_

.

> Home                                                      > Chi siamo                                                      > Contattaci

 

Percorsi

.

.

Cultura politica società

.

Diritti umani e civili

.

Filosofia e religione

.

Storia e ambiente

.

.

.

 

Periodi della storia

.

.

Storia Contemporanea

.

Storia Moderna

.

Storia Medievale

.

Storia Antica

.

.

.

 

Rubriche

.

.

Falsi storici

.

Storia dello Sport

.

Turismo storico

.

Stampa estera

.

.

.

 

Numeri arretrati

 

 

.

> Cultura politica società

.

N. 22 - Marzo 2007

Xichang 12/01/2007

Dal Sichuan inizia la guerra spaziale cinese

di Stefano Crescenzi

 

Il 12 gennaio 2007, ha inizio dalla base militare di Xichang (Sichuan, Cina), quella che molti hanno definito la guerra stellare cinese, in seguito al lancio di un missile di medio raggio, che ha raggiunto, colpito e distrutto un satellite meteorologico cinese in disuso, che si trovava in orbita intorno alla Terra ad una altitudine di 865 km.

 

Il lancio, rivelato la sera stessa dal sito web della rivista scientifica americana Aviation Week and Space Technology, e confermato da Pechino soltanto il 23 gennaio scorso, ha suscitato molte perplessità tra gli Stati, in particolare tra i paesi dell’area ASEAN, con il Giappone e l’Australia in testa, seguiti poi anche da altre nazioni, come Canada e Stati Uniti, preoccupate per i recenti mutamenti del peso strategico della Cina nell’Estremo Oriente.

 

La questione del progressivo riarmo della RPC e i crescenti investimenti nelle spese militari (dell’entità di un incremento del 9,6% annuo), desta cautele e preoccupazioni soprattutto nel Giappone, vicino più prossimo nonché antagonista di questa potenza emergente, la quale vuole reclamare un posto nel consesso degli Stati che contano sul piano militare a livello globale.

 

In merito al lancio missilistico del 12 gennaio, sono state inoltrate al governo cinese decise proteste, a causa del pericolo del rilancio di una ripresa della militarizzazione dello spazio, nonostante la distruzione del satellite Feng Yun 1-C sia avvenuta con tecnologie rudimentali (il solo impatto cinetico ha disintegrato l’obiettivo, e non quindi tramite l’impiego di dispositivi sofisticati a puntamento laser, rivelando, per ora, una tecnologia militare di entità inferiore per esempio a quella degli Stati Uniti).

 

Lasciati sfumare gli allarmismi iniziali, sarebbe più opportuno inquadrare tale azione nel contesto della politica cinese in materia di armamenti, sia sul piano interno che più in generale sul piano dell’impegno della Cina all’interno della comunità internazionale.

 

La RPC, nei mesi precedenti al lancio, è stata protagonista, mostrando peraltro un grande impegno, assieme alla Russia in ambito ONU delle azioni diplomatiche necessarie per raggiungere un Accordo per la messa al bando degli esperimenti militari nello Spazio, e per il suo sfruttamento per scopi diversi da quelli della ricerca scientifica pacifica, cercando di creare uno strumento multilaterale in materia, che potesse dare maggiori garanzie agli Stati del mondo (tramite cui la Cina sarebbe più protetta da eventuali azioni americane in tal senso, e dallo sviluppo di nuove tecnologie americane negli armamenti satellitari).

 

In questa ottica, il lancio del missile antisatellite, potrebbe avere un valore prevalentemente deterrente, anche in accordo a quanto dichiarato dal portavoce della Commissione per la scienza, la tecnologia e l’industria per la difesa nazionale di Pechino, Huang Qiang, che aveva annunciato in precedenza al lancio che sarebbero state intraprese, dal suo governo, importanti azioni con lo scopo di dare un maggiore impulso alla smilitarizzazione dello Spazio e per le riprese delle trattative del suddetto Accordo.

 

È certo però che il governo cinese intendesse anche lanciare un messaggio molto chiaro sia al vicino Giappone, che alla sua Taiwan, e lo ha fatto in maniera più evidente schierando in una base militare prossima all’isola 12 nuovi jet di ultimissima generazione[1]. Ciò è avvenuto anche in reazione alle recenti dichiarazioni dello Stato nipponico e degli Stati Uniti di voler compiere esercitazioni navali militari congiunte nel Mar Cinese nei prossimi mesi del 2007.

Non va inoltre dimenticato, che Taiwan conta sulle informazioni provenienti dai satelliti americani delle telecomunicazioni per mantenersi aggiornata sui movimenti di Pechino, e che gli USA, da subito preoccupati per questo nuovo esperimento (riuscito) cinese, da sempre attraverso i propri satelliti spia controlla le mosse di questo suo nuovo antagonista[2].

Che sia stata quindi anche una prova di forza della Cina?

 

È un dato di fatto che i test missilistici nello spazio non avvenivano dal lontano 1985, e che la mancanza di una disciplina internazionale specifica in materia, che limiti o vieti incontrovertibilmente gli esperimenti a scopo militare, oltre che comportare la non violazione da parte della RPC di una norma internazionale[3], potrebbe portare alla realizzazione di test simili da parte di altre potenze emergenti, magari guidate da governi meno collaborativi, sotto tale aspetto, di Pechino.

 

Inoltre, Liu Jian Chao, portavoce del Ministero degli Affari Esteri, essendo un esperimento interno, ha ribadito che il test non era diretto contro alcun paese, e quindi non poteva essere una minaccia per nessuna nazione, e in tale modo andrebbe considerato.

Il governo cinese ha riaffermato pertanto il suo augurio che gli uomini possano sfruttare lo Spazio in maniera del tutto pacifica, impegnandosi di conseguenza in quelle azioni necessarie per il raggiungimento della creazione di strumenti internazionali di tutela adeguati allo scopo; ma ha altresì dichiarato apertamente anche che la Cina non sarà disposta ad accettare l’unilateralismo di una superpotenza globale che dispone come vuole dello Spazio e delle sue risorse (vedi gli USA).

 

L’Unione Europea, da canto suo, in una dichiarazione alla stampa, rilasciata il 24 gennaio dalla Presidenza dell’Unione, invita la Cina alla firma dell’Accordo dell’Aia sulla non proliferazione dei missili balistici (come primo passo concreto verso la non militarizzazione dello Spazio), e al rispetto dei principi e delle norme internazionali in materia di sfruttamento dello Spazio (finora di esclusivo appannaggio degli Stati Uniti d’America) e dello spirito di cooperazione tra le Nazioni.

 

Il lancio missilistico effettuato dalla Cina, ha difatti portato all’attenzione della Comunità Internazionale il problema della mancanza di uno strumento efficace in materia di divieto dell’utilizzo dello spazio per scopi militari, dovendosi affidare, sinora, alla sola buona volontà e alla coscienza degli Stati di non nuocere alle altre nazioni minacciando la pace.

 

La nascita di una Cina potenza militare è un dato di fatto oramai, e la sua volontà di affermarsi come potenza egemone dell’area dell’Asia Orientale, va inesorabilmente a scontrarsi con gli altri soggetti statuali che mirano al controllo di quella stessa area, il Giappone primo tra tutti, che rappresenterebbe il solo alleato affidabile per gli Stati Uniti per mantenere una certa influenza nella regione[4].

 

È innegabile però che la mancanza di trasparenza nelle operazioni militari cinesi, che come in questo caso hanno una certa rilevanza per la comunità internazionale, potrebbe rappresentare un problema concreto per la sicurezza globale, in quanto alimenterebbe le reciproche paure degli Stati potendoli portare ad una corsa al riarmo che si rivelerebbe un gioco a somma zero.

 

La creazione di strumenti internazionali di tutela in ambito di sfruttamento militare dello Spazio, sarebbe un ottimo punto di partenza per tutta la comunità degli Stati, sempre però che qualcuno non decida di ricorrere sistematicamente all’unilateralismo sottraendosi agli obblighi internazionali in materia (come accade quasi sempre per gli USA).

[1] Il dispiegamento di nuove forze in basi poste nelle vicinanze dell’isola di Taiwan, sono da leggersi in maniera congiunta sia alle recenti dichiarazioni del Presidente della Repubblica di Taiwan, che ha annunciato di voler dichiarare l’indipendenza dalla madrepatria entro la fine del 2007, che del giro di vite che la Cina sta attuando per costringere l’isola ad arrendersi ed abbandonare le sue velleità indipendentiste. Inoltre, la RPC sta chiedendo con sempre più forza alla comunità internazionale di non agire per aiutare i taiwanesi, in quanto sarebbe una violazione del principio di non ingerenza negli affari interni di uno stato; un messaggio rivolto in maniera esplicita agli Stati Uniti, che da sempre appoggiano le forze indipendentiste dell’isola, utilizzandole in chiave anti-cinese per contenere il regime di Pechino.

[2] È pur vero che però i satelliti per le telecomunicazioni orbitano intorno alla Terra a distanze maggiori di quelle raggiunte dal missile cinese a medio raggio, ma è indubbia la crescente dipendenza degli Stati Uniti da satelliti militari e commerciali, una vulnerabilità che i cinesi prevedono di sfruttare, non potendo per ora batterli sul piano aereo e terrestre.

[3] Ricordiamo che l’esperimento è avvenuto in territorio cinese, e quindi non sono state neanche violate le norme sul rispetto del buon vicinato del diritto internazionale consuetudinario, in quanto la distruzione del satellite è avvenuta quando esso transitava sulla regione del Sichuan, e quindi sul territorio nazionale.

[4] Questo permetterebbe agli USA di potersi disimpegnare in maniera diretta dall’area, potendo contare sull’affidabilità e sulla lealtà di un partner storico sicuro come il Giappone.

 

eOs dl

 

 

Consulenze storiche

.

.

Enti pubblici & privati

.

Università & studenti

.

.

.

 

Collabora con noi

.

.

Scrivi per InStoria

..

.

.

 

Editoria

.

.

Eos dl edita e pubblica:

.

- Manoscritti

.

- Tesi di laurea

.

Catalogo opere Eos

.

.

.

 

Links

 

Banners

 

 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 

 

 

 

 

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA  N° 215/2005 DEL 31 MAGGIO]

.

.