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N. 57 - Settembre 2012 (LXXXVIII)

Aristotele, la saggezza e il giusto mezzo
differenze
tra Sapienza e saggezza
di Dalia Fortini

 

Sapienza e saggezza riguardano scienze differenti.

Phronesis (in greco antico, φρόνησις), tradotta in italiano come saggezza, è una parola che ricorre sovente nell’Etica Nicomachea aristotelica. Parlare del mondo della virtù intesa nel senso aristotelico è entrare nella sfera che riguarda la scienza che il filosofo chiama praxis (pratica) che non ha a che fare con il senso pratico che si intende comunemente, ma si inserisce propriamente nell’ambito dell’etica (ethos).

 

Cosa significa dunque praxis? La scienza della praxis riguarda l’azione, ma non un’azione che ha il suo fine fuori di sé, nella produzione, ma l’azione che ha il proprio fine in se stessa. La phronesis è una disposizione, alla base della ragione umana, che sa deliberare riguardo al male e al bene, e quindi in un certo senso coordina il soggetto affinché sappia discernere tra l’azione giusta e non.

 

Alla base di quello che è il comportamento, l’habitus virtuoso, è presente la saggezza, che Aristotele lega alla maturazione della persona, ed esclude che sia presente nei più giovani che non hanno alcuna esperienza della vita.

 

Per sviluppare dunque la virtù è necessaria l’esperienza che dipende dalla lunghezza del tempo. E la virtù, che in senso generale è la disposizione al bene (il ben attivarsi), in senso particolare riguarda diverse peculiarità del comportamento umano che si riferiscono a un equilibrio che Aristotele trova nel giusto mezzo tra due eccessi.

 

Nel libro IV dell’Etica Nicomachea Aristotele parla di varie virtù cominciando dalla liberalità per finire al pudore. Nella trattazione ad esempio della sincerità, in greco una virtù senza nome, lo Stagirita afferma che questa si trova nel mezzo tra millanteria e dissimulazione. Ecco cosa dice Aristotele: «È unitamente riconosciuto che il millantatore è persona incline a dare a vedere i titoli di gloria che non possiede, […] il dissimulatore, al contrario, nega le qualità che possiede […]; chi tiene il giusto mezzo […] è persona incline alla verità sia nella sua vita che nella sua parola».

 

Come si riconosce quindi la virtù?

 

Per prima cosa è riconoscibile dal fatto che è oggetto di lode, ed è una disposizione permanente dell’anima; oggettivamente si è già detto che l’azione virtuosa viene determinata dalla regola del giusto mezzo (la medietà); soggettivamente si può dire che l’azione virtuosa è determinata da una scelta deliberata e dalla consapevolezza della situazione.

 

Della scelta deliberata non partecipano fanciulli e animali, come degli atti volontari. Per il filosofo la scelta volontaria non riguarda le azioni che si compiono in modo immediato, né possiamo definirla in modo proprio come volontà, in quanto la volontà è anche delle cose impossibili e mira piuttosto al fine, la scelta deliberata no ed è legata alla scelta dei mezzi per raggiungere un fine possibile.

 

Aristotele parla invece di sapienza (epistème, in greco επιστήμη), quando l’ambito del discorso sono le scienze teoretiche: matematica, fisica e metafisica. La sapienza non ha a che vedere con l’etica, ma riguarda la conoscenza dei principi. Per quanto riguarda la Metafisica ad esempio Aristotele parla dell’episteme come scienza che considera l’ente in quanto ente, ossia che tiene in considerazione l’ente nella sua essenzialità, per quello che è. La virtù della sapienza è propriamente quella di saper cogliere le verità speculative.

 

Nell’Etica Nicomachea Aritostele parla di virtù dianoetiche, che riguardano l’intelletto, e non la vita pratica. La virtù dell’intelletto, la parte scientifica dell’anima, ha per oggetto le cose immutabili, stabili, certe, che non cambiano – come appunto i principi della fisica, della matematica e della metafisica – perché ha come fine proprio la verità.

 

Parlando di episteme ritroviamo un po’ Platone nel suo discepolo. Anche Platone considerava infatti la sapienza come la più alta tra le conoscenze, in quanto conoscenza della verità, mentre la doxa riguardava invece i gradini più bassi della semplice opinione.

 

Tutti gli uomini per natura desiderano sapere», così esordisce il filosofo di Stagira nel primo libro della Metafisica. Aristotele intende dire in queste prime righe che ogni uomo cerca nel corso della sua esistenza di vederci chiaro e tende per natura a voler sapere la verità. La sua ricerca si basa sulla sua ragione, ragione che si interessa primariamente sul contingente, lo unisce, trova in questo delle relazioni che indicano un’ulteriorità e l’intelletto che ha come scopo primario quello di trovare la verità, il principio che soggiace a tutto e tutto unisce.

 

L’esempio lampante che si può fare è quello della lingua. Il senso che il soggetto comprende deriva dall’unione di parole, di per sé con significati e funzioni differenti, ma il senso è uno, l’uno dato dal molteplice, un uno che però va oltre la molteplicità perché non si ferma alla singolarità, ma della quale non può fare a meno.



 

 

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