N. 20 - Agosto 2009 
                          
                          (LI)
															
															
															
															
															aGNESE VISCONTI
																						Una storia sbagliata
																						di 
															Cristiano Zepponi
															
															 
                                    
																			
																			
																			
																			La 
																			vicenda 
																			umana 
																			di 
																			Agnese 
																			Visconti 
																			capovolge 
																			un 
																			assioma 
																			tradizionale: 
																			sembra 
																			proprio 
																			che 
																			per 
																			una 
																			volta 
																			la 
																			Letteratura 
																			abbia 
																			concesso 
																			un 
																			prestito 
																			alla 
																			Storia, 
																			e 
																			non 
																			il 
																			contrario.
																			
																			é
																			
																			una 
																			pagina, 
																			quindi, 
																			già 
																			di 
																			per 
																			sé 
																			eccezionale. 
																			Quasi 
																			un 
																			risarcimento.
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			Agnese 
																			Visconti 
																			- 
																			figlia 
																			di 
																			Bernabò 
																			e di 
																			Regina 
																			della 
																			Scala 
																			- 
																			venne 
																			al 
																			mondo 
																			a 
																			Milano, 
																			nel 
																			corso 
																			dell’anno 
																			1363.
																			 
																			
																			
																			
																			Quando 
																			la 
																			fanciulla 
																			viveva 
																			i 
																			suoi 
																			dodici 
																			anni, 
																			il 
																			padre 
																			(“imperioso, 
																			aspro 
																			e 
																			crudele” 
																			secondo 
																			il 
																			biografo 
																			cinquecentesco 
																			Paolo 
																			Giovio) 
																			cominciò 
																			a 
																			organizzarne 
																			il 
																			matrimonio, 
																			badando 
																			soprattutto 
																			– 
																			secondo 
																			protocollo 
																			– a 
																			trarne 
																			il 
																			dovuto 
																			beneficio 
																			politico; 
																			allo 
																			stesso 
																			modo 
																			si 
																			comportò 
																			per 
																			le 
																			altre 
																			nove 
																			figlie 
																			femmine 
																			legittime 
																			(Taddea, 
																			Verde, 
																			Valentina, 
																			Antonia, 
																			Caterina, 
																			Maddalena, 
																			Lucia, 
																			Elisabetta, 
																			Anglesia) 
																			ed 
																			un 
																			numero 
																			imprecisato 
																			d’illegittime.
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			Agnese, 
																			allora 
																			si 
																			ritrovò 
																			promessa 
																			al 
																			quattordicenne 
																			Francesco 
																			Gonzaga, 
																			figlio 
																			di 
																			Ludovico 
																			II, 
																			terzo 
																			capitano 
																			di 
																			Mantova. 
																			Le 
																			finalità 
																			politiche 
																			erano 
																			evidenti: 
																			guadagnarsi 
																			l’appoggio 
																			dell’influente 
																			casata 
																			che 
																			una 
																			decina 
																			d’anni 
																			prima 
																			aveva 
																			parteggiato 
																			per 
																			il 
																			papato, 
																			e 
																			continuava 
																			a 
																			dare 
																			segni 
																			d’instabilità 
																			nei 
																			confronti 
																			del 
																			biscione, 
																			simbolo 
																			del 
																			potere 
																			visconteo.
																			 
																			
																			
																			
																			Il 
																			matrimonio 
																			fu 
																			celebrato, 
																			probabilmente 
																			nel 
																			corso 
																			del 
																			1380 
																			(qualcuno 
																			suggerisce 
																			piuttosto 
																			nel 
																			1375), 
																			dopo 
																			una 
																			faticosa 
																			trattativa; 
																			la 
																			dote, 
																			fissata 
																			a 
																			50.000 
																			fiorini.
																			
																			
																			
																			Bernabò 
																			e 
																			Beatrice 
																			regalarono 
																			alla 
																			figlia 
																			in 
																			quell’occasione 
																			un
																			
																			Libro 
																			delle 
																			Istorie 
																			del 
																			Mondo, 
																			opera 
																			di 
																			Giovanni 
																			di 
																			Benedetto 
																			da 
																			Como.
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			Agnese 
																			e 
																			Francesco 
																			ebbero 
																			una 
																			sola 
																			figlia, 
																			Alda 
																			(così 
																			chiamata 
																			in 
																			onore 
																			della 
																			nonna, 
																			Alda 
																			d’Este), 
																			che 
																			avrebbe 
																			poi 
																			sposato 
																			Francesco 
																			da 
																			Carrara; 
																			in 
																			compenso, 
																			le 
																			responsabilità 
																			e le 
																			sventure 
																			non 
																			tardarono 
																			a 
																			materializzarsi. 
																			Due 
																			anni 
																			dopo 
																			il 
																			matrimonio, 
																			infatti, 
																			il 
																			giovane 
																			Francesco 
																			dovette 
																			succedere 
																			al 
																			padre 
																			in 
																			qualità 
																			di 
																			capitano 
																			di 
																			Mantova 
																			(il 
																			quarto, 
																			dunque) 
																			e 
																			vicario 
																			imperiale, 
																			sostenuto 
																			dalla 
																			supervisione 
																			di 
																			Luigi 
																			da 
																			Grado, 
																			tutore 
																			fino 
																			alla 
																			maggiore 
																			età.
																			 
																			
																			
																			
																			E 
																			proprio 
																			in 
																			quei 
																			mesi 
																			si 
																			succedettero 
																			calamità 
																			naturali 
																			(terremoti), 
																			epidemiche 
																			(la 
																			peste) 
																			e 
																			militari 
																			(il 
																			tentativo 
																			di 
																			Antonio 
																			della 
																			Scala 
																			d’impadronirsi 
																			della 
																			città).
																			
																			
																			
																			Per 
																			ultimo, 
																			da 
																			Milano 
																			rimbalzò 
																			la 
																			notizia 
																			del 
																			colpo 
																			di 
																			stato 
																			di 
																			Gian 
																			Galeazzo, 
																			capace 
																			di 
																			confinare 
																			il 
																			vecchio 
																			Bernabò 
																			fuori 
																			dalla 
																			vita 
																			politica 
																			- al 
																			buio 
																			d’una 
																			cella 
																			nel 
																			castello 
																			di 
																			Trezzo, 
																			precisamente, 
																			insieme 
																			ai 
																			figli 
																			Ludovico 
																			e 
																			Rodolfo 
																			- e 
																			poi 
																			d’eliminarlo 
																			d’un 
																			colpo 
																			con 
																			una 
																			mortale 
																			dose 
																			di 
																			veleno.
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			Agnese, 
																			naturalmente, 
																			soffrì 
																			per 
																			la 
																			morte 
																			del 
																			padre; 
																			e 
																			all’affanno 
																			dell’assenza 
																			si 
																			sommò 
																			lo 
																			sconcerto 
																			ispirato 
																			dalla 
																			condotta 
																			del 
																			marito, 
																			che 
																			– 
																			sull’altare 
																			della 
																			ragione 
																			di 
																			Stato, 
																			ossia 
																			dell’amicizia 
																			del 
																			nuovo 
																			signore 
																			di 
																			Milano 
																			– 
																			sacrificò 
																			la 
																			dignità 
																			d’una 
																			moglie 
																			e 
																			d’una 
																			figlia. 
																			 Dunque, 
																			pur 
																			conoscendo 
																			l’avversione 
																			di 
																			Agnese 
																			per 
																			l’usurpatore 
																			del 
																			trono 
																			paterno, 
																			allontanò 
																			dalla 
																			corte 
																			i 
																			fratelli 
																			di 
																			Agnese, 
																			Carlo 
																			e 
																			Ludovico, 
																			precedentemente 
																			accolti 
																			umanamente; 
																			aprì 
																			le 
																			porte 
																			all’ambasciatore 
																			visconteo, 
																			Giorgio 
																			Lampugnani, 
																			che 
																			da 
																			subito 
																			si 
																			premurò 
																			di 
																			riferire 
																			al 
																			suo 
																			signore 
																			i 
																			sentimenti 
																			della 
																			ragazza; 
																			scortò 
																			in 
																			Francia 
																			Valentina, 
																			la 
																			figlia 
																			di 
																			Gian 
																			Galeazzo 
																			promessa 
																			a 
																			Luigi 
																			d’Orleans, 
																			fratello 
																			di 
																			Carlo 
																			VI; 
																			e 
																			soprattutto 
																			proibì 
																			alla 
																			moglie 
																			d’esternare 
																			il 
																			lutto 
																			patito, 
																			e 
																			gl’ingiunse 
																			piuttosto 
																			di 
																			prestarsi 
																			a 
																			banchetti 
																			spensierati.
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			Il 
																			matrimonio 
																			che 
																			avrebbe 
																			dovuto 
																			fare 
																			le 
																			fortune 
																			delle 
																			due 
																			casate, 
																			insomma, 
																			entrò 
																			presto 
																			in 
																			crisi; 
																			l’ostilità 
																			nei 
																			confronti 
																			del 
																			Visconti 
																			(e 
																			di 
																			conseguenza 
																			del 
																			marito, 
																			in 
																			condizione 
																			di 
																			subordinazione 
																			assoluta) 
																			e 
																			l’incapacità 
																			di 
																			partorire 
																			un 
																			figlio 
																			maschio, 
																			degno 
																			erede 
																			Gonzaga 
																			sarebbero 
																			già 
																			bastate 
																			per 
																			decretarne 
																			il 
																			fallimento. 
																			E a 
																			peggiorare 
																			il 
																			quadro 
																			vanno 
																			aggiunte 
																			le 
																			reiterate 
																			e 
																			spudorate 
																			infedeltà 
																			di 
																			Francesco, 
																			sempre 
																			più 
																			assorbito 
																			dallo 
																			sfarzo 
																			della 
																			sua 
																			corte, 
																			e le 
																			altre 
																			umiliazioni 
																			inflitte 
																			alla 
																			consorte.
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			Il 
																			conflitto 
																			latente 
																			esplose 
																			nel 
																			corso 
																			del 
																			1390, 
																			in 
																			occasione 
																			di 
																			una 
																			festa 
																			a 
																			palazzo 
																			per 
																			il 
																			carnevale; 
																			allora, 
																			Francesco 
																			– in 
																			presenza, 
																			probabilmente, 
																			del 
																			legato 
																			visconteo 
																			– 
																			propose 
																			un 
																			brindisi 
																			in 
																			onore 
																			di 
																			Gian 
																			Galeazzo, 
																			e 
																			invitò 
																			la 
																			moglie 
																			ad 
																			alzare 
																			con 
																			lui 
																			il 
																			calice. 
																			Agnese 
																			si 
																			rifiutò, 
																			scatenando 
																			le 
																			ire 
																			del 
																			marito, 
																			e 
																			per 
																			di 
																			più 
																			apostrofò 
																			come 
																			“traditore” 
																			il 
																			signore 
																			di 
																			Milano.
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			Le 
																			speranze 
																			della 
																			donna, 
																			all’epoca, 
																			erano 
																			appuntate 
																			sull’avanzata 
																			degli 
																			eserciti 
																			della 
																			lega 
																			anti-viscontea: 
																			i 
																			Carrara 
																			avevano 
																			appena 
																			ripreso 
																			Padova, 
																			e 
																			contemporaneamente 
																			Verona 
																			era 
																			insorta. 
																			E 
																			per 
																			questo, 
																			pare, 
																			Francesco 
																			– 
																			esasperato 
																			dalla 
																			malcelata 
																			gaiezza 
																			di 
																			Agnese 
																			– 
																			ricorse 
																			a 
																			minacce 
																			di 
																			morte 
																			e 
																			percosse 
																			contro 
																			di 
																			lei.
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			In 
																			un 
																			quadro 
																			così 
																			desolante, 
																			comparve 
																			d’un 
																			colpo 
																			Antonio 
																			da 
																			Scandiano 
																			(che 
																			qualche 
																			cronista 
																			chiama 
																			“Vincenzo”), 
																			un 
																			affascinante 
																			gentiluomo 
																			particolarmente 
																			noto 
																			tra 
																			le 
																			dame 
																			di 
																			corte, 
																			cui 
																			fu 
																			affidata 
																			da 
																			Francesco 
																			la 
																			tutela 
																			della 
																			moglie, 
																			la 
																			sua 
																			compagnia 
																			e la 
																			sua 
																			scorta.
																			
																			
																			
																			Il 
																			bel 
																			giovane, 
																			tra 
																			le 
																			altre, 
																			godeva 
																			anche 
																			della 
																			libertà 
																			d’accedere 
																			alla 
																			stanza 
																			da 
																			letto 
																			di 
																			Agnese, 
																			ormai 
																			ventiduenne; 
																			e 
																			così, 
																			fatalmente, 
																			nacque 
																			l’amore 
																			tra 
																			i 
																			due. 
																			Una 
																			passione 
																			così 
																			improvvisa 
																			e 
																			violenta 
																			da 
																			sbaragliare 
																			qualsiasi 
																			genere 
																			di 
																			precauzione, 
																			così 
																			travolgente 
																			da 
																			relegare 
																			la 
																			ragione 
																			di 
																			Stato 
																			in 
																			un 
																			cantuccio 
																			dimenticato.
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			A 
																			corte, 
																			in 
																			breve, 
																			la 
																			notizia 
																			cominciò 
																			a 
																			circolare: 
																			in 
																			un 
																			ambiente, 
																			è 
																			bene 
																			precisare, 
																			che 
																			rimaneva 
																			profondamente 
																			ostile 
																			alla 
																			Domina 
																			di 
																			Mantova, 
																			e 
																			che 
																			per 
																			una 
																			molteplicità 
																			di 
																			cause 
																			– 
																			l’attitudine 
																			al 
																			pettegolezzo 
																			in 
																			alcuni 
																			casi, 
																			ma 
																			anche 
																			l’infatuazione 
																			per 
																			Antonio, 
																			l’invidia, 
																			e 
																			non 
																			ultimo 
																			il 
																			disprezzo 
																			puro 
																			e 
																			semplice 
																			per 
																			l’irriducibile 
																			signora.
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			Agnese 
																			dovette 
																			accorgersene. 
																			Da 
																			una 
																			parte, 
																			le 
																			effusioni 
																			dei 
																			due 
																			giovani 
																			amanti 
																			proseguivano 
																			senza 
																			ritegno 
																			alcuno; 
																			dall’altra, 
																			la 
																			ragazza 
																			andò 
																			immalinconendosi 
																			un 
																			poco, 
																			e 
																			cominciò 
																			a 
																			temere 
																			che 
																			la 
																			voce 
																			raggiungesse 
																			l’orecchio 
																			del 
																			libertino 
																			che 
																			gli 
																			faceva 
																			da 
																			marito, 
																			tanto 
																			da 
																			costringere 
																			le 
																			due 
																			assistenti 
																			all’abbigliamento 
																			(Beatrice 
																			di 
																			Ser 
																			Gori 
																			e 
																			Sidonia 
																			di 
																			Pavarolo) 
																			a 
																			giurare 
																			sul 
																			proprio 
																			silenzio.
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			Ma 
																			comunque, 
																			il 
																			sesto 
																			senso 
																			della 
																			Domina 
																			aveva 
																			visto 
																			giusto. 
																			Il 
																			bell’Antonio 
																			si 
																			lasciò 
																			infatti 
																			coinvolgere 
																			in 
																			un 
																			deprecabile 
																			incidente 
																			diplomatico: 
																			un’inopportuna 
																			rissa 
																			con 
																			alcuni 
																			cremonesi, 
																			sudditi 
																			viscontei.
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			A 
																			quel 
																			punto, 
																			come 
																			fosse 
																			un 
																			segnale 
																			convenuto, 
																			la 
																			fazione 
																			che 
																			aveva 
																			sempre 
																			guardato 
																			con 
																			ostilità 
																			alla
																			
																			liaison 
																			tra 
																			i 
																			due 
																			decise 
																			di 
																			muoversi; 
																			il 
																			compito 
																			di 
																			riferire 
																			la 
																			relazione 
																			al 
																			signore 
																			tradito 
																			fu 
																			affidato 
																			alla 
																			bambinaia, 
																			Elisabetta 
																			dè 
																			Combaguti, 
																			che 
																			– 
																			approfittando 
																			dell’assenza 
																			dei 
																			due 
																			amanti, 
																			usciti 
																			a 
																			cavallo 
																			– 
																			raggiunse 
																			Francesco 
																			al 
																			santuario 
																			di 
																			Santa 
																			Maria 
																			delle 
																			Grazie, 
																			ed 
																			espose 
																			la 
																			situazione
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			Forse, 
																			Francesco 
																			sapeva 
																			già 
																			quanto 
																			la 
																			zelante 
																			bambinaia 
																			s’era 
																			affrettata 
																			a 
																			rivelargli. 
																			Ma 
																			tant’è, 
																			il 
																			Domino 
																			evitò 
																			scenate 
																			furenti, 
																			e 
																			reagì 
																			tutto 
																			sommato 
																			con 
																			compostezza 
																			alla 
																			notizia. 
																			Antonio, 
																			invece, 
																			si 
																			lasciò 
																			prendere 
																			dal 
																			panico, 
																			e 
																			cominciò 
																			a 
																			prospettare 
																			ad 
																			Agnese 
																			una 
																			fuga 
																			da 
																			Mantova, 
																			prima 
																			che 
																			la 
																			donna 
																			lo 
																			dissuadesse: 
																			sarebbe 
																			equivalsa, 
																			in 
																			effetti, 
																			ad 
																			una 
																			confessione.
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			Allora, 
																			Antonio 
																			si 
																			volse 
																			a 
																			progetti 
																			ben 
																			più 
																			arditi: 
																			nientemeno 
																			che 
																			una 
																			ribellione 
																			al 
																			potere 
																			del 
																			signore 
																			di 
																			Mantova 
																			(e 
																			rivale 
																			in 
																			amore), 
																			per 
																			restituire 
																			la 
																			città 
																			al 
																			governo 
																			repubblicano 
																			tramite 
																			il 
																			supporto 
																			di 
																			alcuni 
																			membri 
																			della 
																			corte 
																			dei 
																			Carrara 
																			e di 
																			Carlo 
																			Visconti, 
																			fratello 
																			dell’amata.
																			 
																			
																			
																			
																			Il 
																			suo 
																			piano 
																			prevedeva 
																			che 
																			i 
																			due 
																			si 
																			unissero 
																			ai 
																			soldati 
																			in 
																			marcia 
																			verso 
																			Verona, 
																			per 
																			lasciare 
																			la 
																			sempre 
																			più 
																			pericolosa 
																			Mantova.
																			 
																			
																			
																			
																			Anche 
																			stavolta, 
																			però, 
																			qualcuno 
																			s’affrettò 
																			a 
																			rivelare 
																			tutto: 
																			fu 
																			il 
																			paggio, 
																			Pierino 
																			da 
																			Bologna, 
																			a 
																			spifferarlo 
																			a 
																			Giovanni 
																			da 
																			Vicenza; 
																			e da 
																			questi 
																			venne 
																			la 
																			notizia 
																			raggiunse 
																			il 
																			Domino, 
																			Francesco, 
																			che 
																			così 
																			scoprì 
																			come 
																			quel 
																			giovanotto, 
																			non 
																			pago 
																			d’insidiare 
																			la 
																			fedeltà 
																			coniugale, 
																			tentava 
																			lo 
																			stesso 
																			con 
																			quella 
																			politica. 
																			Qualcuno, 
																			invece, 
																			sussurrò 
																			che 
																			lo 
																			stesso 
																			Gian 
																			Galeazzo 
																			avesse 
																			provveduto 
																			a 
																			fabbricare 
																			le 
																			prove, 
																			ed a 
																			recapitarle 
																			allo 
																			stesso 
																			capitano 
																			di 
																			Mantova.
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			Antonio, 
																			dunque, 
																			fu 
																			imprigionato, 
																			per 
																			la 
																			precisione 
																			la 
																			sera 
																			del 
																			27 
																			gennaio 
																			del 
																			1391; 
																			Agnese 
																			subì 
																			lo 
																			stesso 
																			trattamento, 
																			con 
																			il 
																			solo 
																			privilegio 
																			di 
																			ritrovarsi 
																			confinata 
																			nelle 
																			sue 
																			stanze, 
																			nostalgiche 
																			della 
																			passione 
																			d’un 
																			tempo.
																			 
																			
																			
																			
																			Adesso 
																			spettava 
																			a 
																			Francesco 
																			d’attuare 
																			una 
																			precisa 
																			scelta 
																			politica, 
																			rispettando 
																			(o 
																			meno) 
																			le 
																			leggi 
																			della 
																			città 
																			(gli
																			
																			Statuti 
																			Mantovani), 
																			particolarmente 
																			espliciti 
																			riguardo 
																			la 
																			pena 
																			prevista 
																			per 
																			l’adulterio: 
																			la 
																			pena 
																			di 
																			morte. 
																			Una 
																			scelta 
																			di 
																			tolleranza, 
																			sollecitata 
																			da 
																			alcuni 
																			dei 
																			maggiorenti 
																			della 
																			città 
																			riuniti 
																			in 
																			Consiglio, 
																			e 
																			l’applicazione 
																			rigorosa 
																			della 
																			legge, 
																			che 
																			servisse 
																			come 
																			monito 
																			in 
																			tempi 
																			tanto 
																			agitati, 
																			a 
																			sua 
																			volta 
																			sostenuta 
																			dai 
																			“falchi” 
																			di 
																			corte, 
																			si 
																			disputarono 
																			il 
																			dominio 
																			della 
																			reale 
																			coscienza.
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			Il 
																			processo, 
																			alfine, 
																			si 
																			fece. 
																			Ma – 
																			per 
																			dare 
																			un 
																			colpo 
																			al 
																			cerchio 
																			ed 
																			uno 
																			alla 
																			botte 
																			– 
																			Francesco 
																			stabilì 
																			che 
																			i 
																			giudici 
																			(Obizzone 
																			dei 
																			Gardesini, 
																			podestà, 
																			e 
																			Giovanni 
																			Della 
																			Capra, 
																			esperto 
																			di 
																			diritto 
																			civile) 
																			e il 
																			cancelliere 
																			(Bartolomeo 
																			de 
																			Bonatti, 
																			notaio) 
																			svolgessero 
																			il 
																			loro 
																			mestiere 
																			a 
																			porte 
																			chiuse, 
																			nel 
																			palazzo 
																			del 
																			Domino, 
																			probabilmente 
																			con 
																			l’intento 
																			di 
																			soffocare 
																			uno 
																			scandalo 
																			di 
																			cui 
																			con 
																			tutta 
																			probabilità 
																			parlava 
																			tutta 
																			Mantova; 
																			ma 
																			riuscendo 
																			soltanto, 
																			in 
																			fondo, 
																			ad 
																			incoraggiare 
																			la 
																			fazione 
																			che 
																			da 
																			allora 
																			seguitò 
																			a 
																			sostenere 
																			che 
																			forse 
																			un 
																			processo 
																			vero 
																			e 
																			proprio 
																			non 
																			c’era 
																			mai 
																			stato, 
																			e la 
																			cattura 
																			con 
																			le 
																			mani 
																			nel 
																			sacco 
																			avesse 
																			costituito 
																			di 
																			per 
																			sé 
																			una 
																			prova 
																			sufficiente 
																			per 
																			corroborare 
																			un 
																			verdetto 
																			già 
																			scritto.
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			Il 5 
																			febbraio, 
																			alle 
																			10, 
																			cominciò 
																			l’interrogatorio 
																			dei 
																			testimoni.
																			
																			
																			
																			All’inizio 
																			dame 
																			di 
																			palazzo, 
																			camerari, 
																			il 
																			paggio, 
																			addirittura 
																			la 
																			delatrice 
																			prima 
																			– la 
																			bambinaia 
																			Elisabetta 
																			dè 
																			Combaguti 
																			– 
																			non 
																			seppero 
																			precisare 
																			la 
																			tipologia 
																			dei 
																			rapporti 
																			tra 
																			Agnese 
																			e 
																			Antonio; 
																			ma 
																			poi, 
																			d’un 
																			colpo, 
																			cominciarono 
																			a 
																			sbucare 
																			i 
																			testimoni 
																			d’eccezione.
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			Una 
																			delle 
																			assistenti 
																			all’abbigliamento 
																			della 
																			Domina, 
																			Sidonia 
																			di 
																			Pavarolo, 
																			ammise 
																			la 
																			tresca; 
																			l’altra, 
																			Beatrice 
																			di 
																			Ser 
																			Gori, 
																			rincarò 
																			la 
																			dose 
																			confermando 
																			gli 
																			assalti 
																			notturni 
																			e 
																			rivelando 
																			anche 
																			il 
																			giuramento 
																			cui 
																			era 
																			stata 
																			costretta 
																			fin’allora 
																			dalla 
																			padrona.
																			
																			
																			
																			Ma 
																			fu 
																			Antonio, 
																			alla 
																			fine, 
																			il 
																			più 
																			loquace 
																			teste 
																			contro 
																			sé 
																			stesso, 
																			evidentemente 
																			nel 
																			tentativo 
																			di 
																			sobbarcarsi 
																			la 
																			gran 
																			parte 
																			delle 
																			colpe: 
																			il 
																			suo 
																			resoconto 
																			apparve 
																			particolareggiato 
																			e 
																			realistico.
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			Il 
																			giorno 
																			successivo, 
																			la 
																			sua 
																			amante 
																			fece 
																			lo 
																			stesso. 
																			Poi, 
																			entrambi 
																			lasciarono 
																			scorrere 
																			le 
																			ore, 
																			fino 
																			al 
																			Vespro, 
																			che 
																			il 
																			presidente 
																			aveva 
																			concesso 
																			per 
																			addurre 
																			nuovi 
																			elementi 
																			difensivi.
																			
																			
																			
																			Sapevano 
																			di 
																			sicuro.
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			Si 
																			concluse 
																			così 
																			il 
																			“Processus 
																			ac 
																			sententiae 
																			contra 
																			dominam 
																			Agnatem 
																			Vicecomitem 
																			et 
																			Antonium 
																			Scandianum”; 
																			i 
																			due 
																			finirono 
																			“damnatos 
																			mulierem 
																			in 
																			amputazione 
																			capitis 
																			virum 
																			furcis”, 
																			ovvero 
																			l’una 
																			alla 
																			scure, 
																			e 
																			l’altro 
																			alla 
																			forca. 
																			L’esecuzione 
																			fu 
																			fissata 
																			per 
																			il 
																			giorno 
																			dopo 
																			su 
																			precisa 
																			disposizione 
																			del 
																			Domino. 
																			Egli 
																			la 
																			ratificò, 
																			con 
																			grande 
																			sconcerto 
																			tra 
																			i 
																			popolani, 
																			rifiutandosi 
																			quest’ultimo 
																			atto 
																			di 
																			clemenza 
																			e 
																			piegando 
																			di 
																			nuovo 
																			il 
																			capo 
																			di 
																			fronte 
																			alla 
																			maschera 
																			di 
																			sé 
																			stesso.
																			
																			
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			Comunque 
																			sia, 
																			all’alba 
																			del 
																			7 di 
																			febbraio 
																			dell’anno 
																			1391, 
																			in 
																			un 
																			angolo 
																			dell’orto 
																			del 
																			palazzo, 
																			il 
																			boia 
																			operò; 
																			accanto 
																			– 
																			ironico 
																			protagonismo 
																			del 
																			destino 
																			– ad 
																			una 
																			serra 
																			profumata. 
																			I 
																			corpi 
																			furono 
																			poi 
																			tumulati 
																			senza 
																			segni 
																			distintivi.
																			
																			
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			La 
																			gran 
																			parte 
																			delle 
																			fonti 
																			riferiscono 
																			che 
																			Francesco, 
																			in 
																			compenso, 
																			si 
																			dimostrò 
																			un 
																			ottimo 
																			governante; 
																			l’anno 
																			seguente, 
																			a 
																			sorpresa, 
																			si 
																			voltò 
																			contro 
																			Gian 
																			Galeazzo 
																			e 
																			aderì 
																			alla 
																			lega 
																			anti-viscontea.
																			
																			
																			
																			Quanto 
																			alla 
																			figlia 
																			Alda 
																			fu 
																			presto 
																			spedita 
																			lontano, 
																			dagli 
																			zii 
																			estensi 
																			di 
																			Ferrara.
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			Come 
																			a 
																			dire...
																			
																			
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			
																			per 
																			il 
																			segno 
																			che 
																			c'è 
																			rimasto
																			
																			
																			
																			
																			
																			
																			
																			
																			non 
																			ripeterci 
																			quanto 
																			ti 
																			spiace,
																			
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			oggi 
																			una 
																			lapide 
																			ottocentesca, 
																			sola, 
																			testimonia 
																			quella 
																			storia 
																			sbagliata.
																			
																			
																			
																			
																							
																			 
																			
																			