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N. 88 - Aprile 2015 (CXIX)

"MA VOI, CHI DITE CHE IO SIA?"
Breve biografia di
Gesù di Nazaret - PARTE vIi
di Giorgio Giannini

 

Nei Vangeli Canonici, le vicende dell’interrogatorio di Gesù, dopo la cattura, davanti al Sommo Sacerdote e del processo davanti al Sinedrio sono narrate in modo diverso.

 

In particolare, l’interrogatorio di Gesù davanti al Sommo Sacerdote Caifa è presente solo nel Vangelo secondo Matteo e nel Vangelo secondo Marco, mentre il processo di Gesù davanti al Sinedrio è narrato, in modo diverso, solo nei Vangeli Sinottici e non nel Vangelo secondo Giovanni, in cui c’è solo l’interrogatorio davanti all’ex Sommo Sacerdote Anna, suocero di Caifa.

 

Nel Vangelo secondo Matteo, dopo l’arresto, Gesù è condotto “dal Sommo Sacerdote Caifa,presso il quale si erano riuniti gli Scribi e gli Anziani». (Mt 26,57)

 

Sembra quindi che nel Palazzo di Caifa ci sia una seduta notturna, e quindi non regolare ed illecita, del Sinedrio, che era il massimo organo politico-religioso e legislativo giudaico,riconosciuto dai Romani, e responsabile della parziale autonomia religiosa ed amministrativa di cui godevano gli ebrei della Giudea, che dall’anno 6, dopo la destituzione di Archelao, figlio di Erode il Grande, era sotto l’Autorità romana.

 

 «I Capi dei Sacerdoti e tutto il Sinedrio cercavano una falsa testimonianza contro Gesù, per metterlo a morte,ma non la trovarono,sebbene si fossero presentati molti falsi testimoni. Finalmente se ne presentarono due», secondo i quali Gesù aveva dichiarato: «Posso distruggere il tempio di Dio e ricostruirlo in tre giorni». Allora il Sommo Sacerdote si alza e dice a Gesù «Non rispondi nulla?», ma Gesù tace. Allora, gli chiede « Ti scongiuro per il Dio vivente, di dirci se sei il Cristo, il Figlio di Dio». Gesù gli risponde: «Tu l’hai detto» ed aggiunge: « d’ora innanzi vedrete il Figlio dell’uomo\ seduto alla destra della Potenza (Dio)\ e venire sulle nubi del cielo». Allora,il Sommo Sacerdote si straccia le vesti dicendo: «Ha bestemmiato» perché Gesù ha nominato il nome di Dio,che è impronunciabile per gli ebrei, ed ha riconosciuto di essere «il Cristo,il Figlio di Dio» e di sedere “alla destra” di Dio. Afferma quindi, dato che Gesù “ha bestemmiato”, che non c’è più bisogno di testimoni. Allora, i presenti gridano: «È reo di morte!», gli sputano in faccia e lo percuotono, mentre altri lo sbeffeggiano, colpendolo e poi chiedendogli di riconoscere chi lo ha colpito. (Mt 26,59-68)

 

Il Vangelo narra quindi il “rinnegamento di Gesù” da parte di Pietro ( che ha seguito Gesù fino al palazzo di Caifa), e che è accusato per tre volte ( prima da una serva, poi da un’altra serva e poi da varie persone) di stare con il «Galileo», ma egli dichiara sempre di non conoscere Gesù. Subito dopo un gallo canta per annunciare l’alba. Quindi Pietro ricorda che Gesù gli ha detto che egli l’avrebbe rinnegato tre volte prima che il gallo avesse cantato. (Mt 26,69-75).

 

La mattina seguente, si riunisce formalmente il Sinedrio, in seduta regolare, che «dopo aver tenuto consiglio», condanna Gesù, che poi è messo in catene ed è portato da Pilato. (Mt 27,1-2)

 

Dalla lettura del passo evangelico sembra che a casa del Sommo Sacerdote Caifa si svolge un vero e proprio processo a Gesù davanti al Sinedrio, anche se è irregolare ed illegittimo, perché si svolge di notte e perché si cercano false testimonianze contro Gesù. Il processo sembra “legittimato” dalla riunione formale del Sinedrio, che si svolge la mattina seguente, in un luogo non precisato, ma probabilmente nella sede istituzionale della Sala delle pietre squadrate dentro il recinto del Tempio di Gerusalemme. Però, anche questa seduta del Sinedrio è irregolare e quindi illegittima perché si svolge in un giorno prefestivo, quello precedente la Pasqua, che è la festa più importante per gli Ebrei.

 

In questa seconda seduta, viene emessa la condanna a morte di Gesù, per aver bestemmiato, cioè per aver nominato il nome di Dio ( dato che è impronunciabile per gli Ebrei, che lo chiamano, Adonai, Eloah, Signore, Padre…) e per essersi equiparato a Dio. In verità Gesù non ha mai nominato il nome di Dio, come invece ha fatto per due volte il Sommo Sacerdote ( e questo è incredibile!), che gli ha chiesto se è «il Figlio di Dio». Gesù infatti gli risponde semplicemente:«Tu l’hai detto».

 

Secondo alcuni esegeti, invece, il Sommo Sacerdote procede a un “interrogatorio informale”, comunque non previsto dalla procedura giudiziaria ebraica, mentre il vero processo davanti al Sinedrio si svolge la mattina seguente.

 

Il Vangelo narra quindi il suicidio di Giuda, il quale, dopo la condanna di Gesù, «preso dal rimorso, riportò le trenta monete d’argento ai Capi dei Sacerdoti ed agli anziani, dicendo: Ho peccato,perché ho tradito sangue innocente». Dato che quelli gli risposero che a loro non importava nulla del suo pentimento, Giuda «gettò le monete d’argento nel Tempio, si allontanò ed andò a impiccarsi».

 

I Capi dei Sacerdoti, raccolte le monete, poiché non è lecito «metterle nel tesoro (del Tempio) perché sono prezzo di sangue» (infatti, l’acquisizione del compenso di un tradimento rende “impuro” il tesoro del Tempio), decidono di comprare il terreno, denominato «Campo del vasaio», in cui seppellire gli stranieri, che muoiono in città. Da allora, quel terreno è chiamato «Campo di sangue». (Mt 27,3-10)

 

Il suicidio di Giuda è narrato solo in questo Vangelo e negli Atti degli Apostoli, in cui però Giuda muore in un altro modo. Infatti, Giuda compra «un pezzo di terra con i proventi del suo delitto e poi, precipitando in avanti, si squarciò in mezzo alle rocce e si sparsero fuori tutte le sue viscere». (Atti 1,15)

 

Nel Vangelo secondo Marco, la narrazione dei fatti è simile. Dopo la cattura, Gesù è condotto dal Sommo Sacerdote Caifa « e là si riunirono tutti i Capi dei Sacerdoti, gli Anziani e gli Scribi». (Mc 14,53)

 

Si procede, anche in questo caso, a un processo a Gesù ( che è irregolare ed illecito in quanto si svolge di notte e fuori dall’aula riservata alle udienze del Sinedrio), che inizia con l’escussione dei testimoni, che, secondo la procedura, devono portare le accuse contro Gesù.

 

«I Capi dei Sacerdoti e tutto il Sinedrio cercavano una testimonianza contro Gesù per metterlo a morte, ma non la trovavano. Molti infatti testimoniavano il falso contro di lui e le loro testimonianze non erano concordi».

 

In particolare, alcuni, testimoniando il falso, raccontano le dichiarazioni di Gesù sul Tempio, ritenute poco rispettose: «Lo abbiamo udito mentre diceva:Io distruggerò questo Tempio,fatto da mani d’uomo, ed in tre giorni ne costruirò un altro,non fatto da mani d’uomo». (Mc 14,55-58)

 

Le testimonianze però non sono concordi e Gesù rimane in silenzio. Allora il Sommo Sacerdote Caifa, «alzatosi in piedi in mezzo all’assemblea», chiede a Gesù perché non risponde. Poi, di fronte al suo silenzio gli chiede: «Sei tu il Cristo, il figlio del Benedetto?», senza pronunciare il nome di Dio, che era impronunciabile per gli Ebrei, come invece narra il Vangelo secondo Matteo.

 

Gesù risponde a Caifa: «Io lo sono!» ed aggiunge: «E vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire sulle nubi del cielo!». (Mc 14,61-62)

 

In questo modo, Gesù si attribuisce non solo il titolo messianico - davidico di “Cristo-Messia”, riconoscendo di essere «il Cristo,il figlio del Benedetto», senza però pronunciare il nome di Dio (come fa anche nel passo seguente, quando chiama Dio «Potenza»), ma anche il titolo di “Figlio di Dio”, dicendo di sedere alla sua destra.

 

A questo punto, Caifa, «stracciandosi le vesti disse: Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Avete udito la bestemmia;che ve ne pare?Tutti sentenziarono che era reo di morte», perché Gesù ha detto di essere il Figlio di Dio e si è equiparato a Lui.

 

Quindi, sputano addosso a Gesù e, dopo averlo bendato, lo percuotono sfidandolo a riconoscere chi è stato. Anche «i servi» lo schiaffeggiano. (Mc 14,63-65)

 

Questi passi del Vangelo dimostrano la spregiudicatezza delle Autorità ebraiche, che cercano anche solo «una testimonianza» contro Gesù, benchè la Legge ebraica preveda almeno due testimoni, e neppure « la trovavano». Inoltre, molte persone «testimoniavano il falso» e per di più «le loro testimonianze non erano concordi» e quindi non avevano alcun valore processuale.

 

È incredibile che, nonostante le gravi conseguenze che derivavano per la falsa testimonianza (di cui i Giudici mettevano a conoscenza i testimoni), ci fossero molte persone disposte a testimoniare il falso.

 

Il Vangelo narra quindi il “rinnegamento di Gesù” da parte di Pietro, il quale è accusato anche qui per tre volte (per due volte da una serva e poi da varie persone ), di essere un seguace di Gesù, ma lui dichiara di non conoscerlo. Subito dopo il terzo rinnegamento un gallo canta per la seconda volta, per annunciare l’alba. Quindi Pietro ricorda che Gesù gli ha detto che egli l’avrebbe rinnegato tre volte prima che il gallo avesse cantato due volte.(Mc 14,66-72)

 

La mattina seguente, come nel Vangelo secondo Matteo,si riunisce formalmente il Sinedrio, in seduta regolare, che «dopo aver tenuto consiglio», condanna Gesù, che poi è messo in catene ed è portato da Pilato. (Mc 15,1)

 

Il Vangelo secondo Marco non narra il suicidio di Giuda. Anche per questo Vangelo vale quanto abbiamo scritto riguardo al Vangelo secondo Matteo in merito alla irregolarità, e quindi alla illegittimità, sia dell’interrogatorio davanti a Caifa che del processo avanti al Sinedrio.

 

Il Vangelo secondo Luca non racconta l’interrogatorio di Gesù da parte del Sommo Sacerdote Caifa, anche se è stato portato la sera nella sua casa. (Lc 22,54) Il Vangelo sembra quindi rispettare la procedura del Sinedrio che non prevede riunioni notturne.

 

Riporta, quindi, prima del processo davanti al Sinedrio, il “rinnegamento di Gesù” da parte di Pietro, il quale è accusato per tre volte (prima da una serva , poi da un uomo e quindi da un terzo uomo) di stare con il «Galileo», ma lui dichiara sempre di non conoscere Gesù. Dopo il terzo rinnegamento, un gallo canta per annunciare l’alba. Allora Pietro ricorda che Gesù gli ha detto che egli l’avrebbe rinnegato tre volte prima che il gallo avesse cantato. (Lc 22,55-62)

 

Il Vangelo narra poi i vari maltrattamenti inflitti a Gesù, riportati anche negli altri due Vangeli Sinottici. (Lc 22,63-65)

 

Il Vangelo racconta inoltre che la mattina del giorno seguente alla cattura di Gesù, «appena fu giorno», si riunisce il Consiglio degli anziani, con i Capi dei Sacerdoti e gli Scribi, che conducono Gesù davanti al Sinedrio e gli chiedono se è il «Cristo». Gesù risponde alla domanda, dicendo: « Anche se ve lo dico, non mi crederete…Ma d’ora in poi il Figlio dell’uomo siederà alla destra della potenza di Dio». Allora gli chiedono: «Tu dunque sei il Figlio di Dio?». Gesù risponde dicendo :«Voi stessi dite che lo sono». Dopo queste affermazioni di Gesù, si ritiene che non sono più necessarie le testimonianze perché Gesù ha riconosciuto indirettamente di essere il “Cristo”, “il Figlio di Dio” e di sedere alla destra di Dio. Quindi è accusato di aver bestemmiato per aver nominato il nome di Dio. In verità, anche i membri del Sinedrio hanno bestemmiato perché hanno chiesto a Gesù se è «Figlio di Dio”, perché il nome di Dio è impronunciabile per gli ebrei. Gesù invece riconosce di essere il «Figlio di Dio», senza farne il nome, dicendo: «Voi stessi dite che lo sono».

 

Pertanto, il processo davanti al Sinedrio si conclude e Gesù è inviato al Procuratore romano Ponzio Pilato. (Lc 22, 66- 71)

 

Anche il Vangelo secondo Luca, come il Vangelo secondo Marco non racconta il suicidio di Giuda.

 

Anche per questo Vangelo vale quanto abbiamo scritto riguardo agli altri due Vangeli Sinottici in merito alla irregolarità ed illegittimità del processo davanti al Sinedrio.

 

Nel Vangelo secondo Giovanni, è narrato un fatto non riportato nei Vangeli Sinottici. Infatti, dopo la cattura, Gesù è portato, dall’ex Sommo Sacerdote Anna, suocero di Caifa, (probabilmente nel suo palazzo), che gli chiede notizie in merito “ai suoi discepoli ed al suo insegnamento”. Gesù gli risponde : «Io ho parlato al mondo apertamente;ho sempre insegnato nella Sinagoga e nel tempio… e non ho mai detto nulla di nascosto. Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro:ecco, essi sanno che cosa ho detto». Una delle guardie lo schiaffeggia ritenendo che abbia risposto male ad Anna. Allora Gesù gli dice: « Se ho parlato male,dimostrami dov’è il male. Ma se ho parlato bene, perchè mi percuoti?». Quindi Anna lo manda, «con le mani legate», da Caifa, il Sommo Sacerdote in carica, che però non lo interroga ed all’alba lo manda da Pilato. (Gv 18,19-24)

 

In verità, non si comprende perché Gesù è interrogato da Anna, che non ricopre più la carica di Sommo Sacerdote. Probabilmente perchè gode di grande influenza sul Sinedrio, i cui membri pertanto volevano conoscere il suo giudizio su Gesù.

 

Inoltre, sembra che Gesù trascorre la notte nella casa di Caifa, come si legge anche nel Vangelo secondo Luca. (Lc22,54)

 

Il Vangelo racconta anche un altro fatto nuovo, cioè che Pietro riesce a entrare nel cortile della casa di Anna, grazie a un “discepolo” di Gesù che «era conosciuto dal Sommo Sacerdote», di cui però non si fa il nome. (Gv 18,15-17).

 

Il Vangelo racconta in modo diverso anche il “rinnegamento di Gesù” da parte di Pietro, che è riconosciuto come Discepolo di Gesù da alcune persone, compreso un servo parente di Malco, il servo del Sommo Sacerdote Caifa al quale ha tagliato un orecchio nell’orto del Getsemani. Pietro per due volte dichiara di non conoscere Gesù e subito un gallo canta. (Gv 18,25-27)

 

Nel Vangelo però non è narrato,come nei Vangeli Sinottici, che Pietro ricorda quello che Gesù gli ha detto, cioè che egli l’avrebbe rinnegato due volte, e non tre volte, come detto nel precedente passo (Gv 13,38), prima che il gallo avesse cantato. (Gv 18,12-27)

 

In questo Vangelo non c’è il processo davanti al Sinedrio, di cui narrano tutti i Vangeli Sinottici. Probabilmente, Gesù subisce solo il processo davanti a Pilato, per il reato di “lesa maestà” nei confronti dell’Imperatore romano, per aver riconosciuto di essere «Re dei Giudei», come peraltro è scritto nel titulum, apposto sopra la croce, che illustra la motivazione della condanna a morte mediante la crocifissione, in latino, in greco ed in ebraico. In latino la scritta riportata dalla tradizione cristiana è INRI (Iesus Nazarenus Rex Iudeorum).

 

Probabilmente, l’interrogatorio davanti al Sommo Sacerdote Caifa ed il processo davanti al Sinedrio sono stati inseriti dagli Evangelisti nei Vangeli Sinottici per addossare la colpa della condanna a morte di Gesù sugli Ebrei, discolpando Ponzio Pilato e quindi i Romani.

 

Al riguardo, si ricorda che dal fatto di considerare gli Ebrei “deicidi” (uccisori di Dio), è derivato l’antisemitismo, che ha comportato la discriminazione e la persecuzione per due millenni degli ebrei negli Stati cristiani.

 

Le irregolarità del processo ebraico

 

Il “processo” a cui è stato sottoposto Gesù dalle Autorità ebraiche,anche quello che si svolge la mattina davanti al Sinedrio, è assolutamente illegale perché, secondo la procedura giudiziaria ebraica, al momento dell’arresto, si doveva muovere una accusa precisa contro l’arrestato.

 

Inoltre, non si poteva procedere a un interrogatorio informale dell’imputato davanti al Sommo Sacerdote, anche se Presidente del Sinedrio, per di più di notte. Infatti, il procedimento davanti al Sinedrio rispettava rigide regole di procedura, stabilite nella Mishnah, per cui il processo era pubblico e non si poteva tenere né di notte né nei giorni di festa né nei giorni precedenti (preparatori) la festa.

 

L’accusa era rappresentata dai testimoni che parlavano contro l’imputato e non si poteva desumere dalle risposte date dall’imputato. I giudici non potevano accusare l’imputato, anzi dovevano cercare prove a suo favore per scagionarlo. I testimoni dovevano essere almeno due ed erano sentiti singolarmente in modo che il primo non assistesse alla deposizione dell’altro e le loro testimonianze dovevano essere concordanti. I testimoni dovevano presentarsi da soli (perché erano loro gli accusatori) e non dovevano essere “trovati” dal Sinedrio o da qualche suo componente; i testimoni non potevano testimoniare il falso perché erano passibili di gravi sanzioni e gravava inoltre su di loro una forte condanna morale.

 

L’imputato non poteva essere maltrattato. La condanna a morte doveva essere emessa di giorno e confermata in una seduta del Sinedrio,ad almeno 24 ore di distanza dalla prima, quando era letta la sentenza e subito dopo era eseguita la condanna; per esprimersi sulla condanna o sull’assoluzione, i giudici votavano uno alla volta, a cominciare dal più giovane e gli scribi verbalizzavano tutto quanto accadeva durante l’udienza e quello che era detto.

 

Infine, una sentenza pronunciata all’unanimità era considerata “indice di complotto”,come in effetti c’è stato nel caso di Gesù, dato che nei Vangeli si parla di congiura contro Gesù.

 

Pertanto, il processo a Gesù è irregolare e la sentenza illegittima perché: non è stata formulata alcuna accusa contro Gesù al momento del suo arresto; Gesù ha subito un interrogatorio davanti al Sommo Sacerdote, che era vietato, e, per di più, di notte; il processo davanti al Sinedrio si è tenuto all’alba ed “a porte chiuse” ed in un giorno precedente la festa, quando non era possibile; i Capi dei Sacerdoti, gli Scribi e gli anziani hanno cercato falsi testimoni contro Gesù, le cui testimonianze, per di più, non erano concordanti, e non hanno cercato alcuna testimonianza a suo favore e non hanno consentito a nessuno di parlare a favore di Gesù; l’accusa è stata “cambiata”, da religiosa (Gesù aveva riconosciuto di essere il Cristo e si era equiparato a Dio avendo ammesso di essere il Figlio di Dio e di sedere alla sua destra) a politica ( aver predicato il non pagamento dei tributi a Roma; l’essersi considerato Re dei Giudei; aver sobillato il popolo a ribellarsi contro Roma), quando Gesù è stato portato al giudizio davanti a Pilato. (Lc 23,2-5)

 

Per tutti questi motivi, il processo è stato “una farsa” anche perchè la condanna a morte di Gesù è stata decisa prima, come risulta dalla “congiura” contro di Lui.

 

Il processo davanti a Ponzio Pilato

 

Il processo a Gesù davanti al Procuratore romano Ponzio Pilato, nel Pretorio (la fortezza, vicina al Tempio, in cui risiede il Procuratore romano quando è a Gerusalemme), è presente in tutti i Vangeli Canonici, ma è raccontato in modo diverso.

Infatti, nel Vangelo secondo Matteo, dopo il giudizio del Sinedrio, Gesù è portato al Pretorio, al cospetto di Pilato, che gli chiede: «Sei tu il Re dei Giudei?».

 

Gesù gli risponde:«Tu lo dici» e poi rimane in silenzio mentre i Capi dei Sacerdoti e gli anziani muovono altre accuse contro di lui. Pilato allora gli chiede perché non risponde alle accuse, ma Gesù rimane sempre in silenzio e Pilato rimane “molto stupito» di questo suo comportamento. (Mt 27,14)

 

Fra le tante accuse mosse dagli Ebrei contro Gesù, Pilato vuole accertare il fondamento di quella che egli considera la più grave e cioè se Gesù è il “Re dei Giudei”e quindi attenta alla sovranità romana sulla Giudea.

 

Pilato, non avendo trovato “colpa alcuna” nei confronti di Gesù, cerca di salvarlo, ricorrendo al cosiddetto “privilegio pasquale”, cioè all’applicazione di un atto di clemenza da parte del Procuratore romano, che in occasione di “ogni festa” e tanto più in occasione della Pasqua, che è la festa più importante dei Giudei, libera un prigioniero detenuto dai Romani, indicato dai stessi Ebrei. (Mt 27,15)

 

Gli storici hanno però contestato l’esistenza di questo “privilegio”, dato che i Romani facevano le amnistie solo in occasione di festività romane. Inoltre, l’amnistia era inconcepibile nella Giudea, che era scossa da frequenti rivolte antiromane.

 

I Romani, «in quel momento avevano un carcerato famoso, di nome Barabba» (Mt 27,16). Pertanto, Pilato chiede alla folla:«Chi volete che io rimetta in libertà per voi:Barabba o Gesù chiamato Cristo?” (Mt 27,17).

 

Intanto, mentre Pilato «sedeva in tribunale», sua moglie Claudia Procula ( che è nominata solo in questo Vangelo, senza però farne il nome) gli manda a dire: «Non avere niente a che fare con quel giusto perchè oggi, in sogno, sono stata molto turbata per causa sua» (Mt 15,19).

 

Nel frattempo, i Capi dei Sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a chiedere Barabba e a far morire Gesù» e così i presenti gridarono «Barabba!». (Mt 27,20-21)

 

Pilato cerca di nuovo di salvare Gesù e chiede ai presenti. « Che farò di Gesù chiamato Cristo?» e quelli gli rispondono: «Sia crocifisso!». Di nuovo, per la terza volta, cerca di salvare Gesù, dicendo alla folla: «Che male ha fatto?» , ma i presenti gridano, ancora «più forte:Sia crocifisso!». (Mt 27,22-23)

 

Allora, Pilato, «visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto aumentava, prese dell’acqua e si lavò le mani davanti alla folla dicendo: Non sono responsabile di questo sangue. Pensateci voi! E tutto il popolo rispose: Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli». Allora Pilato «rimise in libertà per loro Barabba e dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso». (Mt 27,24-26)

 

 Solo in questo Vangelo, è narrato l’episodio di Pilato che “si lava per mani“ per non sentirsi responsabile della morte di Gesù. Certamente, il passo è stato inserito per addossare la colpa della condanna a morte di Gesù solo agli Ebrei, che peraltro se la assumono chiaramente dicendo: “Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli”.

 

Questa ipotesi è avvalorata dal fatto che questo Vangelo, come gli altri, è composto dopo la distruzione di Gerusalemme e del Tempio, che è considerata dai Cristiani la “punizione divina”, da parte di Dio, per aver cercato, con accanimento, la morte di Gesù. Non a caso, agli Ebrei è stato attribuito, per secoli, fino a tempi recenti, l’appellativo di “deicidi” e di “perfidi giudei” ed ha contribuito ad alimentare per due millenni l’antisemitismo contro di loro.

 

Nel Vangelo secondo Marco, lo svolgimento dei fatti, cioè l’interrogatorio di Gesù davanti a Pilato e la sua richiesta agli Ebrei presenti nel Pretorio di scegliere se liberare Barabba o Gesù, è simile a quello narrato nel Vangelo secondo Matteo. (Mc 15,1-15)

In questo Vangelo, però, è scritto che « un tale chiamato Barabba si trovava in carcere insieme ai ribelli che nella rivolta avevano commesso un omicidio» e quindi non era un delinquente comune. ( Mc 15,7)

 

Secondo questo Vangelo, quindi, c’è stata una rivolta antiromana ed alcuni «ribelli» (probabilmente Zeloti) sono stati catturati,anche se non è chiaro se Barabba ha partecipato alla «rivolta» antiromana ed allo «omicidio».

 

Alla fine, Pilato, «volendo dare soddisfazione alla folla», che chiede insistentemente la crocifissione di Gesù, libera Barabba ed ordina di “flagellare” Gesù per poi crocifiggerlo ( Mc 15,15)

 

Nel Vangelo secondo Luca, il racconto del processo di Gesù davanti a Pilato è un po’ diverso e contiene degli elementi nuovi. Infatti, vengono illustrate a Pilato le accuse mosse contro Gesù, che non sono però quelle di “natura religiosa” (aver bestemmiato per aver pronunciato il nome di Dio, per essersi dichiarato “Figlio di Dio”, per essersi equiparato a Dio e per aver lavorato il giorno di sabato), emerse nel processo, svoltosi poche ore prima, all’alba, davanti al Sinedrio, ma sono accuse di “natura politica”, proprio per farlo condannare a morte dal Procuratore romano Ponzio Pilato.

 

Infatti, le accuse mosse contro Gesù, davanti a Pilato, sono molto gravi e quindi passibili della pena di morte, dato che i suoi accusatori sostengono che «metteva in agitazione il nostro popolo, impediva di pagare i tributi a Cesare...affermava di essere Cristo Re ».». (Lc 23,2)

 

Allora, Pilato per cercare di trovare il fondamento dell’accusa che ritiene più grave contro Gesù, gli chiede: «Sei tu il re dei Giudei?» e Gesù gli risponde «Tu lo dici!». Pilato si rivolge quindi ai Giudei dicendo: «Non trovo in questo uomo alcun motivo di condanna»,ma essi insistono nell’accusare Gesù dicendo: «solleva il popolo, insegnando per tutta la Giudea, dopo aver cominciato dalla Galilea, fino a qui». (Lc 23,3-5)

 

È chiaro, quindi, che c’è una precisa volontà, da parte dei Capi dei Sacerdoti, degli Scribi e degli Anziani del Sinedrio, di “farlo morire”, come è emerso chiaramente negli altri tre Vangeli, in cui si narra di una “congiura contro Gesù.

 

È narrato poi un fatto presente solo in questo Vangelo: Pilato, saputo che Gesù «era Galileo», lo manda da Erode Antipa, Tetrarca della Galilea e della Perea (figlio di Erode il Grande), che è a Gerusalemme per celebrare la Pasqua. (Lc 23, 6-7)

 

Pilato pensa che la parola “Galileo” significhi che Gesù era originario della Galilea. Invece, probabilmente questo termine significa, anche in base all’accusa mossa contro Gesù («solleva il popolo»), che Egli era un ribelle antiromano, appartenente al Movimento degli Zeloti, chiamati anche Galilei, dato che il Movimento era nato e si era sviluppato in Galilea. Questa ipotesi è convalidata dal fatto che la parola “Galileo” è scritta in maiuscolo, a indicare l’appartenenza a Movimento dei Galilei (Zeloti) e non è quindi un aggettivo riferito alla Galilea, come luogo di origine.

 

Erode Antipa si rallegra molto nel vedere Gesù perché «da molto tempo desiderava vederlo, per averne sentito parlare e sperava di vedere qualche miracolo fatto da lui». (Lc 23,8) Erode ,quindi vuole sapere come Gesù compie i miracoli. Alla presenza dei Capi dei Sacerdoti e degli Scribi,che «insistevano nell’accusarlo», interroga Gesù, «facendogli molte domande, ma egli non gli rispose nulla». Pertanto, deluso e certamente anche adirato contro Gesù per il suo atteggiamento reticente, lo insulta, insieme con i suoi soldati, gli mette addosso «una splendida veste» e lo rimanda da Pilato. (Lc 23, 9-11)

 

Gesù è quindi riportato davanti a Pilato, che «riuniti i Capi dei Sacerdoti , le autorità ed il popolo», dice loro:« Mi avete portato questo uomo come agitatore del popolo. Ecco, io l’ho esaminato davanti a voi,ma non ho trovato in questo uomo nessuna delle colpe di cui l’accusate;e neanche Erode:infatti ce l’ha rimandato. Ecco, egli non ha fatto nulla che meriti la morte. Perciò, dopo averlo punito,lo rimetterò in libertà». (Lc 23,13-16)

 

Pilato è quindi convinto dell’infondatezza delle accuse “politiche”, molto gravi, mosse contro Gesù, in particolare di quella che “solleva il popolo” contro i Romani, e cerca di salvarlo, dopo averlo comunque punito, con la fustigazione. Però, gli Ebrei gridano : “«Togli di mezzo costui! Rimettici in libertà Barabba !», che «era stato messo in prigione per una rivolta,scoppiata in città, e per omicidio». (Lc 23,18-19)

 

Pilato però «voleva rimettere in libertà Gesù, ma essi urlavano: Crocifiggilo! Crocifiggilo!». Pertanto, «per la terza volta,disse loro: Ma che male ha fatto costui?Non ho trovato in lui nulla che meriti la morte. Dunque lo punirò e lo rimetterò in libertà». Gli Ebrei però «insistevano a gran voce, chiedendo che venisse crocifisso». Pilato, vedendo che «le loro grida crescevano….decise che la loro richiesta fosse eseguita. Rimise in libertà colui che era stato messo in prigione per rivolta ed omicidio…e consegnò Gesù al loro volere». (Lc 23, 20-25)

 

In questi passi è chiaro che gli Ebrei vogliono la morte di Gesù e che sia liberato Barabba, che era in prigione per aver partecipato a una “rivolta, scoppiata in città” (probabilmente contro i Romani), che ha causato almeno un morto.

 

Pilato, quasi “intimorito” dalla folla, cede alle pressioni e libera Barabba, sebbene avesse partecipato a una rivolta e fosse anche accusato di “omicidio”. Peraltro, Pilato non fa scegliere alla folla dei Giudei se liberare Barabba o Gesù. È la folla che impone la liberazione di Barabba. Pilato appare quindi un “debole”, anche se lo storico Giuseppe Flavio ed il Re Erode Agrippa I lo presentano come una persona arrogante e violenta. Si deve infatti ricordare che Pilato è stato “destituito” dal Proconsole di Siria Lucio Vitellio nel 36 per aver brutalmente represso la rivolta dei Samaritani sul Monte Garizim, dove essi avevano il loro Tempio.

 

Pertanto, il giudizio positivo su Pilato, espresso nel Vangelo, sembra confezionato “a posteriori”, in funzione antiebraica e filo romana, per addossare sugli Ebrei tutta la responsabilità per la morte di Gesù.

 

Nel Vangelo secondo Giovanni, la narrazione dei fatti presenta una importante differenza rispetto a quella degli altri Vangeli, in quanto, Gesù, dopo la sua cattura e dopo l’interrogatorio notturno da parte dell’ex Sommo Sacerdote Anna, assolutamente vietato dalla procedura giudiziaria ebraica, è portato «con le mani legate» da Caifa, che non lo interroga, diversamente da quanto è narrato nei Vangeli Sinottici. Quindi la mattina, all’alba, Gesù è portato, «dalla casa di Caifa», davanti a Pilato. Non c’è quindi il processo davanti al Sinedrio.

Le scene del giudizio davanti a Pilato sono due: la prima di Pilato con Gesù nel Pretorio, ma i tre interrogatori di Gesù da parte di Pilato sono in realtà dei “colloqui” dato che si svolgono “a tu per tu”, senza la presenza degli Ebrei, rimasti fuori dal Pretorio. La seconda scena è quella di Pilato con gli Ebrei, che non entrano nel Pretorio «per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua». (Gv 18,28)

 

Infatti, il Pretorio è un luogo pagano e quindi “impuro” e pertanto gli Ebrei non vi possono entrare per non contaminarsi perché altrimenti non possono celebrare, la sera, la festa della Pasqua, partecipando alla “cena pasquale” e mangiando l’agnello pasquale. Infatti, è venerdì 14 Nisan e la sera inizia il giorno di Pasqua, che nel Vangelo giovanneo cade sabato 15 Nisan.

 

Pilato esce dal Pretorio e chiede agli Ebrei il motivo per il quale gli hanno portato Gesù. Gli rispondono che è un «malfattore», altrimenti non l’avrebbero portato al suo giudizio. Pilato, allora risponde loro di giudicarlo secondo la Legge Ebraica. Gli Ebrei replicano che a loro «non è consentito mettere a morte nessuno». Infatti, è riservato al Procuratore romano lo “ius gladii” (diritto di spada), cioè il potere di condannare a morte. È chiara quindi la volontà degli Ebrei di “far morire Gesù”. (Gv 18,29-31)

 

Pilato entra nel Pretorio e chiede a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?» e Egli gli risponde: «Dici questo da te oppure altri ti hanno parlato di me?». Infatti, gli Ebrei non hanno mosso questa accusa contro Gesù, che pertanto chiede a Pilato il motivo della sua domanda.

 

Pilato gli chiede ancora: «La tua gente ed i Capi dei Sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». Gesù gli dice, rispondendo però alla prima domanda :«Il mio regno non è di questo mondo;se il mio regno fosse di questo mondo,i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei;ma il mio regno non è di quaggiù». Pilato gli dice: « Dunque tu sei Re?» e Gesù gli risponde: «Tu lo dici:io sono Re. Per questo sono nato e per questo sono venuto al mondo:per dare testimonianza della verità». Pilato gli chiede: «Cosa è la verità?» e poi esce di nuovo per andare a dire ai Giudei «Io non trovo in lui colpa alcuna».

 

Poi, per cercare di salvare Gesù, dopo aver ricordato l’usanza del Procuratore romano di rimettere in libertà una persona, «in occasione della Pasqua», dice loro:« volete dunque che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?Allora essi gridarono di nuovo: Non costui, ma Barabba!», che è «un brigante». (Gv 18,38-40) In verità, Barabba è un «ribelle», probabilmente uno Zelota.

 

Allora, Pilato, rientrato nel Pretorio, a malincuore fa liberare Barabba, la cui liberazione è stata richiesta ed imposta dalla folla, anche se egli non ha detto di scegliere tra lui e Gesù. È però singolare che la folla chieda la liberazione di Barabba, di cui Pilato non ha fatto il nome! Quindi,Pilato fa fustigare Gesù, sperando di salvarlo dalla morte.

 

I soldati romani gli mettono sul capo «una corona di spine» intrecciata ed addosso «un mantello di porpora»; lo deridono e lo scherniscono dicendogli «Salve, Re dei Giudei!» e lo prendono a schiaffi.

 

Pilato esce di nuovo fuori dal Pretorio e presenta ai Giudei «la corona di spine ed il mantello di porpora» di Gesù dicendo: «Ecco l’uomo» (Ecce homo). Poichè i Giudei gridano di crocifiggerlo, Pilato dice loro: «Prendetelo voi e crocifiggetelo;io in lui non trovo colpa». I Giudei gli rispondono: « Noi abbiamo una Legge e secondo la Legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio». L’accusa che muovono contro Gesù è quindi “religiosa” e non è sufficiente per condannarlo a morte. (Gv 19,1-7)

 

Sentite queste parole, Pilato ha «ancora più paura». Di cosa ha paura Pilato? Forse di una rivolta del popolo ebreo, come c’è stata in precedenza e nella quale è stato catturato Barabba?

 

Pilato rientra nel Pretorio e chiede a Gesù: «Di dove sei tu?». Probabilmente, vuole sapere non da quale regione viene, ma chi è veramente.

 

Gesù non gli risponde. Allora gli dice: «Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà ed il potere di metterti in croce?» Gesù gli risponde: «Tu non avresti alcun potere su di me,se cioè non ti fosse dato dall’alto. Per questo, chi mi ha consegnato a te ha un peccato più grande». (Gv 19,8-11)

 

Il Vangelo narra che «Pilato cercava di metterlo in libertà», trovando un pretesto, ma i Giudei gli gridano: «Se liberi costui, non sei amico di Cesare. Chiunque si fa Re si mette contro Cesare». (Gv 19,12)

 

Probabilmente “intimorito” da questa affermazione dei Giudei, Pilato fa condurre Gesù nel cortile e lo presenta agli Ebrei dicendo: «Ecco il vostro Re !», ma quelli gridano : «Via! Via! Crocifiggilo!». Pilato replica dicendo: «Metterò in croce il vostro Re?», ma i Capi dei Sacerdoti gli rispondono: «Non abbiamo altro Re che Cesare».(Gv 19,12-15)

Questa frase è un “pressione fortissima” su Pilato, che, a quel punto, capisce che non può più fare nulla per salvare Gesù, dato che è accusato di essere “Re dei Giudei”. Questa accusa infatti costituisce il gravissimo reato di “lesa maestà” verso l’Imperatore romano, e l’autore deve essere condannato a morte. Se egli, come Procuratore romano non punisce Gesù, sarebbe accusato di tradimento. Pertanto, Pilato consegna Gesù ai soldati romani perchè sia “crocifisso”. (Gv 19,16)

 

Le irregolarità del processo davanti a Pilato

 

Anche il processo a cui è stato sottoposto Gesù da Pilato è irregolare perché Pilato ha accolto le accuse mosse contro Gesù dalle Autorità ebraiche, non ascoltando testimoni né “a carico” né “a favore” di Gesù e soprattutto non ha tenuto in alcun conto le discolpe formulate da Gesù.

 

Pilato cerca di liberare Gesù, dicendo più volte ai Giudei che non trova “colpa alcuna” in Lui, e fa anche ricorso al suo potere di liberare un condannato in occasione delle feste e quindi della Pasqua.

 

Però Pilato si impaurisce quando gli Ebrei gli dicono: «Se liberi questo uomo, non sei amico di Cesare» perché «chiunque si fa Re si mette contro Cesare» (Gv 19,12). Infatti teme, se non condanna a morte Gesù, di essere accusato di “tradimento” verso l’Imperatore Tiberio e quindi cede alle pressioni degli Ebrei, che vogliono la morte di Gesù e per questo lo accusano di essersi proclamato “Re dei Giudei”.

 

Più probabilmente, i “tentativi” di Pilato per liberare Gesù sono stati inseriti dagli Evangelisti o dai trascrittori successivi dei Vangeli per liberare i Romani dalla responsabilità della morte di Gesù,addossandola sugli Ebrei.

 

Chi è Barabba?

 

Il nome Barabba deriva dall’aramaico bar-Abbà. Dato che Abbà significa Padre, Barabba è un patronimico e significa figlio del Padre. Però, può significare anche figlio di Dio, dato che gli Ebrei non possono pronunciare il nome Dio e pertanto lo chiamano anche Padre.

 

Anche Gesù spesso si riferisce a Dio come Padre. Al riguardo, la parola aramaica Abbà =Padre compare nel Vangelo secondo Marco, nel quale Gesù dice: «Abbà, Padre, tutto è possibile per te» (Mc 14, 36) in cui c’è sia il termine aramaico, usato dagli Ebrei (Abbà), sia la parola tradotta (Padre), per far comprendere chiaramente ai lettori che Gesù si rivolge al Padre, cioè a Dio.

 

È sorprendente che nessun esegeta abbia capito che Barabba corrisponde all'espressione usata dagli Ebrei per dire “figlio di Dio”!

 

In molti manoscritti in greco dei Vangeli, redatti fino al III sec., il termine bar-Abbas (contratto in Barabbas) è preceduto dal nome Iesoûs. Pertanto, la frase significa “Gesù figlio del Padre” ed anche "Gesù figlio di Dio".

 

Successivamente, nei Vangeli la parola Iesoûs è stato cancellata ed è rimasto solo il termine Barabbas, inteso nella tradizione cristiana come “nome proprio di persona”.

 

Barabba compare nei quattro Vangeli Canonici nell'ambito del racconto del processo a Gesù davanti al Procuratore romano Ponzio Pilato, dopo la sua cattura a Gerusalemme, in occasione della Pasqua.

 

Secondo i Vangeli Sinottici, Barabba è in carcere, catturato in seguito a una rivolta scoppiata in città. Pertanto, probabilmente fa parte del Movimento degli Zeloti.

 

Pilato, cerca di liberare Gesù, non trovando alcuna colpa in Lui e considerando infondata la richiesta di condanna a morte, fatta dai suoi accusatori giudei.

 

Dato che era consuetudine del Procuratore romano, in occasione della Pasqua, liberare una persona detenuta nelle carceri romane, Pilato chiede ai Giudei, che assistono al processo di Gesù nel cortile del Pretorio,se liberare Gesù o Barabba. Gli Ebrei, spinti dai Sacerdoti, scelgono di liberare Barabba, di cui poi non si sa più nulla.

 

Invece, nel Vangelo secondo Giovanni, i Giudei chiedono la liberazione di Barabba senza scegliere tra lui e Gesù. (Gv 18,46)

 

La figura di Barabba è presentata in modo differente nei Vangeli Canonici. Infatti, il Vangelo secondo Matteo racconta che i Romani « avevano in quel momento un prigioniero famoso, di nome Barabba». (27, 16)

 

Questo passo evangelico è stato tradotto in modo diverso nel corso degli anni. Infatti, la Sacra Bibbia (Traduzione dai Testi Originali), edita dalle Edizioni Paoline nel 1964, lo traduce così dal greco: «Egli (Pilato) aveva allora in carcere un detenuto famoso, detto Barabba».

 

Invece, la versione ufficiale della Conferenza Episcopale Italiana del 1976 t raduce il passo in: «(i Romani) Avevano in quel tempo un prigioniero famoso, detto Barabba».

 

Nel Nuovo Testamento - Parola del Signore, pubblicato nel 1976 dalla Elle Di Ci - Leumann, di Torino,il passo evangelico è tradotto così: «A quel tempo era in prigione un certo Barabba, un carcerato famoso».

 

Infine, il Nuovo Testamento, Nuova Revisione del 1992 sul testo greco, edito dalla Società Biblica di Ginevra, traduce il passo così:« (I Romani) Avevano allora un noto carcerato, di nome Barabba».

 

Le traduzioni sono abbastanza diverse e producono importanti discordanze nei significati del passo evangelico. Infatti, l’uso dei termini “un prigioniero famoso, detto Barabba”, da una parte, o “un certo Barabba,un carcerato famoso” e “un noto carcerato, di nome Barabba”, dall'altra parte, lasciano intendere due cose differenti. Infatti, il nome Barabba nel primo caso sembra essere un soprannome, cioè il “prigioniero famoso” era detto o chiamato Barabba, mentre nel secondo e nel terzo caso sembra trattarsi di un nome di persona, cioè il “carcerato famoso” o il “noto carcerato” si chiamava proprio Barabba.

 

Questa interpretazione è rimasta nella Tradizione cattolica, cioè Barabba si chiama proprio così ed è in carcere perché è un “brigante”, ma più probabilmente è un ribelle zelota, dato che la parola greca lestés significa ribelle.

 

Nella pagina 101 del Novum Testamentum Graece et Latine, edito nel 1933, nella parte superiore, evidenziato in rosso, troviamo il verso 16 del Capitolo 27 del Vangelo secondo Matteo e nella parte inferiore, sotto la riga orizzontale, abbiamo la relativa nota a piè di pagina, nella quale sono riportate le varianti che si possono trovare in alcuni antichi manoscritti evangelici. In particolare, la nota è duplice e le due parti sono separate da una breve linea verticale.

 

Nella prima parte della nota del passo 27,16 del Vangelo secondo Matteo, presente nel Novum Testamentum Graece et Latine, al posto di legomenon Barabban (detto Barabba), abbiamo l’espressione: Ihsoun Barabban (Gesù Barabba). Pertanto, secondo la nota il vero nome del personaggio è Gesù ed il termine Barabba è un patronimico. Pertanto, la frase si legge “Gesù, Figlio del Padre”, inteso come “Gesù figlio di Dio”, dato che gli Ebrei non possono pronunciare il nome di Dio.

 

Nella liturgia latina troviamo "filius Patris", che è la traduzione letterale dell'espressione usata dagli Ebrei.

 

In italiano, la parola aramaica «bar Abbà» (figlio del Padre) si è trasformata in «figlio di Dio», usata dal Sommo Sacerdote Caifa, che chiede a Gesù se è “il figlio di Dio” e Gesù gli risponde: “ Tu l’hai detto”.(Mt 26,63-64)

 

Nella seconda parte della nota è scritto che, dopo la parola Barabba , alcuni antichi testi evangelici recano la seguente frase: «il quale era stato messo in carcere in occasione di una sommossa scoppiata in città e di un omicidio». Pertanto, Barabba è detenuto nelle carceri romane, insieme con i ribelli (probabilmente Zeloti) che hanno partecipato a una “rivolta” (probabilmente una insurrezione antiromana) nel corso del quale è stato compiuto un “omicidio” ( forse è stato ucciso un soldato romano o un collaborazionista dei Romani), ma non è chiaro se egli appartenga al gruppo insurrezionale e se sia quindi corresponsabile dell’omicidio.

 

Invece, nel passo attuale del Vangelo secondo Matteo, Barabba è in prigione”, ma non se ne comprendono i motivi.

 

Nel Vangelo secondo Marco si legge che «un tale chiamato Barabba si trovava in carcere insieme ai ribelli che nella rivolta avevano commesso un omicidio». (15,7)

 

Il verbo «avevano commesso» è coniugato al plurale e si riferisce quindi ai «ribelli», non a Barabba. La frase significa quindi che Barabba era rinchiuso nel carcere romano, in cui si trovavano i « ribelli che nella rivolta avevano commesso un omicidio», ma questo non significa che lui è un ribelle e che ha partecipato alla “sommossa” ed allo “omicidio”.

 

Nel Vangelo secondo Luca, Barabba «era stato messo in prigione per una rivolta scoppiata in città e per omicidio». (Lc 23,19)

 

Pertanto, sembra che era stato imprigionato “per aver partecipato” alla “rivolta” ed allo “omicidio”. La frase è simile a quella del testo antico omesso dal Vangelo secondo Matteo, ma è tradotta in modo errato. In particolare, una versione del Nuovo Testamento del 1976, che si definisce "traduzione interconfessionale in lingua corrente", la riporta così: «... era in prigione perché aveva preso parte a una sommossa del popolo in città ed aveva ucciso un uomo».

 

Invece, la traduzione corretta è: "«... si trovava in carcere, insieme ai ribelli che nella sommossa avevano commesso un omicidio...». Infatti la frase greca "dia stasin tina" può essere tradotta "in occasione di una sommossa", "poiché c'era stata una sommossa", "nel luogo della sommossa", "durante una sommossa", ma non si può tradurre: "aveva preso parte a una sommossa" e "aveva ucciso un uomo". Secondo questa traduzione, infatti, Barabba partecipa alla “sommossa” ed all’omicidio.


Invece, secondo il testo originale in lingua greca sembra che Barabba non è uno dei “ribelli” che hanno preso parte alla “sommossa” ed hanno commesso l’omicidio, ma soltanto che egli è “in carcere, insieme ai ribelli” che hanno partecipato alla “sommossa” ed hanno commesso un “omicidio”.

 

Il Vangelo secondo Giovanni invece, narra solo che Barabba è un «brigante» ( Gv 18,40), senza però spiegare che è in carcere, come raccontano i Vangeli Sinottici. Però, più probabilmente è un ribelle antiromano, dato che la parola greca lestés significa ribelle.

 

In definitiva, chi è Barabba?

 

Gesù e Barabba sono due persone diverse, i cui nomi, ruoli e responsabilità sono stati confusi nella contraffazione storica, fatta dagli Evangelisti o dai trascrittori successivi dei Vangeli?

 

Sono i due aspiranti Messia degli Esseno-Zeloti, il Messia di Israele (il capo politico) ed il Messia di Aronne (il capo spirituale)?

 

Gesù e Barabba sono la stessa persona, che ha subito uno sdoppiamento, come altri personaggi della narrazione evangelica?

 

In questo caso, se Gesù-Barabba è stato liberato da Pilato, chi è stato crocifisso?

 

Al riguardo, la Tradizione islamica sostiene che Gesù non è stato crocifisso. Purtroppo, non abbiamo le risposte a queste domande ed il mistero di chi è Barabba permane.



 

 

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