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N. 3 - Agosto 2005

IL COMPORTAMENTO DI ROMA NEI CONFRONTI DELLE CIVITATES DI SICILIA
Le civitates immunae ac liberae – Parte II

di Francesco Cristiano

 

I meriti e i privilegi che Roma concesse alle città della Sicilia non furono che la conseguenza immediata della loro deditio in fidem p.R. Attraverso tale atto, che aveva le caratteristiche di un “contratto verbale”, con scambio contestuale di domande e risposte, generalmente si poneva fine alla guerra. I suoi effetti giuridici consistono nel trasferire al potere romano tutti gli elementi giuridici della sovranità e della collettività politica. La deditio è stata definita da S. Calderone “un atto stipulato liberamente… tra due comunità pubbliche in quanto tali, concluso con la partecipazione formale della volontà dell’una e dell’altra delle parti contraenti, sostenuto dall’assunzione di obbligazioni reciproche”. Essendo, comunque, la volontaria sottomissione di una città al potere romano differente dalla resa in guerra, ben diversamente poteva concepirsi il rapporto che si istituiva tra la comunità dediticia e Roma. I Romani si erano resi conto che sicuramente più proficuo sarebbe stato per loro considerare le città dell’isola non come nemici da annientare, ma come elementi potenziali del loro stato. La città che se dedit in fidem p.R. doveva essere fisicamente risparmiata e giuridicamente lasciata in stato di libertà. La sua posizione giuridica e il suo assetto tributario erano fissate in ragione del suo comportamento verso Roma nelle guerre precedenti.

 

Nell’ordinamento imposto alla Sicilia, prima provincia di Roma, cinque città vengono riconosciute come immunes ac liberae:

 

…quinque praeterea sine foedere immunes civitates ac liberae, Centuripina, Halaesina, Segestana, Halycensis, Panhormitana…

[a. Klotz, f. Schoell, o. Plasberg, M. Tullius Cicero. Orationes in Verrem, Leipzig 1923-1949²]

 

…inoltre cinque città non federate immuni e libere, Centuripe, Halaesa, Segesta, Alicie, Palermo…

[Trad. di g. Bellardi, Le orazioni di M. Tullio Cicerone, Torino, I, 1978]

 

Nel tempo numerosi studiosi hanno provato a spiegare il significato e le implicazioni dei due termini indicati da Cicerone in riferimento a questa categoria di città.

 

Agli inizi del 900, A. Holm definisce le civitates liberae atque immunes (con l’inversione dei due termini rispetto alla formula che si ritrova in Cicerone) come quelle città che, “pur non essendo garantite da un vero e proprio trattato di alleanza, godevano tuttavia l’autonomia e l’immunità”.

 

Nel 1916, G. De Sanctis ritiene “parziale” l’autonomia di cui godevano queste città. Essa, infatti, poteva revocarsi o menomarsi ad arbitrio di chi l’aveva concessa. Lo studioso considera poi che le città libere ed immuni, ridotte a cinque dopo la seconda punica, saranno state probabilmente in numero maggiore al tempo della pace di Lutazio (241 a.C.).

 

Nella sua “Storia di Roma”, L. Pareti ritiene che che le condizioni di favore di queste città derivano da “benemerenze e funzioni speciali di quei centri che dovettero essere riconosciuti fin dal 241”. In questa data, infatti, le cinque città dovevano apparire già liberae et immunes e non esse sole; in queste condizioni dovevano essere, normalmente, tutte le città datesi volontariamente a Roma nel 263 e rimaste, in seguito, fedeli. Di conseguenza l’iscrizione alle varie categorie di città dovette variare, secondo lo studioso, almeno due volte nel corso del III secolo: la prima volta, quando nel 227, la Sicilia divenne provincia; la seconda, quando dopo la sconfitta di Siracusa, nel 210, fu data dal console Levino una nuova sistemazione generale all’isola.

 

La questione dell’origine delle civitates immunes ac liberae è stata oggetto di studio da parte di E. Badian nel 1958. Lo studioso è dell’avviso che il numero delle città immunes ac liberae di Sicilia che si sarebbero trovate in queste condizioni prima delle rivolte della II guerra punica, sarebbe stato di molto superiore alle cinque dei tempi di Cicerone. Sulla base di quest’ipotesi, E. Badian ha proposto di alzare la data d’inizio dell’applicazione da parte di Roma del concetto di civitas libera, fissata comunemente al 196 a.C., ai tempi della prima guerra punica. Per quanto concerne il concetto di libertas, secondo E. Badian, la dichiarazione di essa, illimitata nei primi tempi (sull’esempio della libertà grecamente intesa), deve considerarsi un privilegio concesso ad alcune città siciliane sulla base di un rapporto di ‘clientela’, di un rapporto cioè che, come nel diritto pubblico dei cives romani lega il cliente al patrono, così ora, sul piano del diritto pubblico internazionale, lega le città datesi in fidem populi Romani al patronato di Roma.

 

Delle civitates immunes ac liberae e dei problemi relativi all’uso dei due termini in Cicerone, si è occupato S. Calderone nel 1964. Lo studioso è d’accordo con E. Badian sul fatto che la deditio completata dalla receptio in fidem comportava in ogni caso l’instaurarsi di un rapporto di clientela pubblica. Ma se questo accadeva in tutti i casi di deditio/receptio in fidem, compresi quelli delle città della sicilia (40 secondo Liv. XXVI 40, 14), bisognerebbe chiedersi, secondo S. Calderone, perché mai solo cinque di esse sarebbero state dichiarate liberae. Ciò non può desumersi dalle fonti che sono mute al riguardo. Al contrario esse c’informano che le città datesi in fidem p.R. vennero poste nelle stesse condizioni formali in cui si trovavano i socii italici. Dopo la presa di Siracusa, Marcello provvide a dare un nuovo assetto alle città di Sicilia, dilaniate dopo la guerra siracusana:

 

Qui ante captas Syracusas aut non descriverant aut redierant in amicitiam ut socii fideles accepti cultique (Liv. XXV 40, 4).

 

L’affermazione liviana è emblematica. Secondo S. Calderone essa fornirebbe la classificazione romana delle città datesi in fidem: si tratta di socii, non di civitates liberae. I Romani, quindi, passati in Sicilia non abbandonarono l’antico sistema dei socii. Critico è anche lo studioso circa l’esatta posizione dei due termini che qualificano tale categoria di città: immunes civitates et liberae è la formula corretta, quella usata da Cicerone e non liberae et immunes come si legge sempre tra i moderni.

 

Tale inversione avrebbe un significato non trascurabile: non tanto la libertas quanto l’immunitas era il carattere distintivo di queste città, il più importante concreto privilegio che distingueva, quindi, la posizione di Halaesa e delle altre rispetto alle rimanenti città dell’isola. Il fatto, poi, che in Cicerone queste città siano dette, oltre che immunes, anche liberae, non avrebbe - per S. Calderone - grande importanza: “immunes esse erano, e per ciò stesse anche liberae”. Lo studioso considera pertanto la libertas delle cinque città come il principale risultato della loro immunitas: liberae dall’imposta, dall’antico tributo della decuma, che aveva costituito per anni il segno della soggezione a Cartagine o a Siracusa. La libertas altro non era se non uno ‘slogan’ propagandistico: ogni qual volta era possibile, i Romani cercavano di salvaguardarla con clausole specifiche che, alla fine, si rivelavano semplici espedienti propagandistici. Dunque una “vuota parola” - dice S. Calderone – un concetto che la classe romana applicò non tanto a città veramente greche ma a città d’impianto anellenico, anche se fortemente ellenizzate: “siculo come Halaesa e Centuripe, elymo come Segesta ed Alicie, punico come Panormo”.

 

Un contributo rilevante è stato dato alla tematica negli ultimi vent’anni. Nel 1988, J.L. Ferrary sulla base di alcune osservazioni, ha avanzato seri dubbi sulla teoria di E. Badian e di S. Calderone.

A parte Cic. Verr. III 6, 13, in nessun altro contesto le città in oggetto vengono ricordate come liberae; anzi neanche civitates immunes ac liberae. L’immunitas e la libertas andrebbero viste non da un punto di vista politico generale ma dal punto di vista tributario, ossia solo “exempt et libre de taxes”. Una conferma si avrebbe - per lo studioso - da Cic. Verr. II 69, 166 in cui i due aggettivi immunis e liber sono riferiti, nello stesso ordine, agli agri e non alle civitates liberae e che pertanto la data di nascita di tale categoria di città andrebbe spostata nel tempo (167 a.C.).

 

In un articolo pubblicato nel 1993, M. Genovese ha riproposto il problema nell’ottica tradizionale. Per lo studioso non sono emerse in dottrina perplessità degne di nota sull’attendibilità della notizia fornita da Cicerone riguardo alle civitates immunes ac liberae. Quanto agli ordini contributivi, lo studioso, ritiene praticamente certa la loro esenzione da regolari prestazioni tributarie sotto forma di decuma. Dall’altro lato sottolinea, però, che i cittadini delle comunità immuni, se conducevano o possedevano in altre città fondi adibiti alla produzione agricola erano regolarmente soggetti alla decima e che anche relativamente ai territori delle città immuni avveniva un regolare appalto della decima, cui erano obbligati solo i coltivatori non-cittadini (incolae) della comunità immune.

 

Ultimamente, il problema della condizione delle civitates immunes ac liberae è stato oggetto di studio da parte di A. Pinzone il quale si è “riaccostato” al paragrafo 6, 13 della de frumento ciceroniana “nella speranza di apportare utili se non definitivi contributi”. Per lo studioso il momento instaurativo del rapporto giuridico formalmente inteso che legava le civitates a Roma, andrebbe fatto risalire agli anni della prima e della seconda guerra punica, al momento in cui cioè le città si videro fissato un rapporto stabile con Roma rimanendovi fedeli in futuro. Discutibile per A. Pinzone la traduzione della formula immunis ac libera data da E. Badian (“libera e, in particolare, esente da tasse”) per l’arbitraria inversione dei termini quali appaiono in cicerone nel tentativo di modernizzare la formula a quella successivamente attestata (civitates liberae atque immunes). Contestabile anche la tesi di J.L. Ferrary: la sua traduzione della formula immunis ac libera con “exempt et libre de taxes” comporterebbe - secondo A. Pinzone – una fastidiosa ed inutile ripetizione (esente e libera) quando gli aggettivi sono riferiti al medesimo tema, gli obblighi tributari.

 

I due termini, invece, potrebbero essere letti come qualificanti due privilegi diversi benché legati da probabili rapporti causa-effetto. Solo così si eviterebbe quell’inutile ridondanza che si produce qualora i due termini vengano riferiti allo stesso tema. Lo studioso osserva che i due aggettivi immunis e liber sono riferiti agli agri e non alle civitates in un contesto (Cic. Verr. II 69, 166), mentre poi in un’altra situazione risulta che il privilegio dell’esenzione dalle decumae non riguardava l’ager delle cinque città, bensì i cives, i cittadini di quei centri (Cic. Verr. III 40, 91).

 

Pertanto l’immunitas era fruibile solo sul territorio della propria città. Sembrerebbe quasi che Cicerone voglia dire che le cinque città hanno gli stessi privilegi delle foederatae (sia pure per atto unilaterale) e naturalmente la libertà politica, quale ne sia in quel momento l’effettivo contenuto. Il concetto di libertas appare allo studioso abbastanza controverso: forse era il principale risultato della loro immunitas - come ritiene S. Calderone – o forse può riferirsi al contesto storico? A. Pinzone osserva, infatti, che non solo le cinque città interessate ma anche le città decumane erano libere e, come tali, i loro cittadini venivano gratificati, al pari di quelli appartenenti alle civitates immunes ac liberae, del nome di socii. I termini socius e socii sono estesi a tutte le città siciliane da quando i Romani misero piede, per la prima volta, in Sicilia. Quindi una sorta di “accomodamento”, di compromesso che non prevedeva la stipula di un trattato, fu lo strumento utilizzato dai Romani per fare scattare gli aiuti sul piano militare. “Socii de facto senza foedus” - dice A. Pinzone - liberi (probabilmente dai Cartaginesi), autonomi, ma comunque socialmente obbligati a fornire ai Romani aiuti militari e soprattutto frumento. Pertanto ciò che distingueva le cinque città immunes ac liberae dalle decumane non era la libertas (libere erano tutte) ma appunto l’immunitas dalla fornitura del frumentum. Per tutto il resto anche le cinque città immunes avevano i loro munera.

 

Vedi anche: IL COMPORTAMENTO DI ROMA NEI CONFRONTI DELLE CIVITATES DI SICILIA - L'organizzazione provinciale – Parte I



 

 

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