N. 79 - Luglio 2014 
                          
                          (CX)
																						LUDOVICO ARIOSTO
																						ANALISI della terza SATIRA
																						di Luigi De Palo
																			 
																			
																			
																			La 
																			satira 
																			terza 
																			dell’Ariosto 
																			è 
																			destinata 
																			a 
																			Messer 
																			Annibale 
																			Malagucio, 
																			cugino 
																			del 
																			sommo 
																			poeta 
																			e 
																			alto 
																			funzionario 
																			pubblico 
																			a 
																			Reggio. 
																			Per 
																			le 
																			satire 
																			l’Ariosto 
																			utilizza 
																			il 
																			genere 
																			epistolare, 
																			qualificandole 
																			così 
																			in 
																			una 
																			particolare 
																			intimità 
																			e 
																			destinandole 
																			a 
																			persone 
																			a 
																			lui 
																			vicine, 
																			in 
																			grado 
																			di 
																			comprendere 
																			le 
																			sue 
																			vicende.
																			 
																			
																			
																			Nella 
																			satira, 
																			che 
																			è 
																			una 
																			lettera 
																			di 
																			risposta, 
																			l’Ariosto 
																			parla 
																			del 
																			suo 
																			passaggio 
																			alla 
																			corte 
																			del 
																			duca 
																			Alfonso 
																			e 
																			della 
																			sua 
																			condizione 
																			di 
																			letterato. 
																			Comincia 
																			con 
																			il 
																			Cardinale 
																			Ippolito 
																			che 
																			non 
																			ha 
																			perdonato 
																			Ludovico 
																			(il 
																			quale 
																			si 
																			rifiutò, 
																			per 
																			vari 
																			motivi 
																			descritti 
																			nella 
																			satira 
																			I, 
																			di 
																			andare 
																			in 
																			Ungheria 
																			con 
																			la 
																			sua 
																			corte) 
																			e 
																			con 
																			il 
																			poeta 
																			che 
																			è 
																			passato 
																			dunque 
																			alla 
																			corte 
																			del 
																			duca 
																			d’Este.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			L’Ariosto 
																			sottolinea 
																			che, 
																			per 
																			la 
																			sua 
																			condizione 
																			di 
																			letterato, 
																			sarebbe 
																			meglio 
																			non 
																			essere 
																			sottomesso 
																			ad 
																			alcun 
																			signore 
																			(“e 
																			fora 
																			meglio 
																			a 
																			nessuno 
																			esser 
																			sotto” 
																			V.9); 
																			lo 
																			stesso 
																			però 
																			si 
																			rende 
																			conto 
																			della 
																			necessità 
																			del 
																			lavoro 
																			a 
																			corte 
																			poiché 
																			dieci 
																			sono 
																			i 
																			fratelli 
																			e il 
																			benessere 
																			economico 
																			dei 
																			genitori 
																			è 
																			basso 
																			(V.12-27).
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Con 
																			riferimento 
																			a 
																			divinità 
																			della 
																			mitologia: 
																			Saturno 
																			“facevo 
																			il 
																			giuoco 
																			che 
																			fè 
																			Saturno 
																			al 
																			suo 
																			ne 
																			l’altro 
																			seggio” 
																			V.15; 
																			e 
																			Mercurio 
																			“né 
																			mai 
																			fu 
																			troppo 
																			a’ 
																			miei 
																			Mercurio 
																			amico” 
																			V.23).
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Egli 
																			non 
																			stima 
																			però 
																			la 
																			vita 
																			di 
																			corte 
																			un’occasione, 
																			bensì 
																			un 
																			rapporto 
																			di 
																			servaggio 
																			(metafora 
																			versi 
																			da 
																			37 a 
																			40 
																			per 
																			dire 
																			che 
																			non 
																			tutti 
																			gli 
																			uomini 
																			si 
																			adattano 
																			alla 
																			servitù). 
																			V.52-66 
																			L’Ariosto 
																			dice 
																			che 
																			i 
																			desideri 
																			degli 
																			uomini 
																			sono 
																			vari.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Il 
																			suo 
																			non 
																			è 
																			ottenere 
																			un 
																			posto 
																			di 
																			prestigio 
																			a 
																			corte, 
																			ma 
																			il 
																			riconoscimento 
																			letterario: 
																			è 
																			questo 
																			che 
																			Ludovico 
																			cerca. 
																			Rivendica 
																			così 
																			la 
																			sua 
																			identità 
																			di 
																			scrittore 
																			che 
																			può, 
																			attraverso 
																			lo 
																			studio 
																			e la 
																			scrittura, 
																			fare 
																			le 
																			sue 
																			esperienze 
																			(V.60-63 
																			Riferimento 
																			a 
																			Tolomeo: 
																			le 
																			carte 
																			come 
																			strumento 
																			di 
																			un’esperienza 
																			più 
																			importante 
																			rispetto 
																			alla 
																			realtà).
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Quest’immagine 
																			di 
																			un 
																			Ariosto 
																			in 
																			“pantofole” 
																			non 
																			è 
																			però 
																			molto 
																			veritiera; 
																			sappiamo 
																			infatti 
																			che 
																			viaggiò 
																			molto, 
																			soprattutto 
																			per 
																			conto 
																			del 
																			Cardinale 
																			Ippolito 
																			come 
																			ambasciatore; 
																			e al 
																			servizio 
																			del 
																			duca 
																			Alfonso 
																			come 
																			governatore 
																			della 
																			Garfagnana. 
																			L’autore 
																			vuole 
																			però 
																			dare 
																			un 
																			ritratto 
																			ideale 
																			di 
																			sé 
																			stesso, 
																			vuole 
																			esser 
																			considerato 
																			un 
																			intellettuale 
																			e 
																			non 
																			un 
																			cortigiano.
																			 
																			
																			
																			V.73 
																			Il 
																			poeta 
																			non 
																			nasconde 
																			al 
																			cugino 
																			che 
																			un 
																			altro 
																			motivo, 
																			per 
																			cui 
																			non 
																			vuole 
																			lasciare 
																			Ferrara, 
																			è 
																			una 
																			donna, 
																			Alessandra, 
																			da 
																			lui 
																			amata. 
																			Il 
																			discorso 
																			amoroso 
																			non 
																			va 
																			intrapreso 
																			in 
																			un 
																			genere 
																			come 
																			la 
																			satira 
																			(V.79).
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Lo 
																			stesso 
																			Ariosto 
																			(V.82 
																			e 
																			seguenti) 
																			confida 
																			che 
																			andando 
																			a 
																			Roma 
																			dal 
																			Papa 
																			avrebbe 
																			ottenuto 
																			dei 
																			benefici, 
																			poiché 
																			era 
																			molto 
																			amico 
																			di 
																			Leone 
																			X 
																			(Giovanni 
																			dÈ 
																			Medici), 
																			il 
																			quale 
																			però 
																			non 
																			mantiene 
																			le 
																			promesse 
																			fatte 
																			al 
																			poeta 
																			non 
																			affidandogli 
																			alcun 
																			incarico. 
																			V.106 
																			l’Ariosto 
																			narra 
																			a 
																			tal 
																			proposito 
																			una 
																			favola 
																			(breve 
																			racconto 
																			con 
																			morale 
																			alla 
																			fine).
																			
																			
																			 
																			
																			
																			La 
																			gazza 
																			del 
																			racconto 
																			rappresenta 
																			il 
																			poeta; 
																			l’uccello 
																			non 
																			è 
																			importante 
																			e 
																			neppure 
																			lo 
																			scrittore 
																			lo è 
																			dal 
																			punto 
																			di 
																			vista 
																			sociale: 
																			le 
																			istituzioni 
																			si 
																			rivelano 
																			incapaci 
																			di 
																			andare 
																			incontro 
																			al 
																			letterato. 
																			Al 
																			contrario 
																			il 
																			nostro 
																			Poeta 
																			preferisce 
																			la 
																			quiete 
																			degli 
																			studi 
																			alla 
																			carriera, 
																			determinata 
																			dalla 
																			fortuna; 
																			l’Ariosto 
																			vuole 
																			fare 
																			il 
																			poeta 
																			e la 
																			rifiuta, 
																			come 
																			fece 
																			il 
																			Petrarca. 
																			Si 
																			trova 
																			in 
																			un 
																			momento 
																			di 
																			stallo: 
																			prima 
																			era 
																			la 
																			Chiesa 
																			a 
																			raccogliere 
																			le 
																			migliori 
																			tendenze 
																			culturali, 
																			ora 
																			invece 
																			Ludovico 
																			vive 
																			una 
																			rottura 
																			di 
																			questo 
																			modello 
																			letterato-chierico.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			V.208-231 
																			Vi è 
																			l’Apologo 
																			della 
																			Luna, 
																			secondo 
																			Segre 
																			la 
																			volontà 
																			di 
																			giungere 
																			al 
																			culmine 
																			degli 
																			onori 
																			per 
																			trovarvi 
																			la 
																			desiderata 
																			tranquillità, 
																			ma è 
																			solo 
																			un 
																			miraggio. 
																			La 
																			Ruota 
																			di 
																			Fortuna 
																			è 
																			come 
																			la 
																			luna, 
																			ci 
																			mostra 
																			che 
																			la 
																			piena 
																			fortuna 
																			è 
																			un’illusione 
																			che 
																			cresce 
																			o 
																			cala. 
																			Egli 
																			inoltre 
																			critica 
																			aspramente 
																			chi 
																			pecca 
																			di 
																			immodestia 
																			e 
																			desidera 
																			dominare 
																			in 
																			ogni 
																			campo.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Dal 
																			V.255 
																			il 
																			poeta 
																			parla 
																			dell’onore 
																			che 
																			non 
																			per 
																			forza 
																			di 
																			cose 
																			appartiene 
																			a 
																			coloro 
																			che 
																			sono 
																			investiti 
																			da 
																			cariche 
																			illustri, 
																			ma è 
																			proprio 
																			di 
																			chi 
																			lo 
																			dimostra 
																			(“vestir 
																			di 
																			romagnuolo 
																			et 
																			esser 
																			bono, 
																			al 
																			vestir 
																			d’oro 
																			et 
																			aver 
																			nota 
																			o 
																			macchia 
																			dibaro 
																			o 
																			traditor 
																			sempre 
																			prepono” 
																			V.275).
																			
																			
																			 
																			
																			
																			V.277 
																			l’Ariosto 
																			ci 
																			presenta 
																			due 
																			figure, 
																			di 
																			cui 
																			non 
																			sappiamo 
																			nulla: 
																			Il 
																			Bomba, 
																			il 
																			quale 
																			esibisce 
																			vistosamente 
																			i 
																			suoi 
																			furti; 
																			e il 
																			Borna, 
																			che 
																			fu 
																			fratricida 
																			ed 
																			ha 
																			ereditato.
																			 
																			
																			
																			Ogni 
																			satira, 
																			secondo 
																			il 
																			modello 
																			classico, 
																			è 
																			strutturata 
																			sotto 
																			forma 
																			di 
																			lettera, 
																			che 
																			l’autore 
																			invia 
																			a 
																			persone 
																			a 
																			lui 
																			care, 
																			utilizzando 
																			non 
																			il 
																			latino 
																			ma 
																			il 
																			volgare. 
																			Questo 
																			utilizzo 
																			del 
																			volgare 
																			però 
																			non 
																			ci 
																			deve 
																			far 
																			pensare 
																			a 
																			una 
																			composizione 
																			senza 
																			alcun 
																			valore; 
																			numerosi 
																			sono 
																			infatti 
																			i 
																			riferimenti 
																			stilistici 
																			e 
																			spirituali 
																			che 
																			l’Ariosto 
																			fa 
																			al 
																			Petrarca, 
																			Dante 
																			e 
																			Orazio, 
																			anche 
																			se a 
																			quell’epoca 
																			il 
																			poeta 
																			più 
																			seguito 
																			per 
																			il 
																			componimento 
																			satirico 
																			era 
																			Giovenale. 
																			Ludovico 
																			fece 
																			qualcosa 
																			di 
																			rivoluzionario 
																			rifacendosi 
																			invece 
																			a 
																			Orazio 
																			che 
																			come 
																			lui 
																			credeva 
																			nell’otium 
																			contemplativo.
																			 
																			
																			
																			Come 
																			in 
																			tutte 
																			le 
																			satire 
																			anche 
																			nella 
																			III 
																			vi 
																			sono 
																			riferimenti 
																			a 
																			questi 
																			autori 
																			e 
																			non 
																			solo. 
																			Ad 
																			esempio: 
																			V.34-35 
																			“Non 
																			si 
																			adatta 
																			una 
																			sella 
																			o un 
																			basto 
																			ad 
																			ogni 
																			dosso” 
																			fa 
																			pensare 
																			ad 
																			Orazio 
																			per 
																			varie 
																			somiglianze 
																			(Odi 
																			I,1); 
																			e 
																			V.208-231 
																			sono 
																			versi 
																			in 
																			cui 
																			viene 
																			ripresa 
																			la 
																			favola 
																			della 
																			Ruota 
																			della 
																			Fortuna, 
																			racconto 
																			che 
																			deriva 
																			dal 
																			proemio 
																			al 
																			VII 
																			libro 
																			delle 
																			intercenali 
																			di 
																			Leon 
																			Battista 
																			Alberti. 
																			Altri 
																			riferimenti 
																			a 
																			Dante 
																			al 
																			V.15 
																			‘L’alto 
																			seggio’ 
																			(Inferno 
																			I,128) 
																			e 
																			alle 
																			rime 
																			di 
																			Petrarca 
																			“Strani 
																			liti” 
																			V.54.
																			 
																			
																			
																			Oltre 
																			alle 
																			citazioni 
																			di 
																			passi 
																			di 
																			altri 
																			autori 
																			abbiamo 
																			anche 
																			l’uso 
																			di 
																			un 
																			linguaggio 
																			non 
																			sempre 
																			volgare, 
																			ma 
																			molto 
																			spesso 
																			impreziosito 
																			da 
																			latinismi, 
																			come 
																			la 
																			parola 
																			Speme 
																			(speranza) 
																			utilizzata 
																			al 
																			V.186; 
																			in 
																			questo 
																			modo 
																			si 
																			ottengono 
																			testi 
																			molto 
																			elaborati, 
																			dove 
																			ogni 
																			parola 
																			è 
																			particolarmente 
																			calibrata.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Il 
																			riferimento 
																			ad 
																			altri 
																			autori 
																			e un 
																			linguaggio 
																			ricercato 
																			è un 
																			procedimento 
																			utilizzato 
																			dall’Ariosto 
																			per 
																			evidenziare 
																			la 
																			materia 
																			alta 
																			da 
																			quella 
																			più 
																			bassa, 
																			oppure 
																			utilizza 
																			un 
																			linguaggio 
																			alto 
																			per 
																			una 
																			materia 
																			bassa 
																			per 
																			far 
																			dell’ironia.
																							
																			
																			
																			
																			
																							
																			 
																			
																			