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N. 79 - Luglio 2014 (CX)

LA LIBERAZIONE DI FIRENZE
Agosto 1944: Alleati e Resistenza

di Carlo Ciullini

 

Dopo l'8 Settembre, mentre il fascismo repubblicano tentava di imporre il proprio dominio alla popolazione di Firenze, il Comitato di Liberazione Nazionale si andava sempre meglio organizzando e veniva riconosciuto come autorità di governo non soltanto dalle cinque formazioni politiche che lo componevano (socialisti, democristiani, comunisti, repubblicani e Partito d'Azione) e da tutti gli antifascisti in generale, ma anche dall'intera cittadinanza che, tranne i fedelissimi di Mussolini, finì per considerarlo come l'unica rappresentanza legale della volontà popolare: nel Giugno del 1944 lo stesso federale di Firenze arriverà a mettersi in contatto con gli esponenti ufficiali del Comitato per trattare la consegna della città e concordare il trapasso dei poteri.

 

Tra i partiti che costituivano il Comitato stesso c'era pieno accordo per agire entro i limiti di una vasta comunanza di interessi, senza compromettere, né in un senso né nell'altro, la volontà popolare che si sarebbe espressa in piena libertà nella futura assemblea costituente.

 

Nel mese di Febbraio del '44 si arrivò anche alla formazione di un comando militare unico alle dipendenze del Comitato. Soltanto nel mese di Giugno tale comando unificato riuscì ad assumere la direzione della guerra partigiana in tutta la provincia.

 

Nei primi mesi del 1944 le organizzazioni di partito, soprattutto il Partito comunista e il Partito d' Azione, svolgevano missioni militari per proprio conto, e soltanto dopo averle compiute ne davano avviso al C.T.L.N.

 

Per quanto riguarda lo spionaggio, le informazioni raccolte dai singoli partiti venivano passate al Comitato che, dopo averle vagliate, le trasmetteva ai comandi alleati tramite una pluralità di canali: uno di questi canali fu la radio, in particolare il cosiddetto servizio “Cora” del Partito d'Azione.

 

Furono così fornite agli Alleati informazioni sulla dislocazione delle truppe tedesche; inoltre veniva richiesto mediante “Cora” l'intervento dell'aviazione angloamericana in operazioni di appoggio alle bande partigiane.

 

Nella primavera del 1944 gli attentati dinamitardi contro tedeschi e i fascisti si intensificarono.

 

I comunisti posero in essere anche una notevole attività di stampa clandestina. L'organo ufficiale del comunismo fiorentino era “Azione comunista”, di cui uscirono durante il periodo clandestino diciotto numeri.

 

“Azione comunista” era in buona parte un notiziario (con carattere, più che altro, di bollettino di guerra) che concentrava l'attenzione sulle vittorie dei russi sul fronte orientale, ma informava anche sulla lotta clandestina a Firenze: ogni cosa veniva considerata nell'ambito ristretto dell'attività di partito, ignorando spesso le imprese degli altri movimenti.

 

Il bollettino comunista, come anche i fogli clandestini delle altre formazioni politiche, metteva in guardia gli antifascisti dalle spie, citandone nomi e cognomi, e indicava al disprezzo della pubblica opinione i collaborazionisti.

 

Ciò che mancava era il dibattito ideologico: per i redattori di “Azione comunista” non vi era elaborazione di un ideale politico, e i problemi erano tutti della realtà contingente; per quelli più ampi, che coinvolgevano un ordinamento politico generale, valevano le decisione prese in altra sede e da autorità diverse da quelle locali.

 

Oltre ad “Azione comunista”, a cominciare dal mese di Febbraio del 1944 i comunisti fiorentini iniziarono anche la pubblicazione di un foglio dedicato esclusivamente agli operai: “Lotta operaia”. Inoltre rimpastavano un'edizione toscana de “L'Unità” e vari altri opuscoli propagandistici.

 

Anche il “Partito d'Azione” riuscì a pubblicare un proprio giornale, “Gioventù d'Azione”, il cui primo numero uscì il 30 Luglio del '44: contribuirono a questa iniziativa a Firenze Ernesto Codignola, Paolo Barile, Gianfranco Piazzesi.

 

I risultati che il giornale si proponeva di raggiungere erano di chiarir le idee a molti giovani: oltre le idee fasciste e comuniste, si asseriva, ci poteva essere un pensiero (ottocentista e novecentista) di una grande esperienza liberal-socialista, esperienza assimilabile da una gioventù d'azione formata soprattutto da studenti universitari e operai inseriti nel filone di Giustizia e Libertà.

 

Nel mese di Marzo del 1944 i fascisti riuscirono ad arrestare molti capi del Partito d'Azione fiorentino, grazie all'attività di alcuni infiltrati.

 

La repressione fascista colpì anche i comunisti, che subirono una sessantina di arresti: il Partito comunista resistette però meglio di quello d'Azione, in quanto la sua organizzazione contava su un maggior numero di aderenti e su una tecnica più rigorosamente cellulare.

 

Nonostante i successi conseguiti dalla polizia fascista, fu proprio il Marzo del 1944 a vedere non soltanto i primi scioperi, ma anche l'intensificazione delle attività di sabotaggio e gli attentati dinamitardi.

 

Le rappresaglie poste in essere dai nazifascisti non servirono a frenare, ma anzi sembrarono stimolare lo slancio della Resistenza.

 

Nell'Aprile del 1944 le organizzazioni di partito ripresero la lotta con intensità; il terribile inverno che aveva decimato le formazioni partigiane era ormai passato: l'azione della Resistenza sugli Appennini cominciava a impensierire anche i tedeschi.

 

Il 15 Aprile si ebbe a Firenze quello che fu forse l'attentato più clamoroso di quell'anno: l'uccisione di Giovanni Gentile. Questo episodio, ben rappresentativo della caratteristica spirale d'odio che contraddistingue ogni guerra civile, divise l'antifascismo.

 

D'altronde, si deve tener conto che la variegata strutturazione del C.T.L.N. (come accadeva in effetti in seno ad ogni C.L.N. locale sparso nell'Italia occupata dalle forze nazifascista), facilitava la possibilità che le diverse organizzazioni di partito, osservante ciascuna il proprio credo partitico, perseguissero differenti modalità di azione e di lotta, in linea con i propri convincimenti e ideali.

 

L'atteggiamento di ossequio alla RSI in particolare, e alla ideologia fascista in generale da parte di Gentile, parvero agli occhi del PCI combattente motivazione sufficiente per condannare a morte il filosofo siciliano.

 

Fu assassinato con due colpi di pistola, sparatigli da un paio di partigiani comunisti che gli si erano avvicinati presentandosi come studenti universitari desiderosi di informazioni didattiche, e che lo freddarono non appena quello abbassò il finestrino della sua autovettura; si racconta che, al momento dell'uccisione gli attentatori esclamassero: “Colpiamo non l'uomo, ma il suo ideale!”.

 

L'omocidio Gentile rispecchiava l'incapacità del comando centrale (“Comando Marte”) del C.T.L.N. di poter controllare l'intero apparato resistenziale: in effetti, ad onta di un volenteroso tentativo dei suoi gruppi dirigenti di uniformarsi ad intendimenti comuni e a pianificazioni belliche concertate, spesso le varie espressioni della Resistenza agirono a modo loro.

 

In effetti le formazioni partigiane italiane erano estensivamente assai frazionate: su una cifra di circa 200.000 partigiani in armi, all'epoca della Liberazione, circa 100.000 appartenevano a formazioni controllate dal PCI e altri 70.000 si suddividevano in gruppi controllati dal PSI e dal Pd'A; le formazioni autonome e democristiane assommavano circa 30.000 uomini.

 

Risultò veramente impossibile per i vari C.L.N. coordinare e dirigere in toto ogni azione condotta da una tale gamma di formazioni.

 

E, a Firenze, l'eliminazione fisica di Gentile fu la chiara espressione delle divergenze ideologiche e strategiche esistenti all'interno del movimento resistenziale.

 

Gentile dava senza dubbio un appoggio autorevole alla Repubblica Sociale, ed era stato nominato da Mussolini presidente dell'Accademia d'Italia: in quella veste, ancora il 19 Marzo del '44, aveva tessuto gli elogi del fascismo e di Benito Mussolini, e aveva proclamato storicamente logica la resurrezione del Duce e l'alleanza con Hitler.

 

Gentile si sforzava tuttavia di mantenere un tono alto, patriottico, coerente con i caratteri della sua filosofia e con una fede patetica nella possibilità che molto potesse essere cambiato purché si volesse farlo: riteneva necessaria non la lotta con le armi, ma una lenta opera di convinzione verso quegli italiani che si erano rivoltati contro il movimento fascista, visto dai seguaci come continuatore degli ideali del Risorgimento.

 

Sarebbe ingiusto parlare di una sua partecipazione, morale o addirittura materiale, ad atti di repressione: sembra anzi che intendesse protestare presso Mussolini contro le violenze e gli orrori perpetrati in quel periodo dalla banda Carità contro i partigiani prigionieri, torture di cui ormai parlava tutta Firenze.

 

I soli a sostenere la legittimità morale dell'attentato furono i comunisti, mentre il C.T.L.N. dichiarò di respingere la responsabilità dell'atto.

 

L'antifascismo liberale ne fu indignato e Benedetto Croce espresse il suo cordoglio, cosa che fecero anche gli antifascisti cattolici. Ma gli azionisti stessi, pur solitamente duri e intransigenti, si dimostrarono dissenzienti (e, primo tra essi, il dirigente Codignola): argomentarono che a nessuno poteva sfuggire l'odiosità di un attentato contro una personalità a cui il paese intero avrebbe potuto chiedere conto dell'operato nella forma legalmente più alta e solenne, essendo a tutti nota l'opera di moderazione svolta frequentemente da Gentile; inoltre il suo intervento era più volte valso a mitigare provvedimenti polizieschi, a rimuovere ingiustizie, a evitare una più dura repressione.

 

A queste considerazioni i comunisti ribatterono che Gentile, tanto spesso cantore della provvidenzialità storica, era a sua volta caduto vittima della moralità della Storia.

 

Intanto gli Alleati continuavano a rifornire i partigiani con lanci di materiali, armi e munizioni senza riguardo al colore politico delle formazioni che componevano la Resistenza sulle colline attorno a Firenze; l'obbiettivo immediato e prioritario, per gli anglo-americani, era sconfiggere i nazisti.

 

Anche durante tutto il mese di Maggio del 1944 continuò spietatamente la guerra civile: i fascisti torturavano e fucilavano, i partigiani combattevano e attentavano con cariche di tritolo all'organizzazione, alle comunicazioni e alle vite dei loro nemici.

 

All'inizio di Giugno si ebbe la liberazione di Roma (e, in quegli stessi giorni, veniva aperto anche il secondo fronte con lo sbarco in Normandia), e con essa la speranza che presto sarebbe stata la volta di Firenze.

 

Ma a Roma era mancata l'insurrezione popolare contro il nazifascismo (anche a causa dell'intervento del pontefice, che voleva ad ogni costo impedirla), e i dirigenti del C.L.N. si erano convinti che tra i comandanti alleati si fosse insinuata la pericolosa idea che la libertà del popolo italiano potesse giungere soltanto come dono delle armate alleate.

 

Era quindi necessario, secondo i partiti antifascisti, che la gente di Firenze mostrasse al mondo, con l'insurrezione armata, il desiderio degli italiani di dare la vita per liberarsi dal pesante giogo della dittatura, qualora si presentasse la possibilità di un risultato positivo: era un modo per riaffermare l'indipendenza italiana nei confronti degli Alleati.

 

Questa necessità di insorgere, dunque, che per molti costituiva una esigenza morale, aveva invece un evidente riflesso politico nella realtà contingente.

 

Se la liberazione di Firenze fosse stata attuata soltanto dalle truppe di Alexander, ciò avrebbe significato la imposizione, da parte dell'amministrazione militare alleata, delle forze di governo, delle leggi, degli uomini politici graditi a Londra e a Washington: avrebbe, in pratica, significato la rinuncia ad ogni autonomia politica per il presente e per il futuro.

 

Ciò accadde, invece, nella parte orientale del continente europeo: l'unico paese che rimase indipendente fu la Yugoslavia, non soltanto perché a Yalta Churchill e Stalin avevano stabilito di poter esercitare una influenza paritaria, al 50%, su quel paese, ma anche perché Belgrado fu liberata dalle truppe di Tito e non dall'Armata Rossa.

 

Prima della liberazione di Firenze, il problema era quindi quello di far riconoscere i C.L.N. come organi di governo, rappresentativi davvero della volontà del popolo italiano: una insurrezione nel capoluogo toscano avrebbe creato una amministrazione antifascista già funzionante prima ancora dell'arrivo delle forze anglo-americane, le quali, messe di fronte al fatto compiuto, non avrebbero potuto non tenerne conto.

 

Nel Giugno del 1944 gli scontri tra tedeschi e partigiani nelle immediate vicinanze della città di Firenze erano ormai quotidiani. Le speranze di una rapida liberazione, conseguente a un imminente crollo dei tedeschi, venivano alimentate da notizie di continue vittorie degli Alleati a Occidente e dei russi sul fronte orientale.

 

Grazie all'avvicinarsi delle armate alleate, energie fresche affluivano in numero sempre crescente nelle fila partigiane: fu ciò che permise al Partito d'Azione di riorganizzarsi dopo la scoperta, da parte nazista, dell'organizzazione “Cora”, all'inizio di Giugno '44.

 

Del resto l'attività insurrezionale si andava intensificando in ogni settore. Le banda partigiane operanti nei dintorni della città aumentavano ogni giorno i propri effettivi e si davano un'organizzazione sempre più militare.

 

I vari e dispersi nuclei che, nonostante i continui rastrellamenti, avevano continuato la loro attività nel complesso montuoso del Monte Morello e della Caldana, si fusero in una unità organica controllata dai comunisti.

 

Sempre a Nord di Firenze, inchiodata al Monte Giovi nel Mugello, resisteva la brigata partigiana “Rosselli”. A oriente, sul Pratomagno e nel Casentino operavano brigate garibaldine, mentre più a sud, nel Chianti, era presente la brigata “Sinigaglia”. Sempre a sud della città, fra Roveta e Montespertoli, si trovavano altri concentramenti di unità partigiane.

 

Anche nel cuore del capoluogo continuavano le azioni dei partigiani sotto forma di attentati a fascisti e distruzione delle infrastrutture.

 

Ormai tutti i partiti del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale avevano una loro propria organizzazione militare; anche i socialisti e i liberali si decisero in tal senso: i primi si affidarono a un capitano che aveva fatto la prima guerra mondiale, mentre i secondi posero il comando nelle mani di due ufficiali di carriera ancora in servizio. I democristiani, invece, già da alcuni mesi avevano due squadre operanti nei dintorni di Firenze.

 

Sempre durante il mese di Giugno i comunisti accettarono, come detto, la creazione di un comando militare unico, che a Firenze prese il nome di “Comando Marte”. Tale organismo era composto da tutti i partiti che componevano il C.T.L.N: il suo comandante era un azionista.

 

Questa era la composizione del “Comando Marte”: comandante il colonello di complemento Nello Piccoli (P.d'A.); vice-comandante era il capitano in servizio permanente effettivo Nereo Tommasi (DC); commissario politico incaricato di rappresentare il C.T.L.N. in seno al comando militare Luigi Gaiani, del PCI, mentre il ruolo di suo vice era ricoperto dal capitano di complemento Dino Del Poggetto (PSIUP); infine, capo di stato maggiore risultava il maggiore in servizio permanente effettivo Achille Mazzi, rappresentante del Partito Liberale.

 

Per la maggior parte della cittadinanza il problema più importante era se Firenze sarebbe stata o no considerata città aperta come Roma, oppure se i tedeschi avrebbero cercato di difenderla per rallentare l'offensiva alleata, esponendola quindi alle inevitabili distruzioni della battaglia.

 

Questo dubbio non toccava il C.T.L.N., che aveva comunque deciso la insurrezione popolare prima della partenza dei tedeschi e l'arrivo degli Alleati: il cardinale Elia Della Costa, invece, tentava di avviare trattative con tutte le parti per evitare distruzioni e danni inutili alla città.

 

Anche il console germanico Gerhardt Wolf, che non voleva vedere distrutte le bellezze artistiche fiorentine, partecipava a queste trattative; a onor di verità bisogna ricordare che lo stesso Hitler, grande ammiratore dell'arte italiana, ordinò di risparmiare il Ponte Vecchio: tutti gli altri ponti, al fine di ritardare l'avanzata alleata, vennero invece fatti saltare.

 

Nelle prime settimane del mese di Luglio partirono per il nord tutti i gerarchi del fascismo fiorentino: gli uffici amministrativi presero quindi contatto con il Comitato che nominò e inserì propri rappresentanti ufficiali nelle varie branche dell'amministrazione per controllarne l'attività e per prepararsi ad assumerne la direzione.

 

Intanto continuavano gli attentati contro i fascisti e gli atti di sabotaggio: il giorno 8 Luglio 1944 un gruppo di giovani del Partito d'Azione fece saltare in aria il centralino telefonico di Porta Romana, che congiungeva il comando di Kesserling con le truppe in ritirata a sud di Firenze. Il comando tedesco rimase così isolato per trentasei ore consecutive.

 

Sempre più spesso accadeva che poliziotti o carabinieri passassero a ingrossare le fila dei partigiani.

 

L'organizzazione del C.T.L.N. nel mese di Luglio subì un duro colpo da parte della polizia nazifascista, colpo che in altri momenti avrebbe potuto rivelarsi mortale: un ufficiale della milizia riuscì, infatti, a catturare un partigiano che attentava alla sua vita. Questi, sottoposto a duro interrogatorio a “Villa Triste” da parte della “Banda Carità”, rivelò i nomi di molti esponenti di primo piano della Resistenza.

 

Dopo l'8 Settembre del 1943, a Firenze si costituì un ufficio di polizia denominato “Reparto di Servizi Speciali”, che divenne tristemente famoso con il nome di “Banda Carità”, dal nome del suo comandante Mario Carità: suo compito era di scoprire le organizzazioni resistenziali e di catturare gli esponenti del movimento partigiano, dei comitati di liberazione nazionale e dei partiti antifascisti.

 

La “Banda Carità” agiva prevalentemente a Firenze, in stretta collaborazione con le SS e con altri servizi di polizia tedeschi e italiani: l'ultima sede operativa della Banda fu un caseggiato situato a Firenze (via Bolognese n.67) che venne denominato “Villa Triste”, a motivo degli interrogatori là inflitti.

 

 La Resistenza si trovò quindi a essere decapitata proprio alla vigilia della liberazione: ciò porta a supporre che senza l'aiuto degli Alleati mai sarebbe stato possibile abbattere il regime terroristico instaurato dal fascismo repubblicano, appoggiato tra l'altro dai tedeschi.

 

L'avanzata alleata, comunque, convinse anche i tedeschi a evacuare la città; il 25 Luglio restavano a Firenze poco più di mille paracadutisti e guastatori germanici che dovevano servire da retroguardia e da copertura alle truppe in ritirata: i nazisti prima di andarsene fecero saltare le due centrali telefoniche e requisirono tutti gli automezzi della città.

 

Firenze diventò una sorta di terra di nessuno: il giorno 27 Luglio 1944 gli Alleati erano a soli 15 Km e nella città si fronteggiavano i pochi tedeschi rimasti, aiutati da qualche fascista fanatico deciso a tutto, e i patrioti, scarsamente armati, ma che potevano contare sulla solidarietà più o meno palese di tutta la popolazione.

 

Come si è già detto, il C.T.L.N. perseguiva un unico scopo: l'insurrezione armata, e l'attacco ai tedeschi ad ogni costo e in qualsiasi situazione. Gli Alleati, giungendo a Firenze, avrebbero dovuto trovare l'antifascismo in armi e un popolo libero, che con il sacrificio si fosse conquistato il ruolo di alleato, non lasciandosi trattare da popolo occupato.

 

Il C.T.L.N. poteva contare anche sulle bande partigiane dislocate nelle zone montuose vicino a Firenze, ma in tutto si trattava di meno di tremila uomini, pur se ormai abituati da mesi a una continua guerriglia contro i nazifascisti, e raccolti in affiatate unità organiche comandate da uomini selezionati dalle esperienze già vissute: l'armamento veniva fornito dai lanci degli angloamericani.

 

Le formazioni partigiane di maggior rilievo erano la divisione “Arno”, controllata dal Partito comunista, e le brigate “Rosselli” del Partito d'Azione.

 

Alla fine di Luglio del 1944 queste formazioni cominciarono a convergere su Firenze per essere pronte a intervenire al momento dell'insurrezione.

 

Duecento partigiani in armi riuscirono a infiltrarsi nella città, e si andarono ad aggiungere ai meno di tremila effettivi che componevano la resistenza cittadina. Quindi, tra i partigiani sulle montagne e quelli in città, questi ultimi male armati e non temprati da precedenti combattimenti, non si raggiungevano seimila combattenti da mettere in campo contro gli agguerriti soldati di Hitler, ben armati e addestrati.

 

Ciò nonostante il comando militare unico elaborò un piano che prevedeva di attaccare mentre le ultime truppe tedesche, rifluendo dal fronte meridionale, stessero attraversando Firenze.

 

I tedeschi, al fine di tranquillizzare la popolazione, avevano lasciato intendere al cardinale Della Costa di poter considerare aperta la città toscana, così come si era fatto nei confronti di Roma: in realtà, che il comando germanico fosse intenzionato ad attraversare Firenze al momento della ritirata, malgrado le assicurazioni costantemente ripetute, lo si evinceva vedendo come, proprio in quei giorni, le vie erano state marcate con frecce gigantesche e strisce colorate per tre diverse trasversali passanti per i singoli ponti, trasversali lungo le quali avrebbe dovuto avvenire il deflusso delle truppe germaniche.

 

Nonostante la creazione del comando militare unitario, le unità combattenti rimasero strutturate a seconda della colorazione partitica.

 

Erano pronte a combattere con accanimento tutte le formazioni partigiane, comprese le democristiane e le liberali, per quanto i loro fini divergessero da quelli delle forze di sinistra: queste, infatti, si ponevano lo scopo di fondare uno stato nuovo e un nuovo ordine sociale, mentre le prime si consideravano eredi della vecchia tradizione risorgimentale.

 

Il 29 Luglio il comando germanico ordinava di sgombrare una vasta zona prospiciente l'Arno, sull'una e sull'altra sponda: circa 150.000 persone furono così costrette a trovarsi entro poche ore un nuovo alloggio, in una città già sovrappopolata a causa delle false assicurazioni tedesche di dichiararla città aperta.

 

Il 30 Luglio venne a mancare del tutto l'energia elettrica e l'acqua nelle abitazioni: il dramma stava per arrivare alla conclusione.

 

Il C.T.L.N. decise che, al momento della liberazione, sindaco sarebbe stato l'anziano Gaetano Pieraccini, socialista che aveva goduto la stima e la fiducia non soltanto degli uomini politici, ma anche di tutta la cittadinanza. Pieraccini sarebbe stato coadiuvato da due vice-sindaci, uno comunista e l'altro democristiano.

 

Nella notte del 3 Agosto saltarono cinque dei sei ponti di Firenze: i nazisti risparmiarono soltanto il Ponte Vecchio, sul quale era però impossibile transitare per l'enorme cumulo di macerie che ingombravano le vie di accesso. Erano le macerie dei palazzi e delle torri della città medievale, sotto le quali i tedeschi nascosero anche delle mine che nei giorni successivi avrebbero causato non poche vittime tra la popolazione civile.

 

Il Maresciallo Alexander, nelle sue memorie, ricorda: “I tedeschi non tentarono di tenere la linea dell'Arno. A Firenze, più come gesto di sfida che altro, fecero saltare tutti i ponti, eccetto il pittoresco Ponte Vecchio; distrussero però, o minarono, le case all'estremità del ponte, nel debole e certamente futile tentativo di creare una specie di ostacolo alla nostra avanzata. Fa piacere sapere che gli italiani hanno ormai restaurato tutti i ponti, impiegando le pietre originali recuperate dal fiume”.

 

Il 4 Agosto le brigate partigiane e gli Alleati entravano in città, e divampava la battaglia contro i tedeschi e gli ultimi fascisti che, arroccati nelle case, agivano quali franchi tiratori contro chiunque transitasse per le strade.

 

L'8 Agosto cadeva in questi combattimenti “Potente”, il comandante della divisione “Arno”, ma la parte della città sulla riva sinistra dell'Arno era ormai libera. Sulla riva destra, invece, si viveva ancora sotto l'incubo dell'occupazione tedesca.

 

L'11 Agosto il Comitato assunse tutti i poteri di governo provvisorio quale unico organo rappresentativo del popolo fiorentino e fece scattare, con il suono della Martinella, il segnale dell'insurrezione generale: ai patrioti fu dato l'ordine di muovere all'attacco delle retroguardie tedesche al fine di conquistare, per tutti gli italiani, il diritto d'essere una nazione finalmente libera.

 

La battaglia di Firenze durò fino al primo giorno di Settembre, con alterne vicende anche a causa delle incertezze degli Alleati che non agganciarono i tedeschi in ritirata.

A porre fine agli scontri furono le brigate azioniste, che il 31 di Agosto occuparono l'area ospedaliera di Careggi.

 

La città si era quindi liberata da sé: gli angloamericani rimasero “scombussolati” da questa circostanza. Il C.T.L.N. era riuscito nel compito che si era dato, cioè quello di presentarsi come organo di governo, rappresentativo del popolo come unità organizzata, democratica e antifascista: ciò lo rendeva una vera autorità capace di impegnarsi e di trattare con i generali delle forza alleate.

 

All'alba dell'11 Agosto il C.T.L.N. emanò un comunicato in cui assumeva “tutti i poteri di governo provvisorio che gli competono quale organo rappresentativo del popolo toscano.

 

Forze del C.T.L.N. hanno fin da stamane occupato la città e combattono contro i tedeschi, i fascisti e i franchi tiratori. Tutti i cittadini devono contribuire con tutte le proprie forze alla liberazione della città, dare tutto l'aiuto morale e materiale ai nostri coraggiosi patrioti. Le sofferenze più gravi della popolazione stanno per cessare con la nostra vittoria”.

 

La battaglia, tuttavia, non era ancora finita, e costò fino al termine degli scontri più di un centinaio di vite umane.

 

Ad ogni modo si cercò di ripristinare, seppur nella situazione precaria di quei giorni, la democrazia in ambito rappresentativo; così, lo stesso 11 Agosto l'ormai ottantenne Pieraccini fu insediato in qualità di sindaco a Palazzo Vecchio: illustre medico, si rivelò ben presto non solo uomo di scienza e cultura, ma anche fervente politico. Fin dall'università, infatti, egli fu un militante socialista: a casa sua si tenevano regolarmente gli incontri del “Comitato Interpartiti”.

 

Sul suo nome quale sindaco non ci fu dissenso tra i vari gruppi politici; ciò nonostante, le autorità alleate tentarono di opporsi a quella carismatica figura quale guida comunale. Ciò sapendo, egli offrì le proprie dimissioni, ma venne convinto dagli altri partiti a restare.

 

Il 13 Settembre 1944 venne ufficialmente nominato sindaco dal Governatore Militare Alleato; Pieraccini sarebbe stato coadiuvato da due vicesindaci: Mauro Fabiani (comunista) e Adone Zoli (DC).

 

La presidenza della deputazione provinciale fu attribuita alla Democrazia Cristiana, la presidenza del Consiglio provinciale dell'economia ai liberali; questore venne nominato uno dei vice-questori in carica, nella persona di Soldani Bensi, già da tempo in contatto con le organizzazioni clandestine.

 

L'analisi dei personaggi e dei partiti che vennero, tutti assieme, a comporre l'amministrazione della città contestualmente alla liberazione è importante perché la geografia politica della Firenze del secondo dopoguerra (e di quella che sarebbe seguita nei decenni), era già insita nella riorganizzazione clandestina dei partiti antifascisti.

 

E' necessario evidenziare un fondamentale aspetto: per quanto giustamente si definiscano le truppe alleate “anglo-americane”, la componente britannica al loro interno fu assai più notevole di quella statunitense.

 

D'altronde, lo stesso Segretario di Stato americano di allora, Cordell Hull, ci ricorda che: “ Il presidente Roosevelt e Churchill, nelle loro prime discussioni sull'Italia, si erano accordati in questo senso che, essendo il Mediterraneo un teatro di operazioni in generale britannico, la Gran Bretagna doveva esercitare sull'Italia un controllo maggiore, e questo si riferiva sia al comando delle operazioni militari che al comportamento della Commissione Alleata di Controllo e all'AMG”.

 

Spettava agli inglesi, dunque, la determinazione politica della penisola liberata: ma oltre al logico appoggio in favore del conservatorismo monarchico (per ragioni storico-tradizionali facilmente deducibili), vi fu in essi l'intenzione poco velata di mantenere l'Italia debole, cercando di negarle l'accesso al programma di ricostruzione europea (ERP).

 

Si creava così, in seno alla politica inglese nei confronti della nazione italiana, una evidente contraddizione nei metodi e negli scopi: mantenere, da una parte, debole politicamente ed economicamente la penisola, e operare compiutamente, dall'altra, per rendere più forte la monarchia e i conservatori.

 

Ma aiutando e sostenendo un re, Vittorio Emanuele, ormai chiaramente impopolare, i britannici favorirono le conseguenti divisioni all'interno del paese.

 

Tutto giocò quindi a favore dell'estremismo e della Resistenza in generale, la quale seppe profittare a proprio vantaggio del malessere e della povertà immani del popolo.

 

L'esercito inglese, in pratica, si trovò impossibilitato a pretendere lo stabilirsi di amministrazioni a esso del tutto gradite, perché in molti casi si scontrò con lo status quo stabilito con le armi dai gruppi partigiani, giunti prima dei britannici stessi a liberare le città dai nazisti (come accadde appunto a Firenze).

 

E, proprio in questi termini, assume un rilievo fondamentale la vicenda fiorentina: fu infatti il primo caso, in Italia, in cui una città riusciva a darsi da sé un sindaco e una amministrazione.

 

E ciò fu dovuto alla grande unità del C.T.L.N., i dirigenti del quale riuscirono a sacrificare le esigenze partitiche a favore della necessità superiore di mantenere la saldezza della coalizione: saldezza non solo nei confronti del nazifascismo ma anche, come detto, degli Alleati.

 

Il “Times”, espressione massima dell'opinione pubblica d'oltremanica, scrisse in quei giorni della liberazione: “Firenze è stata il teatro di un esperimento spontaneo di autogoverno, che può avere importanza considerevole per determinare quale sarà il sistema politico che, in definitiva, prenderà il posto del fascismo”.

 

 

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Varsori G., Gli Alleati e l'immigrazione democratica antifascista (1940-43), Sansoni, Firenze 1982.



 

 

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