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N. 46 - Ottobre 2011 (LXXVII)

Dalmazia & Venezia Giulia

dalla metà ottocento alla prima guerra mondiale - Parte III
di Nicola Ponticiello & Roberto Rota

 

L’irredentismo italiano

 

Al Congresso di Berlino ci fu da parte italiana la velleitaria speranza di ingrandimenti territoriali nel caso di acquisizioni austriache. A tal proposito Marina Cattaruzza (L’Italia e il confine orientale 1866-2006, Bologna, il Mulino 2007) mette in evidenza come nell’opinione pubblica italiana veniva maturando la speranza di ottenere concessioni territoriali. Paradossalmente da parte austriaca si appoggiavano le mire espansioniste italiane verso le colonie, come ad esempio se si trattava di annettere all’Italia Tunisi, viceversa certamente non venivano appoggiate in riferimento alle “terre irredente” che costituivano parti integranti del territorio dell’Impero asburgico.

Nel frattempo le insurrezioni slave in Bosnia ed Erzegovina fomentavano un risveglio dell’irredentismo italiano anti-austriaco. Cattaruzza sottolinea al riguardo come il governo italiano attraverso un’intervista rilasciata dal ministro Agostino Depretis ad un giornale ungherese si affrettava a ribadire che l’Italia non aveva mire espansionistiche ai danni dell’Austria-Ungheria e che attribuirle l’aspirazione a ottenere Trento e Trieste era pura fantasia.

Il Congresso di Berlino quindi rappresentò un successo per la diplomazia austriaca e come ribadito dalla Cattaruzza l’Italia da parte sua non avanzò alcuna richiesta nei confronti di Vienna. Nel luglio del 1878 era chiaro che l’Italia non avrebbe ottenuto alcun compenso territoriale al Congresso di Berlino; di conseguenza scoppiarono una serie di manifestazioni irredentiste che talora sfociavano in tumulti violenti come era già avvenuto il 28 giugno dello stesso anno, quando a Venezia era stato assaltato il consolato austriaco. Le dimostrazioni del luglio 1878 ebbero luogo in diverse città italiane, le rivendicazione vennero sintetizzate nel motto “Evviva Trento e Trieste” (destinato a divenire la parola d’ordine dell’interventismo italiano nella prima guerra mondiale).

L'Italia irredenta fu un movimento d'opinione a favore dell'unificazione al Regno d'Italia di tutti i territori che venivano considerati di appartenere all'area geografica italiana e di quei territori storicamente abitati da popolazioni, che facevano parte del gruppo linguistico italiano, di conseguenza il movimento predicava l'"Irredentismo" presso la popolazione italiana. Lo scopo era quello di portare i confini politici d'Italia a coincidere con quelli “naturali”, e dunque di riunire in un unico Stato tutti i territori popolati da comunità di lingua e cultura italiane.

Il movimento "Italia irredenta" proponeva dunque l'annessione delle terre, considerate italiane, in mano straniera, quali il "Canton Ticino", le valli italofone del "Canton Grigioni", la "Contea di Nizza", la Corsica e Malta ma in particolare focalizzava il proprio interesse e l’attenzione verso il Trentino, la "Venezia Giulia" e la "Dalmazia", che quindi costituivano motivo di frizione con l’Impero austro-ungarico. I territori considerati irredenti erano definiti tali secondo criteri variabili: a volte si considerava il criterio linguistico-culturale, ossia la presenza di "Italofoni", altre volte quello geografico, cioè l'appartenenza ai cosiddetti “confini naturali”, altre ancora quello storico, ossia l'appartenenza del territorio, in passato, a uno degli antichi stati italiani, ma non il criterio di tipo coloniale.

Gli irredentisti e i nazionalisti per il confine nord-orientale d’Italia avevano rispolverato il mito letterario di Dante Alighieri che nella Divina Commedia poneva il confine naturale al Brennero ed al Quarnaro (Rolf Wörsdörfer).

Volendo focalizzare l’attenzione ai territori appartenuti all’Impero austro-ungarico fino al 1915 (nello specifico Dalmazia, Trentino e Venezia Giulia), per i quali la storiografia si é spesso confrontata con il problema della quantificazione della popolazione italiana presente nelle cosiddette “terre irredenti” ed alla conseguente distribuzione sul territorio del gruppo nazionale italiano, Cattaruzza quantifica tale presenza in non meno di 700.000 individui, questa rappresentava comunque la nazionalità meno numerosa in seno alla monarchia asburgica.

Ciò nonostante la popolazione di lingua italiana manteneva un’influenza superiore al proprio peso numerico, determinata dalla presenza di un consistente e influente ceto borghese, in parte risalente all’antico patriziato urbano, dalla presenza in particolare di famiglie nobili in Trentino e dal riconoscimento del carattere di “nazione culturale”. Il movimento irredentista organizzato da tempo in comitati, di fuoriusciti e simpatizzanti, vide la luce a Napoli nel 1877, ad opera del fuoriuscito triestino Renato Matteo Imbriani (1843-1901) con l’appoggio del generale garibaldino Giuseppe Avezzana (1797-1879), nonché l’auspicio dello stesso Garibaldi. Nasceva così l’Associazione in pro dell’Italia irredenta, la quale collegava a sé i diversi comitati diffusi in Italia e alcuni circoli repubblicani.

Lo statuto dell’Associazione, redatto nel 1879, recitava all’articolo 1 che scopo dell’associazione era quello di liberare le terre soggette allo straniero e di riportarle in seno alla madre-patria. In realtà vi erano compresi in particolar modo i territori soggetti alla sovranità dell’Impero d’Austria-Ungheria.

Infatti l’articolo 2 specificava come di seguito riportato:

" precipuamente ci si occuperà per il momento di quelle terre che nelle condizioni presenti ci è necessità suprema di difesa e di sicurezza ricondurre alla Madre comune e che la pienezza dei tempi promette e vuole riacquistare alla Patria: di quelle cioè, che ancora occupa l’Austria – e che noi sintetizziamo nel simbolo di due sacri nomi: Trieste e Trento – ma che è bene determinare per le regioni che cingono le Retiche e le Giulie – questi estremi lembi, settentrionale ed orientale, della catena Alpina, vero ed eterno confine d’Italia" (Augusto Sandonà, L’irredentismo nelle lotte politiche e nelle contese diplomatiche italo-austriache, vol. I: 1866-1882, Zanichelli, Bologna 1932, p. 264).

L’Associazione aveva una duplice struttura una pubblica ed una clandestina, in effetti alla pubblicazione di bollettini periodici, pamphlet e strenne faceva riscontro un’attività clandestina finalizzata a tenere i contatti con i comitati delle province irredente. Tale attività sembrerebbe si svolgesse attraverso i contatti con le logge massoniche. Gli irredentisti vedevano nella guerra all’Austria non solo il fine ultimo per il raggiungimento dell’unità nazionale, ma principalmente, come enunciato dall’Imbriani in una corrispondenza pubblica, essi vi vedevano la prospettiva della “rigenerazione morale della nazione, la cui realtà politica e civile era giudicata deludente e non corrispondente alle idealità risorgimentali”.

Ma soprattutto tali aspirazioni guerrafondaie saranno disilluse dall’adesione dell’Italia alla Triplice nel 1882, nel corso di tali cambiamenti permaneva nel Regno una certa attività di carattere cospirativo e in tale contesto che avviene l’attentato contro Francesco Giuseppe da parte di Guglielmo Oberdan (1858-1882) che porterà prima all’arresto e poi alla condanna a morte ed all’esecuzione dello stesso Oberdan il 20 dicembre 1882. Oberdan diverrà quindi il “martire dell’irredentismo italiano” come si evince dalla nascita dei “Circoli Oberdan” di impostazione repubblicana ed irredentista. In Austria non piaceva l’atteggiamento tenuto in Italia dalla Sinistra, in particolare Depretis, il quale faticava a prendere posizione contro gli irredentisti, temendone ripercussioni negative per l’imminente tornata elettorale. Il cambiamento di rotta si ebbe a livello governativo dopo il discorso del ministro degli Esteri Stanislao Mancini che prese le distanze dal movimento irredentista accusandolo di inasprire i rapporti internazionali con l’alleato austriaco e di voler abbattere la monarchia sabauda in Italia. 

Francesco Crispi (1818-1901), non appena divenne primo ministro nel 1887, si diede da fare nel reprimere il movimento irredentista molto più che i suoi predecessori. Nel 1889 sciolse il Comitato per Trento e Trieste, mentre nel 1890 venne costretto alle dimissioni il ministro dalmata Federico Seismit-Doda per aver presenziato ad un banchetto ad Udine, durante il quale fu tenuto un brindisi contro la monarchia asburgica. Nonostante le misure repressive continuò l'attività clandestina, così che al XVII congresso delle società mazziniane, tenuto a Napoli dal 20 al 24 giugno 1889, erano presenti ben quindici circoli Oberdan e cinque circoli Bersanti, che nel 1890 furono sciolti dal Crispi. Nondimeno c'è da dire che l'attività irredentista o l'aspirazione alla totale unificazione nazionale, come osservato da Gaetano Salvemini (Scritti di politica estera, in Opere, vol. IV, Milano, Feltrinelli, 1970), non poteva essere totalmente sconfessata dai governi italiani, in quanto il principio nazionale da esso rivendicato era lo stesso fondamento del Regno d'Italia.

La speranza di una guerra all’Austria, verrà quindi, delusa fino al 1915 quando con l’intervento dell’Italia nella prima guerra mondiale veniva “finalmente dichiarata e combattuta” la guerra che avrebbe dovuto “rigenerare la nazione italiana”.



 

 

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