																			le 
																			relazioni 
																			spaziali 
																			in 
																			termini 
																			di 
																			distanze, 
																			dislivelli, 
																			pendenze, 
																			hanno 
																			trovato 
																			una 
																			sorprendente 
																			corrispondenza 
																			con 
																			gli 
																			ambienti 
																			e le 
																			situazioni 
																			narrate 
																			nella 
																			prima 
																			cantica 
																			del 
																			poema 
																			dantesco, 
																			ossia 
																			il 
																			viaggio 
																			attraverso 
																			la 
																			valle 
																			infernale.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Sono 
																			così 
																			risultati 
																			oggettivamente 
																			localizzabili 
																			e 
																			fisicamente 
																			percepibili 
																			molti 
																			elementi 
																			descritti 
																			da 
																			Dante, 
																			come 
																			la 
																			città 
																			di 
																			Dite, 
																			corrispondente 
																			al 
																			teatro 
																			romano 
																			di 
																			Ferento, 
																			gli 
																			‘avelli’, 
																			visibili 
																			come 
																			sarcofagi 
																			nello 
																			stesso 
																			teatro, 
																			il 
																			fiume 
																			infernale 
																			Flegetonte, 
																			coincidente 
																			con 
																			i 
																			torrenti 
																			Acqua 
																			Rossa 
																			e 
																			Vezza, 
																			i 
																			giganti 
																			Nembrot 
																			e 
																			Fialte, 
																			corrispondenti 
																			al 
																			Nettuno 
																			con 
																			cornucopia 
																			e 
																			l’Ercole 
																			del 
																			già 
																			menzionato 
																			gruppo 
																			scultoreo.
																			 
																			
																			
																			L’ipotesi 
																			dell’esistenza 
																			di 
																			un 
																			percorso 
																			reale 
																			e 
																			documentabile 
																			del 
																			viaggio 
																			dantesco, 
																			relativamente 
																			alla 
																			prima 
																			parte 
																			del 
																			poema, 
																			darebbe 
																			coerentemente 
																			ragione 
																			dell’indiscusso 
																			realismo 
																			attribuito 
																			appunto 
																			alla 
																			prima 
																			cantica.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Ma è 
																			soprattutto 
																			l’improvvisa 
																			apparizione 
																			dei 
																			‘colossi 
																			di 
																			pietra’ 
																			del 
																			Bosco 
																			Sacro, 
																			appartenuti 
																			all’antico 
																			santuario 
																			etrusco 
																			nella 
																			sua 
																			fase 
																			finale, 
																			successiva 
																			alla 
																			distruzione 
																			delle 
																			duemila 
																			statue 
																			bronzee 
																			che 
																			lo 
																			decoravano, 
																			a 
																			giustificare 
																			lo 
																			stupore 
																			del 
																			poeta, 
																			il 
																			riferimento 
																			alla 
																			‘mirabile 
																			visione’ 
																			e 
																			l’insorgere 
																			del 
																			tono 
																			profetico, 
																			che 
																			ricorre 
																			apertamente 
																			in 
																			molti 
																			passi 
																			del 
																			poema.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Sotto 
																			questo 
																			profilo, 
																			dunque, 
																			il 
																			contenuto 
																			narrativo 
																			della 
																			Commedia 
																			dantesca 
																			assume 
																			un 
																			significato 
																			ed 
																			un 
																			valore 
																			alquanto 
																			diversi 
																			da 
																			quelli 
																			tradizionalmente 
																			ad 
																			essa 
																			attribuiti, 
																			mentre 
																			viene 
																			notevolmente 
																			evidenziato 
																			lo 
																			sforzo 
																			di 
																			adattamento 
																			del 
																			dato 
																			reale, 
																			oggettivo, 
																			alle 
																			esigenze 
																			dei 
																			contenuti 
																			poetici, 
																			filosofici, 
																			morali, 
																			scientifici.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Ma i 
																			riferimenti 
																			letterari 
																			delle 
																			sculture 
																			di 
																			Bomarzo 
																			sembrano 
																			andare 
																			anche 
																			al 
																			di 
																			là 
																			dello 
																			stesso 
																			poema 
																			dantesco, 
																			interessando, 
																			oltre 
																			le 
																			numerose 
																			opere 
																			letterarie 
																			analizzate 
																			da 
																			Calvesi, 
																			testi 
																			medievali 
																			quali 
																			l’anonimo 
																			‘Liber 
																			Mostrorum’, 
																			databile 
																			al 
																			IX 
																			secolo, 
																			o il 
																			citato 
																			‘Solarljod’ 
																			della 
																			letteratura 
																			scandinava, 
																			o 
																			ancora 
																			l’originale 
																			componimento 
																			quattrocentesco 
																			del 
																			frate 
																			Francesco 
																			Colonna, 
																			la 
																			’Hypnerotomachia 
																			Poliphili’, 
																			opera 
																			spesso 
																			citata 
																			come 
																			potenziale 
																			fonte 
																			di 
																			ispirazione 
																			del 
																			Bosco 
																			Sacro 
																			e 
																			che 
																			invece, 
																			nella 
																			prospettiva 
																			qui 
																			suggerita, 
																			andrebbe 
																			a 
																			collocarsi 
																			tra 
																			le 
																			opere 
																			letterarie 
																			dedicate 
																			a 
																			questo 
																			incredibile 
																			ed 
																			enigmatico 
																			sito, 
																			la 
																			cui 
																			identità 
																			pertanto 
																			risulterebbe 
																			tanto 
																			deformato 
																			e 
																			snaturato 
																			da 
																			scomparire 
																			dalla 
																			memoria 
																			storica 
																			dell’uomo 
																			contemporaneo.
																			 
																			
																			
																			Ulteriori 
																			conferme 
																			alla 
																			validità 
																			delle 
																			interpretazioni 
																			e 
																			delle 
																			ipotesi 
																			ricostruttive, 
																			qui 
																			formulate, 
																			sono 
																			scaturite 
																			recentemente 
																			dall’individuazione 
																			e 
																			comparazione 
																			di 
																			vari 
																			elementi, 
																			afferenti 
																			a 
																			diversi 
																			ambiti 
																			di 
																			ricerca 
																			- ma 
																			sempre 
																			tra 
																			loro 
																			strettamente 
																			interrelati 
																			- 
																			che 
																			si 
																			possono 
																			schematizzare 
																			e 
																			raggruppare 
																			nei 
																			seguenti 
																			settori 
																			di 
																			indagine:
																			 
																			
																			
																			a)
																			
																			toponomastica. 
																			L’idronimo 
																			‘Vezza’, 
																			che 
																			designa 
																			il 
																			già 
																			menzionato 
																			torrente 
																			che 
																			attraversa 
																			il 
																			territorio 
																			di 
																			Bomarzo, 
																			è 
																			chiaramente 
																			confrontabile 
																			con 
																			l’etrusco 
																			‘Velzna’, 
																			originaria 
																			denominazione 
																			della 
																			città 
																			di 
																			Volsinii, 
																			oggi 
																			arbitrariamente 
																			localizzata 
																			ad 
																			Orvieto 
																			insieme 
																			al 
																			santuario 
																			pan-etrusco 
																			di 
																			Veltuna. 
																			In 
																			quest’ultimo 
																			termine, 
																			inoltre, 
																			le 
																			due 
																			sillabe 
																			finali 
																			‘tuna’ 
																			rinviano 
																			alla 
																			forma 
																			nominale 
																			‘tina/tuna’, 
																			segnalata 
																			dal 
																			linguista 
																			e 
																			antropologo 
																			americano 
																			Merritt 
																			Ruhlen 
																			come 
																			forma 
																			comune 
																			alla 
																			maggior 
																			parte 
																			delle 
																			lingue 
																			amerindie 
																			col 
																			significato 
																			di 
																			‘figlio, 
																			bambino’, 
																			a 
																			sua 
																			volta 
																			riconducibile 
																			ad 
																			una 
																			delle 
																			‘radici 
																			universali’ 
																			individuate 
																			dallo 
																			stesso 
																			Ruhlen 
																			nella 
																			maggioranza 
																			delle 
																			famiglie 
																			linguistiche 
																			del 
																			mondo, 
																			cioè 
																			‘tik’, 
																			che 
																			vale 
																			‘uno, 
																			dito’. 
																			Così, 
																			tra 
																			l’altro, 
																			è 
																			possibile 
																			ipotizzare 
																			un 
																			apparentamento 
																			se 
																			non 
																			una 
																			identificazione 
																			delle 
																			due 
																			principali 
																			divinità 
																			etrusche, 
																			appunto 
																			il 
																			citato 
																			‘Veltuna’ 
																			e 
																			l’enigmatico 
																			‘Tinia’ 
																			- 
																			assimilabile 
																			allo 
																			Zeus 
																			greco 
																			– in 
																			quanto 
																			teonimi 
																			equivalenti 
																			sia 
																			per 
																			gli 
																			aspetti 
																			linguistici 
																			(a 
																			meno 
																			della 
																			sillaba 
																			iniziale) 
																			sia 
																			per 
																			i 
																			loro 
																			attributi 
																			e la 
																			posizione 
																			preminente 
																			che 
																			occupano 
																			nel 
																			pantheon 
																			etrusco.
																			 
																			
																			
																			b)
																			
																			iconografia. 
																			Un 
																			utile 
																			raffronto 
																			è 
																			stato 
																			istituito 
																			tra 
																			i 
																			segni 
																			incisi 
																			sul 
																			grande 
																			masso 
																			preistorico, 
																			prima 
																			descritto, 
																			caratterizzato 
																			da 
																			simboli 
																			astrali 
																			e da 
																			un 
																			‘letto 
																			funebre’ 
																			ottenuto 
																			lavorando 
																			direttamente 
																			la 
																			pietra 
																			‘in 
																			situ’, 
																			e 
																			l’iconografia 
																			di 
																			alcuni 
																			sigilli 
																			e 
																			tavolette 
																			del 
																			III 
																			millennio 
																			a.C. 
																			dalla 
																			Valle 
																			dell’Indo 
																			(Harappa, 
																			Mohenjodaro) 
																			con 
																			analoghi 
																			simboli 
																			astrali 
																			interpretati 
																			quali 
																			segni 
																			della 
																			‘regalità’. 
																			Ciò 
																			confermerebbe 
																			l’esistenza 
																			nel 
																			Lazio 
																			della 
																			antichissima 
																			tradizione 
																			dei 
																			boschi 
																			sacri, 
																			all’interno 
																			dei 
																			quali 
																			sarebbero 
																			avvenute 
																			sfide 
																			cruente 
																			e 
																			riti 
																			funebri 
																			collegati 
																			alla 
																			conquista 
																			della 
																			sovranità 
																			attraverso 
																			il 
																			duello 
																			tra 
																			i 
																			due 
																			pretendenti 
																			alla 
																			massima 
																			carica 
																			politica 
																			e 
																			religiosa, 
																			secondo 
																			un 
																			diritto 
																			consuetudinario 
																			rintracciabile 
																			alle 
																			radici 
																			del 
																			costume 
																			italico.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			c)
																			
																			archeologia. 
																			Resti 
																			di 
																			un 
																			interessante 
																			monumento 
																			di 
																			età 
																			etrusco-romana 
																			a 
																			pianta 
																			quadrata 
																			sono 
																			chiaramente 
																			visibili 
																			alla 
																			base 
																			del 
																			campanile 
																			della 
																			chiesa 
																			parrocchiale 
																			di 
																			Bomarzo, 
																			in 
																			pieno 
																			centro 
																			storico 
																			e a 
																			pochi 
																			passi 
																			dal 
																			‘Castello’, 
																			o 
																			‘Palazzo 
																			Orsini’ 
																			- 
																			normalmente 
																			considerato 
																			la 
																			parte 
																			alta 
																			della 
																			‘Villa 
																			Orsini’ 
																			con 
																			annesso 
																			giardino 
																			rinascimentale. 
																			Pur 
																			costituendo 
																			una 
																			testimonianza 
																			di 
																			particolare 
																			importanza 
																			per 
																			la 
																			datazione 
																			e 
																			l’interpretazione 
																			tanto 
																			del 
																			centro 
																			abitato 
																			situato 
																			sul 
																			colle 
																			quanto 
																			del 
																			complesso 
																			storico-artistico 
																			posto 
																			a 
																			valle, 
																			essi 
																			tuttavia 
																			risultano 
																			spesso 
																			ignorati 
																			da 
																			quanti 
																			si 
																			occupano 
																			di 
																			Bomarzo. 
																			Analogo 
																			scarso 
																			interesse 
																			hanno 
																			suscitato 
																			i 
																			resti 
																			di 
																			un 
																			cospicuo 
																			tratto 
																			di 
																			mura 
																			urbane, 
																			anch’essi 
																			ben 
																			visibili 
																			lungo 
																			la 
																			strada 
																			comunale 
																			che 
																			conduce 
																			verso 
																			la 
																			frazione 
																			di 
																			Mugnano 
																			e 
																			l’alveo 
																			del 
																			Tevere: 
																			strutture 
																			rilevate 
																			e 
																			segnalate 
																			alla 
																			competente 
																			Soprintendenza 
																			Archeologica 
																			e da 
																			attribuire 
																			verosimilmente 
																			al 
																			citato 
																			insediamento 
																			etrusco 
																			di 
																			Velzna/Volsinii. 
																			Un’altra 
																			porzione 
																			del 
																			primitivo 
																			abitato 
																			etrusco 
																			è 
																			invece 
																			localizzabile 
																			sulla 
																			vicina 
																			collina 
																			di 
																			Pianmiano, 
																			dove 
																			vecchi 
																			e 
																			nuovi 
																			scavi 
																			hanno 
																			accertato 
																			l’esistenza 
																			di 
																			un 
																			insediamento 
																			a 
																			partire 
																			almeno 
																			dal 
																			VI 
																			secolo 
																			a.C.
																			 
																			
																			
																			d)
																			
																			architettura. 
																			Il 
																			cosiddetto 
																			‘tempietto 
																			di 
																			Giulia 
																			Farnese’, 
																			anomala 
																			costruzione 
																			il 
																			cui 
																			basamento 
																			è 
																			stato 
																			ottenuto 
																			modellando 
																			la 
																			pietra 
																			locale 
																			‘in 
																			situ’, 
																			in 
																			analogia 
																			con 
																			le 
																			circostanti 
																			sculture 
																			del 
																			parco 
																			ed 
																			il 
																			menzionato 
																			masso 
																			preistorico, 
																			è 
																			costruito 
																			integralmente 
																			con 
																			materiali 
																			lapidei 
																			locali 
																			e 
																			non 
																			presenta 
																			i 
																			caratteri 
																			dell’edificio 
																			sacro 
																			rinascimentale. 
																			La 
																			pianta 
																			mostra 
																			i 
																			rapporti 
																			metrici 
																			canonici 
																			del 
																			tempio 
																			tuscanico 
																			descritto 
																			da 
																			Vitruvio. 
																			Nel 
																			pavimento 
																			della 
																			piccola 
																			cella 
																			interna 
																			è 
																			stata 
																			rilevata 
																			e 
																			fotografata 
																			una 
																			‘fossetta 
																			votiva’, 
																			interpretabile 
																			come 
																			‘bothros’ 
																			o 
																			‘mundus’ 
																			per 
																			offerte 
																			agli 
																			dei 
																			inferi, 
																			poi 
																			riempita 
																			di 
																			malta 
																			cementizia 
																			dai 
																			proprietari 
																			del 
																			complesso. 
																			La 
																			costruzione 
																			incarna 
																			piuttosto 
																			un 
																			modello 
																			di 
																			edificio 
																			religioso 
																			di 
																			età 
																			ellenistica, 
																			il 
																			cui 
																			prospetto 
																			principale 
																			mostra 
																			un 
																			timpano 
																			triangolare 
																			‘sfondato’ 
																			in 
																			modo 
																			caratteristico 
																			da 
																			un 
																			arco 
																			a 
																			tutto 
																			sesto, 
																			secondo 
																			una 
																			tipologia 
																			detta 
																			ad 
																			‘arco 
																			siriaco’ 
																			che 
																			si 
																			ritrova 
																			comunemente 
																			in 
																			edifici 
																			religiosi 
																			o di 
																			pubblica 
																			utilità 
																			del 
																			Mediterraneo 
																			orientale 
																			in 
																			età 
																			ellenistica 
																			e 
																			romana 
																			(tempio 
																			di 
																			Bargylia 
																			in 
																			Caria, 
																			attuale 
																			Turchia; 
																			ginnasio 
																			di 
																			Sardi; 
																			tempio 
																			di 
																			Adriano 
																			ad 
																			Efeso; 
																			tombe 
																			rupestri 
																			di 
																			Petra 
																			in 
																			Giordania; 
																			tempio 
																			delle 
																			Muse 
																			a 
																			Cirene, 
																			in 
																			Libia; 
																			peristilio 
																			del 
																			Palazzo 
																			di 
																			Diocleziano 
																			a 
																			Spalato).
																			 
																			
																			
																			e)
																			
																			geomorfologia. 
																			Il 
																			lungo 
																			crinale 
																			montuoso, 
																			alla 
																			cui 
																			estremità 
																			sorge 
																			il 
																			centro 
																			storico 
																			di 
																			Bomarzo 
																			con 
																			la 
																			caratteristica 
																			mole 
																			del 
																			Castello 
																			o 
																			Palazzo 
																			Orsini, 
																			risulta 
																			attualmente 
																			interrotto 
																			per 
																			oltre 
																			200 
																			metri 
																			di 
																			lunghezza, 
																			pur 
																			costituendo 
																			in 
																			origine 
																			una 
																			formazione 
																			geologica 
																			unitaria, 
																			come 
																			infatti 
																			rivelano 
																			le 
																			curve 
																			di 
																			livello 
																			riportate 
																			sulle 
																			carte 
																			topografiche 
																			dell’IGM 
																			- 
																			circa 
																			300 
																			metri 
																			s.l.m. 
																			- 
																			dove 
																			si 
																			osserva 
																			una 
																			pendenza 
																			piuttosto 
																			costante 
																			lungo 
																			lo 
																			sviluppo 
																			di 
																			tale 
																			crinale. 
																			Lo 
																			sbancamento 
																			di 
																			centinaia 
																			di 
																			migliaia 
																			di 
																			metri 
																			cubi 
																			di 
																			roccia 
																			deve 
																			essere 
																			stato 
																			dettato 
																			da 
																			esigenze 
																			di 
																			difesa 
																			militare 
																			e 
																			soprattutto 
																			di 
																			isolamento 
																			della 
																			porzione 
																			terminale 
																			del 
																			crinale, 
																			sagomata 
																			a 
																			roccaforte 
																			con 
																			alte 
																			pareti 
																			a 
																			strapiombo, 
																			tali 
																			da 
																			assicurare 
																			una 
																			elevato 
																			grado 
																			di 
																			difendibilità. 
																			La 
																			natura 
																			artificiale 
																			del 
																			‘taglio’ 
																			è 
																			testimoniata 
																			da 
																			alcune 
																			tracce 
																			di 
																			estrazione 
																			di 
																			blocchi 
																			squadrati 
																			come 
																			quelli 
																			visibili 
																			nelle 
																			antiche 
																			cave 
																			di 
																			pietra. 
																			Una 
																			ulteriore 
																			conferma 
																			è 
																			costituita 
																			dalla 
																			imponente 
																			merlatura, 
																			chiaramente 
																			visibile 
																			nelle 
																			porzioni 
																			di 
																			collina 
																			rimaste 
																			libere 
																			dalle 
																			costruzioni 
																			aggiunte 
																			in 
																			epoche 
																			successive, 
																			ottenuta 
																			‘a 
																			risparmio’ 
																			modellando 
																			la 
																			roccaforte 
																			durante 
																			la 
																			medesima 
																			fase 
																			di 
																			sbancamento 
																			della 
																			collina. 
																			Il 
																			progetto 
																			e 
																			l’esecuzione 
																			di 
																			tali 
																			interventi 
																			vanno 
																			indubbiamente 
																			attribuiti 
																			ad 
																			una 
																			organizzazione 
																			politica 
																			ed 
																			economica 
																			di 
																			gran 
																			lunga 
																			più 
																			potente 
																			di 
																			quella 
																			ascrivibile 
																			ad 
																			una 
																			ricca 
																			famiglia 
																			romana 
																			del 
																			Rinascimento.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			f)
																			
																			letteratura. 
																			L’incipit 
																			della 
																			Commedia 
																			dantesca 
																			sembra 
																			racchiudere 
																			dati 
																			‘spaziali’ 
																			oltre 
																			che 
																			‘temporali’, 
																			giacché, 
																			insieme 
																			alla 
																			data 
																			del 
																			viaggio, 
																			fornirebbe 
																			indicazioni 
																			topografiche 
																			utili 
																			per 
																			individuare, 
																			‘a 
																			metà 
																			del 
																			percorso 
																			tra 
																			Roma 
																			e 
																			Firenze’, 
																			quel
																			
																			‘bosco’ 
																			o ‘selva’ 
																			in 
																			cui 
																			il 
																			poeta 
																			può 
																			‘ritrovare 
																			sé 
																			stesso’, 
																			dopo 
																			avere 
																			deviato 
																			dal 
																			‘percorso 
																			rettilineo 
																			della 
																			via 
																			Cassia’. 
																			Tale 
																			interpretazione 
																			appare 
																			coerente 
																			con 
																			quanto 
																			già 
																			detto 
																			in 
																			merito 
																			alla 
																			presenza 
																			di 
																			Dante 
																			nel 
																			territorio 
																			compreso 
																			tra 
																			Viterbo 
																			e 
																			Bomarzo.
																			 
																			
																			
																			Infine, 
																			un 
																			indizio 
																			cruciale 
																			è 
																			forse 
																			desumibile 
																			dalla 
																			letteratura 
																			latina: 
																			l’elegia 
																			che 
																			Properzio 
																			dedica 
																			proprio 
																			al 
																			dio 
																			‘Vertumno/Voltumna’, 
																			l’etrusco 
																			‘Veltuna’, 
																			può 
																			fornire 
																			una 
																			traccia 
																			utile 
																			per 
																			localizzazione 
																			del 
																			suo 
																			santuario. 
																			Il ‘te, 
																			qui 
																			ad 
																			vadimonia 
																			curris’ 
																			del 
																			verso 
																			57 
																			dell’elegia, 
																			riferito 
																			stranamente 
																			ad 
																			un 
																			generico 
																			passante 
																			diretto 
																			al 
																			tribunale 
																			per 
																			un 
																			atto 
																			di 
																			comparizione, 
																			appunto 
																			in 
																			latino 
																			‘vadimonium’, 
																			in 
																			realtà 
																			potrebbe 
																			rinviare, 
																			in 
																			modo 
																			più 
																			pertinente, 
																			ai 
																			riti 
																			che 
																			si 
																			svolgevano 
																			tradizionalmente 
																			presso 
																			il 
																			lago 
																			Vadimone, 
																			situato 
																			tra 
																			Orte 
																			e 
																			Bomarzo 
																			e 
																			ritenuto 
																			sacro 
																			dagli 
																			etruschi 
																			- 
																			come 
																			attestato 
																			da 
																			varie 
																			fonti 
																			latine 
																			- 
																			riti 
																			che 
																			nell’elegia 
																			verrebbero 
																			appunto 
																			definiti 
																			‘vadimonia’, 
																			con 
																			il 
																			ricorso 
																			ad 
																			una 
																			ambigua 
																			parafrasi 
																			che 
																			fa 
																			pensare 
																			ad 
																			una 
																			sorta 
																			di 
																			‘damnatio 
																			memoriae’ 
																			intervenuta 
																			nei 
																			confronti 
																			della 
																			località 
																			sede 
																			del 
																			principale 
																			culto 
																			etrusco.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			A 
																			meno 
																			che 
																			Properzio 
																			non 
																			volesse, 
																			in 
																			realtà, 
																			tutelare 
																			chi 
																			frequentava 
																			ancora 
																			quei 
																			riti 
																			e 
																			venerava 
																			tale 
																			divinità 
																			ai 
																			tempi 
																			dell’occupazione 
																			romana, 
																			invece 
																			di 
																			ammetterne 
																			esplicitamente 
																			la 
																			sopravvivenza 
																			ed 
																			indicarne 
																			oggettivamente 
																			il 
																			sito.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Se 
																			così 
																			fosse, 
																			il 
																			modo 
																			in 
																			cui 
																			Properzio 
																			ne 
																			tratta 
																			e lo 
																			stesso 
																			fatto 
																			di 
																			aver 
																			dedicato 
																			una 
																			elegia 
																			a 
																			Vertumno 
																			farebbero 
																			pensare 
																			a 
																			qualche 
																			forma 
																			di 
																			coinvolgimento 
																			del 
																			poeta 
																			latino 
																			in 
																			tali 
																			culti.
																			
																			
																			
																			
																							
																			 
																			
																			