.

home

 

progetto

 

redazione

 

contatti

 

quaderni

 

gbeditoria


.

[ISSN 1974-028X]

RUBRICHE


attualità

.

ambiente

.

arte

.

filosofia & religione

.

storia & sport

.

turismo storico



 

PERIODI


contemporanea

.

moderna

.

medievale

.

antica



 

EXTEMPORANEA


cinema

.

documenti

.

multimedia



 

ARCHIVIO


 

 

 

 

 

 

 

.

> Storia Antica

.

N. 16 - Settembre 2006

ALESSANDRO MAGNO. ALESSANDRO III DI MACEDONIA

Ai confini del mondo: Battriana e Sogdiana - Parte XII

di Antonio Montesanti

 

 

Subito dopo, e senza prendersi la pausa invernale, Alessandro ripartì da Frada, rinominata, che avrebbe portato in futuro il nome di Proftasia (Anticipazione) per ricordarne lo scampato complotto.

 

La fine di Besso

 

Il prossimo obbiettivo preposto si trovava più a sud, l’esercito dovette superare territori stepposi prima di raggiungere il corso del fiume Helmand, sorgente della catena dell’Hindu-Kush, che s’immette in terreni dando origine ad una serie di laghi palustri su i quali spicca il principale: il lago Seistan.

 

Questa situazione aveva il vantaggio di rendere estremamente fertile la zona, considerata uno dei granai dell'antica Persia, che poteva fornire alla spedizione i rifornimenti di cui necessitava.

 

Si fermò per i mesi più freddi, ospite degli Ariaspi, in possesso di una grande apertura di istituzioni civiche e di una sacralità atavica, che già si erano dimostrati con gli achemenidi estremamente accomodanti avendo già salvato l'esercito di Ciro il Grande dalla fame.

 

Per tutta questa serie di motivi, volle ricompensare questo popolo, esentandolo dai tributi, estendendone i confini e concedendo una sorta di libertà, sotto la supervisione di un satrapo, loro reggente nominale.

 

In questo periodo il Re ottenne l’atto di sottomissione dei satrapi delle regioni desertiche del sud, la Gedrosia e la Carmania (Belucistan e Catena dello Zagros) a cui venne confermato il loro posto, mentre per quanto riguarda  l’Aracosia, la scomparsa di Barsaente, rese l’occupazione una formalità e ebbe come satrapo un macedone, Menone, con una guarnigione di 600 cavalieri e 4000 fanti; quindi aggregò la Drangiana all'Aria e proseguì seguendo il corso dell’Aragandab, lungo il quale fondò Alessandria di Aracosia, poi divenuta Kandahar.

 

Nel riprendere il proprio cammino, il Macedone venne a sapere di una seconda rivolta in Aria: Satibarzane, forte dei suoi 2000 cavalieri concessi da Besso, facendo base sulle montagne  si stava dando ad una sorta di guerriglia di riconquista della satrapia.

 

In realtà non si trattava che di un piano ben concertato da parte di dell’usurpatore: l’intenzione era quella di nominare satrapi per poi inviarli in occidente per riconquistare l’intero impero così come fece con Brazane, satrapo di Parda, spedito dalla Battriana per dare inizio ad una rivolta in Media.

 

Contemporaneamente le retrovie dell’esercito, che avevano l’obbiettivo di esplorare la Drangiana, un battaglione di 6600 uomini tra cavalieri e appiedati, si stava avvicinando dalla Media per congiungersi con l’esercito.

 

Erigio, altri due comandanti macedoni e il nobile persiano Artabazo, furono incaricati di sopprimere l’agitazione. Per questo motivo venne richiesta la collaborazione di Frataferne, neosatrapo di Partia, calando da nord, ma la sua preoccupazione di difendere la propria satrapia era tanta da non partecipare alle operazioni.

 

Il distaccamento al comando di Erigio, volto a ristabilire la situazione in Aria, venne inviato da Alessandro e raggiunse la regione nella primavera del 329 a.C. Satibarzane venne raggiunto immediatamente e venne sconfitto ed ucciso in duello da Erigio, il quale in meno di tre mesi consegnava la testa del nemico personalmente ad Alessandro.

 

L’atteggiamento ambiguo del satrapo dell’Aria, Arsame, spinse Alessandro a deporlo e ad assegnare la satrapia a Strasanore, un Compagno di origine cipriota. Tuttavia il controllo di Alessandro su queste satrapie era continuamente e duramente contrastato.

 

Era evidente che le questioni legate all’insofferenza delle popolazioni locali dovessero portare Stasanore ad un’acerrima lotta che si concluse solo nell'inverno del 327 a.C. con un successo ottenuto insieme a Frataferne, che era riuscito a catturare l'usurpatore Brazane.

 

Nella vicina Aracosia, l’esercito imperiale e il contingente proveniente dalla Media si ricongiunsero, questo consentì un maggior controllo dell’area, anche grazie alla nomina del suo nuovo satrapo, Menone, capo di una ampia guarnigione.

 

Quindi il grosso delle truppe risalì il bacino dell'Helmand, attraversando le propaggini dell'Hindu-Kush per raggiungere velocemente la Battriana e Besso.

La quota iniziava a salire vertiginosamente e proporzionalmente aumentavano anche le difficoltà per l’esercito. Molti problemi si ebbero sul valico innevato che separava il corso dell’Helmand da quello del fiume Kabul, da cui si stagliavano le pendici del massiccio, collegato alle catene dell’Hymalaya e del Karakorum, che supera con molte sue vette i 7000 m s.l.m.

 

Alessandro aveva raggiunto il Paropamiso cuore dell’attuale Afghanistan che decise di attraversare solo all’inizio della primavera del 329 a.C.

 

Questo altopiano sconfinato che trovava il suo centro nella valle del Kabul, rappresenta un crocevia strategico: da qui si dipartivano  le strade verso la valle dell’Helmand e l’Iran, verso la Battriana attraverso l’Hindu-Kush, e soprattutto verso l’India attraverso il comodo passo Khyber.

 

Era necessario stanare Besso dal suo rifugio e per raggiungerlo era necessario arrampicarsi per i valichi, lungo viottoli pietrosi di montagna, e benché l’inverno era alle spalle, quello climatico a queste altitudini non sarebbe cessato prima di qualche mese.  

 

Gli occhi dei soldati erano continuamente accecati dal riflesso della neve e le loro soste si traducevano nei miseri bivacchi locali: vere e proprie tane, usate ancora oggi, scavate nel terreno con un buco sul tetto per il fumo.

 

Ma il re non era disposto a tollerare nessun rallentamento della sua marcia se non per la fondazione di colonie di città autoproclamanti, probabilmente dei ricoveri per gli ammalati e i feriti: in queste zone il Monarca impiantava due  Alessandrie, l'una all'altezza di Ghazni e l’altra detta del Caucaso vicino l’odierna Charikar.

 

Il tremendo passaggio della catena montuosa portò Alessandro a decidere di il momento opportuno per attraversare l’Hindo-Kush facendo svernare e approvvigionare il suo esercito nella valle del Kabul, appostandosi lungo le pendici meridionale del massiccio, fondando nel frattempo una nuova Alessandria presso Bagram con il compito di dominare lo Shibar e i passi di Khawak.

 

Lungo le pendici sentrionali della medesima catena, Besso si dava da fare per fermare il Macedone e difendere la sua satrapia. La sua tattica consisteva nel devastare i terreni fertili e di fare terra bruciata lungo le lande settentrionali della catena montuosa e concentrando le sue forze nelle valli di Bamian e Gorband.

 

Tuttavia non riuscì a convincere la nobiltà battriana ad una difesa comune: riuscì a mobilitare solo un esiguo esercito di 7000 cavalieri.

 

Non potendo affrontare uno scontro diretto, Besso decise di ritirarsi a nord del fiume Oxos (Amu Darya), affiancato da alcune milizie ausiliari, Spitamene della Sogdiana e da Oxiarte della Battriana, quindi assoldò gli indiani Dahi e soprattutto i temutissimi nomadi delle steppe settentrionali, i Saci, e si preparò alla guerriglia.

 

L’usurpatore attese l’arrivo del nemico sbarrando, non lo sbocco della valle settentrionale dell’Hindo-Kush nel suo punto più angusto cioè dell'alto Kaoshan ma, la posizione più arretrata, ad Andarab, dove confluivano obbligatoriamente tutti i valichi da nord.

 

Nella primavera del 329 a.C., non appena i passi furono sgombri della neve, di modo che l’esercito potesse transitare liberamente, Alessandro, probabilmente ben al corrente dei piani del nemico compì un’altra delle sue manovre più brillanti: condusse i propri uomini da Charikar attraverso una delle strade meno frequentate, il passo di Panjshir-Khawak, a 3500 m. s.l.m.

 

La traversata non fu facile e l’esercito soffrì moltissimo, benché la resistenza fosse assente, l’unico problema fu la scarsità di cibo e di legna da ardere sulle cime, molti uomini e, soprattutto donne del seguito caddero per il freddo e gli stenti della fame che costrinse i soldati a mangiare la carne degli animali da soma marinati nel succo di una pianta locale, l'assafetida o ferola.

 

Ma dopo soli sedici giorni di scomodo viaggio, la spedizione piombò a Drapsaka (Kunduz?), uno dei principali centri della Battriana, più settentrionale rispetto alla posizione di Besso il cui blocco era stato così aggirato che se lo ritrovò alle spalle.

 

Alla vista dell’esercito macedone, l’eunuco, si diede alla fuga oltre fiume Oxos, mentre Alessandro procedeva all'occupazione della satrapia, che non opponeva resistenza, insediandosi a Battra (Balkh, nei pressi di Mazar-e-Sharif), dove nominava i comandanti delle roccaforti e affidando la regione ad Artabazo, già suo collaboratore che benché fosse molto avanti ormai nell’età, s’era dimostrato uno dei pochissimi notabili iranici dotato di efficienza e di lealtà.

 

Besso intanto si era rifugiato nella ancora più settentrionale satrapia della Sogdiana, presso Spitamene. Alessandro proseguiva, senza sosta, come suo solito, l’inseguimento e adesso anche a Spitamene, in Sogdiana, estremo limite nordorientale dell'impero persiano.

 

Quest’area, fino al fiume, era totalmente desertica, per una lunghezza di 75 km, che insieme alle condizioni climatiche estive portò l'esercito macedone a soffrire pesantemente l’arsura e molti morirono dopo raggiunto il fiume ed aver bevuto troppo in poco tempo.

 

Intanto la situazione non risultava essere migliore per le truppe macedoni giunte all’altezza dell’attuale Kilif: il problema più grave riguardava l’attraversamento del fiume: non c’era legname e il fuggiasco aveva fatto bruciare tutte le imbarcazioni, inoltre la sua corrente e soprattutto la sua profondità, non consentivano né di guadarlo né d’impiantare pali per ponti mobili.

 

Alessandro utilizzò per la seconda volta l’espediente del 335 a.C. quando combatteva sul Danubio. Ordinò che tutte le pelli, usate dai soldati per coricarsi fossero cucite tra di loro alla perfezione quindi legate e riempite di paglia secca che nella steppa abbondava affinché l'acqua non vi penetrasse.

Anche così, furono necessari cinque giorni perché tutti i contingenti si compissero la traversata

 

La codardia di Besso lo stava, com’era accaduto per Dario, conducendo verso la sua fine. Alessandro aveva propagandato che Lui era interessato esclusivamente all’autoproclamatosi Artaserse V e che avrebbe accolto volentieri e ricompensato chi avesse disertato il suo campo.

 

I nobili sogdiani Spitamene e Dataferne decisero allora di contrattare una pace separata con il Monarca che fu informato dell’arresto dell’usurpatore, poco dopo aver attraversato il fiume; Alessandro riteneva che si dovesse trattare di un atto di sottomissione generale, ma Spitamene aveva solo deciso di continuare la resistenza senza l'ingombrante Besso, che lasciò alla mercé dei macedoni.

 

Quindi per accertarsi della resa si fece precedere da Tolomeo, a capo di un drappello formato da tre ipparchiai, i prodrómoi, una taxis, un migliaio di ipaspisti, metà degli arcieri, affinché si facesse consegnare Besso, che venne spodestato e spedito nudo e in ceppi e con una corda al collo ad Alessandro.

 

Besso-Artaserse V fu dapprima frustato mutilato del naso e delle orecchie, portato per il giudizio, dopo essere stato esposto al ludibrio dell'esercito e flagellato in pubblico in Battriana, Venne spedito a Ectabana, dove fu condannato al supplizio da una corte di notabili Persiani, presieduta dal fratello di Dario.

 

Il massacro dei branchidi

 

Probabilmente le fasi della consegna di Besso non furono estremamente lineari,  se mentre Tolomeo concludeva la trattativa l’esercito ebbe il tempo di raggiungere una città abitata da una comunità d'origine greca, forse dei discendenti dei branchidi, che si ritiene fossero stati ricompensati da parte di Serse quando, nel 479 a.C., gli avevano consegnato il tempio di Didima.

 

Alessandro accolse la loro resa immediata, ma il giorno dopo lasciò che i suoi soldati saccheggiassero la città e massacrassero tutti gli abitanti in espiazione dell'antico sacrilegio.

 

Fu un episodio ripugnante da qualsiasi punto di vista, e il comportamento dell'esercito non poté certo piacere ad Aristobulo o a Tolomeo, che probabilmente al momento non erano presenti.

 

Sogdiana (329 a.C.)

 

Ad un anno esatto dall’uccisione di Dario e quindi dalla caduta dell’Impero Achemenide, Alessandro aveva acquistato otto nuove satrapie senza colpo ferire, punito gli assassini di Dario ed ormai rimanevano pochi territori da occupare dell’ex-impero persiano.

 

L'avanzata all’interno del nuovo territorio della Sogdiana (Uzbekistan), non fu particolarmente difficoltosa, se si esclude la conquista di un caposaldo nomade, dove si era asserragliata la tribù locale che aveva attaccato le squadre di foraggiatori macedoni, e fu più deleterio per il Condottiero che per i suoi uomini tanto che decise dapprima di dirigersi verso la capitale Maracanda (Samarcanda), per guarire da una frattura di poco conto al perone causata da una freccia ricevuta nell’ultimo scontro.

 

Quindi proseguì verso i limiti estremi del dominio persiano, in Fergania contraddistinta dall'avamposto di Ciropoli (Ura-Tjube, a sudovest di Chodzent, o Kurkath), dove distribuì presidi nelle sette fortezze che fungevano da difesa confinaria contro i popoli barbari del Nord.

 

Anche la Sogdiana era ufficiosamente occupata, la sua capitale, Maracanda e le altre cittadelle fortificate della satrapie si erano sottomesse con l’inserimento di guarnigioni al loro interno.

 

Poi proseguì a nord-est lungo le sponde dell'attuale SyrDarya, il confine settentrionale dell'impero persiano, che nella zona era conosciuto col nome di Iassarte, ma Alessandro ei suoi ufficiali ritenevano che fosse lo stesso fiume che in Europa veniva chiamato Tanais (Don).

 

In base a questa visione Alessandro si sentiva giunto all'estremità dell'Asia, per cui i popoli che incontrava non dovevano essere lontani dai familiari Sciti del Ponto Eusino.

 

Vi sono diverse indicazioni che ritenesse il Ponto Eusino facilmente accessibile dal Tanais/SyrDarya, efece anzi alcuni tentativi per accertarsene. In quel caso, il fatto di tornare ora in Europa sarebbe stata una precisa scelta, che però Alessandro non contemplava fintanto che esistevano aree dell'Asia ancora fuori dal suo impero. Il sistema Amu- SyrDarya era destinato a rappresentare concretamente un confine dell'impero, almeno per il momento.

 

Qui in questa regione remota settentrionale, sulla riva meridionale del fiume, il Re fondò una nuova città, Alessandria Escale, in prossimità dell'attuale città di Chodzent o Leninabad, una sorta di colonia militare per proteggere il territorio conquistato dalle incursioni dei nomadi Sciti e Massageti.

 

Mentre il re si trovava ancora nella fase progettuale della città, venne a sapere di un'insurrezione in Battriana: un contingente di 7000 cavalieri sogdiani copriva le azioni della popolazione civile che aveva attaccato massacrato le postazioni macedoni isolate per rifugiarsi subito dopo sulle montagne. Questa ribellione contemporanea di Battriana e Sogdiana, lasciava pensare ad un unico piano di Spitamene e Dataferne.

 

Alessandro allora promosse in una specie di concilio a Battra tra i più autorevoli capi tribù sogdiani, compresi i capi della rivolta, affinché la loro autorità spegnesse le rivolte.

 

Ma proprio la determinazione di Spitamene, unico ispiratore della rivolta, indusse tutti gli altri principali esponenti locali non solo a non presentarsi all’assemblea, ma a revocare la loro alleanza e a seguire l’esempio della Battriana, assalendo contemporaneamente le guarnigioni macedoni della regione.

 

I sette caposaldi di confine vennero assaltati contemporaneamente e le guarnigioni macedoni massacrate e le fortezze nuovamente occupate dai ribelli, eccetto quella della capitale Maracanda, posta sotto assedio da Spitamene stesso.

 

Alessandro, preso alla sprovvista, si apprestò all'opera di riconquista con una strategia esemplare e con prevedibile ferocia: divise il proprio esercito, affidando un contingente ad ogni suo diretto luogotenente.

 
Cratero fu mandato subito a bloccare Ciropoli, ordinandogli di circoscriverla con fossato e palizzata, mandando contestualmente la cavalleria a circondare i due capisaldi più lontani per impedire alle guarnigioni di scappare, Meleagro e Perdicca posero sotto assedio altre due città ribelli mentre Alessandro stesso, una volta completato l’assedio, si occupava di portare aiuto all’uno o all’altro dei suoi distaccamenti.

 

La prima, il cui nome di Gaza, evocava in Alessandro il pessimo ricordo della città-fortezza già assediata, disponeva però solo di una modesta cinta fatta di terra accumulata, su cui fece porre un gran numero di scale, prima di guidare le sue truppe alla conquista degli spalti, che trovò vuoti grazie all'efficace lavoro svolto dalle catapulte e dai lanciatori.

 

Tutti gli occupanti dell'abitato furono passati a fìl di spada. Nel la stessa giornata cadde nel medesimo modo la successiva roccaforte i cui occupanti seguirono lo stesso destino, mentre un'altra fu espugnata il giorno seguente.

 

Le mura di mattoni delle roccaforti nei pressi del SyrDarya, non resistettero che poche ore alle macchine ossidionali d'assedio macedoni. La repressione fu durissima, gli uomini vennero massacrati mentre donne e bambini furono resi schiavi, senza che questo facesse cessare la rivolta.

 

A Ciropoli la resistenza fu più tenace, era la fortezza maggiore, la cui fondazione veniva attribuita a Ciro il Grande. Lo slancio di Alessandro, che gli aveva consentito di conquistare cinque città in quarantott'ore, si fermò poi di fronte alle possenti mura che aveva edificato Ciro il Grande, che non riuscì a prendere d'assalto ne a sfondare con le macchine belliche.

 

Ma il suo occhio acuto notò che i canali di scolo del fiume che portavano l'acqua alla città erano in quel momento piuttosto secchi ed offrivano una comoda via di accesso al suo interno.

 

Mentre i difensori erano tenuti sotto pressione dai consueti mezzi di assedio, il Condottiero, entrò senza essere visto con la fanteria leggera della guardia personale, i soliti ipastpisti, agriani e arcieri.

Mentre erano tutti distratti a difendersi dai lanci delle macchine macedoni, gli abitanti vennero colti alle spalle ma questi si difesero allo strenuo, tanto che anche i macedoni non ne uscirono indenni.

 

Cratero e altri importanti ufficiali vennero feriti, e lo stesso re ricevette una ferita debilitante che gli provocò una commozione cerebrale e lo rese quasi sordo.

 

Intanto Spitamene stava ancora assediando la guarnigione macedone nel fortilizio di Maracanda aveva pensato anche ad avvertire i Saci e i Massageti a nord del fiume, e orde di cavalleria stavano ammassandosi di fronte ad Alessandria Escate (“l’ultima” presso Chods), provocati dalla costruzione della fortezza.

 

Alessandro tornò alla frontiera, dove, con rapidità febbrile, completò in soli 20 giorni le fortificazioni della nuova fondazione e già in grado di sostenere un attacco dei nomadi del nord.

 

Quindi, benché ancora ferito si portò sul Syr Daria nel punto dove si concentravano le orde dei turcomanni. Per l'attraversamento del fiume aveva costruito imbarcazioni di legno e zattere che tenne ferme, quindi i barbari sfidarono il Re ad attraversare il fiume e allora Alessandro passò alla seconda fase della sua strategia, accettando la sfida: condusse un attacco diretto sulla lontana riva opposta con catapulte e baliste lungo la riva iniziando a sparare proietti in tutte le direzioni, il fuoco continuo creò il panico tra i nemici e i barbari furono costretti ad allontanarsi dalla sponda che venne immediatamente raggiunta da un piccolo contingente di fanteria leggera e quindi quella pesante a protezione dalle frecce, mentre il Comandante che era stato tra i primi attese che la cavalleria attraversasse il fiume, per sferrare l’attacco.

 

Gli squadroni avanzati dei mercenari e i macedoni equipaggiati di sarissa restarono sconcertati dalla classica tattica di accerchiamento dei nomadi e arretrarono leggermente.

 

I suoi uomini si trovarono di fronte alla tipica tattica elusiva dei nomadi del deserto: costoro, infatti, si tenevano a distanza con ampi movimenti circolari avvicinandosi solo per scagliare le frecce e tornavano indietro, per ripartire poco dopo.

 

Alessandro, probabilmente, non ne era al corrente, eppure, nonostante stesse male per aver bevuto acqua sporca ma anche perché la ferita al collo subita a Ciropoli non si era ancora rimarginata, seppe prontamente adattarsi alla sfida, escogitando subito la soluzione, adottando una tattica speculare.

 

Lanciò una carica con azione combinata di cavalleria e fanteria leggera,usando arcieri e frombolieri per impedire ogni movimento di affiancamento: inserì tra i ranghi dei cavalieri gruppi di agriani e di arcieri al comando di Balacro, che furono presto in grado di spezzare il ritmo dei movimenti nemici circondandoli a loro volta.

 

Neutralizzata così la tattica nemica, il condottiero lanciò il proprio attacco, una doppia carica, un'avanzata su un ampio fronte di tre ipparchie di Compagni e di giavellottisti a cavallo e una carica in massa del resto della cavalleria, l'una formata da due ipparchìai di hetaìroi e dai sarissofóroi, l'altra condotta da lui stesso con il resto della cavalleria, disposta a colonna allungata.

 

La cavalleria saca-turcomanna ricevette l’attacco meno organizzata e compatta, cedendo terreno all'attacco frontale, incapace di fare delle conversioni per attaccare i fianchi macedoni, si dette infine alla fuga.

La sua vittoria non fu completa solo perché dovettero riportarlo al campo poiché il Condottiero stava troppo male per portare alle lunghe l'inseguimento; era riuscito tuttavia a battere i barbari che contarono circa 1000, compreso il comandante Batrace caduti e 150 prigionieri, oltre a lasciare nelle mani dei macedoni 1800 cavalli delle steppe.

 

L'esercito di Alessandro, invece, lamentò una sessantina di caduti tra i cavalieri e un centinaio tra i fanti, oltre a un migliaio di feriti. Alessandro ricevette un'ambasciata da parte del re dei saci, e forse anche delle tribù confinanti, che si scusava per la provocazione e offriva sottomissione.

Ora che il nord della Sogdiana era pacificato, Alessandro poté rivolgere la sua attenzione a sud, dove aveva subito un serio rovescio.

 

Poco prima di iniziare lo scontro con i Saci, Alessandro aveva pensato di inviare una piccola forza di spedizione di 3000 uomini per aiutare i difensori di Maracanda, un contingente composto di cavalleria e fanteria di mercenari, guidati dai loro comandanti, Carano, Andronico e Menedemo, e rinforzato da un nucleo di 60 cavalieri Compagni.

 

Alla notizia del loro avvicinamento, Spitamene interruppe l'assedio della cittadella e ripiegò verso occidente lungo la vallata del fiume Politmeto (Zarafshan). Quindi preparò un'imboscata ai danni della forza di spedizione,  che aveva insistito nell'inseguimento malgrado il cattivo stato delle cavalcature, debilitate dalla fatica e dalla penuria di foraggio.

 

Gli uomini di Alessandro furono dapprima subirono la maggiore mobilità del nemico, poi gettati nel panico e infine liquidati dal tiro incessante degli arcieri nemici, perdendo ben 2300 uomini, scamparono alla morte non più di 300 uomini a piedi e 40 a cavallo.

 

La notizia arrivò ad Alessandro mentre era sulle sponde del SyrDarya. Conclusi rapidamente i negoziati con i Saci, si mise subito in marcia verso sud con metà dei Compagni, gli ipaspisti e il nucleo della falange ritornava a marce forzate verso Maracanda. Nell'ottobre del 329 a.C., percorse i 290 chilometri che separavano Chodjend da Maracanda in tre giorni e tre notti.

 

Il suo arrivo costrinse Spitamene a interrompere di nuovo l'assedio che nel frattempo era ripreso, ma Alessandro evitò di condurre l'inseguimento dell'avversario fin nel cuore del Kirghiz, dove era certo di non poter prevalere; preferì fermarsi sulle rive dello Politmeto e seppellire i soldati morti nell’ultimo scontro, per poi fare terra bruciata del territorio tra la capitale e il fiume, affinché Spitamene non potesse fruire delle risorse necessarie a sostenerlo nell'assedio.  

 

Ritenne che la popolazione del luogo avesse collaborato con Spitamene, e si rifece per rappresaglia su quella che viveva intorno al fiume Politmeto, che venne sterminata e iniziò a devastarne sistematicamente la valle, forse la più ricca e popolosa regione della Sogdiana.

 

I suoi fortilizi vennero abbattuti, i difensori massacrati in una calcolata campagna di terrore paragonabile a quella condotta contro i ribelli del nord. Alla fine della stagione la parte occidentale della satrapia era completamente devastata, e Alessandro ritirò le sue forze nel rifugio relativamente sicuro di Battra, dove insediò la corte per l'inverno. La situazione era ancora delicata, presentava sacche di ribellione non domata non solo in Battriana, ma in tutta l'area nordorientale.

 

Il ribelle persiano rinunciava allora al blocco alla residenza reale, e rientrava a svernare a Bokhara, alla fonte del Politmeto, che costituiva la residenza invernale della Sogdiana.

 

Dopo tanti mesi di dure battaglie, Alessandro era costretto  a far riposare i propri soldati, che combattevano da due anni senza pause invernali, fermandosi per i mesi più freddi a Bactra, e facendo delle sortite poco più a nord del confine.

 

Tuttavia si fermò solamente per il periodo necessario, fino a quando le temperature non iniziarono a salire e soprattutto fino a quando i contingenti di mercenari lo raggiunsero.

Nella primavera del 328 a.C. iniziò la lenta ma inesorabile marcia verso est, che doveva cancellare ogni possibile resistenza.

 

A tempo debito raggiunse la valle del Kokcha, poi attraversò il SyrDarya nelle vicinanze di un sito chiamato Al-Khanum, che forse destinò a futuro insediamento.


Questa volta il Generale voleva chiudere i conti con le due satrapie ribelli, e soprattutto con la Sogdiana, che invase nuovamente senza incidenti, dopo l’ennesima sollevazione. Dopo l’attraversamento dell’Oxos, divise l'esercito in cinque enormi squadroni, che avanzarono separati rastrellando il territorio fino a Maracanda dove si ricongiunsero. Efestione comandava la prima schiera, Tolemeo la seconda, Perdicca e Ceno le altre due, mentre egli stesso con la quinta.

 

Anche questa volta, Spitamene non rivolse le proprie attenzioni all’esercito e si diresse a sud, attraversando l'Oxos in senso opposto e dopo aver raggiunto il deserto in cui vivevano i Massageti li convinse a seguirlo.

 

A Spitamene non rimaneva che scegliere l’obbiettivo sul quale tentare una nuova campagna di rivolta: la Sogdiana era ormai imprendibile, poiché qui Alessandro aveva lasciato Efestione come retroguardia, il quale aveva fortificato la satrapia in maniera esemplare tra fortezze e guarnigioni.

 

Per questo l’ultimo satrapo di Dario concentrò tutte le sue forze contro la Battriana dove Alessandro aveva lasciato Cratero a presidiare la regione.

 

Con 600 cavalieri massageti, invase la Battriana,condusse i propri mercenari lungo l’Oxos, quindi giunto all’altezza di un forte di difesa del passaggio fluviale massacrò la guarnigione e giunse davanti alle porte di Battra dove si trovavano solo alcuni soldati di guardia agli ammalati.

 

Allo sparuto drappello di soldati non rimaneva che tentare una sortita che creasse nelle fila del satrapo un corridoio: alcuni eteri e mercenari meglio equipaggiati uscirono all’attacco, ma dopo un iniziale successo, fu sorpreso, attratto in un’imboscata dai massageti, e fatto a pezzi.

 

Anche se Alessandro aveva lasciato un esperto ufficiale, quale era Cratero con un adeguato contingente, la celerità nel portare soccorso alla guarnigione di Battra da parte del luogotenente fu inutile se non nell’evitare che lo stesso Spitmente si rinchiudesse egli stesso all’interno della città, il quale invece, vedendo i macedoni  dopo un breve scontro di scarso peso, si diede alla fuga.

 

Alessandro, era ansioso di partire ma era stato costretto a rimanere in Sogdiana per tutta l'estate e parte dell'autunno, per completarne la sottomissione; dopo aver svernato a Nautaka lasciava a Ceno il comando della parte occidentale del paese, con un nuovo contingente asiatico formato da cavalieri battriani e sogdiani, oltre ad alcuni hetaìroi e a due tàxeis.

 

Spitamene aveva perso un buon numero di uomini e voleva rivolgere la sua guerriglia ancora una volta in Sogdiana, raccolse 3000 tra sciti, sogdiani, battriani e massageti nella fortezza di Gabe, e attaccò nuovamente durante l’autunno, ma venuto a battaglia con Ceno, rimediò una sonora e decisiva sconfitta da parte di Ceno.

 

Al suo primo insuccesso, battriani e i sogdiani oltre a negargli qualsiasi ulteriore appoggio, lo abbandonarono e i massageti lo tradirono, inviando la testa ad Alessandro.

 

Finiva così il più indomito e abile avversario che i Macedoni avessero conosciuto nella loro guerra di conquista. Il suo più valente avversario, Alessandro l'aveva trovato agli estremi confini dell'impero, del suo impero, ormai, e nel riconoscere il suo coraggio volle che il sangue di Spitamene si perpetuasse nei discendenti di uno dei suoi generali, facendone sposare la figlia a Seleuco, il cui figlio, Antioco i, avrebbe consolidato la stirpe reale dei Seleucidi.



 

 

COLLABORA


scrivi per InStoria



 

EDITORIA


GBe edita e pubblica:

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Edizioni d’Arte

.

- Libri fotografici

.

- Poesia

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Saggi inediti

.

catalogo

.

pubblica con noi



 

links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 

 

 

 

 

 

 

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA  N° 215/2005 DEL 31 MAGGIO]

.

.