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filosofia & religione


N. 32 - Agosto 2010 (LXIII)

"Sui Iuris"

gli altri Cattolici
di Lawrence M.F. Sudbury

 

Spesso, se ci capita di pensare alla globalità del corpus Cristiano, la prima idea che ci viene alla mente è che tutto l'insieme della Cristianità sia suddiviso in tre grandi rami: quello cattolico, quello ortodosso e quello riformato-protestante.

 

Si tratta, ovviamente, di una immagine mentale giustissima, fino a che rimaniamo a questo primo livello di categorizzazione.

 

Se, però, proseguiamo nel tentativo di creare una sorta di mappa delle varie Denominazioni, la situazione più comune è quella di vedere la Chiesa Cattolica e la Chiesa Ortodossa come due macro-organizzazioni unitarie a differenza della Chiesa Riformata, suddivisa in decine di Confessioni differenti.


In realtà, le cose non stanno esattamente così: se, di per sé, una visione di questo genere ha un senso in relazione agli Ortodossi (sebbene, ad una disamina più attenta, sarebbe possibile operare dei "distinguo" anche all'interno di questa famiglia), essa perde completamente di significato in riferimento al Cattolicesimo.

 

Ciò che, infatti, i più tendono a ignorare o a dimenticare è che la Chiesa Cattolica, lungi dall'essere monolitica, è, in effetti, composta da qualcosa come ventitre denominazioni (secondo alcuni, tenendo conto di piccolissime realtà ormai pressoché estinte, venticinque-ventisei) differenti, ciascuna con una propria storia, proprie gerarchie e proprie ritualità distinte (sebbene, come vedremo, raggruppabili in alcune suddivisioni fondamentali).

 

La ragione di una così comune "dimenticanza" è, essenzialmente, dovuta ad una questione puramente numerica: circa il 98,7% degli oltre 1.150 milioni di Cattolici, infatti, si riconosce in un'unica Denominazione, quella Latina (comunemente nota, soprattutto nel mondo anglosassone, come "Romano-Cattolica") che, pur adottando in alcuni casi, per altro anche qui estremamente minoritari, Riti diversi rispetto a quello del "Missale Romanorum" (Rito Ambrosiano a Milano, Rito Mozarabico in alcune zone della Spagna, Rito di Braga nella città portoghese, Riti monastici cistercensi, carmelitani, domenicani, etc.), forma un corpo unico, soventemente confuso con il Cattolicesimo "tout court".

 

Se, però, pensiamo che quel misero 1,3% di "Cattolici non latini" non solo rappresenta qualcosa come 16 milioni di fedeli ma, soprattutto, rappresenta, nella maggioranza dei casi, quella fetta di Cristianità che più di ogni altra vive "in prima linea" la contrapposizione tra la propria Fede e quelle di un mondo circostante culturalmente (quando non anche fisicamente) ostile, risulta ben chiara la necessità di una indagine un po' più approfondita sulla ragioni dello sviluppo di un numero così notevole di Denominazioni differenti, comunemente definite "Chiese Orientali".

 

Partiamo da una definizione un po' più chiara.

 

Che cosa è una Chiesa cattolica orientale?

 

Secondo la definizione tenuta presente nel documento conciliare Orientalium Eccesiarum, una Chiesa cattolica orientale è quella parte della Chiesa in Oriente che, pur con Liturgie e Riti diversi da quelli della Chiesa latina (o occidentale) che ha il suo centro a Roma, aderisce alle stesse Verità dottrinali di quest'ultima e riconosce lo stesso Sommo Pontefice, iscrivendosi, di conseguenza, all'interno della Cattolicità universale.

 

La nascita di tali Chiese, che di norma vengono suddivise in cinque famiglie principali legate ai Patriarcati d'origine, tradizionalmente viene fatta risalire alle predicazioni di diversi Apostoli e Discepoli. Così, dalla predicazione di San Marco ebbe origine la Chiesa di Alessandria (o di Rito Alessandrino), oggi ramificata nella Chiesa Copto-Cattolica e nella Chiesa Cattolica Etiope; dalla predicazione di San Matteo (e, ancora precedentemente, di San Giacomo a Gerusalemme) la Chiesa di Antiochia, suddivisa in Chiesa di Rito Antiocheno Occidentale (comprendente la Chiesa Maronita e la Chiesa Siro-Cattolica) e Chiesa di Rito Antiocheno Orientale (Chiesa Cattolico-Caldea), oltre che, con l'influenza della predicazione di San Tommaso in oriente, le due Chiese cattoliche indiane (Chiesa Cattolica di Malankara, di Rito occidentale e Chiesa Cattolica Malabarita di Rito Orientale); dalla predicazione dei Santi Taddeo e Bartolomeo derivò la Chiesa Cattolico-Armena e, infine, dalla predicazione di Sant'Andrea, la Chiesa di Costantinopoli, di Rito bizantino che, su influenza dell'autocefalia tipica della Chiesa Ortodossa di quell'area, si frazionò su base territoriale in numerosissime realtà locali che, a tutt'oggi, formano la gran parte delle Confessioni orientali (Chiesa Melchita, Chiesa Greco-Cattolica, Chiesa Rutena, Chiesa Cattolica Ucraina, Chiesa Cattolica Bielorussa, Chiesa Cattolica Russa, Chiesa Cattolica Ungherese, Chiesa Cattolica Rumena, Chiesa Cattolica Slovacca, Chiesa Cattolica Bulgara, Chiesa Italo-Albanese, Chiesa Cattolica Albanese, Chiesa Cattolica dell'Eparchia di Krizevci).

 

L'origine tradizionale legata alle diverse discendenze apostoliche è, naturalmente, quasi leggendaria: dal punto di vista più prettamente storico le ragioni di sviluppo di un numero così alto di Denominazioni sono legate strettamente alle vicende che hanno colpito e diviso il Cristianesimo.

 

All'inizio del IV secolo tutta la Cristianità, sebbene sviluppatasi localmente con diverse forme liturgiche a seconda delle modalità di ricezione evangelica e del substrato culturale su cui tale ricezione aveva luogo, poteva considerarsi unita in termini dottrinari e di riconoscimento della supremazia morale del Vescovo di Roma ma, nel tempo, il Cristianesimo primitivo stava sempre più soffrendo per i numerosi disaccordi relativi alla interpretazione della natura e della divinità di Cristo e alla comprensione del mistero trinitario.

 

Dopo i primi due Concili di Nicea e Costantinopoli (per altro non privi di divisioni poi storicamente riassorbite) è al Concilio di Efeso del 431 che ha luogo la prima grande frattura che avrà conseguenze nello sviluppo delle Chiese "sui iuris", con la condanna della dottrina nestoriana che enfatizzava la natura umana di Gesù (ritenendo la persona Gesù il tempio che custodiva la natura divina del Cristo) e la conseguente scissione della fazione perdente, che faceva capo al Vescovo Giovanni di Antiochia e che andò, nel V secolo, a formare la Chiesa Assira.

 

Il successivo Concilio di Calcedonia del 451 portò ad ulteriori e più gravi fratture con la condanna del monofisismo (cioè della teoria riguardante la natura unicamente divina di Cristo) e la secessione, in realtà più politica (sulla base della mancata partecipazione di loro rappresentanti alle sessioni) che teologica (la divergenza teologica da tempo è stata considerata come un frutto unicamente di una incomprensione terminologica), delle Chiese Orientali: Copti, Armeni e Siro-Ortodossi.

 

Infine, l'ultima grande spaccatura che, in seguito, determinerà lo sviluppo delle Chiese "sui iuris" fu il "Grande Scisma d'Oriente" del 1054, anch'esso di origine politica più che teologica, con il ritiro del riconoscimento della supremazia romana da parte del Patriarca Michele I Cerulario e la reciproca scomunica tra Vescovo di Roma e Vescovo di Bisanzio.

 

Da questo momento in poi, ogni sviluppo di una nuova Chiesa Cattolica non è fondamentalmente altro che un atto di riunione con Roma, normalmente a seguito dell'intensa attività di evangelizzazione dei Latini tra 1500 e 1800, di una frazione di quelle Chiese che se ne erano precedentemente distaccate.

 

Il primo "ricongiungimento" ha luogo nel 1551, proprio da parte di un nucleo dei primi "scissionisti": dopo che un editto del 1450 aveva stabilito che i Patriarchi della Chiesa nestoriana dovessero tutti provenire dalla stessa famiglia, a distanza di circa cento anni un gruppo di influenti fedeli, non accettando la nomina del nipote del Patriarca precedente, scelse come guida spirituale il monaco Yuhanna Sulaga il quale, con l'aiuto dei numerosi missionari francescani giunti nell'area mesopotamica, venne inviato prima a Gerusalemme e poi a Roma, dove venne riaccettato in seno al Cattolicesimo e riconosciuto come primo Patriarca Uniate dell'est.

 

Circa quarant'anni dopo, nel periodo 1595-96, fu un gruppo di Ortodossi di Rito russo-bizantino a riunirsi con la Santa Sede: già nel 1438-39, al Concilio di Firenze, si era parlato di riconciliazione con le Chiese Ortodosse e la predicazione di missionari cattolici, unita alle pressioni del sovrano polacco Sigismondo III portò, nell'arco di qualche decennio, il Patriarca Michele Ragoza a chiedere ed ottenere, con la cosiddetta Unione di Brest-Litovsk, il riconoscimento romano che portò alla nascita delle Chiese Uniate di Ucraina e, a effetto domino, di Bielorussia, Rutenia e, via via, di altri Paesi slavi che, come accennato, mantennero comunque, pur rientrando nella gerarchia vaticana, l'autocefalia che fino a quel momento le aveva caratterizzate in ambito ortodosso.

 

Se ciò portò alla riunione di una parte importante del gruppo slavo-bizantino, il ramo bizantino occidentale vede, nel 1729, la nascita di una delle più importanti Chiese "sui iuris", quella Melchita, per una questione a metà strada tra disputa politica e visione teologica: nel 1724 viene eletto come vescovo greco-ortodosso (cioè della Chiesa allora globalmente definita melchita, "realista", per la sua fedeltà all'imperatore bizantino) di Antiochia Cirillo VI Tanas, notoriamente filoccidentale.

 

La cosa non è gradita al Patriarca Geremia III di Costantinopoli che gli contrappone il monaco Silvestro di Antiochia, in una guerra tra fazioni che porta Cirillo a chiedere e ottenere da Papa Benedetto XIII il riconoscimento della propria validità apostolica e, conseguentemente, a formare una Chiesa che continua a definirsi "melchita" (definizione che per gli altri Greco-Ortodossi decade) e che entra in piena comunione con Roma.

 

Per quanto riguarda i ricongiungimenti di parti delle cosiddette "Chiese Monofisite", possiamo, più che altro, parlare di decisioni autonome di singoli Vescovi che si "portarono dietro" gruppi di fedeli.

 

In ordine di tempo, il primo è, nel 1741, il Vescovo copto di Gerusalemme, Anba Atanasio che, convertitosi al Cattolicesimo, viene nominato Vicario apostolico da Papa Benedetto XIV per la piccola comunità di seguaci che formerà il primo nucleo della Chiesa Copto-Cattolica (dalla quale, in parallelo alla formazione di un autonomo Patriarcato Copto-Ortodosso etiopico nel 1959, sorgerà, nel 1961, la Chiesa Copto-Cattolica etiopica come Metropolia a parte).

 

L'anno seguente (1742), è sempre Papa Benedetto XIV a nominare un ex Vescovo armeno-apostolico, Abraham Adzivian, convertitosi al Cattolicesimo, nuovo Patriarca di Cilicia degli Armeni e guida spirituale della Chiesa Armeno-Cattolica, le cui basi erano già state gettate, nei secoli precedenti, dall'opera di missionari giunti nella zona, mentre bisognerà attendere fino al 1782 perché i Siriaco-Cattolici, già ufficiosamente esistenti da parecchi anni sempre grazie alla predicazione missionaria, trovino nel Metropolita Michele Jarweh di Aleppo un alto prelato convertito che aprirà la linea apostolica del Patriarcato Siro-Cattolico.

 

La situazione è, più o meno, analoga anche per le Chiese indiane, entrambe nate come derivazioni orientali di Chiese ortodosse (quella Siriaca per quella di Malankara e quella Caldea per quella malabarita) da cui sono germogliate delle fazioni cattoliche (per altro, la Chiesa di Malabar è, al momento, la Chiesa cattolica con il più alto tasso di espansione al mondo).

 

Eccettive rispetto a tutte quelle elencate in precedenza sono due Chiese orientali che, tecnicamente, non possono essere definite "uniate", semplicemente perché non si sono mai distaccate da Roma ma, semplicemente, sono crescite "a parte": quella maronita e quella italo-albanese. La prima traccia le sue origini a partire dalla comunità fondata dal monaco siriano San Marone nel IV secolo sulle montagne tra Libano e Siria, mentre la seconda, nata ben prima del Grande Scisma, rimase fedele a Roma e la sua autonomia venne sancita (non senza qualche problema iniziale) con la nascita, nel 1573, sotto Papa Gregorio XIII, della cosiddetta "Congregazione dei Greci".

 

Oggi, le Chiese "sui iuris", la cui cura è, in Vaticano, riservata alla "Congregazione per le Chiese Orientali", sono suddivise in sei Chiese Patriarcali (Armeni, Caldei, Copti, Maroniti, Melchiti e Siriaci) e tre Chiese Arcivescovili maggiori (Ucraina, Siro-Malankarese e Siro-Malabarese), nelle quali l'elezione della guida spirituale avviene in forma interna e sinodale e solo in seguito viene ratificata dal Papa (e da qui il nome di "Chiese Sinodali"), tre Chiese Metropolitane, nelle quali la scelta del Metropolita viene effettuata dal Papa tra tre candidati scelti dai Sinodi locali, e nove Chiese che seguono la prassi gerarchica "normale" (con un Vescovo inviato da Roma) ma che mantengono leggi proprie e particolari e che, nella maggior parte dei casi, sono formate da una sola diocesi.

 

In linea generale, è proprio questa, come dice il loro stesso nome, la caratteristica peculiare delle Chiese "sui iuris": esse hanno una propria disciplina e propri costumi che, non senza momenti di frizione con una Chiesa latina che, in particolare tra XVIII e XIX secolo, ha tentato forme più o meno forti di "colonizzazione culturale" terminate solo, grazie anche alle nette prese di posizione di alcuni Patriarchi Orientali, con il Concilio Vaticano II, sono rimasti propri e peculiari dei singoli Corpi giuridici.

 

Probabilmente le differenze più evidenti sono quelle relative alla ritualità della Messa, che non solo viene celebrata, come normale ovunque dopo la riforma del Messale di Papa Paolo VI, in lingua volgare (o in lingua liturgica altra rispetto al latino, come nel caso dell'aramaico usato dai Siriaci o del greco antico di alcuni Riti Bizantini) ma che riguarda anche aspetti di centrale importanza quali l'amministrazione dell' Eucaristia ai fedeli di entrambe le forme di pane e del vino, l'uso di pane lievitato, il Battesimo per immersione, l'inchinarsi dalla vita in su con un gesto del braccio invece di genuflettersi davanti il Santissimo Sacramento, etc.

 

Di fatto, l'utilizzo di queste diverse ritualità è un elemento storico assolutamente naturale: in particolare durante il periodo delle persecuzioni e a causa della difficoltà di comunicazione, la varietà delle pratiche era la cosa più comune.

 

Solo quando la Chiesa ha raggiunto una miglior grado di organizzazione le pratiche sono diventate sempre più uniformi, fino all'ottenimento di una quasi totale omogeneità nel 1570, con la pubblicazione del Messale Romano. Le comunità più isolate (come quella Maronita), più legate a sistemi culturali differenti (come gli Italo-Albanesi) e, soprattutto, provenienti da tradizioni altre (greche, caldee, copte, slave etc.) avrebbero dovuto, in un processo di uniformità, snaturare le proprie basi tradizionali, finendo per spiazzare i propri fedeli e ciò sarebbe sicuramente stato controproducente per l'attività apostolica stessa, così come recentemente ribadito anche da Papa Benedetto XVI che ha dichiarato: "I cristiani orientali dovrebbero essere i cattolici, non c'è bisogno che diventino Latini" .

 

Da qui, il mantenimento di Liturgie differenti che, a grandi linee, rispecchiano i principali nuclei storici da cui le varie Chiese "Sui Iuris" sono scaturite: le Chiese di origine bizantina hanno mantenuto come base liturgica il Rito modificato di San Giacomo, che ha preso il nome di Rito Basiliano, di San Giovanni Crisostomo o, nella sua versione tradotta per il mondo slavo, Rito Ruteno; gli Armeni hanno mantenuto (ovviamente con minimi cambiamenti legati alla teologia cattolica), il Rito di San Gregorio l'Illuminatore, proprio anche della Chiesa Armeno-Apostolica; le Chiese di derivazione Antiochena hanno, invece, mantenuto inalterato (nella maggioranza dei casi, come si accennava, anche linguisticamente) il rito aramaico primigenio (o rito di San Giacomo), mentre, infine, le Chiese Copte di tradizione africana hanno rispettato l'antichissimo Rito di San Marco (in antico copto o in arabo) sviluppato all'interno della scuola alessandrina.

 

L'essere "sui iuris", inoltre, comporta per queste denominazioni un certo grado di autonomia giuridica che permette loro di non sottostare al Codice di Diritto Canonico ma di poter adottare proprie regole organizzative autonome, pur all'interno di una ovvia dogmaticità relativa a Dottrina, Fede e Morale e nell'ambito di una sorta di "legge quadro" data dal "Codice dei Canoni delle Chiese Orientali" (ultima edizione del 2007). Così, ad esempio, i giorni di precetto hanno una notevole flessibilità, andando dai sei della Chiesa latina agli oltre venti della Chiesa Uniate Ucraina e le festività possono cadere in giorni differenti, come accade, tipicamente, per le Chiese di derivazione bizantina che tradizionalmente continuano a festeggiare il Natale il 7 gennaio come all'interno dell'Ortodossia.

 

Infine, una particolarità piuttosto appariscente riguarda la questione del celibato ecclesiastico. Se nella Chiesa latina esso è stato introdotto stabilmente a partire dal Concilio di Elvira del 313, nelle Chiese "sui iuris" l'accettazione di tale norma è stata molto scarsa e, sempre in linea generale, resta in vigore, con piena accettazione vaticana, la regola propria di numerose Chiese ortodosse tale per cui è possibile avere Clero sposato nel momento in cui, all'atto dell'Ordinazione, il futuro presbitero abbia già moglie. Nel caso, però, l'ordinando sia celibe, una volta sposato non potrà più sposarsi e anche in caso di un presbitero sposato che diventi vedovo, questi non potrà più prendere moglie. Resta comunque, come regola fondamentale di tutte le Chiese orientali, che nessun Presbitero sposato possa accedere alle nomine vescovili e, ovviamente, tantomeno patriarcali.

 

In realtà, si potrebbe essere tentati di pensare a questo insieme di piccole Chiese come ad una specie di curiosità storica, un retaggio un po' curioso del passato o di culture troppo differenti da quella latina per essere con essa completamente commistionate nonostante basi teologiche comuni.

 

Sarebbe, però, come accennato, una banalizzazione inaccettabile: non solo queste Chiese mantengono vive tradizioni secolari se non millenarie, ma, proprio per la loro particolare natura "di confine" si trovano spesso ad essere l'avanguardia del Cattolicesimo in situazioni di estrema difficoltà.

 

Basterebbe anche solo pensare al tributo di sangue pagato dagli Uniati ucraini o romeni durante il periodo sovietico, con un duplice fronte di attacco rappresentato dal materialismo marxista da un lato e dall'Ortodossia dall'altro, per rendersi conto dell'eroismo ai limiti (e spesso oltre tali limiti) del martirio dei fedeli cattolici di queste Confessioni.

 

Ma, per restare all'oggi, è sufficiente leggere qualunque giornale per comprendere quanto sia differente essere un Cristiano cattolico a Mossul, nelle zone interne dell'Egitto, in Medioriente o nel sud dell'India rispetto a quella che può essere la nostra esperienza quotidiana nei Paesi occidentali.

 

Quando, magari al prossimo Sinodo o alla prossima celebrazione solenne trasmessa in televisione, ci capiterà di vedere alcuni alti Prelati vestiti in modo particolare e per noi curioso, forse, allora, dovremmo pensare al coraggio e alla Fede dei milioni di fedeli che essi rappresentano ...

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Elli,Breve Storia delle Chiese Cattoliche Orientali, Terra Santa 2010

J.D. Faris, The Eastern Catholic Churches: Constitution and Governance, St Maron Pub. 1992

E. Faulk, 101 Questions and Answers on Eastern Catholic Churches, Paulist Press 2007

G.B. Montini (SS. Paolo VI), Orientalium Ecclesiarum, Ed. Vaticana 1964

J.L. Roccasalvo, The Eastern Catholic Churches: An Introduction to Their Worship and Spirituality, Liturgical Press 1992



 

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