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N. 64 - Aprile 2013 (XCV)

LE MASSIME DI UN CARDINALE
MAZZARINO E IL SUO BREVIARIO
DEI POLITICI
di Massimo Manzo

 

Tra tutti i manuali, i breviari e i trattati politici che costellano il XVII secolo ce ne sta uno, attribuito al cardinale Mazzarino, utile più degli altri a comprendere il modo di pensare e di agire degli uomini politici nell’epoca dell’assolutismo regio.

 

Il Breviarium politicorum secundum Rubricas Mazarinicas, pubblicato per la prima volta nel 1684 e ristampato con successo nel corso dei due secoli successivi, è una raccolta di massime veloci e scorrevoli, divise per rubriche a seconda degli argomenti, con la quale il cardinale tenta di fornire al politico preziose indicazioni su come gestire il potere.

 

Non si tratta quindi di un’opera paragonabile al “Principe”, sia per struttura che per contenuti; a differenza del trattato di Machiavelli, diretto esclusivamente al sovrano, il breviario di Mazzarino è destinato al “palazzo”. A tutti i coloro, cioè, che per mestiere affiancano il signore, detenendo di fatto larghe fette di potere. Non massime di sistema dunque, su come governare lo Stato, ma consigli arguti e cinici riguardanti soprattutto la “sopravvivenza quotidiana” dell’uomo di potere.

 

La dote suprema del politico, la base indispensabile sulla quale Mazzarino costruisce il suo sistema di valori, è la dissimulazione, intesa utilitaristicamente come il metodo migliore per conoscere gli altri e per evitare di cadere nelle insidiose trappole della vita politica. Per esser capaci di simulare e dissimulare al meglio, però, bisogna conoscere se stessi alla perfezione, acquisendo consapevolezza dei propri difetti e delle proprie debolezze: “indaga bene, se hai alcun movimento nell’animo, o di sdegno, o di timore, o di temerità, o d’altra passion di tal fatta”. L’uomo politico dovrà lavorare sul controllo assoluto delle proprie passioni e dei propri sentimenti, se vuole raggiungere gli obiettivi che si propone.

 

Tutto il breviario è pervaso da un’attenzione sottile alla psicologia umana. Secondo la visione di Mazzarino l’osservazione acuta dei comportamenti altrui, anche nei gesti più semplici e banali, è utile a classificare il proprio interlocutore e a valutarne l’affidabilità; per esempio “sono falsari coloro che con somma facilità propalano di tutto, e approvano in estremo tutti i tuoi operati; è finta la costoro amicizia. Guardati da colui che in tua presenza con troppa acrimonia si scaglia contro tal’altro: perché il medesimo farà teco”.

 

Non mancano poi degli stratagemmi ingegnosi per scegliere la persona più adatta da porre alle proprie dipendenze: “A fare la scelta di un uomo segretissimo, adopera quest’artificio: partecipagli qualche arcano sotto sugello impenetrabile. Questo medesimo arcano sotto le medesime circostanze comunica a tal’altro. Spedisci poi un terzo, che informato del tutto raduni in un congresso i due, e gli alletti a propalare i loro arcani consaputi. Questo è il crocciuolo, da cimentare il più facile ad isvelarsi. Colui che starà pertinace a non aprirsi, né pur cò consapevoli, tosto ammettilo al tuo gabinetto, e dichiaralo subito tuo segretario”.

 

La fortuna non è un elemento sul quale il politico può contare. Non esiste il gusto del rischio nelle massime del cardinale; al contrario, bisogna affidarsi alla prudenza, muoversi con discrezione nel labirinto del potere per conquistare gradualmente la meta prefissa.

 

Dal punto di vista stilistico, il breviario è pienamente in linea con un filone saggistico diffusissimo nell’Europa del Seicento, il quale ribaltava la scala delle virtù tradizionali per tessere l’elogio dell’astuzia e della capacità di trarre dalle situazioni sfavorevoli il massimo del vantaggio. In questo senso, il cardinale riprendeva i contenuti di una delle opere simbolo dello stile barocco, dal titolo “della dissimulazione onesta”, scritta nel 1641 dall’italiano Torquato Accetto.

 

C’è però un altro elemento che rende la lettura del breviario particolarmente interessante. Tra le pieghe dell’opera si scorge infatti la biografia di Mazzarino. I consigli, gli accorgimenti e i moniti che il cardinale elargisce al lettore sono infatti il frutto della sua pluriennale esperienza politica, che lo portò a divenire il personaggio più influente della diplomazia europea nella seconda metà del secolo XVII. Dietro ogni riga si celano dunque non le elucubrazioni di un intellettuale, ma le lezioni che un politico vero (e di successo) ha imparato dalla vita.

 

Per diciotto anni a partire dal 1642, Giulio Mazzarino, italiano nato in provincia dell’Aquila, resse con incredibile abilità le sorti dello stato francese, creando le premesse per il lungo e stabile regno di Luigi XIV. Divenuto cardinale nel 1641, poco prima della morte di Richelieu, egli ne fu l’erede naturale e designato. Ricoprì la carica di primo ministro, collaborando con Luigi XIII e in seguito con la reggente Anna d’Austria (madre di Luigi XIV). Continuando l’opera del suo predecessore, Mazzarino riuscì nell’impresa di rafforzare l’assolutismo regio, governando in un momento di transizione molto delicato per lo stato francese.

 

A lui si devono la negoziazione della pace di Vestfalia (1648) a conclusione della guerra dei trent’anni, nonché il superamento della crisi della fronda, che, sempre nello stesso periodo, aveva minato la stabilità della monarchia. Insomma, in punto di morte, nel 1661, Mazzarino poteva consegnare al futuro “Re Sole” la prima potenza d’Europa, un regno rispettato in politica estera e pacificato all’interno.

 

Proprio guardando a questi risultati dobbiamo valutare il breviario dello spregiudicato cardinale. Un politico freddo e calcolatore, forse privo di una moralità privata, ma di certo dotato di una propria “etica pubblica”, che si risolveva in una fedeltà senza limiti nei confronti dello Stato, e quindi verso la monarchia che ne era l’incarnazione.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

P. Gouth, Mazarin, Parigi 1972;

R. Bonney, Political change in France under Richelieu and Mazarin, Oxford 1978.



 

 

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