WINTER OF THE CROW
Polonia, 1981: LA LEGGE MARZIALE
SECONDO Kasia Adamik
di Leila
Tavi
Winter of the Crow
è il nuovo film della regista
polacca Kasia Adamik, una
coproduzione tra Polonia,
Lussemburgo e Regno Unito,
presentato alla sezione Discovery
del TIFF 2025 e alla sezione
Progressive Cinema – Visioni per il
mondo di domani della Festa del
Cinema di Roma 2025, che si è
conclusa da poco.
La trama del film trae spunto da una
breve prosa di Olga Tokarczuk
con titolo originale: Profesor
Andrews w Warszawie, che è stato
pubblicato nel volume di racconti
Gra na wielu bębenkach (Suonando
varie percussioni) del 2001, edito
da Wydawnictwo Ruta. Il racconto è
stato poi ripubblicato in edizioni
successive, ma la prima uscita del
racconto fu in lingua inglese come
Professor Andrews Goes to Warsaw:
December 1980, apparsa sulla
Chicago Review nel 2000,
in un numero dedicato alla nuova
narrativa polacca contemporanea.
Il racconto narra la storia di un
accademico inglese di mezza età
in visita in Polonia per tenere una
serie di lezioni e che si ritrova,
all’improvviso, imprigionato nella
realtà cupa della legge marziale. La
scrittrice, che ha ricevuto il
Premo Nobel per la Letteratura nel
2018, riesce a rendere
l’esperienza individuale di
spaesamento del protagonista del
racconto una riflessione più ampia
sulla condizione umana quando
vengono meno coordinate, linguaggi e
abitudini. È un racconto che parla
di storia senza retorica,
restituendo la sensazione concreta
di un tempo sospeso, fatto di
silenzi, di freddo e di
comunicazioni interrotte.
Il testo affronta il nodo
identitario della Polonia nel
dicembre 1981 con lo sguardo del
visitatore che, per la prima volta,
si trova a Varsavia in un momento
storico drammatico e di speranza al
tempo stesso. Il 13 dicembre 1981 il
generale Wojciech Jaruzelski
proclama la legge marziale, sospende
diritti e libertà, introduce
coprifuoco e censure, riempie le
strade di militari e mezzi blindati.
È all’interno di questo scenario
violento che precipita il
protagonista, giunto a Varsavia come
visiting professor e,
improvvisamente, è catapultato in un
sistema apparentemente regolato da
un ordine maniacale, ma in realtà
fondato su privazioni, sul controllo
e sulla repressione, in cui ogni
presenza è anche un’assenza.
In una logica kafkiana, Varsavia
sotto la legge marziale è una
città che obbedisce a regole rigide,
ma in cui nulla funziona davvero.
In un primo momento il prof. Andrew
non riesce a leggere i segnali del
nuovo contesto, questo suo disagio
diventa la chiave di lettura del
racconto. Non è né un eroe né un
testimone chiave di quello che sta
accadendo, è semplicemente un uomo
comune catapultato in una realtà
regolata da segni e significati che
non riesce a decifrare.
Varsavia è rappresentata come una
topografia dell’ostilità:
neve sporca, corridoi gelidi, linee
telefoniche mute, negozi vuoti e
lunghe file scoraggiate.
L’appartamento affittato, che doveva
fungere da rifugio, si trasforma in
un labirinto domestico. Non riesce a
comunicare con il mondo fuori dalle
mura domestiche, ma l’intima
sicurezza di una vita
all’occidentale non è replicabile in
quella drammatica situazione. Il
paesaggio urbano, così, visto dalla
sua finestra, smette di essere
sfondo e diventa allegoria di un
sistema opaco, fatto di mancanze e
di regole invisibili a chi non vi
appartiene.
Andrews incarna, infatti, un certo
modo occidentale di stare al mondo:
ordine, metodo, fiducia nella
razionalità. Tutto ciò, nello spazio
della Varsavia del 1981, non
funziona più; il protagonista non vi
si può più ancorare. Il non parlare
la lingua polacca, che all’inizio è
un semplice disagio, diventa presto
una barriera insormontabile. Attorno
al docente orbitano figure che
diventano fondamentali per la
sopravvivenza del professore: quando
la sua giovane accompagnatrice
scompare con lo scattare delle
restrizioni, i vicini di
pianerottolo, se pur con prudenza,
non si dimostrano impermeabili alla
pietà; un anziano gli mostra con il
linguaggio non-verbale come
arrangiarsi. In questo microcosmo la
distanza si accorcia attraverso
piccoli gesti, ma essenziali per
superare il momento di difficoltà.
Il motivo dell’incomunicabilità
è il filo che tiene insieme tutto:
non comprendere la lingua significa
non avere accesso alla struttura
nascosta della realtà. Il racconto
segue con lucidità l’invenzione di
un lessico alternativo fatto di
mimica, di sillabe spezzate, di
oggetti mostrati, che non elimina la
distanza ma permette di
attraversarla. In controluce, si
legge una riflessione più ampia:
durante la Guerra Fredda non si
fronteggiavano soltanto modelli
economici, sistemi politici o
apparati militari, ma anche modi
diversi di affrontare la vita
quotidiana, con le sue difficoltà e
le sue speranze. Lo scontro
culturale emerge, infatti, con forza
nelle scene di vita ordinaria. La
più memorabile è quella della carpa
di Natale: per il professore l’idea
di comprare un pesce vivo e portarlo
a casa in un sacchetto d’acqua è
inconcepibile; per i polacchi è una
pratica consueta, legata al
calendario e alla simbologia del
cibo durante le festività.
La solitudine del protagonista è
dunque concreta e metaforica al
tempo stesso. È solo perché non può
contattare l’ambasciata britannica,
non può partire, non sa come
procurarsi quello che gli occorre
per sopravvivere. Allo stesso tempo
è solo perché le categorie con cui
ha sempre interpretato la realtà non
reggono l’urto di un vivere regolato
dall’emergenza. Col passare dei
giorni l’isolamento si fa
introspezione: tolti gli appigli
culturali, emergono i bisogni
elementari come riscaldarsi nel
pieno dell’inverno, mangiare, udire
una voce amica e familiare.
Questo disagio spinge Andrew a
percepire gli altri, le persone
intorno a sé, in modo diverso. In
controluce affiora l’idea che
smarrirsi sia un’esperienza
conoscitiva, dolorosa ma feconda.
Nel racconto di Olga Tokarczuk il
protagonista è un professore
universitario che rappresenta la
razionalità e la compostezza del
mondo occidentale, improvvisamente
travolto dalla realtà paralizzata
della Polonia sotto la legge
marziale. Kasia Adamik, nella sua
trasposizione cinematografica
Winter of the Crow, decide
invece di trasformare quel
personaggio in una stimata psicologa
londinese Joan Andrews,
interpretata da Lesley Manville,
che è stata invitata a una
conferenza. Nella sceneggiatura
scritta insieme a Sandra Buchta,
la scelta di una protagonista
femminile sposta l’intero asse del
racconto: s’introduce un registro
più intimo e relazionale, che
permette di esplorare la
vulnerabilità, la cura e la
solidarietà in un contesto dominato
dal potere e dal controllo maschile.
La protagonista del film non è un
involontario testimone spaesato,
come il professor Andrews di
Tokarczuk, ma un soggetto che
agisce, rischia, nasconde un
perseguitato politico e si confronta
direttamente con le conseguenze
della repressione. La regista
trasforma l’osservazione passiva del
racconto in una riflessione sul
coraggio morale e sulla
responsabilità individuale, offrendo
una prospettiva contemporanea e
fortemente etica di quando si
osserva dall’interno come estranei
un cambiamento sociale epocale.
Il tempo sembra dilatarsi quando,
fuori dalle finestre, appaiono i
carri armati, le telefonate
interrotte, la paura diffusa, la
paralisi della vita quotidiana. Le
scene sono costruite come un
labirinto visivo: le strade
innevate, i palazzi anonimi del
blocco sovietico, gli interni
gelidi, e il titolo stesso richiama
la figura del corvo («wrona»
in polacco) che circola come simbolo
oscuro di controllo, di sorveglianza
e di morte. Lo stesso regime aveva
chiamato la propria giunta militare
“Wojskowa Rada Ocalenia Narodowego”
(WRON) – Consiglio Militare di
Salvezza Nazionale. Gli stessi
generali al potere venivano a voce
di popolo soprannominati “i corvi”.
Da qui il titolo, ambivalente e
simbolico, che richiama insieme la
cupezza del periodo e l’ombra che
cala sulla Polonia.
Il 13 dicembre 1981, alle prime ore
del mattino, il generale Jaruzelski
annuncia l’introduzione della legge
marziale, decretando la chiusura
delle frontiere, l’istituzione del
coprifuoco, la militarizzazione
delle istituzioni civili, l’arresto
di migliaia di attivisti del
movimento Solidarność e
l’invio dei carri armati per le
strade. Il clima sociale che precede
questo atto drammatico è segnato da
una grave crisi economica: un debito
estero insostenibile, razionamenti
sistematici, scioperi e agitazioni
guidati dal sindacato Solidarność. È
in questo spazio che la regista
colloca l’azione individuale: una
docente straniera che scopre troppo
tardi che la pura teoria accademica
non basta quando la realtà si spezza
e la violenza entra nella vita
quotidiana. L’arco narrativo segue
Joan da osservatrice a partecipante
in fuga, costretta a scegliere se
restare neutrale o prendere parte.
La giovanissima attivista Alina
(interpretata da Zofia Wichłacz)
le fa da guida e specchio: la sua
fermezza contrasta con lo
spaesamento dell’ospite inglese.
Questo confronto tra generazioni e
culture rafforza il tema della
solidarietà, che è l’elemento che
lega il film alla storia vera del
movimento sindacale polacco. A
livello tecnico, la fotografia di
Tomasz Naumiuk e la scenografia
diegetica evocano una Varsavia
livida e spettrale: i piani sequenza
dalla visuale oppressiva, le
finestre che riflettono volti
deformati, i corridoi che
assomigliano a prigioni.
Nonostante alcuni critici
considerino il film didascalico
nella conclusione, nel complesso,
Winter of the Crow si colloca nella
tradizione del cinema polacco, che
vede come capifila Andrzej Wajda
e Agnieszka Holland,
produttrice esecutiva del film e
madre della regista. Il film offre
una doppia interpretazione: visiva,
con il gelo urbano, il silenzio
infranto, l’ombra dei corvi e
concettuale, con la riflessione
profonda sulla solidarietà, in un
gioco di parole Solidarność, con il
prezzo da pagare per chi sceglie di
fuggire dal regime e per chi resta a
combattere. Ciò che più colpisce è
la capacità della regista di
trasformare i fatti del dicembre
1981 in un’esperienza sensoriale e
mentale: la legge marziale non resta
sullo sfondo della vicenda personale
della protagonista, ma diventa una
forza che irrompe e invade spazio e
tempo.