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N. 51 - Marzo 2012 (LXXXII)

cassino
cronistoria di una battaglia
di Generoso Mele


La rivisitazione di avvenimenti storici, avendo a disposizione tutte le informazioni necessarie e utili a comprenderne il reale significato, permette di cogliere e assimilare insegnamenti del passato che possono trovare applicazione anche nel presente. In quest’ottica si inseriscono alcune iniziative a connotazione prettamente militare quali il Battlefield Tour  e lo Staff Ride.


Il concetto di Battlefield Tour è stato mutuato dal mondo anglosassone e si configura come una visita ad uno o più luoghi di una campagna/operazione militare occorsa nel passato. Esso non presuppone uno studio preliminare degli avvenimenti oppure esso è molto limitato e poco dettagliato. Quando è condotto da un esperto, il Battlefield Tour può stimolare il pensiero e incoraggiare la discussione fra i partecipanti, anche se entro i limiti di una preparazione preliminare carente in termini di livello di approfondimento degli eventi. In sintesi, il Battlefield Tour utilizza un terreno ed una situazione storica ma non prevede una fase preparatoria di studio.


Lo Staff Ride, al contrario, si basa su:
- lo studio sistematico di una particolare campagna/operazione militare;
- accurate visite sui siti associati alla campagna/operazione prescelta;
- l’opportunità di assimilare e integrare gli insegnamenti/ammaestramenti da esso derivanti.
In sintesi, lo Staff Ride collega un evento storico, un metodico studio preliminare ed il reale terreno, allo scopo di analizzare una battaglia in maniera tridimensionale.
Normalmente si articola in tre distinte fasi:
- studio preliminare;
- approfondimenti sul terreno;
- integrazione dei risultati/insegnamenti.


Pertanto, lo Staff Ride rappresenta un’opportunità metodologica unica per far convergere gli insegnamenti del passato verso l’attuale leadership per applicazioni in attuali e/o future operazioni. In questo contesto si inserisce l’attività condotta dalla Divisione “Acqui”, denominata operazione “CASSINO”, svoltasi dal 21 al 23 novembre 2011 in alcune significative località della Battaglia (quota 593, Colle Abate, Monte Cifalco), cui hanno partecipato i key elements dello staff divisionale. Tuttavia, tale iniziativa, pur essendo stata associata ad un Battlefield Tour, nella realtà si colloca a metà strada fra esso ed uno Staff Ride poiché, pur cogliendo e sviluppando aspetti dell’uno e dell’altro, non sfocia apertamente in una delle due tipologie.

 

Infatti, pur non essendo stato preceduto da un approfondito studio preliminare, ha certamente giovato dell’apporto di storici, studiosi, appassionati e testimoni oculari durante le visite ad alcuni luoghi della campagna/operazione, per terminare con l’individuazione di insegnamenti e considerazioni applicabili alle moderne operazioni e raccolte organicamente nel presente documento finale. Perciò, coniando un nuovo termine, questa esperienza può essere definita come Battle Ride oppure Staff Tour.


Gli obiettivi dell’operazione erano quelli di studiare ed analizzare:
- le relazioni di Comando e Controllo e Comunicazioni utilizzate dagli Alleati e dall’Asse;
- leadership e processo decisionale;
- combattimenti particolari (forzamento di un corso d’acqua e cbt. negli abitati);
- combattimenti particolari (cbt. in montagna);
- operazioni aeree e joint;
- la componente multinazionale e la realtà della guerra;
- il sostegno logistico;
- la protezione dei beni culturali e della popolazione civile;
- media/influence operations;
al fine di trarne insegnamenti da poter considerare/applicare agli attuali scenari operativi.


Il Comando Divisione “Acqui” ha nominato un Nucleo Organizzativo per assicurare la corretta pianificazione e condotta dell’operazione. Tale Nucleo è composto da:
- Ten. Col. Lucio DI BIASIO (project officer);
- Magg. Generoso MELE (responsabile organizzazione).

Nello studio di questa materia, spesso, ci si accorge che le teorie di CLAUSEWITZ della connessione tra guerra ed attività politica trovano un’ampia applicazione nelle battaglie del secondo conflitto. La battaglia di CASSINO, oltre a possedere tale specifica, rappresenta un episodio importante dove la superiorità della tecnologia militare ha dovuto cedere il passo agli impedimenti del terreno ed al valore, sommato alla tenacia combattiva, delle unità a difesa.


La Battaglia di CASSINO, si inquadra all’interno degli episodi bellici precedenti ai suoi fatti d’arme. L’invasione del Nord Africa causò all’Asse la distruzione delle armate italo/tedesche, privando l’Italia del suo impero coloniale ed assicurando una base alle forze alleate per le successive operazioni in territorio italiano.


L’invasione della Sicilia, accelerò il collasso del regime fascista; la vittoria alleata, infatti, fu una sorpresa per gli italiani che, grazie alla propaganda, erano convinti che gli invasori sarebbero stati respinti. Lo sbarco a Salerno nel settembre del ‘43 ed il ritardo impostogli dai tedeschi, diedero al Maresciallo Kesserling il tempo di organizzare il fronte di CASSINO che con la liberazione di Mussolini gettò le basi per un governo repubblicano nell’Italia centro settentrionale. Tale scontro ebbe l’apice della sua drammaticità nelle tre fasi della sanguinosa battaglia di CASSINO.


La Battaglia di CASSINO, legata ad implicazioni di natura politico/strategica, rappresenta tatticamente la sola battaglia difensiva della 2^ guerra mondiale con caratteristiche delle battaglie difensive della 1^; ciò sia per l’addensarsi di forze notevoli in un ristretto spazio, sia per l’esteso sistema difensivo.


L’origine della battaglia trova collocazione nel sistema difensivo tedesco meglio noto come Linea Invernale. La linea “B” (Bernhardline o Reinhardt) o linea invernale per gli Alleati correva dall’Adriatico al Tirreno, seguendo i rilievi sulla riva sinistra del fiume Sangro fino a Casoli, per poi dirigersi verso le pendici della Maiella. Successivamente assumeva un andamento quasi meridiano lungo l’allineamento Maiella - M.Arasecca (Castel di Sangro) - Castel S. Vincenzo.

 

Da qui formava un primo saliente che seguiva le alture a destra del fiume Volturno fino a sfiorare i dintorni ovest di Venafro; formava, quindi, un secondo saliente che abbracciava i monti Sammucro, Cesima e Camino ed, infine, dopo aver attraversato il Garigliano all’altezza delle colline a sud di S. Andrea seguiva le alture sulla riva destra di tale fiume fino al mare (spiaggia di Scauri).


Questa linea presentava anche alcune posizioni antistanti di sicurezza e di mascheramento in corrispondenza della media valle del Sangro e del basso Garigliano. Per darle profondità, inoltre, era stato predisposto,a tergo, un sistema di linee poste a cavallo del fascio operativo tirrenico (ritenuto più pericoloso), tale da costituire, insieme alla Linea Invernale, una triplice barriera per qualsiasi direttrice di penetrazione Alleata.

 

Tale sistema era costituito:
- dalla linea “G” o Gustav (Castel di Sangro – Alfedene - pendici del monte La Meta - pendici delle Mainarde - riva destra del fiume Rapido – San Ambrogio -San Andrea;
- dalla line ”D” o Dora (Atina - M.Cairo – Piedimonte - San Germano – Acquino –Pontecorvo – Monte D’Oro - Monte Petrella - Formia);
- dalla linea “H” o Hitler (o “Sengerline” dal nome del suo costruttore) coincidente con la linea “D” da Atina a Pontecorvo e proseguente, dopo tale località, secondo l’andamento Pico – Fondi - Terracina. Tale linea, corrispondente alla dislocazione delle riserve, come già accennato, aveva lo scopo di tamponare eventuali penetrazioni di formazioni corazzate Alleate.


Questa sistemazione era coerente con l’organizzazione difensiva tedesca, già attuata su altri fronti, che era impostata su sistemi difensivi, distanziati tra loro circa di 80 km, ciascuno dei quali comprendeva “una zona di sicurezza”, “una posizione di resistenza” e una “zona delle riserve” avente complessivamente una profondità variabile da 6 a 20 km circa secondo la natura del terreno.


La massima profondità, ovviamente, veniva raggiunta nei terreni pianeggianti, dove la “zona di sicurezza” era profonda 6-7 km, e la minima in terreni montani, ove la zona delle riserve avevano una profondità di 3-5 km e distavano fra loro fino a 3 km.
L’organizzazione della zona delle riserve era quasi uguale a quella della posizione di resistenza, vi potevano essere costruite trincee e camminamenti e non dovevano mai mancare ostacoli anticarro.


Nell’organizzazione della linea Invernale questi criteri sono stati applicati quasi integralmente:
- la “posizione di resistenza” era costituita dalla linea Bernhard, la quale aveva alcune posizioni antistanti costituenti, nel complesso, la “zone di sicurezza”. La posizione di resistenza aveva un raddoppio sia in corrispondenza del tratto più sensibile del fronte, da Castel di Sangro a San Andrea (Linea Gustav), che in corrispondenza del tratto da S.Andrea al mare (linea “D” o Dora);
- la “zona delle riserve” era costituita dalla linea “H” (o Sengerline) per l’intero tratto Atina– Pontecorvo – Fondi - Terracina.
La linea Invernale, dovendo assolvere soltanto la funzione di imporre un tempo di arresto, era composta da una catena di caposaldi non collegati fra loro, il cui nucleo era costituito quasi sempre dalle sommità dei monti o dai paesini che, come castelli, troneggiavano sulle cuspidi delle montagne. Questa seconda soluzione consentiva, oltretutto, una buona protezione del personale dai rigori dell’ inverno.
La linea Gustav, invece, era densamente presidiata, specialmente nel tratto a cavallo della Stretta di Mignano.


I criteri ai quali si ispiravano gli apprestamenti difensivi delle singole posizioni erano i seguenti:
- che consentissero in ogni caso un sicuro ripiegamento dei difensori;
- che godessero di ottime condizioni di osservazione del proprio campo di tiro;
- che fossero in grado di attirare il nemico in zone più idonee alla condotta di contrattacchi affidati ai piccoli reparti tenuti,fino al momento dell’azione, in sicuri rifugi blindati o in caverne per agire alle bravissime distanze.
Oltre a ciò, grande importanza veniva attribuita all’ostacolo naturale integrato da ostacoli artificiali.


Le demolizioni realizzate, in effetti, furono così numerose che spesso, da sole, erano sufficienti ad arrestare per qualche giorno l’avanzata. Tale linee erano integrate da una serie di allagamenti attuati lungo la zona costiera che limitavano il transito alla sola ferrovia e rotabili principali creando anche una compartimentazione del terreno utile per isolare eventuali formazioni sbarcate dal mare e condizionarne il movimento.


La costruzione delle fortificazioni della linea ”Gustav”, diretta dal Generale del genio Bessel, fu eseguita da unità pionieri, reparti ausiliari italiani e battaglioni orientali; quella della linea “Bernhardt”, invece, dalle stesse truppe combattenti. L’orientamento della concezione difensiva tedesca a condurre una difesa efficace in corrispondenza dalla linea “Invernale”, richiedendo un ammassamento di forze a ridosso di essa, creava una vasta zona di vulnerabilità sul tergo, dove un eventuale sbarco alleato avrebbe potuto seriamente minacciare la via della ritirata del grosso delle forze. Cio tuttavia costituiva un “rischio calcolato” per i tedeschi.

 

Essi, infatti, proprio in previsione di una possibile interruzione delle vie Appia e Casilina, avevano predisposto un piano di ritirata cosi articolato:
- le unità che si trovavano nel settore nord del versante tirrenico si sarebbero ritirate seguendo l’itinerario Atina – Opi - Pescina - Celano - L’Aquila;
- le unità ubicate nel settore centrale (valle del Liri) si sarebbero raccolte in aree da dove avrebbero iniziato la ritirata lungo l’itinerario Sora – Avezzano - Rieti;
- le unità del settore sud si sarebbero concentrate a Fondi da dove avrebbero iniziato la ritirata seguendo l’itinerario valle Corsa – Ceccano - Frosinone – Subiaco – Carsoli - Rieti;
- infine, i nuclei di vigilanza costiera, trattenuti fino all’ultimo a Terracina, si sarebbero raccolti nella zona di Priverno e si sarebbero ritirati seguendo l’itinerario Carpineto – Colleferro – Valmontone – Palestrina – Tivoli - Passo Corese (Sulla salaria). Qui avrebbero organizzato una resistenza per dare tempo alla messa in ritirata sulle vie montane di sboccare nella Conca di Terni.


È interessante constatare come la concezione difensiva tedesca si sia dovuta basare su ipotesi non suffragate da sufficienti dati informatici. Tale situazione limitava la libertà d’azione dei difensori facendo, quindi, prevedere la necessità di interventi da decidere sul momento laddove si fosse presentata la minaccia. Inoltre la soluzione del problema operativo era complicata:
- dalla insicurezza delle predisposizioni difensive costiere per mancanza di adeguati mezzi navali ed aerei atti a impedire uno sbarco;
- dalla scarsità di ricognizione aerea atta ad individuare per tempo i movimenti dal nemico;
- della difficoltà di assicurare i rifornimenti alle proprie forze a causa del dominio aereo da parte degli alleati,della insufficienza della rete stradale e ferroviarie delle limitazioni imposte dalla natura montuosa del territorio.


Tutti questi motivi davano valore alla scelta della linea Gustav per arrestare l’avanzata del nemico. Essa infatti presentava sostanzialmente soltanto due alternative per l’attaccante o tentare di sfondare in corrispondenza della Stretta di Mignano con l’impiego di ingenti forze corazzate o attaccare nei settori montani.


Scartata la seconda ipotesi, in quanto ritenuta più onerosa e lenta nonchè improbabile, stante la mancanza di truppe da montagna nel campo avversario, non rimaneva che la prima. Questa risultava oltremodo rischiosa per i tedeschi qualora fosse stato attuato dagli Alleati un aggiramento dal mare; ma, da calcoli fatti, Kesserling riteneva che in tal caso vi sarebbe stata la possibilità (poi verificatasi) di tenere il fronte principale fintantochè l’avversario non avesse costituito una minaccia seria per le vie di ritirata predisposte, come abbiamo visto, nella zona interna montana. A questo si deve aggiungere l’efficienza combattiva dei reparti tedeschi, la loro abilità nello sfruttare il terreno e la rapidità con la quale i comandi germanici seppero fronteggiare ogni situazione imprevista.


Purtroppo non si può dire altrettanto della marina e dell’aviazione o, dall’inizio del 1943, non furono in grado di sostenere adeguatamente le operazioni terrestri.

La 1^ fase della battaglia (novembre 1943 – gennaio 1944)
La prima fase della lotta riguardava l’offensiva alleata contro la linea invernale e l’apertura di una breccia in corrispondenza del bacino del fiume Rapido.
La pianificazione operativa del XV Gruppo d’Armate prevedeva un’azione offensiva convergente su ROMA da parte di due Armate con un’operazione anfibia sulle coste del Tirreno. L’operazione era stata prevista in tre tempi successivi:
- 1° tempo (20.nov.): attacco dell’8^ Armata britannica con obiettivo la fronte Collarmele/Popoli/Pescara al fine di minacciare da Avezzano il tergo delle truppe tedesche schierate nella Valle del Liri;
- 2° tempo (01.dic.): attacco della 5^ Armata lungo la Valle del Liri/Sacco, a cavallo della via Casilina, con obiettivo Frosinone;
- 3° tempo (20 Dic.): sbarco a tergo dell’ala destra tedesca in modo da favorire l’avanzata della 5^ Armata su ROMA.
Rotta la linea invernale, si riteneva che l’avanzata potesse procedere celermente sino a raggiungere Frosinone.


Attuato tutto ciò, avrebbe potuto aver luogo l’operazione di convergenza delle armate su ROMA, obiettivo della battaglia.


L’8^ Armata, a causa del cattivo tempo, dovette rimandare l’attacco dal 20 al 28 novembre. Nonostante ciò l’Armata ebbe un inizio molto promettente tanto che i reparti del V Corpo d’Armata, appoggiati dall’aviazione, conquistarono Lanciano e S. Vito Chietino (4 dicembre). Tuttavia, la resistenza dei tedeschi andò accrescendosi su tutta la fronte del V Corpo ove furono sviluppati violenti contrattacchi.


Sulla fronte del XIII Corpo d’Armata la tenace resistenza della 1^ Divisione paracadutisti tedeschi rese impossibile ogni tentativo inglese di spingersi avanti. A causa di ciò, l’8^ Armata fece una breve sosta al fine di ridisegnare il dispositivo per riprendere le operazioni il 10 dicembre.


I tedeschi rinforzarono il loro sistema difensivo con l’afflusso della 334^ Divisione fanteria e della 26^ Divisione corazzata, protraendo la lotta di logoramento sino a Natale.


La 5^ Armata, il 01 dicembre, iniziò la preparazione aerea ed il giorno successivo quella d’artiglieria continuando sino al 04 dicembre. L’attacco delle fanterie ebbe inizio il 01 dicembre nella zona di Calabritto; successivamente l’attacco fu spinto a fondo verso la regione di Vallenova/Monte Maggiore. Solamente Monte Maggiore venne occupato; sul resto della fronte investita, attacchi e contrattacchi continuarono sino alla sera dell’8 dicembre e si conclusero con la conquista di Monte La Remetane e di Rocca d’Evandro (raggiungendo la zona di confluenza Peccia /Garigliano). Un fianco della stretta era caduto e gli Alleati si erano attestati lungo tutto il basso corso del Garigliano.
L’8 dicembre, il 1° Raggruppamento Motorizzato Italiano e la 3^ Divisione attaccarono la fronte Monte Lungo/S. Pietro Infine/Monte Sammucro. Tuttavia, l’attacco non ebbe successo ed alla sera gli elementi avanzati furono fatti ripiegare sulla base di partenza.
Il 15 dicembre riprese l’attacco sulla fronte tra Monte Maggiore e Monte Sammucro; l’attacco contro Monte Lungo fu protetto lungo il suo fianco sinistro dal possesso di Monte Maggiore e dalla bassa Val Peccia. La lotta durò sino al 17 quando i tedeschi cedettero ripiegando verso la fine del mese sulla pre organizzata Linea “Gustav”.
Con il ripiegamento tedesco sulla linea “Gustav” ebbe fine la prima fase della battaglia ed il piano alleato di raggiungere rapidamente ROMA doveva considerarsi fallito.

2^ fase. Lotta di logoramento intorno Cassino e sbarco ad Anzio (gennaio – marzo 1944).
La nuova pianificazione degli Alleati nacque il 25 dicembre alla conferenza di Tunisi dove Churchill sollecitò l’occupazione di ROMA. Al termine, non ritenendo probabile un aumento a favore dei tedeschi delle forze contrapposte sul Garigliano (dato il predominio aereo alleato) si decise di persistere nell’offensiva, concentrando però gli sforzi nel solo settore Rapido/Garigliano, con la solita operazione anfibia su Anzio.
La 5^ Armata avrebbe agito a cavallo della via Casilina e dal basso Garigliano completandosi con lo sbarco ad Anzio mentre l’8^ Armata avrebbe effettuato azioni dimostrative lungo il litorale adriatico.


Intendimenti e compiti particolari dei tedeschi furono sintetizzati dall’ordine del giorno di HITLER in cui si precisò che la linea “Gustav” doveva essere tenuta ad ogni costo.
L’offensiva, iniziata il 12 gennaio, fu intensificata il 21 tanto che la 26^ Divisione riuscì ad affermarsi saldamente sulla destra del Rapido occupando CAIRO (26 gen.) concentrando la lotta verso CASSINO. Contemporaneamente il C.E.F. non ottenne risultati apprezzabili. Sul Garigliano, il X Corpo d’Armata, nonostante validi tentativi di aggiramento, non concluse nulla a causa dei contrattacchi tedeschi. Ai primi di febbraio, gli Alleati constatarono il fallimento dell’attacco della 5^ Armata; le forze tedesche, impiegate abilmente, erano riuscite ad impedire l’avanzata verso valle del Liri difendendo i pilastri di Montecassino e di Monte Maio impedendo la congiunzione della 5^ Armata con le unità sbarcate ad Anzio.


Imputato il fallimento ad una mancata gravitazione, fu deciso che gli sforzi sarebbero stati concentrati in corrispondenza di CASSINO (II Corpo d’Armata) che sbarrava l’accesso alla valle del Liri. La 4^ Divisione, muovendo da Monte Castellone/Colle Maiola, doveva puntare tra Colle S. Comeo e Colle d’Onofrio per raggiungere la fronte quota 593/altura dell’Abbazia. La 2^ Divisione avrebbe agito a sud dell’abitato di CASSINO per forzare il passaggio del Rapido. Le due Divisioni, poi, avrebbero continuato l’avanzata a cavallo della via Casilina. Per agevolare l’attacco, il Comando alleato autorizzò, su richiesta del Generale Freyberg (Comandante del V Corpo) il bombardamento della celebre Abbazia di Montecassino (distrutta il 15 febbraio). L’attacco, però, fu stroncato dall’inizio ed il 16 iniziò la controffensiva tedesca contro le unità sbarcate ad Anzio che, dopo iniziali successi, si esaurì per la resistenza opposta dagli Alleati appoggiati dall’aria e dal mare.


Il Comando alleato riprese l’offensiva con un obiettivo ancora più limitato del precedente, l’altura di Montecassino. L’attacco iniziò il 18 marzo con la preparazione dell’aviazione e d’artiglieria. Dopo aver completamente distrutto l’abitato di CASSINO ed il rilievo del Castello, la lotta si protrasse sino al 23 marzo allorquando il Comando alleato sospese l’azione, rafforzandosi sulle posizioni raggiunte (Colle S. Comeo/Altura del Castello nord-est di CASSINO/stazione ferroviaria). Fallito il terzo attacco era conclusa la seconda fase della battaglia.

La terza fase. La rottura ed il tentativo di aggiramento (11 maggio - 4 giugno 1944)
Il XV Gruppo d’Armate non modificò quanto pianificato per la 2^ fase della battaglia, stabilendo lo sforzo principale (8^ Armata), lungo la valle del Liri/ Sacco, a cavallo della via Casilina, con obiettivo ROMA; la 5^ Armata doveva facilitarne la manovra agendo sul fianco sinistro. La libertà d’azione lasciata ai Comandanti delle Armate modificò la condotta del Comandante del XV Gruppo di Armate (invece cioè di un’azione frontale sul Garigliano e poi aggirante con lo sbarco di Anzio, la 5^ Armata effettuò lo sforzo principale occupando ROMA).


I tedeschi, che possedevano un’organizzazione difensiva notevole (specialmente a nord della via Casilina) avevano delle forze di presidio di modesta entità con scarso appoggio d’aviazione. Accuratissima, come sempre, l’organizzazione del fuoco e del contrattacco.


L’11 maggio iniziò una preparazione di artiglieria che si estese subito su tutta la fronte del Garigliano/Rapido. Gli Alleati non ottennero dei risultati decisivi sino al 14 allorquando la situazione si sviluppò favorevolmente conquistando Monte Maio ed arrivando nella valle dell’Ausente sino a S. Apollinare e S. Giorgio. Il 15 maggio la rottura della posizione avanzata dell’organizzazione difensiva tedesca con la conquista di Spigno Saturnio sino ad arrivare alla conca di Ausonia. Il 16 vide l’avanzare della fanteria marocchina mentre il 17, la resistenza dei tedeschi a Formia ne determinò una sosta.


Il giorno 18 ed il 19 si ebbero dei forti scontri nei dintorni di FORMIA per una serie di contrattacchi tedeschi, mentre il 20 avvenne la rottura definitiva dell’intera organizzazione difensiva tedesca. Le avanguardie del II Corpo d’Armata americano raggiunsero Fondi il 22 mentre ed il C.E.F. occupò Campodimele e la conca di Pico sino a Pontecorvo.


Nello stesso periodo si sviluppavano i seguenti avvenimenti sulla fronte dell’8^ Armata da parte del II Corpo d’Armata polacco. Dopo alcuni tentativi, il 17 il Corpo d’Armata polacco occupò q. 593; il 18 q. 479 e Messeria Albaneta ed anche l’Abbazia; la 5^ Divisione, invece, occupava Colle S. Angelo. In complesso il 20 maggio veniva raggiunto la linea: Gaeta/Itri/Fondi (II Corpo d’Armata); Campodimele/Pico/Monte Marrone (C.E.F.); Pontecorvo/San Germano (XIII Corpo d’Armata britannico e II Corpo d’Armata polacco).


Il 24 il II Corpo d’Armata americano raggiungeva l’Amaseno/Valle di Roccasecca dei Volsci; il C.E.F. la fronte Amareno/Pasterna/S.Giovanni Incarico; il XIII Corpo il F. Melfa. Intanto, era stato deciso di attaccare anche dalla testa di sbarco di Anzio in direzione nord-est, per Cisterna e Cori, Valmontone. L’attacco ebbe inizio il 23 e dopo quattro giorni di combattimento gli Alleati raggiunsero i dintorni di Lanuvio, Velletri, Valmontone, Artena.


Il 29, con l’85^ Divisione fu ripresa l’avanzata su Velletri mentre il 30 maggio si raggiunse Velletri. L’8^ Armata, superate le difese di Melfa occupava, il 28 maggio Arce ed il 30 Frosinone (9 divisioni su di una fonte di 8 km). Da Frosinone il XIII Corpo d’Armata puntò su Arsoli mentre il I Corpo d’Armata su Ferentino ed Anagni. La 5^ Armata puntava vittoriosa su ROMA non solo per la via Appia ma anche per la via Casilina, preventivata, nei piani, per l’avanzata dell’8^ Armata. Il 4 giugno i primi reparti della 5^ Armata raggiunsero ROMA.
La battaglia di CASSINO era conclusa.

Il Generale Marshall ebbe a dire nella sua relazione che gli Alleati volevano eliminare l’Italia, ma volevano anche evitare di creare, “un baratro in cui finissero con l’essere assorbite le risorse destinate all’azione di attraversamento della Manica”. Ciò spiegherebbe l’assegnazione di unità eterogenee e non fra le migliori disponibili. Tuttavia, non si spiega il procedimento operativo, non certo brillante, seguito nella condotta della battaglia, in considerazione delle forze superiori a disposizione e di uno strumento logistico di enorme potenziale all’interno di un ambiente favorevole.

 

Lo sviluppo della battaglia, poi, non soddisfò neppure gli stessi vincitori tanto che il Comandante della 5^ Armata dovette rispondere ad una commissione d’inchiesta della sua azione di comando. Egli fu prosciolto perché la condotta era legata alla scelta (non adeguata alla realtà del terreno) di condurre le operazioni solo a cavallo delle grandi vie di comunicazione, con grosse colonne motorizzate, precedute da avanguardie di carri armati ed appoggiate da aerei, cercando di limitare al massimo l’impiego diretto della fanteria.


La mentalità delle grandi possibilità di manovra, nonostante l’ambiente geofisico, sfruttato da un avversario capace e tenace, fu lenta a morire; non ci si rese conto che, in terreni montani, anche con rilievi modesti ma impervi, dove le comunicazioni sono limitate e facilmente interrompibili, bastano poche forze, decise a difendersi, per rendere eccezionalmente forte una posizione difensiva ad un attacco eseguito a base di macchine.


Gli inutili sforzi sulla linea Invernale, gli attacchi in gennaio sul basso Rapido, i tentativi contro CASSINO delle divisioni motorizzate americane ed ancora le azioni di febbraio e di marzo fecero tornare in primo piano la normale fanteria, adeguatamente equipaggiata per muovere e combattere su ogni tipo di terreno. Il merito, infatti, del vittorioso epilogo della battaglia va attribuito alle divisioni di fanteria marocchine, che, con il loro equipaggiamento da montagna, poterono raggiungere per l’alto i centri vitali logistici dell’avversario, la cui conquista determinò di fatto la caduta dell’organizzazione difensiva tedesca.


La manovra di aggiramento delle unità tedesche sul Garigliano, oltre a quanto detto, fallì perché gli Alleati consideravano erroneamente ROMA il fulcro logistico delle unità tedesche ritenendo che, intercettando le comunicazioni con la Capitale, lo schieramento sul Garigliano non potesse reggere.


La manovra alleata prevedeva che le unità sbarcate ad Anzio, si sarebbero dirette verso i Colli Albani, tagliando la Via Appia e poi la Casilina (dove quest’ultima più si avvicinava alla testa di sbarco). Tuttavia, con un’azione più decisa su Valmontone si sarebbe sfruttata la sorpresa tattica subita dal comando tedesco, che attendeva lo sbarco nella zona di Civitavecchia. La condotta, infine, della battaglia del Garigliano, da parte alleata presenta delle serie deficienze.


Le varie fasi della battaglia furono, pianificate, organizzate e condotte, sulla stessa falsa riga. Ogni pianificazione, infatti, non deve essere simile alla precedente perché si rinuncia all’elemento sorpresa (interamente e/o parzialmente); un’azione attesa dal nemico, in una direzione prevista e già sfruttata, ha ben poche probabilità di riuscita. Altro elemento è la tardiva valutazione delle limitazioni operative dell’ambiente montano (se organizzato a difesa) al movimento ed all’azione di masse motorizzate non coadiuvate da unità di fanteria. L’eccessiva importanza attribuita allo sbarco di Anzio nel quadro generale della battaglia (peraltro non pienamente sfruttato).


La “Gustav” trae la sua origine dalla scelta politica di HITLER di attuare il piano di Kesserling nel bloccare gli Alleati nell’Italia centrale. Gli ostacoli incontrati nella battaglia del Garigliano hanno generato idee poco esatte sulla sistemazione difensiva tedesca. Per contrastare la minaccia da uno sbarco alleato sul medio Tirreno, il Comando tedesco predispose un ripiegamento delle unità verso delle direzioni previste. Tale meccanismo permise di continuare la resistenza sul Garigliano alimentando con regolarità la battaglia con le unità al sicuro da ogni minaccia.


La reciproca fiducia tra comandi ed unità è stato una delle ragioni dell’accanita resistenza durante la 1^ e la 2^ fase della battaglia nonché dell’ordinato ripiegamento alla fine della 3^ fase. Tuttavia, le operazioni tedesche in Italia, e la loro libertà d’azione, furono influenzate da considerazioni politiche e, pertanto, le decisioni non furono conseguenza solamente di valutazione della situazione militare.


Dopo la seconda fase della battaglia divenne evidente che non sarebbe stato possibile resistere ulteriormente alla potente pressione alleata, tanto da chiedersi perché il comando tedesco abbia ugualmente difeso strenuamente le posizioni tenute invece di mirare a conservare le proprie forze rifiutando la battaglia e logorando l’avversario con una manovra di ripiegamento. Forse su tale decisione avranno influito, oltre le ragioni politiche (interventi di Hitler, effetti propagandistici della conquista di ROMA, ipotesi di Hitler di poter rapire il Papa) anche la buona disposizione tattica delle posizioni occupate e lo stato avanzato dei lavori di fortificazione. Tuttavia, un ripiegamento avrebbe vanificato la preparazione offensiva degli Alleati che sarebbero stati costretti a fermarsi e logorarsi sulle posizioni delle riserve procedendo lentamente a causa delle predisposizioni difensive avversarie.


In caso di ripiegamento, infatti, l’offensiva alleata per la presa di ROMA sarebbe stata rimandata per attuare la preparazione di un nuovo attacco in forze. Tutto ciò deriva dal fatto che gli Alleati ebbero gravi preoccupazioni durante i primi giorni dell’offensiva, appunto perché credevano che i tedeschi volessero sottrarsi alla battaglia facendo cadere il loro attacco nel vuoto. Il 4 giugno la 5ª Armata entrò a ROMA, ma l’attenzione alleata era già da un’altra parte. Partiva l’operazione “OVERLORD”, in Francia, che assorbì tutte le risorse umane e materiali degli Alleati, ed il fronte italiano venne ad assumere un’importanza secondaria. La campagna in ITALIA, per questo motivo, durò ancora un anno e terminò con la resa delle unità tedesche poco prima del suicidio di Hitler nel “bunker” della Cancelleria di Berlino.



 

 

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