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CONTEMPORANEA


N. 6 - Giugno 2008 (XXXVII)

La zdanovscina
intransigenza ideologica al crepuscolo dell'era stalin

di Stefano De Luca

 

Nel 1946, appena combattuta e vinta la guerra ‘patriottica’ (Stalin durante la Seconda guerra mondiale riuscì a mobilitare il Paese facendo appello non al comunismo, ma alla ‘Madre Russia’), la conquista di un ‘impero’ e l’inizio di tensioni sempre più minacciose con l’Occidente, indussero il Partito Comunista dell’Urss ad adottare una linea interna di inasprimento dell’intransigenza ideologica.

 

Artefice dell’operazione fu Ždanov, tanto che questo periodo viene ricordato come la ždanovščina.

 

“Si postulava il primato dello Stato sull’individuo: secondo l’opinione di Stalin, gli uomini sovietici dovevano essere ‘ingranaggi’ utili alla macchina sociale, mentre l’individualismo piccolo-borghese andava estirpato”.

 

Ždanov, allora responsabile del settore propaganda del Pcus, attaccò le riviste leningradesi ‘Zvezda’, che venne chiusa, e ‘Leningrad’, che fu tenuta da allora sotto stretta vigilanza, accusate entrambe di aver pubblicato del materiale “estraneo allo spirito del partito”, in primis le opere della  Achmatova e di Zoščenko.

 

Nel settembre del 1946 fu la volta dei film ‘privi di idee’, specialmente ‘La gran vita’ di Lukov, ‘L'ammiraglio Nachimov’ di Pudovkin, e la seconda parte di ‘Ivan il Terribile’ di Sergej Ejzenštejn, film nel quale non si lodava uno zar “che figurava ormai tra i grandi costruttori dello Stato russo, assieme a Pietro il Grande e…Stalin”.

 

Nel 1947 la ždanovščina coinvolse anche il campo  musicale. Vittime della lotta contro le tendenze ‘decadenti’ e ‘formaliste’, quindi antinazionali e non rispettose delle tradizioni dell’opera classica russa, furono compositori come Aram Chačaturjan, Vano Muradeli, Dmitrij Šostakovič, Sergeij Prokof'ev, e tanti altri.

 

Šostakovič, uno dei più grandi compositori russi del Novecento, nel 1948 fu costretto a fare autocritica dei propri ‘errori’ nella composizione, e col tempo decise di diminuire anche il proprio impegno civile, optando per un atteggiamento di ripiegamento interiore.

Scelse di vivere per il bene della sua famiglia, cosciente di ciò che significasse mettersi contro la volontà del regime, anche se ciò comportò l’accettazione di canoni che avrebbero finito per limitare la sua geniale fantasia.

 

Dal 1948 cominciò un’altra lotta, quella contro il ‘cosmopolitismo’.

 

La ricerca di un nemico interno continuava ad essere il fondamento della strategia ideologica del Partito, perché contribuiva a mantenere alta la tensione psicologica nella società. Furono prima vietati i matrimoni con gli stranieri, ma poi emerse il carattere sempre più marcatamente antiebraico della campagna, anche se non esclusivamente.

 

In Russia le persecuzioni contro gli ebrei risalgono a ben prima della rivoluzione, ma ricominciarono con intensità negli ultimi di vita di Stalin, probabilmente a causa della delusione subita da questi con Israele, che non divenne quello Stato socialista da lui stesso ‘previsto’.

 

Apice di tale campagna fu l’arresto, nel gennaio 1953, di un gruppo di medici ‘terroristi’, per lo più ebrei, che vennero accusati di varie morti tra i membri del Partito, tra cui  anche quella di Ždanov.

 

Gli ebrei russi temevano già il peggio, quando il 6 marzo giunse la notizia che Stalin era morto, per un’emorragia celebrale che lo aveva colpito pochi giorni prima,  la sera del 5 marzo.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Nicholas Werth, Storia della Russia del Novecento

www.gulagitalia.it

 

 

 

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