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N. 21 - Settembre 2009 (LII)

QUANDO COSTANTINOPOLI RESISTETTE
LA PRIMA SCONFITTA MUSULMANA: 717-718 D.C.

di Cristiano Zepponi

 

Dopo la morte di Maometto, la comunità musulmana dovette lottare per la propria sopravvivenza di fronte al rischio di sfaldarsi.


Tuttavia, risolta la crisi di successione con la nomina di Abu Bakr, seguace e suocero del Profeta, al rango di califfo, Medina e i suoi alleati si poterono concentrare contro tutte quelle tribù arabe che avevano sfruttato la confusione del momento per riottenere l’indipendenza dalla confederazione maomettana.


La repressione della rivolta, in un certo senso, si fuse con la prima spinta espansionistica della neonata comunità di fedeli: nel 633 d.C., in seguito alla vittoria contro un’alleanza di riottosi ad al-Aqraba, le forze musulmane estesero il loro controllo all’Arabia orientale. Al contempo, gli alleati di Medina aumentarono la pressione nello Hadhramaut e nello Yemen (a sud), nel Bahrein e nell’Oman (a est), e poi ancora al di là delle frontiere imperiali, nell’Iraq meridionale e della frontiera siriana. Gli sconfinamenti, particolarmente utili per finanziare le campagne e reclutare nuove leve beduine, cominciarono a trasformarsi in occupazioni permanenti.

I bizantini, allarmati da tanto attivismo, tentarono di soffocare le razzie inviando una spedizione militare nella Palestina meridionale; eppure, riuscirono soltanto a trasformare le disorganizzate bande arabe in un esercito. Nella battaglia di Ajnadayn (634 d.C.), infatti, le loro forze furono duramente sconfitte dalle milizie musulmane, guidate da Khalid ibn al-Walid; stimolando, quel ch’è peggio, gli appetiti dei nuovi contendenti, definitivamente consacrati dalla vittoria, e ormai decisi a trasformare una serie di scaramucce locali in un’ambiziosa campagna militare a largo raggio.

Sull’onda dell’entusiasmo, gli arabi invasero dunque la provincia bizantina della Siria, solo per poco rallentati dalla resistenza delle città fortificate: tra il 636 d.C., anno della presa di Damasco, e i primi anni ’40 del secolo (quando caddero Cesarea e i centri settentrionali di Harran, Edessa e Nisibi), si registrò soltanto un’ininterrotta serie di successi arabi.
Toccò poi all’Egitto, l’ambito granaio d’Oriente, con i suoi cantieri navali, la cui conquista fu avviata autonomamente nel corso del 641 d.C. dal generale ‘Amr b. al-‘As concludendosi, con la caduta d’Alessandria, due anni dopo.

In quello stesso 643 d.C., peraltro, si registrò sul fronte nordafricano la caduta di Tripoli: in questo caso, tuttavia, la conquista della regione si protrasse più a lungo, e si sarebbe conclusa solo decenni dopo, intorno al 711 d.C.

L’impero bizantino, dunque, uscì da quel ciclo d’invasioni sensibilmente menomato; ma i dignitari d’Oriente, almeno, poterono festeggiarne la sopravvivenza. Non andò così bene all’impero sassanide, l’altro grande protagonista dello scacchiere arabico, che concluse definitivamente i suoi giorni.


Dopo la battaglia di Qadisiya (637 d.C.), infatti, i musulmani espugnarono la capitale Ctesifonte, costringendo ad una fuga precipitosa verso l’Asia interna l’ultimo imperatore (Yezdegered); ma anche in questo caso, dovettero aspettare diversi decenni per soggiogare la miriade di principati semindipendenti, spesso protetti da ostacoli naturali imponenti, che avevano un tempo formato l’impero sassanide. Dopo l’Iraq, nel corso degli anni ’40 – durante il califfato di Othman (644-656 d.C.) - furono occupati l’Azerbaigian e gran parte della Persia occidentale, comprese le città di Mosul, Nihawand, Hamadhan, Rayy, Isfahan; toccò poi alla regione del Fars, al Khuziastan, e infine all’Armenia e Al Khurasan, conquistato nel 654 d.C.

Una pausa seguì questo primo sforzo espansionistico; dopo alcuni decenni, tuttavia, la macchina bellica araba si rimise in moto.


Mentre proseguiva la lenta avanzata in Nordafrica, infatti, le forze musulmane penetrarono in Spagna (nel corso del 711 d.C.); al contempo, organizzarono una spedizione verso l’Anatolia; e quindi raggiunsero le capitali della Transoxiana, Bukhara e Samarcanda, rispettivamente nel 712 e nel 713 d.C.

Niente sembrava poter arrestare la marcia delle truppe arabe, facilitata dal malcontento delle popolazioni sottoposte al dominio bizantino-sassanide, dalla spossatezza dei due imperi, dall’emigrazione di grandi masse arabe nei loro vecchi domini.


Eppure, alcune spedizioni avevano fallito, gocce nell’oceano dei trionfi, il loro obiettivo: in particolare, le due campagne contro Costantinopoli, nel 660 e nel 668 d.C., risaltavano ancora di più per la loro unicità.


All’inizio dell’VIII secolo, dunque, la capitale dell’Impero d’Oriente risultava uno degli obiettivi principali della “seconda fase” dell’avanzata, dopo che una breve tregua aveva permesso alle forze arabe di riorganizzarsi a sufficienza, e di prepararsi (specie durante il califfato di Walid, tra il 705 ed il 715 d.C.) al nuovo tentativo.

In seguito alla morte del predecessore, toccò al califfo Solimano l’onere di ordinare l’attacco, nel 717 d.C. Dall’altra parte della barricata, invece, i bizantini – guidati, a partire dal 713, dall’imperatore Anastasio - avevano sfruttato la tregua per rimpolpare i ranghi dell’esercito; tuttavia, fu solo nel corso di quello stesso 717 d.C., e precisamente a partire dal mese di marzo, quando il generale Conone – meglio conosciuto come Leone Isaurico – succedette sul trono ad Anastasio, che gli imperiali cominciarono a raccogliere le provviste necessarie per fronteggiare l’assedio, a rimodernare le due cinte difensive che proteggevano Costantinopoli, a disporre le misure d’emergenza richieste dalla gravità del momento.

Solimano nominò a capo delle sue forze Muslama, e gli affidò un esercito certamente notevole (secondo alcuni, di 80.000 uomini; ma si conosce l’affidabilità di tali stime), che avrebbe dovuto assaltare il lato rivolto verso la terraferma della città – quello occidentale – mentre una flotta musulmana avrebbe provveduto ad ostacolare i rifornimenti per gli assediati, sia bloccando i Dardanelli – e dunque, l’accesso al Mediterraneo – sia ripetendosi nel Bosforo, a nord – ostruendo la via del Mar Nero.

Nel luglio del 717 d.C., dunque, Muslama avanzò attraverso l’Ellesponto e marciò su Costantinopoli; una parte delle truppe, per sicurezza, fu distaccata ad Adrianopoli, da dove avrebbe dovuto tenere sott’occhio le mosse dei Bulgari, che in quella tenzone fungevano da elemento esterno e imprevedibile.

La storia dell’assedio, in quei mesi, è abbastanza lineare: dopo un primo assalto frontale, malamente respinto dalle fortificazioni bizantine, Muslama ripiegò su una tattica d’attesa sul fronte terrestre. Concentrò dunque le sue attenzioni sulle operazioni marinaresche, che – sole - avrebbero potuto causare la capitolazione della città; e dunque, attenendosi ai piani, dispose una parte della flotta presso lo stretto dei Dardanelli, proseguendo con l’altra squadra verso il Bosforo.

Leone III, pur rivestendo i panni d’imperatore, non aveva dimenticato quelle virtù guerresche che ne avevano propiziato la carriera e infine l’ascesa al trono, dimostrate soprattutto negli anni in cui aveva detenuto il controllo del distretto (theme) anatolico; e ne fece mostra sfruttando l’attimo d’impaccio vissuto dalle imbarcazioni musulmane durante la traversata, allorchè una corrente inattesa ne disorganizzò la formazione.

 

A quel punto, infatti, l’imperatore ordinò d’abbassare la catena che proteggeva il Corno d’Oro, il porto principale della città, e d’affrontare la marineria araba prima che potesse schierarsi per la battaglia. La sorpresa, unitamente all’utilizzo da parte della flotta bizantina d’una miscela misteriosa (secondo la descrizione di Edward Gibbon in “Storia della decadenza e della caduta dell’impero romano”, vol. VI, “sembrerebbe che l’ingrediente principale […] fosse la nafta, o bitume liquido, un olio leggero, viscoso e infiammabile che sgorga dalla terra e prende fuoco al minimo contatto con l’aria […] mescolata […] con zolfo e pece estratta dall’abete sempreverde. Da questa mistura, che esplodendo con fragore produceva un fumo denso, veniva generata una fiamma violenta e ostinata che non solo si levava perpendicolarmente verso l’alto, ma bruciava con uguale intensità colando verso il basso o spargendosi all’intorno; l’acqua, invece di estinguerla, sembrava nutrirla e stimolarla”), passata alla storia col nome di fuoco greco, decretò la sconfitta della forza navale musulmana, costretta a ritirarsi lasciando libero l’accesso alla “porta settentrionale” e ai porti del Mar Nero.

A questa battuta d’arresto si sommò poi la notizia della morte del califfo Solimano; inoltre, le truppe di terra incaricate di mantenere l’assedio conobbero la sventura d’affrontare un inverno – quello fra il 717 ed il 718 d.C. – tra i più freddi del periodo. Si può facilmente immaginare il disagio causato agli arabi, addestrati ed abituati alle sabbie desertiche, da una persistente gelata nevosa; e si può allo stesso modo aggiungere che – come i fanti si ritrovavano congelati – le cose non andavano meglio per i rifornimenti ed i rinforzi, impossibilitati a raggiungere l’esercito accampato fuori dalla città.

Le speranze musulmane, alla fine, s’appuntarono su una replica – organizzata nella primavera del 718 d.C. - della spedizione navale tentata mesi prima, con l’obiettivo d’ostacolare le vettovaglie destinate a Costantinopoli e provenienti dal Mar Nero.
Stavolta, memori delle esperienze precedenti, i comandanti arabi ordinarono di superare il Corno d’Oro di notte; ed in effetti, finalmente, centinaia d’imbarcazioni riuscirono a prendere posizione sull’Ellesponto, mettendo seriamente a rischio la sicurezza della città.

Ancora una volta, le speranze degli abitanti – e dell’imperatore Leone – furono affidate alla flotta bizantina, le cui operazioni furono sensibilmente facilitate dalla diserzione d’un gran numero di cristiani copti, arruolati forzatamente sui legni musulmani, impazienti di riferire ai bizantini ogni particolare sui piani e la posizione delle forze avversarie.
L’attacco bizantino, sferrato a giugno, colse completamente di sorpresa lo schieramento arabo: il fuoco greco, ed il contemporaneo ammutinamento della maggioranza dei copti rimasti a bordo delle galee musulmane, causarono la distruzione semi-totale del distaccamento nord; al contempo, un’altra sortita contro le forze arabe disposte lungo il litorale asiatico del Mar di Marmara riscosse analogo successo.

Leone, intuendo le possibilità del momento, seppe anche giocare la carta diplomatica: inviò ambasceria ai Bulgari, convincendo re Tervel ad assalire da ovest le forze islamiche; a luglio del 718 d.C., dunque, il distaccamento arabo a protezione di Adrianopoli fu sconfitto, e le forze di Muslama si ritrovarono attaccate alle spalle, subendo pesanti perdite. Infine, cominciò a circolare la voce che l’esercito franco – all’epoca celebre e temuto - stesse convergendo su Costantinopoli per sostenere lo sforzo dei correligionari bizantini.

Era troppo, per le provate truppe del deserto: a quel punto il califfo Omar, che non brillava di certo per iniziativa militare, ordinò il ripiegamento dell’armata.
Il 15 di agosto dell’anno 718 d.C., dunque, Muslama e i suoi voltarono le spalle alle mura di Costantinopoli. La città rimase sede del potere religioso, politico ed economico dell’Oriente cristiano; avrebbe atteso sette secoli, per ospitare la mezzaluna islamica.

Ironia della storia, i musulmani – che s’auguravano almeno d’aver scampato lo scontro con gli scudi franchi - rimandarono l’appuntamento di soli quindici anni: l’avrebbero incontrati, dall’altra parte dell’Europa, sul campo Tours.
Un’altra sconfitta – la seconda, grande sconfitta delle forze musulmane; e insieme, l’assedio di Costantinopoli e la battuta d’arresto di Tours – unite da un filo invisibile – avrebbero definitivamente tracciato i limiti dell’espansione islamica in Occidente, che non avrebbe mai superato il solo Mediterraneo meridionale.



 

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