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N. 45 - Settembre 2011 (LXXVI)

Dalmazia & Venezia Giulia

dalla metà ottocento alla prima guerra mondiale - Parte II
di Nicola Ponticiello & Roberto Rota

 

Sulla problematica delle nazionalità presenti in Dalmazia e Venezia Giulia il dibattito storiografico diventa conflittuale, poiché le interpretazioni in merito all’appartenenza nazionale diventano oggetto di una vera e propria “guerra dei numeri”, riferite alla quantità e distribuzione degli individui appartenenti a nazionalità diverse. Da un punto di vista culturale e linguistico la Venezia Giulia risulta essere punto d’incontro-scontro per le lingue e culture latine, germaniche e slave. In effetti, per dirla con Guy Hermet, l’area si pone all’intersezione fra le tre macroaree culturali dell’Europa: quella occidentale, quella orientale e quella della mitteleuropa (Guy Hermet, Nazioni e nazionalismi in Europa, Bologna, il Mulino, 1997).


Riguardo alla rappresentazione etnico-nazionale la regione giuliana si presentava come una delle più controverse aree geografiche in Europa. L’area era caratterizzata dalla diffusione sul territorio di gruppi linguistici diversi che non aveva favorito una delimitazione omogenea delle aree nazionali, oltretutto la mera appartenenza linguistica non era sufficiente a definire la nazionalità. Infatti, il fenomeno della definizione etnico-nazionale s’innesta nelle più intricate e complesse manifestazioni di autorappresentazione dell’appartenenza individuale che va da quella di classe, di religione, di cultura le quali concorrono con l’appartenenza linguistica e con l’appartenenza storico-geografica della comunità, alla costruzione individuale del “senso di appartenenza ad una patria esclusiva” contrapposta all’altro, a ciò che è sentito come straniero.


Volendo dare una definizione del significato storico assunto dai termini di “nazionalità” e di “nazionalismo”, per comprenderne gli sviluppi e l’influenza avuta di tali concetti sulla società europea, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, si può fare riferimento alla spiegazione offerta da Guy Hermet.


Egli pone l’accento prima sul termine di nazione riferendosi al concetto moderno che esso ha assunto attraverso i passaggi di significato che lo stesso ha acquisito dal 1790 ad oggi, laddove al popolo è riconosciuta la dignità suprema, simbolica o reale che sia, ed alla nazione sono riconosciuti i suoi due volti: quello politico e quello culturale, spesso discordi. Fornendo una storia del termine di “nazionalità”, esso compare già nel Seicento in Spagna (nacionalidad) e in Inghilterra (nationality) entra poi in uso dalla seconda metà del XVIII secolo in Francia ad indicare la coscienza nazionale. Un significato abbastanza diverso assume al plurale, con il concetto delle nazionalità che indica l’aspirazione all’unità o all’indipendenza dei popoli senza uno Stato, al singolare passa ad indicare l’appartenenza legale di una persona ad uno Stato.


Quanto al termine “nazionalismo”, che sembra essere comparso per la prima volta in Francia nel 1798 esso comincia col connotare lo spirito rivoluzionario. Successivamente con Lamartine nel 1836 si riferisce al sentimento patriottico, quindi in Proudhon consegue una sfumatura peggiorativa o positiva a seconda che condanni l’aggressività delle nazioni esistenti (1849) o plauda all’aspirazione di quelle che cercano di costituirsi (1865); in ultimo fra il 1870 e il 1914 si fissa nell’accezione di particolarismo oltranzista associata spesso all’estremismo di destra.


Marina Cattaruzza (L’Italia e il confine orientale 1866-2006, Bologna, il Mulino 2007), riferendosi alla presenza di popolazioni di lingua e cultura italiana, nei territori dell’Alto Adriatico pone dei dubbi in particolare sull’esistenza o meno ed eventualmente in quale misura di una cultura unitaria italiana nei territori irredenti, fornendoci un’importante riflessione sul tema dell’appartenenza nazionale attraverso la citazione del saggio sull’irredentismo di Scipio Slataper uscito nel 1910 sulla “Voce” dove lo stesso affermava riguardo alle popolazioni delle terre giuliane:

‹‹Tagliate fuori dalla vita italiana – parlo sempre in generale – non hanno avuto quello scambio ricco di coltura che mescolava e già riuniva idealmente le varie parti d’Italia; e il principio del Risorgimento le ha trovate impreparate e disinteressate››.
(Scipio Slataper, Scritti politici, a cura di G. Stuparich, Milano, Mondadori, 1954, p .63)

A sostegno della tesi dello Slataper, nell’autunno del 1944 durante il secondo conflitto mondiale fu commissionato dal ministero degli Esteri ad Ernesto Sestan un documento sulla situazione delle “nazionalità” al confine orientale riportato da Raoul Pupo nel suo lavoro sull’esodo istriano (Raoul Pupo, Il lungo esodo Istria: le persecuzioni, le foibe, l’esilio, Milano, BUR storia, 2005), il documento di Sestan sostanzialmente affermava che:

‹‹Non era possibile l’accertamento delle nazionalità con criterio oggettivo in una regione misti-lingue dove l’appartenenza nazionale non era un fatto certo, indiscusso, d’immediata e indiscussa consapevolezza, come può credere chi è ignaro della situazione tutta peculiare della regione giuliana››.
(Ernesto Sestan, Venezia Giulia. Lineamenti di una storia etnica e culturale, ora pubblicato a cura e con postfazione di Giulio Cervini, Del Bianco, Udine 1997, pp. 183-187)

In effetti, non era possibile per un abitante della Venezia Giulia definire la propria nazionalità in modo esauriente, poiché questa in base a momenti storici diversi ed a particolari convenienze personali poteva essere di volta in volta ridefinita.

 

A questo punto nell’esaminare la diffusione dei gruppi nazionali nei territori giuliano-dalmati Marina Cattaruzza mette in rilievo come la distribuzione della popolazione italiana era prevalente nelle città di Trieste, Gorizia, Capodistria e Pola. Qui gli italiani costituivano la quasi totalità degli abitanti; erano poi concentrati in Istria occidentale, dove, in particolare lungo la costa, si riscontrava una certa continuità d’insediamenti. Erano presenti anche piccole comunità nell’Istria interna e una modesta quota nel resto della penisola dominata, da popolazione croata. Gli italiani costituivano oltretutto la quasi totalità di popolazione a Fiume ed a Zara in Dalmazia. Per Vanni D’Alessio (Vanni D’Alessio, Il cuore conteso. Il nazionalismo in una comunità bietnica. L’Istria asburgica, Napoli, Filema, 2004) la secolare divisione amministrativa tra Austria e Venezia ha coinciso con una diversità di condizioni geografiche e ambientali tra Istria costiera e interna, al punto da creare “due” istrie, quella veneta e quella arciducale, le quali divennero sinonimi di due mondi, con diverso grado culturale, e con lingue diverse.


La popolazione slava si distingueva invece tra sloveni e croati. I primi costituivano la totalità degli abitanti della Venezia Giulia (eccezion fatta per l’Istria) e della fascia costiera del litorale Adriatico che va da Duino ai sobborghi di Trieste, determinando, di fatto, un quadro discontinuo degli insediamenti italiani. I croati popolavano quasi totalmente l’Istria interna ed orientale, anche lungo la costa e nelle isole del Quarnaro, dove erano presenti quasi esclusivamente centri appartenenti al gruppo linguistico croato. Gli insediamenti croati oltretutto proseguono senza soluzione di continuità attraverso la campagna fiumana congiungendosi con gli insediamenti della Croazia propriamente detta.


Di fatto, la popolazione slava a differenza di quella italiana aveva una caratteristica di diffusione sul territorio dei propri insediamenti abitativi, soprattutto nelle campagne, che conferiva alle popolazioni slovene e croate un continuum etnico nelle regioni da loro abitate, sconosciuto agli italiani dell’area. In effetti, le città italiane erano delle vere e proprie isole linguistiche romanze in un mare slavo. Questo era evidente per Zara in Dalmazia, ma anche per Fiume e addirittura per Trieste. Tutto ciò enfatizzava bene le classiche dicotomie cui ha fatto spesso riferimento la storiografia italiana, come quella di città/campagna, e quella di fascia costiera/territori interni, in particolare per la penisola istriana e la Dalmazia, tali dicotomie di fatto descrivevano abbastanza bene la distribuzione dei gruppi linguistici nell’area.


La situazione della diffusione geografica dei gruppi linguistici alla vigilia del primo conflitto mondiale non rispecchiava in pieno e non soddisfaceva, quindi, le mire annessionistiche dei gruppi irredentisti italiani, che volevano riportare alla madre-patria le terre irredente popolate da supposti italiani che vivevano al di fuori del contesto dello Stato nazionale ma pur sempre entro i confini naturali della nazione italica.


Un aspetto non meno importante, oltre a quello distributivo, viene evidenziato da Raoul Pupo ed è quello relativo alla stratificazione sociale dei gruppi nazionali. In effetti, egli evidenzia come il gruppo italiano rappresenti una società completa, formata da una borghesia urbana e in Istria, da un’italianità rurale, costituita principalmente da piccoli proprietari terrieri, che al tempo stesso costituivano un elemento essenziale nei rapporti e nelle tensioni con l’elemento slavo. Inoltre Raoul Pupo pone in risalto come nei più “moderni” e maggiori centri urbani, quali Trieste e Fiume, quella tendenza ben viva fino alla seconda metà dell’Ottocento del fenomeno di assimilazione e italianizzazione spontanea (per motivi riferibili all’ascesa sociale) degli sloveni e dei croati si era esaurita.


Di contro stava invece avviandosi il processo opposto che aveva favorito il costituirsi di embrioni di borghesia urbana slava, capaci, in prospettiva di sfidare l’egemonia della classe dirigente italiana. Accanto alla realtà italiana, quindi, la società slava fra Ottocento e Novecento stava rapidamente crescendo per dimensioni, status e consapevolezza culturale e politica. Agli inizi del XX secolo gli sloveni ed i croati erano largamente maggioritari in Venezia Giulia (tranne l’Istria occidentale) e in Dalmazia, dove addirittura si stava formulando una identità propriamente dalmata a carattere regionale. Oltretutto era da tener presente che in particolare nelle aree urbane, a complicare il quadro delle nazionalità, vi era la presenza del gruppo nazionale tedesco dovuto ai quadri amministativi dell’Impero e questo costituiva un altro peculiare aspetto del popolamento mistilingue dell’Alto-Adriatico.



 

 

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