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N. 72 - Dicembre 2013 (CIII)

Il bull moose party
Il partito progressista americano

di Giovanni De Notaris

 

Nel tardo pomeriggio del 14 ottobre 1912 John F. Schrank si faceva lentamente largo tra la folla della convention progressista di Milwaukee, in Wisconsin. La confusione che lo avvolgeva sembrava non toccarlo. All’improvviso uno sparo risuonò nell’aria diretto verso il candidato alle presidenziali che dal palco arringava la folla.

 

Theodore Roosevelt non percepì immediatamente il colpo, furono i delegati vicini a lui a dirgli che era stato esploso un colpo di pistola verso di lui. Mentre l’attentatore veniva arrestato e portato via, l’ex presidente, seppur sanguinante, decise di continuare il discorso parlando per più di un’ora. Solo al termine si rese conto del danno al suo torace quando estrasse dal taschino della giacca il foglio piegato in due con il suo discorso, non letto perché stava parlando a braccio.

 

Le prime voci davano Roosevelt addirittura per morto, ma dalla folla della convention risuonarono delle grida: ”Colonnello è ferito?”, “Si”, rispose Roosevelt, “ma ci vuole molto più di questo per uccidere un alce.”

 

La battuta aveva un senso in quanto il simbolo del partito progressista era proprio l’alce, il bull moose. L’ex presidente aveva deciso, seppur con qualche dubbio, di ricandidarsi per un terzo mandato- cosa all’epoca possibile-, quando solo quattro anni prima, al termine del suo secondo, con la popolarità alle stelle, aveva rifiutato la nomination repubblicana dedicandosi poi a viaggiare in giro per il mondo.

 

Tornato in patria però, fu convinto sia da alcuni ex repubblicani che non condividevano l’operato del presidente William H. Taft, e che avevano quindi fondato questa nuova corrente progressista, sia perché Roosevelt stesso riteneva Taft inadeguato a ricoprire quell’incarico.

 

Ma era ancora più determinato anche perché era stato proprio lui, quattro anni prima, a candidare il suo segretario alla Guerra come presidente, confidando che avesse continuato il suo programma di riforme a favore dei cittadini e non delle corporations. Una vana speranza.

 

Taft difatti si era dimostrato un presidente sostanzialmente debole, sia in patria che all’estero, vivendo all’ombra del suo illustre e vulcanico predecessore. Dall’altra parte il partito democratico schierava l’ex rettore dell’università di Princeton e governatore del New Jersey Woodrow Wilson.

 

Nella convention di Chicago del 7 luglio 1912, Roosevelt aveva quindi accettato la candidatura alla presidenza per il partito progressista. Uno dei punti più controversi del programma era la questione razziale.

 

Da un lato Roosevelt, quando era presidente, aveva dimostrato di avere a cuore la questione dei neri incontrando alla Casa Bianca, nel 1901, il leader della comunità afroamericana Booker T. Washington, ma era anche vero che una parte del partito non gradiva la presenza di neri nelle cariche federali.

 

Si decise allora di coinvolgere almeno nei quadri del partito dei delegati di colore, se non altro per fare presa sugli stati del sud dove il partito democratico era più forte.

 

Ma vediamo adesso in particolare quali erano i punti programmatici e ideologici del partito. Innanzitutto l’elezione diretta del candidato alle primarie dei partiti da parte dei cittadini; l’elezione diretta dei senatori e del presidente; un maggiore potere di iniziativa popolare, espresso tramite i referendum, in modo tale da poter diminuire il potere del governo, che secondo Roosevelt tutelava troppo le corporations e poco i diritti dei cittadini.

 

Poi la questione dei lavoratori: salario minimo garantito e assicurazione medica contro gli infortuni sul lavoro. Ma l’ex presidente pensava ancora più in grande: un sistema pubblico di assicurazione medica per i più poveri, tanto da proporre anche l’istituzione di un dipartimento della Salute Pubblica. E ancora: una legislazione che proibisse il lavoro minorile e abolisse la discriminazione di genere. Questo significava suffragio universale e parità di retribuzione lavorativa. Proprio quest’attenzione per i diritti delle donne spinse la pioniera del settore, Jane Addams, a sostenere pubblicamente il partito.

 

Roosevelt sosteneva inoltre che entrambi i maggiori partiti erano troppo asserviti ai poteri forti e ai privilegi dei più ricchi, ed era per questo che il suo programma, come detto, comprendeva l’elezione diretta del presidente e dei senatori, per evitare condizionamenti da parte delle corporations che avevano chiaramente i loro interessi da tutelare. Proprio per questo motivo venne avanzata anche la proposta di rendere pubblico l’ammontare e la provenienza dei fondi per le campagne elettorali.

 

Wilson, invece, non voleva un controllo federale troppo stretto sulle corporations, ma più che altro un sistema che puntasse su un mercato più libero e autoregolamentato, che facilitasse la competitività tra grandi industrie ma anche tra i piccoli imprenditori, pur tutelando i diritti dei lavoratori. Come pure non era d’accordo sull’ampio programma pensionistico perché avrebbe trasformato i cittadini in persone a carico dello stato, e neppure poneva l’accento sui diritti delle donne. Ma nonostante tutto questo alle elezioni del novembre 1912, il partito democratico conquistò la maggioranza assoluta al Senato e una buona percentuale alla Camera.

 

In realtà la vittoria di Wilson fu dovuta principalmente alla spaccatura del fronte repubblicano tra Taft e Roosevelt. Dopo la sconfitta, seppur il partito fosse entrato al Congresso, Roosevelt cominciò gradualmente a allontanarsene per dedicarsi alla sua passione di esploratore e scrittore.

 

Il partito progressista si sarebbe poi man mano dissolto, nei due partiti maggiori, a partire dal 1916, dopo che Roosevelt aveva rifiutato un’ulteriore nomination perché gli sembrava che il partito si fosse troppo imborghesito e che fosse stato anch’esso contaminato dai poteri forti, a cui lui invece si era sempre opposto.



 

 

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