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N. 4 - Settembre 2005

IL COMPORTAMENTO DI ROMA NEI CONFRONTI DELLE CIVITATES DI SICILIA
Le civitates immunae ac liberae – Parte III

di Francesco Cristiano

 

Alla luce di queste riflessioni, proviamo a trarre alcune conclusioni sul ruolo che le civitates immunes ac liberae svolsero all’interno del sistema provinciale romano, prendendo come esempio l’antica Halaesa Archonidea (odierna Tusa, provincia di Messina), città che, in età ciceroniana, in tale sistema appare del tutto inserita:

 

· Decumanizzazione del suo ager quando a coltivarlo fosse un forestiero.

 

· Le non irrilevanti sanzioni frumentarie ed aderative cui Halaesa era sottoposta (frumentum imperatum, frumentum in cellam).

 

· La fornitura di navi, equipaggi e vettovagliamento per la flottiglia siciliana messa a guardia delle coste.

 

· Autonomia dell’amministrazione e rispetto delle tradizioni locali della città (libertas).

 

Presumibilmente tra la fine della prima guerra punica e l’inizio della seconda, Halaesa venne nominata civitas immunis ac libera e tale privilegio vantava ancora all’epoca di Verre (Cic. Verr. III  6, 13). In questo periodo, l’onore in cui era tenuta la nostra città è ben evidenziato da Cicerone:

 

Siciliae civitates multae sunt, iudices, ornatae atque honestae, ex quibus in primis numeranda est civitas Halaesina; nullam enim reperietis aut officis fideliorem aut copii locupletiorem aut auctoritate graviorem (Cic. Verr. III  73, 170). [a. Klotz, f. Schoell, o. Plasberg, M. Tullius Cicero. Orationes in Verrem, Leipzig 1923-1949²]

 

"Vi sono in Sicilia, giudici, molte città belle e importanti, tra le quali va annoverata fra le prime la città di Halaesa; non ne troverete una più scrupolosa nell’adempimento dei suoi doveri, o più ricca di risorse o più importante per prestigio".[Trad. di  g. Bellardi, Le orazioni di M. Tullio Cicerone, Torino, I, 1978]

 

L’auctoritas a cui fa riferimento l’oratore deriva indubbiamente dal titolo onorifico accordato alla città da Roma, quello di essere, cioè, civitas immunis ac libera. L’immunitas riguardava la prima decuma e concerneva la terra se coltivata da un abitante di Halaesa (Halaesini agros immunes liberosque arant… Cic. Verr. II  69, 166). Gli aratores Halaesini erano esenti dall’obbligo di versare allo stato il 10% dell’intero raccolto. Il pagamento di questa tassa che, a differenza di Halaesa e delle altre sette civitates (rispettivamente le tre foederatae e le quattro rimanenti immunes ac liberae) ricadeva sul territorio della maggior parte delle città siciliane (quelle perciò dette “decumane”), avveniva in natura. In particolare imponeva il versamento di un decimo del raccolto di grano (decuma tritici) e d’orzo (decuma hordei) ed un’imposta (probabilmente anche questa una decima) sul vino, l’olio e gli ortaggi.

 

Halaesa non era immunis dalle c.d. alterae decumae: tali erano per la città il frumentum emptum/imperatum ed il portorium. I produttori alesini, infatti, pur esenti dalla prima decuma, avevano, però, verso Roma il dovere di versare una seconda decuma (frumentum emptum, cioè “acquistato”), e se questo non bastava si ricorreva ad un’altra requisizione (frumentum imperatum, cioè “ordinato”). Verre aveva imposto ad Halaesa la requisizione di 60.000 moggi di grano all’anno (Cic. Verr. III  73, 170-173). Rifiutando come cattivo il frumento alesino, Verre pretese poi, al posto del grano, una somma di denaro corrispondente al prezzo di mercato del grano in Sicilia che, era fissato a tre sesterzi e mezzo al moggio. Nello stesso tempo, avendo ammassato grosse quantità di frumento a titolo di decime, Verre mandava a Roma il dovuto quantitativo di frumento prendendolo dalle provviste che aveva a sua disposizione. Di conseguenza il denaro dello Stato, che doveva essere versato alle città per il frumento, si trasformava in un totale profitto per lui. Dai documenti ufficiali di Halaesa, Cicerone apprese che “Halaesinos sestertios quinos denos dedisse…” (…gli Alesini diedero a Verre 15 sesterzi per medimno… Cic. Verr. III  73, 173), un prezzo davvero alto se si pensa che in quel periodo “neminem in Sicilia pluris frumentum vendidisse” (loc. cit.).

 

Halaesa versava inoltre il portorium. Così era chiamato il dazio del 5% che si esigeva sopra il valore delle merci che entravano o uscivano dai porti dell’isola. Tale imposta era denominata “vicesima portorii” o anche “sex publica” (Cic. Verr. II  70, 171; III  71, 167), probabilmente dai sei distretti in cui si riscuoteva e tra i quali viene menzionata anche Halaesa. Doverosa è un’altra considerazione sull’immunitas di Halaesa.

 

All’epoca della seconda guerra punica, durante l’assedio di Siracusa, il Proconsole Marcello convocò le milizie ausiliarie delle città suddite ed alleate di Roma. Silio Italico che fa un catalogo di tutte le città che si segnalarono con questi soccorsi, nomina la nostra Halaesa (Venit, ab amne trahens nomen, Gela; venit Halaesa… Sil. It. Punic. Lib. XIV, 218).

La possibilità di fornire uomini, navi e vettovaglie ai Romani, oltre a costituire per Halaesa un pretium pacis (tale si rivelava infatti l’assenza di presidi militari romani all’interno delle sue mura) deve aver in primo luogo contribuito alla sua immunitas in agrorum vectigalium ratione.

 

La libertas era, indubbiamente, l’altra importante prerogativa di cui godeva la nostra città. L’opinione di chi ha voluto intendere il termine libertas come un’ulteriore specifica dell’immunitas (S. Calderone), o  ha considerato i due termini come qualificanti un unico privilegio (J.L. Ferrary), o ha proposto una loro inversione nel tentativo di modernizzare la formula (E. Badian), deve in ogni caso tener conto che essa non aveva sicuramente lo stesso contenuto in tutte le città privilegiate. Ognuna aveva la propria posizione, suscettibile di evolversi, e che risultava dai suoi rapporti con Roma e dalle condizioni della sua annessione.

Relativamente ad Halaesa, è un dato di fatto che la libertas consisteva nel pieno rispetto dell’autonomia e delle tradizioni locali della città. Gli abitanti di Halaesa continuavano a godere, nei rapporti interni di diritto privato, del loro ordinamento in termini di ius civile. La Libertas comportava innanzi tutto una indipendenza dalla giurisdizione dei magistrati provinciali: la città, cioè, non dipendeva dal pretore provinciale ma era governata dai propri magistrati. Questo è quanto si ricava da Cicerone: 

Halaesini pro multis ac magis suis maiorumque suorum in Rem publicam nostram meritis atque beneficis suo iure nuper, L. Licinio Q. Mucio consulibus, cum haberent inter se controversias de senatu cooptando, leges ab senatu nostro petiverunt (Cic. Verr. II  49, 122). [a. Klotz, f. Schoell, o. Plasberg, M. Tullius Cicero. Orationes in Verrem, Leipzig 1923-1949²]

 

Gli abitanti di Halaesa che per molti grandi meriti e benefici loro e dei loro antenati nei confronti del nostro stato godevano di una legislazione propria, poco tempo fa, sotto il consolato di L. Licinio e Q. Mucio, essendo sorte tra loro delle controversie sul modo di elezione dei senatori, chiesero delle norme al nostro senato. [Trad. di  g. Bellardi, Le orazioni di M. Tullio Cicerone, Torino, I, 1978]

 

L’episodio si riferisce al 95 a.C., quando i cittadini di Halaesa erano coinvolti in numerose discordie e lotte intestine. Il motivo era costituito dall’elezione di quei membri che dovevano formare il senato (de senatu cooptando). Giovani e non nobili si impegnavano ad ottenere queste cariche quantunque si trovassero le porte sbarrate da vecchi e nobili. Affinché si smorzassero i torbidi, si decise pertanto di rimettere la decisione di queste controversie al senato di Roma. Quest’ultimo inviò il pretore C. Claudio Pulcro, al quale venne affidato il compito di elaborare i nuovi criteri che dovevano regolare la composizione del senato. Claudio Pulcro, dopo aver consultato i Marcelli, allora patroni della Sicilia, seguendo il loro parere, diede agli Alesini le norme che comprendevano numerose disposizioni relative all’età (de aetate), che non doveva essere inferiore ai 30 anni, alla fonte di guadagno (de quaestu), con esclusione di coloro che avessero esercitato determinati mestieri (non poteva essere eletto senatore chi viveva del proprio lavoro), al censo (de censu), e a tutti gli altri requisiti: “disposizioni tutte che rimasero in vigore prima del governo di costui, grazie all’autorità dei nostri magistrati e con pieno consenso degli Alesini (Halaesinorum summa voluntate… Cic. Verr. II  49, 122).

 

Tutto questo costituisce una prova a sostegno della tesi che Halaesa, civitas libera, fosse esente dalla giurisdizione del pretore provinciale: se così non fosse che motivo avevano gli Alesini di ricorrere al senato romano? Se Halaesa fosse stata soggetta all’autorità del pretore, già  prima di averne ordine dal senato Claudio Pulcro si sarebbe impegnato a quietare quelle discordie. La restituzione della pace sociale fu considerata, anche successivamente, un tal prezioso contributo che si ritenne, dal Torremuzza in poi, che al pretore C. Claudio Pulcro fosse stata dedicata una statua togata, quella che, oggi mutila e corrosa, si conserva nelle stanze del Municipio di Tusa.

 

Ma la libertas consisteva pure nell’aver libera, gli Alesini, l’elezione del loro senato e dei loro magistrati. Per raccogliere documenti originali e testimonianze di prima mano da poter utilizzare nel processo contro Verre, l’azione investigatrice di Cicerone si esplicò attraverso contatti diretti con le autorità locali delle diverse comunità siciliane. L’oratore fu dunque ad Halaesa, ed in questa occasione conobbe l’alesino Enea, “homo summo ingenio, summa prudentia, summa auctoritate praeditus”, il quale era stato incaricato dal senato di informare Cicerone dei fatti che riguardavano il processo (Cic. Verr. III  73, 170-171). La menzione di Enea, cittadino di Halaesa, come colui al quale il senato aveva assegnato quest’incarico ufficiale, rivela come nel senato l’elezione dei membri era libera: Enea era di Halaesa e non di Roma.

 

Halaesa viveva pertanto con le proprie leggi, il che significa che non era regolata dallo ius romanus, ma da quelle leggi con le quali si era governata anche prima della venuta dei Romani. Per Roma, del resto, era utile servirsi dei magistrati cittadini: la provincia doveva essere amministrata ed era comodo che i cittadini delle comunità siciliane vivessero secondo le loro consuetudini e come meglio potevano.

 

 

  Riferimenti bibliografici:

 

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G. L. Castelli di Torremuzza, Dissertazione sopra una statua di marmo scoverta nelle rovine dell’antica città di Alesa, Palermo 1749

S. J. De laet, Portorium, Ètudes sur l’organisation douanière chez les Romaines, Bruges 1949, (rist. New-York 1975).

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Vedi anche: IL COMPORTAMENTO DI ROMA NEI CONFRONTI DELLE CIVITATES DI SICILIA (II) - Le civitates immunae ac liberae



 

 

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