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N. 62 - Febbraio 2013 (XCIII)

L’ALTARE DI PERGAMO
TRA ARTE E MITO

di Massimo Manzo

 

Il monumentale altare di Zeus e Atena conservato oggi presso il Pergamonmuseum di Berlino è il simbolo universale della perfezione raggiunta dall’arte ellenistica nel II secolo a.C.. Proveniente dall’antica polis di Pergamo (attuale Bergama) in Asia minore, e originariamente situato sulle alture a occidente dell’Acropoli, questa incredibile opera architettonica fu voluta dal sovrano Eumene II per celebrare la vittoria sui Galati, antica tribù celtica che minacciava i confini del piccolo e prospero regno ellenistico.

 

Il suo completamento, avvenuto intorno al 156 a.C. si deve al successore di Eumene, il fratello Attalo II.

 

Al di là del mito, secondo cui la fondazione di Pergamo era avvenuta a opera di Telefo, figlio di Eracle, fu durante le guerre seguite alla morte di Alessandro Magno che la città cominciò a ritagliarsi una sua indipendenza politica rispetto agli altri regni ellenistici, distaccandosi dai domini detenuti dai seleucidi. Il primo re di Pergamo fu Attalo I (269-197 a.C.), il quale, riuscendo a muoversi con abilità nelle scelte di politica estera, pose le basi per la successiva espansione territoriale ed economica del regno.

 

Dal punto di vista cronologico, la realizzazione dell’altare si colloca nell’epoca di maggiore sviluppo artistico di Pergamo, caratterizzato dall’investimento di grandi somme destinate all’abbellimento della polis, che assunse un primato mai più eguagliato nella sua storia, tanto da essere definita “Atene d’Asia”. Tuttavia la forte alleanza con Roma, che all’inizio aveva garantito la stessa sopravvivenza dello stato, portò, a distanza di vent’anni dalla morte di Eumene II, alla perdita totale dell’indipendenza e l’inglobamento del regno nella provincia d’Asia.

 

La magnifica struttura dell’altare è oggi visibile nella ricostruzione a grandezza naturale effettuata dal museo di Berlino, che incorpora gran parte degli elementi architettonici e dei fregi originali trasportati in Germania a partire dal 1878. Fu proprio un tedesco, l’ingegnere Carl Humann, a riportare alla luce ciò che rimaneva dell’opera, accorgendosi di essere davanti a una delle maggiori scoperte archeologiche del secolo.

 

Il tutto, avvenne in maniera alquanto casuale: Humann era stato incaricato, a metà ottocento, della costruzione di alcune strade dall’amministrazione dell’allora impero ottomano; nel bel mezzo dei lavori, notò che nell’antico forte di epoca bizantina erano “incastonati” alcuni fregi scolpiti di incredibile bellezza, che sembravano provenire da un monumento diverso e ben più antico del forte stesso.

 

Humann dovette attendere quasi un decennio prima di ottenere dei finanziamenti dal museo di Berlino per iniziare una più accurata campagna di scavo, che iniziò finalmente nel 1878, e portò al rinvenimento di innumerevoli resti archeologici presenti nell’area e di imponenti lastre di marmo scolpite, che furono asportate e rimontate a Berlino con il consenso delle autorità turche.

 

L’altare, nel complesso, ha una pianta quadrangolare; il podio è posto al fianco di due avancorpi, sormontati da un colonnato ionico. Per giungervi bisogna salire una grandiosa scalinata, alta venti metri, la quale da un senso di profondità all’intero monumento. In altri termini, visto dall’alto l’altare assomiglia a una “U”. Sono due gli elementi impressionanti per chiunque vi si trovi davanti: da un lato l’eleganza complessiva dell’opera, perfettamente proporzionata in ogni sua parte, dall’altro la sua monumentalità, che lascia ancora oggi sbigottito il visitatore. La sua collocazione originaria, in cima alla collina dell’Acropoli (che sovrastava la città per ben 300 metri) lo rendeva ancora più maestoso, consacrandolo a vero e proprio emblema della potenza di Pergamo.

 

Il fregio, che si sviluppa per più di 110 metri, è formato da pannelli di marmo scolpito alti 2,30 metri e larghi quasi un metro. Gli altorilievi, eseguiti dalle migliori maestranze dell’epoca, rappresentano la lotta tra divinità dell’Olimpo e giganti. Secondo alcuni studiosi, lo scultore che diresse i lavori fu Firomaco, considerato come uno dei maggiori artisti del periodo ellenistico.

 

La Gigantomachia, che costituisce il motivo principale dell’opera, non è però una semplice rievocazione mitologica fine a se stessa; al contrario fu scelta dai committenti per il suo forte significato politico e propagandistico. La guerra tra dei e giganti rievoca in realtà il recente trionfo sui Galati, e più in generale, il prevalere della civiltà sulla barbarie. L’intento era inoltre quello di celebrare la dinastia regnante: uno dei protagonisti della gigantomachia è Eracle, mitico antenato degli Attalidi, mentre un fregio minore rappresenta il mito di Telefo, fondatore della città e leggendario capostipite della medesima dinastia.

 

Le vicende narrate nel fregio rendono palese come l’obiettivo dell’artista sia quello di coinvolgere direttamente l’osservatore nella confusione della battaglia. Il dinamismo delle figure è quindi uno degli elementi principali per conferire all’intera opera un realistico senso di movimento, e descrivere al meglio la violenza degli scontri. L’estrema drammaticità delle scene e l’espressività dei personaggi sono conformi ai nuovi dettami dello stile ellenistico, in cui il pathos prevale sull’armonia e la compostezza del periodo classico. In questo senso, l’altare di Pergamo è quasi un manifesto della nuova sensibilità ellenistica, che ha ormai raggiunto l’apice del suo sviluppo.

 

Si tratta, insomma, di un monumento con caratteristiche uniche, che come tutti i capolavori riassume in forma artistica lo spirito di un’intera epoca.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

G. M. A. Richter, L’arte greca, Torino 1969;

A. Giuliano, Storia dell’arte greca, Roma 1998.



 

 

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