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N. 40 - Aprile 2011 (LXXI)

I cenotes
le acque sacre ai maya

di Giulia Gabriele

 

La parola cenote arriva direttamente dalla lingua dei Maya: dzonot, cioè ‘acqua sacra’. Queste meraviglie naturali sono doline carsiche (delle ‘conche’ formatesi in seguito al crollo del tetto calcareo a causa dell’infiltrazione di acqua piovana), che i Maya utilizzavano per i loro rituali ma anche per l’approvvigionamento dell’acqua.

 

Ed è nella regione dello Yucatan che si trova la maggior concentrazione di cenotes, poiché se è vero che è un territorio pressoché privo di risorse idriche superficiali, è al contempo caratterizzato da un sottosuolo calcareo poroso, che ha permesso la formazione di questi cunicoli sotterranei. È quindi facile comprendere l’importanza sociale che per i Maya avevano queste grotte di origine pleistocenica.

 

La vita geologica di un cenote attraversa quattro stadi. Il primo, detto di ‘caverna’, costituisce la nascita del cenote: l’acidità dell’acqua presente nel terreno discioglie la calcite, l’elemento principale del calcare, rendendolo friabile. Il secondo è detto di ‘cenote giovane’ in cui il soffitto calcareo collassa parzialmente, lasciando l’interno della caverna esposta agli agenti atmosferici. Il terzo, detto ‘cenote maturo’, vede l’accumularsi dei detriti che rendono meno profonda la grotta. E il quarto e ultimo è detto di ‘cenote asciutto’: il cenote si riempie completamente di detriti permettendo la crescita di piante anche ad alto fusto.

 

E se si parla di cenotes non si possono non nominare le antiche città maya di Chichén Itzá e Tulum.

 

Osservando la piantina della prima si notano due cenotes: il Cenote Sagrado (‘Cenote sacro’) e il Cenote Xtoloc detto ‘Cenote civile’. Il primo (60 metri di diametro e 20 metri di distanza tra il suolo e il pelo dell’acqua) era usato dagli Itzá (i “maghi dell’acqua”), la popolazione predominante nel nord dello Yucatan, per i riti sacrificali al dio della pioggia Chaac, ma anche per interrogare gli dèi. Il secondo, invece, ormai difficilmente riconoscibile a causa della fitta vegetazione che lo ricopre, è più probabile che fosse la vera e propria fonte di approvvigionamento idrico della città.

 

Per i Maya i cenotes erano porte d’ingresso per il mondo sotterraneo, motivo per il quale è facile trovare, vicino a essi, edifici adibiti al culto e alla purificazione. Nelle adiacenze del Cenote Sagrado, per esempio, vi è una struttura detta il “Bagno di Vapore”, che presumibilmente veniva utilizzata per i riti purificatori prima dei sacrifici umani, che gli Itzá compivano o in periodi di siccità o per chiedere lumi circa l’annata che sarebbe venuta: se nel primo caso venivano sacrificati degli uomini; nel secondo, all’alba, a essere gettate in acqua per conto dei possidenti del paese, erano le donne che, se sopravvivevano, a giorno fatto venivano salvate in modo che potessero raccontare quello che gli spiriti, che dicevano di aver visto nelle profondità del cenote, avevano risposto loro.

 

Nel 1904, poi, il professor Edward Thompson (Università di Harvard), dragò il cenote e vi scoprì, oltre a oggetti preziosi (dagli inizi del Novecento ne sono stati rinvenuti circa 4000), anche scheletri di bambini di età compresa tra i 18 mesi e gli 11 anni.

 

Per quanto riguarda Tulum (costa caraibica dello Yucatan), sicuramente il suo fiore all’occhiello è il sistema di grotte allagate chiamato Dos Ojos (‘Due occhi’), il cui nome deriva da due cenotes ‘gemelli’, collegati da una stessa caverna (visti dall’alto sembrano due occhi).

 

La sua esplorazione, cominciata nel 1986 proprio dai due cenotes ‘gemelli’ e non ancora terminata, fino al 2008 ha potuto documentare una rete di grotte sotterranee lunga almeno 61 chilometri, con non meno di 25 cenotes a fare da ingressi (sinkhole in inglese). Dos Ojos è un sistema di grotte anchialine che presentano dei collegamenti attraverso i quali l’acqua del mare può miscelarsi con quella dolce (piovana) dei bacini, ed è proprio in questo sistema che si trova il Cenote Pit, il più profondo dello stato di Quintana Roo (118 metri). In questo sistema di grotte si può fare snorkeling e vengono organizzate anche delle visite subacquee, entrambe le attività rese spettacolari dalla purezza delle acque (depurate naturalmente dalla pietra calcarea) e piacevoli dalla temperatura media di 25°C.

 

Alcuni cenotes, poi, sono ricchi di una fauna e di una flora di acqua dolce (ma anche, vicino alla costa, di mare come i dentici) a rischio di estinzione: il pesce cieco dello Yucatan, l’anguilla cieca, i bivalvi, le spugne, il plancton, ecc. In una caverna del Dos Ojos sono stati avvistati addirittura dei pipistrelli.

 

Per i Maya i cenotes erano grotte dalle acque sacre nelle quali trovare risposte, e un mezzo per ringraziare (e ingraziarsi) gli dèi. Per noi, uomini di oggi, sono una meraviglia della Natura venuta da lontano, dal turchese ingenuo e ignaro della fine di quel popolo che per secoli ne ha rispettato il mistero.


 

 

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