[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 214 / OTTOBRE 2025 (CCXLV)


attualità

WINTER OF THE CROW
Polonia, 1981: LA LEGGE MARZIALE SECONDO Kasia Adamik

di Leila Tavi

 

Winter of the Crow è il nuovo film della regista polacca Kasia Adamik, una coproduzione tra Polonia, Lussemburgo e Regno Unito, presentato alla sezione Discovery del TIFF 2025 e alla sezione Progressive Cinema – Visioni per il mondo di domani della Festa del Cinema di Roma 2025, che si è conclusa da poco.

 

La trama del film trae spunto da una breve prosa di Olga Tokarczuk con titolo originale: Profesor Andrews w Warszawie, che è stato pubblicato nel volume di racconti Gra na wielu bębenkach (Suonando varie percussioni) del 2001, edito da Wydawnictwo Ruta. Il racconto è stato poi ripubblicato in edizioni successive, ma la prima uscita del racconto fu in lingua inglese come Professor Andrews Goes to Warsaw: December 1980, apparsa sulla Chicago Review nel 2000, in un numero dedicato alla nuova narrativa polacca contemporanea.

 

Il racconto narra la storia di un accademico inglese di mezza età in visita in Polonia per tenere una serie di lezioni e che si ritrova, all’improvviso, imprigionato nella realtà cupa della legge marziale. La scrittrice, che ha ricevuto il Premo Nobel per la Letteratura nel 2018, riesce a rendere l’esperienza individuale di spaesamento del protagonista del racconto una riflessione più ampia sulla condizione umana quando vengono meno coordinate, linguaggi e abitudini. È un racconto che parla di storia senza retorica, restituendo la sensazione concreta di un tempo sospeso, fatto di silenzi, di freddo e di comunicazioni interrotte.

 

Il testo affronta il nodo identitario della Polonia nel dicembre 1981 con lo sguardo del visitatore che, per la prima volta, si trova a Varsavia in un momento storico drammatico e di speranza al tempo stesso. Il 13 dicembre 1981 il generale Wojciech Jaruzelski proclama la legge marziale, sospende diritti e libertà, introduce coprifuoco e censure, riempie le strade di militari e mezzi blindati. È all’interno di questo scenario violento che precipita il protagonista, giunto a Varsavia come visiting professor e, improvvisamente, è catapultato in un sistema apparentemente regolato da un ordine maniacale, ma in realtà fondato su privazioni, sul controllo e sulla repressione, in cui ogni presenza è anche un’assenza.

 

In una logica kafkiana, Varsavia sotto la legge marziale è una città che obbedisce a regole rigide, ma in cui nulla funziona davvero. In un primo momento il prof. Andrew non riesce a leggere i segnali del nuovo contesto, questo suo disagio diventa la chiave di lettura del racconto. Non è né un eroe né un testimone chiave di quello che sta accadendo, è semplicemente un uomo comune catapultato in una realtà regolata da segni e significati che non riesce a decifrare.

Varsavia è rappresentata come una topografia dell’ostilità: neve sporca, corridoi gelidi, linee telefoniche mute, negozi vuoti e lunghe file scoraggiate. L’appartamento affittato, che doveva fungere da rifugio, si trasforma in un labirinto domestico. Non riesce a comunicare con il mondo fuori dalle mura domestiche, ma l’intima sicurezza di una vita all’occidentale non è replicabile in quella drammatica situazione. Il paesaggio urbano, così, visto dalla sua finestra, smette di essere sfondo e diventa allegoria di un sistema opaco, fatto di mancanze e di regole invisibili a chi non vi appartiene.

 

Andrews incarna, infatti, un certo modo occidentale di stare al mondo: ordine, metodo, fiducia nella razionalità. Tutto ciò, nello spazio della Varsavia del 1981, non funziona più; il protagonista non vi si può più ancorare. Il non parlare la lingua polacca, che all’inizio è un semplice disagio, diventa presto una barriera insormontabile. Attorno al docente orbitano figure che diventano fondamentali per la sopravvivenza del professore: quando la sua giovane accompagnatrice scompare con lo scattare delle restrizioni, i vicini di pianerottolo, se pur con prudenza, non si dimostrano impermeabili alla pietà; un anziano gli mostra con il linguaggio non-verbale come arrangiarsi. In questo microcosmo la distanza si accorcia attraverso piccoli gesti, ma essenziali per superare il momento di difficoltà.

 

Il motivo dell’incomunicabilità è il filo che tiene insieme tutto: non comprendere la lingua significa non avere accesso alla struttura nascosta della realtà. Il racconto segue con lucidità l’invenzione di un lessico alternativo fatto di mimica, di sillabe spezzate, di oggetti mostrati, che non elimina la distanza ma permette di attraversarla. In controluce, si legge una riflessione più ampia: durante la Guerra Fredda non si fronteggiavano soltanto modelli economici, sistemi politici o apparati militari, ma anche modi diversi di affrontare la vita quotidiana, con le sue difficoltà e le sue speranze. Lo scontro culturale emerge, infatti, con forza nelle scene di vita ordinaria. La più memorabile è quella della carpa di Natale: per il professore l’idea di comprare un pesce vivo e portarlo a casa in un sacchetto d’acqua è inconcepibile; per i polacchi è una pratica consueta, legata al calendario e alla simbologia del cibo durante le festività.

 

La solitudine del protagonista è dunque concreta e metaforica al tempo stesso. È solo perché non può contattare l’ambasciata britannica, non può partire, non sa come procurarsi quello che gli occorre per sopravvivere. Allo stesso tempo è solo perché le categorie con cui ha sempre interpretato la realtà non reggono l’urto di un vivere regolato dall’emergenza. Col passare dei giorni l’isolamento si fa introspezione: tolti gli appigli culturali, emergono i bisogni elementari come riscaldarsi nel pieno dell’inverno, mangiare, udire una voce amica e familiare. Questo disagio spinge Andrew a percepire gli altri, le persone intorno a sé, in modo diverso. In controluce affiora l’idea che smarrirsi sia un’esperienza conoscitiva, dolorosa ma feconda.

 

Nel racconto di Olga Tokarczuk il protagonista è un professore universitario che rappresenta la razionalità e la compostezza del mondo occidentale, improvvisamente travolto dalla realtà paralizzata della Polonia sotto la legge marziale. Kasia Adamik, nella sua trasposizione cinematografica Winter of the Crow, decide invece di trasformare quel personaggio in una stimata psicologa londinese Joan Andrews, interpretata da Lesley Manville, che è stata invitata a una conferenza. Nella sceneggiatura scritta insieme a Sandra Buchta, la scelta di una protagonista femminile sposta l’intero asse del racconto: s’introduce un registro più intimo e relazionale, che permette di esplorare la vulnerabilità, la cura e la solidarietà in un contesto dominato dal potere e dal controllo maschile. La protagonista del film non è un involontario testimone spaesato, come il professor Andrews di Tokarczuk, ma un soggetto che agisce, rischia, nasconde un perseguitato politico e si confronta direttamente con le conseguenze della repressione. La regista trasforma l’osservazione passiva del racconto in una riflessione sul coraggio morale e sulla responsabilità individuale, offrendo una prospettiva contemporanea e fortemente etica di quando si osserva dall’interno come estranei un cambiamento sociale epocale.

 

Il tempo sembra dilatarsi quando, fuori dalle finestre, appaiono i carri armati, le telefonate interrotte, la paura diffusa, la paralisi della vita quotidiana. Le scene sono costruite come un labirinto visivo: le strade innevate, i palazzi anonimi del blocco sovietico, gli interni gelidi, e il titolo stesso richiama la figura del corvowrona» in polacco) che circola come simbolo oscuro di controllo, di sorveglianza e di morte. Lo stesso regime aveva chiamato la propria giunta militare “Wojskowa Rada Ocalenia Narodowego” (WRON) – Consiglio Militare di Salvezza Nazionale. Gli stessi generali al potere venivano a voce di popolo soprannominati “i corvi”. Da qui il titolo, ambivalente e simbolico, che richiama insieme la cupezza del periodo e l’ombra che cala sulla Polonia.

 

Il 13 dicembre 1981, alle prime ore del mattino, il generale Jaruzelski annuncia l’introduzione della legge marziale, decretando la chiusura delle frontiere, l’istituzione del coprifuoco, la militarizzazione delle istituzioni civili, l’arresto di migliaia di attivisti del movimento Solidarność e l’invio dei carri armati per le strade. Il clima sociale che precede questo atto drammatico è segnato da una grave crisi economica: un debito estero insostenibile, razionamenti sistematici, scioperi e agitazioni guidati dal sindacato Solidarność. È in questo spazio che la regista colloca l’azione individuale: una docente straniera che scopre troppo tardi che la pura teoria accademica non basta quando la realtà si spezza e la violenza entra nella vita quotidiana. L’arco narrativo segue Joan da osservatrice a partecipante in fuga, costretta a scegliere se restare neutrale o prendere parte. La giovanissima attivista Alina (interpretata da Zofia Wichłacz) le fa da guida e specchio: la sua fermezza contrasta con lo spaesamento dell’ospite inglese.

 

Questo confronto tra generazioni e culture rafforza il tema della solidarietà, che è l’elemento che lega il film alla storia vera del movimento sindacale polacco. A livello tecnico, la fotografia di Tomasz Naumiuk e la scenografia diegetica evocano una Varsavia livida e spettrale: i piani sequenza dalla visuale oppressiva, le finestre che riflettono volti deformati, i corridoi che assomigliano a prigioni.

 

Nonostante alcuni critici considerino il film didascalico nella conclusione, nel complesso, Winter of the Crow si colloca nella tradizione del cinema polacco, che vede come capifila Andrzej Wajda e Agnieszka Holland, produttrice esecutiva del film e madre della regista. Il film offre una doppia interpretazione: visiva, con il gelo urbano, il silenzio infranto, l’ombra dei corvi e concettuale, con la riflessione profonda sulla solidarietà, in un gioco di parole Solidarność, con il prezzo da pagare per chi sceglie di fuggire dal regime e per chi resta a combattere.  Ciò che più colpisce è la capacità della regista di trasformare i fatti del dicembre 1981 in un’esperienza sensoriale e mentale: la legge marziale non resta sullo sfondo della vicenda personale della protagonista, ma diventa una forza che irrompe e invade spazio e tempo.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]