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N. 88 - Aprile 2015 (CXIX)

I FIGLI DEGLI ALTRI
BAMBINI PALESTINESI, CARCERi d'ISRAELe

di Filippo Petrocelli

 

Nel leggere i giornali italiani, non è raro imbattersi nella definizione di “Israele” come unica democrazia del Medioriente.

 

Al di là dei giudizi di merito e delle considerazioni personali, un dato che salta all’occhio e stona con questo assunto è quello relativo alla detenzione di minori palestinesi nelle carceri israeliane.

 

Secondo stime ufficiali dell’Olp, negli ultimi quindici anni sono stati arrestati oltre 10.000 bambini. In un altro rapporto realizzato dalle Nazioni Unite, si stima che oltre 7000 minorenni (di età compresa fra 12 e 17) siano stati arrestati nella sola Cisgiordania a partire dal 2003, mentre l’Unicef denuncia sistematici maltrattamenti che violano il diritto internazionale.

 

E la domanda che sorge spontanea è proprio questa: “Può un paese che si definisce e si rappresenta come democratico” usare diffusamente la carcerazione, spesso preventiva e spropositata, contro minorenni di origine palestinese, senza sollevare dubbi sulla natura del suo potere? In effetti questo sembra un controsenso.

 

Il reato maggiormente contestato a persone spesso neanche adolescenti è quello di “lancio di pietre” (un crimine che in Israele può costare da 6 mesi a 15 anni di prigione) ma spesso in sgarbo anche alle minime garanzie del diritto, a questi bambini viene negata l’assistenza di un legale, la presenza di un familiare durante l’interrogatorio e si arriva persino a non avvertire i parenti più prossimi del luogo di detenzione.

 

In altri casi invece viene usato e agitato il reato di “resistenza all’occupazione” e quasi sempre questi minori sono giudicati da un tribunale militare.

 

Ma non basta: perché oltre ad arrestare un numero spropositato di minorenni, Israele non lesina loro trattamenti disumani. Spesso i bambini finiscono in isolamento, vengono prelevati di notte, vessati e costretti da una serie di restrizioni soprattutto fisiche.

 

Misure contenitive come le manette, ma anche minacce verbali, insulti e vessazioni: insomma il principale problema è che Israele tratta detenuti minorenni come detenuti adulti (sebbene neanche nel caso di questi ultimi queste pratiche siano giustificate), dimenticando le norme del diritto internazionale, la Convenzione sui Diritti dell'Infanzia e una serie di altri trattati e documenti, firmati e ratificati dalla quasi totalità degli stati del mondo.

 

Secondo il Defence for Children International la pratica di mettere in isolamento minorenni è in aumento e ha già toccato circa il 15% degli arrestati. E sempre secondo questo rapporto nel 2014 i bambini palestinesi arrestati hanno passato una media di 15 giorni in isolamento dopo il loro arresto. Non è difficile immaginare gli effetti psicologici che un bambino possa provare dopo due settimane di totale isolamento.

 

Attualmente anche tutta la trafila legale della detenzione (dall’interrogatorio fino alla prigione) è scritta in ebraico e spesso i minorenni appongono firme su qualcosa che ovviamente non sanno leggere, né interpretare, e per questo arrivano anche ad auto-accusarsi di reati mai commessi.

 

Più volte l’Onu ha lanciato allarmi sulla questione, agitando lo spettro della convenzione di Ginevra e insistendo più volte sulla natura extraterritoriale di questi arresti: secondo le norme del diritto internazionale persino un prigioniero di guerra non andrebbe mai “deportato” nel paese occupante ma lasciato in prigioni “autoctone”.

 

Israele invece è molto attento a tradurre all’interno del suo territorio i prigionieri palestinesi (minori e non), anche perché le strutture detentive sono collocate dentro i confini del paese e non nei Territori occupati.

 

Troppo spesso questo situazione non trova spazio sulla stampa, dimenticata chissà perché, nelle periferie dell’informazione. E il tutto è ancora più insopportabile in un paese come l’Italia in cui la retorica sulla famiglia, sull’infanzia e sui diritti dei bambini è assordante.



 

 

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