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N. 35 - Novembre 2010 (LXVI)

Cavour e la politica italiana del Risorgimento
Uno statista d’altri tempi

di Alba Giordano

 

Ambizioso, carismatico, statista d’eccezione e liberale per antonomasia, il Conte Camillo Benso di Cavour, figlio cadetto di un’antica e nobilissima famiglia di marchesi piemontesi, nacque a Torino il 10 agosto 1810.

 

Inizialmente, si dedicò alla vita militare divenendo ufficiale dell’esercito, successivamente fu tra i seguaci della Giovine Italia, proclamandosi contrario alla politica dell’allora sovrano Carlo Alberto, guadagnandosi, invece, successivamente, la fiducia del successore Vittorio Emanuele II; ben presto, tuttavia, non condividendo in pieno le idee dei sostenitori di quel movimento a cui poco prima aveva aderito, decise di concedersi un lungo viaggio in Europa e, per quattro anni, visitò la Francia, la Svizzera e la Gran Bretagna, al fine di studiare da vicino e in modo approfondito, gli effetti che la rivoluzione industriale aveva tracciato in tali paesi, decidendo di assumerne i principi economici, politici e sociali, in particolar modo quelli del sistema liberale britannico.

 

Ritornato in patria, dopo il tour europeo, Cavour comincia ad interessarsi di agricoltura e si occupa di una tenuta appartenuta ai Principi Borghese affidatagli dal padre; egli si ingegna di apportare grandi cambiamenti e di migliorarne le colture, tutto ciò lo porterà ancora a viaggiare; all’estero questo giovane brillante non incontra solo l’agricoltura e l’economia, bensì anche e soprattutto la politica e inizia a formare il suo pensiero, convincendosi che i progressi economici e la politica sono strettamente correlati e sostenendo che la ristrutturazione delle istituzioni politiche e la creazione di uno Stato territorialmente ampio e unito in Italia avrebbero reso possibile il processo di sviluppo e la crescita economico-sociale.

 

La fondazione, poi, nel 1847 del quotidiano “Il Risorgimento”, segna il suo ingresso ufficiale nel mondo della politica, una politica moderata, che non sfocia in eccessi, una politica né rivoluzionaria né, tantomeno, reazionaria, una sorta di via di mezzo che lo avrebbe portato molto lontano…

 

Fattosi notare per le sue idee innovative nel campo dell’agricoltura, entra ben presto nel mondo governativo, dapprima per ricoprire il dicastero dell’Agricoltura nell’ambito del governo D’Azeglio, successivamente ottenendo anche il dicastero delle Finanze; non molto tempo dopo, nel 1852, Cavour, uno dei leader della destra moderata, non condividendo l’azione del primo ministro, attirato sempre più dalla destra estrema di Menabrea, di Cesare Balbo e di Revel, grazie a una manovra politica ironicamente definita “Connubio” dai suoi avversari che, nel caso specifico, indica l’unione di due forze politiche opposte, si accorda segretamente con Rattazzi, leader della sinistra moderata, allo scopo di formare insieme una nuova maggioranza e di conseguenza un nuovo governo. Nasce, pertanto, il “centro”, cioè quel luogo politico che, spostandosi un po’ più a destra o un po’ più a sinistra, in base alle esigenze, governerà il Piemonte e poi, dal 1861, fino all’ultimo decennio del XX secolo, il neo costituito Regno d’Italia.

 

Diventato primo ministro, Cavour, non fu esattamente un primus inter pares, come tutti si sarebbero aspettati, ma essendo uno “statista d’altri tempi”, un precursore dei tempi moderni, anticipò, dunque, la riforma della Presidenza del Consiglio avvenuta in età crispina e la “legge sul capo del governo” di mussoliniana memoria, riuscendo attraverso la sua azione ad avere una forte influenza, imprimendo la propria volontà sulle scelte governative, tanto da dominare l’intero scenario politico del tempo.

 

Tra le sue azioni, volte a modernizzare e ad accrescere la grandezza del Regno di Sardegna, ricordiamo ovviamente il suo impegno in agricoltura, che venne valorizzata e modernizzata grazie a un diffuso uso di concimi chimici e ad un’intensa opera di canalizzazione; venne altresì rinnovata l’industria, create nuove fabbriche e rafforzate, soprattutto nel settore tessile, quelle già esistenti; rinnovò il sistema fiscale, basandolo non solo sulle imposte indirette ma anche su quelle dirette, che colpiscono soprattutto i grandi redditi; si dedicò al potenziamento delle banche istituendo una “Banca Nazionale” per la concessione di prestiti ad interesse non molto elevato; fece molto anche per il commercio che, fondato sul libero scambio, ebbe un forte incremento; in politica interna egli mirò innanzitutto a fare del Piemonte uno Stato costituzionale, ispirato ad un liberismo misurato e progressivo.

 

Rafforzando su tutta la linea il Regno sabaudo, Cavour, abile com’era, si dedicò ad un’audace, spregiudicata politica estera, il suo obiettivo? Far uscire il Piemonte dall’isolamento in cui versava, esprimendo finalmente i suoi ambiziosi progetti; egli, in realtà non mirava all’unità territoriale, di cui successivamente fu uno degli artefici e che fu conquistata faticosamente attraverso le “guerre d’indipendenza”, quanto piuttosto ad accrescere il prestigio dei Savoia, dare loro la possibilità di sedere tra i “grandi” d’Europa, intendendo inglobare nel regno sabaudo il Lombardo-Veneto, portando a compimento il secolare sogno di Casa Savoia, ovvero quello di diventare la dinastia dominante nella parte centro-settentrionale della penisola; per arrivare a ciò, tuttavia, occorreva sconfiggere l’Austria e scacciarla per sempre.

 

Fu per questo che fece partecipare il Piemonte alla guerra di Crimea e fu per questo che cercò l’alleanza con la Francia di Napoleone III nel 1858.

 

Lo storico incontro tra Cavour e l’imperatore dei francesi, avvenuto a Plombières, sancisce quell’alleanza tanto auspicata dal Cavour che permetterà al Piemonte di poter contare su un impero forte e soprattutto vicino che, in caso di guerra contro l’Austria, ovviamente se provocata da quest’ultima, scenderà in guerra a sostegno di Casa Savoia; naturalmente, per arrivare a ciò sono necessarie delle concessioni, lo statista piemontese, infatti, si vede costretto a cedere ai vicini d’oltralpe, in cambio del sostegno promesso, Nizza e la Savoia; in questa occasione il Primo Ministro fa sfoggio di tutta la sua abilità e finezza diplomatica.

 

I suoi disegni, così abilmente tracciati, subirono però qualche modifica e, dalla II guerra d’indipendenza, il Piemonte ottenne solo la Lombardia; in questo frangente, in disaccordo con il sovrano, Cavour si dimette, per ritornare al potere poco dopo e realizzare, nel 1861, l’unità d’Italia dopo la gloriosa impresa dei mille condotta da Garibaldi che sancì l’annessione del mezzogiorno al Regno di Sardegna.

 

Egli fu il primo presidente del consiglio dell’Italia unita, purtroppo però, una morte precoce, lo strappò bruscamente alla gloriosa vita politica. Del Cavour rimane, soprattutto un forte insegnamento di dedizione e rispetto per lo stato e le istituzioni, in particolare per quel che concerne il rapporto con il potere temporale della Chiesa; la laicità dello stato espressa nel motto “libera Chiesa in libero Stato” è da considerarsi, come ha scritto Piero Calamandrei nel “Discorso sulla Costituzione”, alla base dell’articolo della nostra Carta Costituzionale in cui si afferma la libertà di tutte le religioni di fronte alla legge.


 

 

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