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N. 25 - Gennaio 2010 (LVI)

Contro la Humanae Vitae
teologi contestatori e morale sessuale della Chiesa

di Lawrence M.F. Sudbury

 

Partiamo da una semplice definizione: una “enciclica” (dal greco enkýklos, "in giro", "in circolo") è una lettera pastorale del Papa della Chiesa cattolica su materie dottrinali, morali o sociali, indirizzata ai Vescovi della Chiesa stessa, e, attraverso di loro, a tutti i fedeli.


Di per sé, una enciclica non è strumento di definizione dogmatica, formulata nei modi che attribuiscono alle risoluzioni pontificie, nel contesto della disciplina giuridica interna al mondo cattolico, il carattere dell'infallibilità. Il Pontefice se ne serve piuttosto per tracciare indicazioni pressanti, chiarire punti della Dottrina di cui le circostanze hanno evidenziato il rilievo o formulare giudizi su situazioni e problemi di particolare urgenza.


E’ però vero che, laddove è accentuato l'aspetto dottrinale, il messaggio di una enciclica è riconosciuto nondimeno dotato di intrinseca autorevolezza, frutto del rispetto dovuto al Magistero ordinario del Sommo Pontefice e della garanzia di autenticità che rivendicano gli atti solenni del suo ruolo di governo.


Insomma, in parole povere, pur non essendo un atto formale di governo ecclesiastico, in pratica ogni enciclica diventa un documento programmatico e normativo ineludibile per i fedeli.

Nel XX secolo, non sono state poche le encicliche che hanno aperto dibattiti anche accesi in seno al mondo cattolico, ma, probabilmente, nessun documento papale è mai stato discusso, analizzato e aspramente contestato come la Humanae Vitae di Papa Paolo VI.

Per comprendere le ragioni di ciò, dobbiamo tentare di contestualizzare storicamente e sociologicamente la sua redazione.
Siamo nel 1968, in un periodo di fermenti sociali, politici e culturali volti al cambiamento che non ha precedenti nella complicata storia del “secolo breve”: tutto deve cambiare e tutto sta cambiando, inclusa la morale sessuale. Siamo nel periodo dell’“amore libero”, del rifiuto dei legami matrimoniali e di ogni elemento sentito come “costrittivo” nei confronti di quelli che vengono vissuti come sentimenti ed istinti naturali e non imbrigliabili dalla ragione e dall’etica, da vivere in assoluta libertà.

è ovvio che, in questo panorama, la Chiesa dovesse intervenire per tentare di dare, proprio dal punto di vista morale, un po’ di ordine al caos imperante.
Lo fa, appunto, Paolo VI, il 25 giugno 1968, con la Humanae Vitae, riaffermando categoricamente alcuni principi di fondo, ma a molti, anche all’interno della Chiesa stessa, quello che doveva essere un freno verso tendenze troppo libertarie appare da subito una sorta di “prigione” di imperativi categorici ormai fuori dal tempo e dalla storia, assolutamente inadatti alla società corrente e atti unicamente ad allontanare le masse (in particolare quelle giovanili) dalla fede.
In sostanza, cosa afferma l’enciclica papale?


Di base, Paolo VI riafferma semplicemente la posizione tradizionale della Chiesa cattolica sul matrimonio e sui rapporti coniugali e condanna senza appello ogni di controllo artificiale delle nascite, anche sulla base dei risultati delle ricerche di due Commissioni papali e di numerosi esperti indipendenti su quest’ultimo argomento.


Già in passato i suoi predecessori, in particolare Pio XI, Pio XII e Giovanni XXIII, avevano molto insistito sugli obblighi dei coniugi alla luce del loro “rapporto di collaborazione” con Dio creatore: se il divieto per i Cristiani alla contraccezione e all'aborto risaliva agli scritti di Padri della Chiesa come Clemente Alessandrino e Sant’Agostino (e non era mai stata messo in dubbio fino alla “Conferenza di Lambeth” del 1930, in cui, subito seguita dalle altre principali Confessioni protestanti, la Comunione Anglicana aveva permesso la contraccezione in determinate circostanze), Pio XI, nella Casti Connubii, si era scagliato contro ogni forma di contraccezione e di pianificazione familiare non naturale, mentre Giovanni XXIII aveva addirittura istituito, nel 1963, una commissione di sei esperti non-teologi europei per riflettere sulle questioni del controllo delle nascite e della popolazione, che aveva finito per riconfermare le posizioni ecclesiastiche classiche.

Sulla scia di secoli di Magistero, dunque, Paolo VI vede i rapporti coniugali come molto più di una unione di due persone ma come il massimo grado di libera unione creatrice con Dio: le due persone creano un nuovo essere umano materialmente, mentre Dio porta a compimento tale creazione aggiungendo l'anima, in una sorta di partenariato divino, tale per cui non sono consentite arbitrarie decisioni umane che possano limitare la Provvidenza celeste e tale da risultare, pur nelle possibili difficoltà e nei possibili disagi di un rapporto coniugale, superiore a qualunque considerazione proveniente da discipline quali biologia, psicologia, demografia e sociologia.

All’interno di una coppia l’amore deve essere totale dono si sé, fonte di condivisione di ogni cosa e scevro da ogni indebita inferenza e da ogni sentimento egoistico.
Le circostanze possono imporre spesso che le coppie sposate debbano limitare il numero di bambini: in sé, l'atto sessuale tra marito e moglie è ancora degno anche se non sfocia in conseguenze procreative, ma esso deve “mantenere il suo rapporto intrinseco alla procreazione della vita umana”.

Di conseguenza, l’“interruzione diretta del processo generativo già iniziato” è ovviamente illegittima (e, dunque, l’aborto, anche per ragioni terapeutiche, è assolutamente vietato, così come la sterilizzazione, anche se temporanea), ma, allo stesso modo, anche ogni azione specificamente destinate ad impedire la procreazione (includendo in ciò sia l’uso di mezzi chimici che di metodi di barriera al concepimento) è vietata (tranne nei casi medicalmente necessari), essendo direttamente in contraddizione con l'ordine morale stabilito da Dio.

In questo quadro, i mezzi terapeutici che inducono l'infertilità sono ammessi (ad esempio, l’isterectomia) solo se non sono specificamente destinati a causare infertilità così come sono ammessi i metodi di pianificazione familiare naturali (l'astensione dai rapporti durante alcune parti del ciclo mestruale) essendo essi una “una facoltà prevista dalla natura”, ma nessun’altra deroga può essere concessa in materia di limitazione delle nascite.

Dal punto di vista morale, per altro, l’accettazione di metodi artificiali di controllo delle nascite comporterebbe una serie di effetti negativi, fra cui un generale “abbassamento degli standard morali” derivanti da una sessualità vissuta senza pensare alle sue conseguenze, il pericolo che gli uomini possono ridurre le donne ad essere un mero strumento per la soddisfazione dei propri desideri, l'abuso di potere da parte delle autorità pubbliche e un falso senso di autonomia dell’essere umano.

L’enciclica ha anche risvolti socio-politici di notevole portata:


- le autorità pubbliche dovrebbero opporsi alle leggi che minano il diritto naturale;
- gli scienziati dovrebbero studiare ulteriormente efficaci metodi di controllo naturali delle nascite;
- i medici dovrebbero familiarizzarsi con l’insegnamento della Chiesa per essere in grado di dare consigli ai loro pazienti;
- i Sacerdoti devono precisare in maniera chiara e completa l'insegnamento della Chiesa sul matrimonio.

Già in fase estensiva dell’enciclica Paolo VI riconosce le difficoltà di recepimento di un testo così definitivo, affermando che “forse non tutti facilmente accetteranno questo insegnamento particolare”, ma sottolinea come la Chiesa cattolica romana non possa “dichiarare legittimo ciò che è di fatto illegittimo”, dal momento che Essa si occupa di “tutelare la santità del matrimonio, al fine di orientare la vita coniugale in tutta la sua pienezza umana e cristiana”.

E, infatti, le reazioni alla pubblicazione della lettera papale furono immediate.
Lasciando anche da parte le prevedibili critiche dei governi comunisti dell’Est europeo (il governo della Polonia, ad esempio, dopo l’uscita dell’enciclica iniziò a promuovere l'aborto e il controllo delle nascite con maggior vigore, mentre, in Unione Sovietica, la “Literaturnaja Gazeta”, una pubblicazione di intellettuali vicini a PCUS, pubblicò addirittura un lunghissimo editoriale che includeva una dichiarazione ufficiale da parte di medici russi contro l'enciclica), furono in molti, anche nel mondo occidentale, a criticare aspramente il testo pontificio: l’Unione Luterana si dichiarò delusa dall’assunto papale, Eugene Carson Blake, leader della Chiesa Evangelica attaccò gli “obsoleti” concetti di natura e diritto naturale, che, a suo avviso, ancora dominavano la teologia cattolica, il presidente della Banca Mondiale Robert McNamara dichiarò ad una riunione del FMI che i Paesi che consentono pratiche di controllo delle nascite, avrebbero avuto accesso privilegiato alle risorse per lo sviluppo e, ovunque, Cattolici e non Cattolici si dimostrarono molto preoccupati per le conseguenze sociali e demografiche che gli insegnamenti cattolici avrebbero potuto avere (e le preoccupazioni si sono, naturalmente, più recentemente moltiplicate con la diffusione del virus HIV).

Anche all’interno dei ranghi ecclesiastici lo scontento per soluzioni che a molti sembravano improntate unicamente al più rigido conservatorismo non tardarono a farsi sentire.
Il Cardinal Suenens, ad esempio, subito chiese pubblicamente se la teologia morale avesse tenuto sufficientemente conto dei progressi scientifici nella determinazione di cosa fosse secondo natura e, nel 1969, arrivò a criticare la decisione del Papa come non collegiale e, anzi, anti-collegiale, ricevendo immediato sostegno da teologi del calibro di Karl Rahner e Hans Küng, e da diversi vescovi, tra cui Christopher Butler.

Il dissenso contro la Humanae Vitae, però, in qualche modo, si incarnò nel più attento teologo morale del ‘900, Bernard Häring, e nel suo discepolo Charles Curran.

Redentorista dall’età di 12 anni, missionario in Brasile, membro della Commissione preparatoria del Concilio Vaticano II e in seguito professore di teologia morale e sociologia pastorale all'Accademia Alfonsiana dal 1949 al 1987, Bernard Häring ebbe un lunghissimo contrasto con il Papato riguardo all’enciclica di Paolo VI.

Dopo essere stato segretario della Commissione redattrice della Gaudium et Spes, cioè della Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, Padre Häring aveva, infatti, elaborato un sistema che egli stesso aveva definito di “teologia morale esperienziale”, basato sulla sintesi rielaborativa del Magistero tradizionale riletto alla luce delle Scritture e ricontestualizzato nel quadro delle necessità delle società moderne, ponendosi, in questo modo, al polo ecclesiastico radicalmente opposto rispetto a quello rappresentato dallo spirito che aveva guidato la redazione della Humanae Vitae.


Non è, dunque strano che, già nel 1964, egli avesse, nel suo saggio “Theology and the Pill”, largamente circolato soprattutto negli Stati Uniti, apertamente sostenuto la liceità dell’utilizzo della pillola anticoncezionale a fini di controllo delle nascite (pur riconoscendo che la decisione finale dovesse competere al “Magisterium Ecclesiae”) né che, alla pubblicazione dell’enciclica di Paolo VI, immediatamente si schierasse nel campo degli oppositori, definendo il testo papale “inutilmente legalistico” e sostenendo gli interventi fortemente critici del suo discepolo Charles Curran (di cui si tratterà più estesamente in seguito) con dichiarazioni quali “Chiunque sia convinto che il divieto assoluto di mezzi artificiali di controllo delle nascite, come affermato dalla Humanae Vitae sia la corretta interpretazione della legge divina deve seriamente sforzarsi di vivere secondo questa convinzione. Chiunque, però, dopo seria riflessione e aver molto pregato è convinto che un tale divieto non possa essere conforme alla volontà di Dio dovrebbe seguire, con totale pace interiore, la sua coscienza e, quindi, non sentirsi un Cattolico di seconda classe” e, soprattutto in un breve ma densissimo scritto dal titolo emblematico: Love is the Answer, primo passo di quella serie di atti che lo porteranno, nel giro di pochissimi anni, a finire sotto processo della Congregazione per la Retta Dottrina (processo, per altro, mai concluso con una sentenza di condanna, anche a causa del tumore alla gola che, nel frattempo, aveva colpito Häring e che, dopo lunghissimo decorso, lo porterà alla morte nel 1998).

Fu, comunque, soprattutto il periodo successivo che vide una radicalizzazione delle posizioni di Häring e una loro sempre più forte divaricazione rispetto a quelle vaticane.
In particolare, in un testo del 1973 dal titolo Medical Ethics il teologo redentorista difese atti ritenuti assolutamente inconciliabili con la morale cattolica, quali la sterilizzazione, la fecondazione artificiale e la contraccezione, tutti visti come possibili strumenti di “paternità e maternità responsabili” e presentò un “parere” riguardante l’aborto (specificamente in caso di stupro) secondo cui, “prima del periodo tra venticinquesimo e quarantesimo giorno, l'embrione non può essere considerato una persona umana”. Nello stesso libro, tra l’altro, Häring affermò che in una società pluralista la Chiesa avrebbe dovuto smettere di discutere di questioni etico-mediche in termini religiosi e avrebbe dovuto cominciare a pensare in termini di bene comune, di giustizia verso i deboli e di tutela dei valori comunemente accettati.

Ovviamente, in queste affermazioni v’era già abbastanza materia per un biasimo ufficiale ma la vera e propria apertura del fascicolo processuale avvenne nel 1975, dopo la pubblicazione di un saggio sul “Western Catholic Report” in cui il teologo affermava che il divieto alla contraccezione era causa della diffusione delle pratiche abortive e che anche le leggi della Chiesa sul matrimonio e il divorzio avrebbero dovuto essere riviste, essendo unicamente causa di “sofferenze crudeli, soprattutto per i giovani”, provocate da una Sacra Rota che “vive nel peccato” e da conservatori militanti che “lottano stupidamente contro il cambiamento”.

A processo in corso, nel 1976, Häring attaccò nuovamente i “metodi naturali” di contraccezione, ritenendoli, in alcuni casi, addirittura causa di danni per il nascituro e di problemi sociali di estrema rilevanze, ma fu soprattutto qualche anno dopo, nel 1989, che la sua polemica contro la morale sessuale della Santa Sede riprese con estremo vigore, con un articolo su “Il Regno” in cui, attaccando ferocemente Monsignor Carlo Caffarra, posto da Papa Giovanni Paolo II a capo dell’“Istituto per gli Studi sul Matrimonio e la Famiglia” della Pontificia Università Lateranense, chiedeva a gran voce che la discussione sulla contraccezione venisse riaperta, ponendo termine ad una polarizzazione “catastrofica per la Chiesa”. In quello stesso articolo, il teologo morale sosteneva che l’enciclica del 1968 fosse solamente un dibattito sulla legittimità dei metodi contraccettivi artificiali rispetto a quelli naturali e che, in ogni caso, ciò che veramente conta non è che una coppia utilizzi l’uno o l’altro metodo, ma che gli sposi giungano alla decisione di trasmettere la vita in modo responsabile: in altre parole, secondo Häring, la moralità dell’atto non si basa sulla natura oggettiva dell'azione, ma sul processo soggettivo utilizzato da parte dell'interessato per arrivare alla sua decisione, tesi questa duramente attaccata nella risposta del Vaticano, apparsa sull’“Osservatore Romano” del 27 febbraio 1989, in cui si ribadiva che il fondamento della morale si basa sul giudizio oggettivo sull'azione, vista come “di per sé” giusta o sbagliata.

Infine, l’ultimo atto della disputa, si è avuta nel 1993, alla pubblicazione della Veritatis Splendor di Papa Giovanni paolo II, quando un Häring ormai già molto malato ma pur sempre combattivo ha messo in dubbio la competenza del Papa in materia di teologia morale e di etica sessuale e ha dichiarato: "Dobbiamo far sì che il Papa sappiamo quanto siamo feriti dai segni di una così radicata mancanza di fiducia nel genere umano”.

Dopo la morte di Häring, il comando del (cospicuo) nucleo dei prelati contrari alla morale sessuale corrente della Chiesa Cattolica è stato decisamente preso dal suo ex discepolo (all’Accademia Alfonsiana) Charles Curran anch’egli, come anticipato, da sempre critico verso l’enciclica di Paolo VI.

Anzi, era stato proprio Curran, nel 1968, ad “aprire le danze”, organizzando, a solo due giorni dalla pubblicazione della Humanae Vitae, un gruppo di teologi americani dissidenti e dichiarando pubblicamente che “le coscienze individuali dovrebbero prevalere in questioni tanto personali e private” come la sfera sessuale coniugale.

Di fatto, poi, essendo una figura sicuramente meno “imponente” e carismatica di Häring in campo teologico, Roma ha avuto un maggior agio di agire direttamente nei suoi confronti, così da renderlo una sorta di “martire della causa” della rivolta alla morale ecclesiastica e da fare della sua stessa vita una “bandiera della causa”.

Sacerdote dal 1958 per la diocesi di Rochester (New York) e giovane “Peritus” al Concilio Vaticano II, Curran viene, infatti, rimosso dal suo incarico di docente di teologia morale a tempo indeterminato presso l'Università Cattolica di America (CUA) nel 1967 proprio per le sue opinioni sul controllo delle nascite, ma il provvedimento viene revocato cinque giorni dopo a seguito di un imponente sciopero di tutti i docenti della sua facoltà che sostengono il suo “diritto di critica”. Il suo nome torna, però, alla ribalta già nel 1968 quando, a capo di un gruppo di circa 600 teologi, pubblica una durissima risposta alla Humanae Vitae.

Dopo quanto accaduto l’anno precedente, la Chiesa, pur aprendo un dossier sul suo comportamento, preferisce comunque non agire direttamente e Curran continua a insegnare e scrivere idee in aperto contrasto con l'insegnamento della Chiesa su varie questioni morali, compresi il sesso prematrimoniale, la masturbazione, la contraccezione, l'aborto, gli atti omosessuali, il divorzio, l'eutanasia e la fecondazione in vitro per tutti gli anni ’70 e ‘80.

Nel 1986, però, su precise disposizioni di Papa Giovanni Paolo II, la mano della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, retta dall’allora Cardinale Josef Ratzinger, è ben più pesante che negli anni ’70 e il teologo dissidente, al termine di un “processo” iniziato già nel 1979, viene definitivamente rimosso dalla Facoltà di Scienze della Catholic University of America, con la motivazione che per i suoi scontri con l’autorità della Chiesa egli non è “né adatto né idoneo a essere un professore di teologia cattolica”.

Curran risponde al provvedimento in due modi: in campo teologico, come ricorda nel suo successivo (2006) Loyal Dissent: Memoirs of a Catholic Theologian, afferma il principio che tutti i Cattolici possono dissentire ma, allo stesso tempo adeguarsi al Magistero del Papa, dei Vescovi e della Congregazione per la Dottrina della Fede, mentre, in campo sindacale, nel 1989 cita in giudizio la CUA per non aver seguito le procedure appropriate nel suo licenziamento ma, pur ottenendo il pieno appoggio della AAUP (Associazione Americana dei Docenti Universitari), perde la causa (anche se la CUA rimane, per questo episodio, a tutt’oggi una “istituzione censurata” dalla AAUP).

In seguito, dopo aver insegnato come “visiting professor” presso la Cornell University, ottiene una nuova cattedra (di “Valori Umani”) presso la Southern Methodist University di Dallas e da tale “pulpito” continua, pur avendo toccato la soglia dei 75 anni, la sua crociata per cambiare una morale che definisce “retriva, stupida, senza nessun contatto con la realtà effettuale e atta unicamente ad allontanare giovani e meno giovani dalla Chiesa di Dio”, cosa che fa perdurare il divieto pontificio all’insegnamento in qualunque università cattolica (tanto che, nel 2006, una sua prevista conferenza al St. Patrick's College di Maynooth ha dovuto essere cancellata per un diktat papale diretto).

In realtà, comunque, anche al di là di quella che è ormai una “crociata personale” di Curren (e, prima ancora, di Häring), le voci dissenzienti contro la Humanae Vitae sono ancora più che presenti e, anzi, provengono da figure sempre più eminenti della Chiesa.

Un esempio per tutti è dato dal Cardinal Carlo Maria Martini che, nel suo Conversazioni notturne a Gerusalemme. Sul rischio della fede del 2008 accusa l’enciclica di Paolo VI per aver prodotto “un grave danno” col divieto della contraccezione artificiale, cosicché: “molte persone si sono allontanate dalla Chiesa e la Chiesa dalle persone”.
A Paolo VI in particolare, l’ex Arcivescovo di Milano imputa d'aver celato deliberatamente la verità, lasciando che fossero poi i teologi e i pastori a rimediare adattando i precetti alla pratica, e scrive: “Io Paolo VI l'ho conosciuto bene. Con l'enciclica voleva esprimere considerazione per la vita umana. Ad alcuni amici spiegò il suo intento servendosi di un paragone: anche se non si deve mentire, a volte non è possibile fare altrimenti; forse occorre nascondere la verità, oppure è inevitabile dire una bugia. Spetta ai moralisti spiegare dove comincia il peccato, soprattutto nei casi in cui esiste un dovere più grande della trasmissione della vita”.

Martini ricorda poi che “dopo l'enciclica Humanae Vitae i vescovi austriaci e tedeschi, e molti altri vescovi, seguirono, con le loro dichiarazioni di preoccupazione, un orientamento che oggi potremmo portare avanti”, ma sottolinea come Giovanni Paolo II, abbia seguito “la via di una rigorosa applicazione”.

La speranza del Cardinale è nel futuro, quando afferma “Probabilmente il Papa non ritirerà l'enciclica, ma può scriverne una nuova che ne sia la continuazione. Sono fermamente convinto che la direzione della Chiesa possa mostrare una via migliore di quanto non sia riuscito alla Humanae Vitae. Saper ammettere i propri errori e la limitatezza delle proprie vedute di ieri è segno di grandezza d'animo e di sicurezza. La Chiesa riacquisterà credibilità e competenza”.

Certamente, all’interno della Chiesa Cattolica, si tratta di una speranza condivisa …
 


Riferimenti bibliografici:


K.A. Cahalan, Formed in the Image of Christ: the Sacramental-moral Theology of Bernard Haring, Glazier Inc. 2004
C. Curran, Catholic Social Teaching 1891-Present: A Historical, Theological, and Ethical Analysis, Georgetown University Press 2002
C. Curran, Loyal Dissent: Memoirs of a Catholic Theologian, Georgetown University Press 2006
B. Häring, Morality is for Persons: The Ethics of Christian Personalism, Farrar, Straus and Giroux 1971
B. Häring, Medical Ethics, St. Pauls 1973
B. Häring, Ethical Boundaries of Medical, Behavioural and Genetic Manipulation, St. Pauls 1975
B. Häring, My Hope for the Church: Critical Encouragement for the Twenty-First Century, Liguori Pubns 1999
P. Hebblethwaite, Paul VI, Paulist Press 1993
J.F. Kippley, Sex and the Marriage Covenant: A Basis for Morality, Ignatius Press 2005
C.M. Martini, G. Sporschill, Conversazioni Notturne a Gerusalemme. Sul Rischio della Fede, Mondadori 2008
G.B. Montini, Humanae Vitae, Editrice Vaticana 2008
M. Pelaja, L. Scaraffia, Due in una Carne. Chiesa e Sessualità nella Storia, Laterza 2008
M. Sevegrand, L'affaire Humanae vitae : L'Eglise Catholique et la Contraception, Karthala 2008
G. Weigel, Witness to Hope, HarperCollins 2001
G.J. Woodall, "Humanae Vitae" Forty Years on: A New Commentary, Family Publications 2008



 

 

 

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