.

home

 

progetto

 

redazione

 

contatti

 

quaderni

 

gbeditoria


.

[ISSN 1974-028X]


RUBRICHE


attualità

.

ambiente

.

arte

.

filosofia & religione

.

storia & sport

.

turismo storico



 

PERIODI


contemporanea

.

moderna

.

medievale

.

antica



 

EXTEMPORANEA


cinema

.

documenti

.

multimedia



 

ARCHIVIO


 

 

 

 

 

 

 

.

antica


N. 72 - Dicembre 2013 (CIII)

AGATOCLE
IL TIRANNO CHE VOLLE FARSI RE - PARTE IX

di Massimo Manzo

 

Dal 309 al 307 a.C. Il bilancio della lunga guerra tra Siracusa e Cartagine fu nettamente favorevole ad Agatocle. Erano ormai passati tre anni da quando il suo contingente aveva messo in Africa e da allora l'esercito greco aveva collezionato una serie di importanti vittorie, tali da rendere la sua presenza una spina nel fianco per i punici.

 

Quegli anni furono densissimi di avvenimenti su entrambi i fronti del conflitto, tutti fondamentali per i futuri sviluppi delle vicende che stiamo narrando.

 

In Sicilia Amilcare subirà un rovescio che gli costerà la vita. Gli equilibri di potere nell'isola verranno modificati sensibilmente, determinando un provvisorio ritorno a Siracusa di Agatocle. Quest'ultimo stava gestendo al meglio la guerra in Africa, essendo riuscito a sedare una pericolosa rivolta, a vincere i cartaginesi in una delle tante battaglie e a tessere infine un'alleanza con Ofella, essenziale per il consolidamento della sua posizione strategica in territorio nemico.

 

Nonostante l’ultimo smacco subito ad opera dei siracusani, Amilcare si era deciso a scagliare una vasta offensiva sul fronte siciliano, supportato da Dinocrate, carismatico capo della frangia dei greci esiliati e comandante della cavalleria.

 

Confortato dalla posizione di supremazia della sua flotta, il generale punico sperava di assaltare Siracusa facendola finalmente capitolare. Dal 312, anno in cui era stato inviato al fronte, a differenza del suo omonimo predecessore Amilcare aveva prediletto una strategia aggressiva, la quale aveva portato ad un inasprimento degli scontri in Sicilia.

 

I risultati erano stati inizialmente buoni, Agatocle era stato battuto sul campo per la prima volta nella battaglia dell’Ecnomo presso il fiume Imera e i cartaginesi avevano isolato Siracusa imponendogli un pesante assedio. L’alleanza con il partito dei fuoriusciti sembrava rinsaldata.

 

D’altronde le doti di comando di Amilcare erano ottime e lo aveva dimostrato sul campo. Se non avesse avuto a che fare con l’imprevedibile Agatocle probabilmente avrebbe concluso la guerra in tempi molto veloci. Tuttavia nel complesso non ebbe fortuna. La spedizione africana aveva rimesso tutto in gioco, mischiando di nuovo le carte in un conflitto che sembrava non finire mai.

 

Amilcare aveva dunque passato l’inverno tra il 310 e il 309 a reclutare truppe in tutta l’isola, anche per rimpiazzare i seimila uomini mandati in soccorso alla madrepatria. Le dimensioni dell’armata cartaginese, che comprendeva anche un numero consistente di greci di Sicilia, erano mastodontiche e confermano la volontà di un’azione decisiva. Le fonti parlano addirittura di centoventimila fanti e cinquemila cavalieri, operativi già all’inizio della primavera del 309.

 

Tutte le città della parte orientale dell’isola, giustamente spaventate dalla consistenza di questo esercito, erano passate dalla parte dei punici. A seguire l’armata in marcia c’era inoltre una folla non combattente molto numerosa e disordinata, la quale sperava di poter partecipare al saccheggio ormai prossimo della polis più potente e ricca della Sicilia quando questa fosse caduta in mano ad Amilcare.

 

Secondo i piani del generale punico, l’esercito avrebbe dovuto marciare fino alla collina dell’ Olimpeion, poco distante dalla città, e accamparsi lì per poi assaltare le mura cittadine da una posizione favorevole. Per far ciò, l’armata avrebbe dovuto costeggiare il castello Eurialo, una fortezza ancora presidiata da un contingente di circa tremila siracusani.

 

Era questo un passaggio delicato della marcia, perché la colonna correva il rischio di fastidiosi attacchi che ne potevano rallentare l’avanzata. Ma Amilcare riteneva il pericolo arginabile, data la grandissima sproporzione tra i suoi uomini e le forze siracusane. Ed è a questo punto che accadde l’imprevisto.

 

Secondo la versione di Diodoro Amilcare ordinò che l’offensiva avvenisse di notte, per prendere di sorpresa i siracusani e poi gettarsi all’assalto delle mura cittadine, prendendo il nemico alla sprovvista. Qualcosa però andò storto: le strade erano strette e accidentate e scoppiò una terribile confusione nella colonna in marcia, causata, ci dice lo storico, dalla moltitudine di civili che seguiva l’esercito.

 

Talmente chiassoso fu il tumulto che i siracusani di stanza all’Eurialo se ne accorsero e sferrarono un attacco fulmineo alla colonna, seminando il panico. Ignari della consistenza delle forze nemiche i cartaginesi provarono a indietreggiare, ma a loro volta travolsero i commilitoni scompaginando l’ordine di marcia. Il risultato fu catastrofico e portò ad una pesantissima disfatta dell’enorme esercito punico ad opera di un numero modestissimo di siracusani. Questi ultimi riuscirono inoltre a razziare un ricco bottino.

 

Nello scontro Amilcare combatté in prima linea con un coraggio incredibile, senza risparmiarsi, ma fu catturato e portato a Siracusa. Lì andò incontro ad una fine terribile e umiliante. Fu fatto sfilare in catene per la città, tra gli insulti e le violenze della folla, per essere poi torturato e ucciso. Beffato ancora una volta dal caso, il valoroso generale punico usciva di scena in un modo che nessuno si sarebbe mai aspettato.

 

Rimangono tuttavia, secondo gli storici moderni, delle incongruenze nel racconto di Diodoro, in particolare nella parte in cui descrive la disfatta punica. Sembra strano infatti che un comandante capace come Amilcare abbia potuto ordinare al suo ingombrante esercito una marcia notturna, per di più in un tratto pericoloso come quello, contando solo sul fattore sorpresa. Era chiaro che i siracusani avevano sentore del suo arrivo.

 

Sembra più verosimile che il cartaginese avesse predisposto solo un’ avanguardia per l’attacco, distaccandola leggermente rispetto al grosso delle truppe. Di certo, però, un grave tumulto (forse causato dai greci presenti nell’esercito oltre che dai civili) rese ingestibile la situazione spingendo i siracusani ad attaccare.

 

Sotto questa luce, il successo dell’ardita iniziativa di questi ultimi fu veramente un colpo di fortuna unico. In circostanze normali l’assalto si sarebbe rivelato suicida.

 

La morte di Amilcare ebbe conseguenze importanti nello scenario siciliano, determinando una forte spaccatura nel fronte anti-siracusano. Le forze dei greci esiliati da Agatocle si staccò dai punici e scelse Dinocrate come comandante supremo, mentre Agrigento creò una nuova lega tra città che mirava a due obiettivi: la cacciata dei punici dalla parte orientale della Sicilia e la costituzione di una alleanza paritaria tra tutte le poleis siceliote.

 

Una nuova symmachia insomma, che richiamava l’analogo esperimento provato vent’anni prima da Timoleonte.

 

Non è un caso che tale progetto fosse ora portato avanti da Agrigento. Questa era infatti una polis democratica con una tradizionale propensione all’autonomismo, che inoltre non si era mai sottomessa del tutto ad Agatocle. Anzi, per molto tempo aveva ospitato i membri dell’opposizione siracusana, con il tacito consenso cartaginese.

 

L’indebolimento temporaneo dei punici forniva l’occasione perfetta per un tentativo di emancipazione. Nello scacchiere siciliano si interponeva così una terza forza, ostile a Siracusa, a Cartagine e in linea di massima anche a Dinocrate, il quale al momento giocava una partita ambigua.

 

L’assemblea degli agrigentini elesse un certo Senodico a capo dell’alleanza, affidandogli un buon numero di soldati con il compito di ridare l’autonomia delle città ancora presidiate dai punici, mentre Dinocrate manteneva la sua neutralità.

 

In breve tempo il regime democratico fu ripristinato a Gela, Enna, Erbesso, Echetla e in molte altre poleis, le quali accolsero gli agrigentini come liberatori. Nella maggior parte dei casi i punici sloggiarono di loro iniziativa senza causare disordini, mentre in altri si verificarono degli scontri in cui i democratici ebbero la meglio.

 

In previsione di un futuro riequilibrio dei poteri, nessuno aveva però intenzione di sconfinare nei territori dell’epicrazia (ovvero nella parte ovest della Sicilia) che rimasero saldamente in mano punica.

 

Dal canto loro i cartaginesi, scoraggiati dagli ultimi eventi, affidarono il comando provvisorio ad alcuni membri dello stato maggiore di Amilcare, mantenendo ancora formalmente l’assedio su Siracusa, che per ovvie ragioni fu più blando.

 

Nel complesso, la situazione siciliana era ancora una volta intricata e instabile.



 

 

COLLABORA


scrivi per InStoria



 

EDITORIA


GBe edita e pubblica:

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Edizioni d’Arte

.

- Libri fotografici

.

- Poesia

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Saggi inediti

.

catalogo

.

pubblica con noi



 

links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 

 

 

 

 

 

 


[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE]


 

.